PREMIATA SALUMERIA ITALIANA 5-2020

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXII N. 5 Settembre-Ottobre 2020

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Tradizione di grande Nobiltà

Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese

L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.

LIA I A G I T R BOTI G ATiOi L utt ati O B B per t ertific i uttor d o r p

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N I IG

E L A Questa bottiglia da 100 ml

è garanzia di

originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.

con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola

aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.

Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamico.tradizionale.it


N. 5

€ 6,70 Anno XXXII Settembre-Ottobre 2020

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo

Segreteria di redazione Gaia Borghi

Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne

Abbonamenti Fioretta Fiorentin EURO ANNUARIO CARNE 2020

Amministrazione Andrea Tomassone

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2020 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Premiata Salumeria Italiana, 5/20

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Ufficio stampa e Media Partner

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N. 5

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

In questo numero:

Immagini

Misteriosi paccasassi

10

A caccia di tartufi

12

AgriBotteghe

Antica Corte Pallavicina inaugura l’esperienza a km 0…

14

Tendenze

Pastrami, autunno a New York o Montréal viaggiando con un sandwich

16

Salumi & Co.

Le mani in pasta – Arvorè – Le meraviglie di Saara Kaatra

17

Fotografati e mangiati

Salame Cremona IGP – Filzetta

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Brevi storie di cibo lento Ho appena mangiato mio padre a velocità contemporanea Attualità

Cibus Forum: le fiere ripartono da Parma

Alessia Morabito

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A pagina 108.

Premiata Salumeria Italiana, 5/20

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Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

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Marketing

Infodemia e gamification: un problema e una soluzione

Francesca Monti

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Aziende

Luglio 2020, storica data per i salumi italiani 100% tradizionali

Prodotti tipici Analisi del food

38

Paccasassi, il mare del Conero in vasetto

Gaia Borghi

40

La spalla cotta di Giuseppe Verdi

Giovanni Ballarini

44

Salumi e conservanti: dove, quali e perché

Agostino Macrì

48

Salumi buoni e salutari

Giovanni Ballarini

50

Trasformazione

L’affumicatura

56

Belle Botteghe

Guarda, scegli, mangia

Riccardo Lagorio

62

Sa’ Pesta, cucina tipica e farinata nella classica sciamadda

Massimiliano Rella

66

La Qualità

Prosciutto di Parma, una Dop che fa bene

68

Salumi in tavola

Crudo di Cuneo Dop, dai norcini piemontesi alla tavola dei grandi…

72

Formaggio

Agricola Circe: farsi ammaliare da una mozzarella

Massimiliano Rella

74

Formaggi Mangone, desideri in forma solida

Riccardo Lagorio

78

Il Queso Mahón de Menorca Dop

Massimiliano Rella

80

Magici e non più misteriosi formaggi verdi e blu

Giovanni Ballarini

84

Pasta

I Cappelletti all’uso di Romagna e la Spoja lorda

Nunzia Manicardi

88

Vino

Vini dei Pitoti

Riccardo Lagorio

92

La rivincita del Bianchello del Metauro

Massimiliano Rella

Ca’ Olivassi: anche a Noale si può fare vino

Gian Omar Bison

98 100

Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXII N. 5 Settembre-Ottobre 2020

€ 6,70

A pagina 98. In copertina: il re dei salumi, Culatello di Zibello Dop, del Salumificio Dallatana di Roncole Verdi, Parma (photo © Massimiliano Rella).

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: viaggio al Lago di Garda, la sponda lombarda

Laura Franchini

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Week-end

Speck, formaggi e passeggiate

Riccardo Lagorio

108

Acqualagna e la sua truffle experience

Massimiliano Rella 110

Il gusto di camminare

Bar to Bar

Elena Simonini

Fiere

MarcabyBolognaFiere si prepara all’edizione del 2021

114 118

Sono 180 grammi, lascio? BBQ modenese

Giovanni Papalato 120

Sicurezza alimentare

Salame del contadino tra mito e realtà

Giovanni Ballarini 122

Tecnologie

Innovare per affrontare i cambiamenti

124

Tre Libri

Da Imprima nuove tecnologie per la sicurezza alimentare: TT Sensor Plus 2

128

Ci dedichiamo completamente all’affilatura

130

Il mito delle origini – La mia pasta madre – Salumi

132

A pagina 44. A pagina 68.

A pagina 78.

www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8

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IMMAGINI

“Le piantine di paccasassi crescono rigogliose al caldo nella serra” si legge nella pagina Instagram di Rinci – Meraviglie di Gusto, giovane azienda di Castelfidardo, Ancona. “Sono piantine nate esclusivamente da semi autoctoni. Abbiamo fatto questa scelta perché è importante per noi la propagazione del finocchio marino locale, avendo l’obiettivo di tutelare e rinforzare la biodiversità del nostro Conero”. Volete sapere tutto dei paccasassi? Leggete l’articolo di Gaia Borghi a pagina 40.

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Andare a caccia di tartufi d’Acqualagna con il cercatore Giorgio Remedia e il suo cane Lili, perché no? Lo si potrà fare in occasione della 55a Fiera Nazionale del Tartufo di Acqualagna, in programma nelle date del 25 e 31 ottobre e 1-7-8-14-15 novembre. La sua secolare tradizione di ricerca, produzione e vendita del tartufo fa sì che il mercato di Acqualagna, una cittadina di 4.400 abitanti situata nell’entroterra della provincia di Pesaro e Urbino, nelle Marche, sia il luogo di incontro privilegiato per la promozione e la commercializzazione sia a livello nazionale sia internazionale del pregiato tubero. Leggete di più a pagina 110 (photo © Massimiliano Rella).

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AGRIBOTTEGHE Antica Corte Pallavicina inaugura l’esperienza a km 0 dello spaccio di prodotti della Bassa

L’AgriBottega di Benedetta, Luciano e Massimo Spigaroli, inaugurata in via sperimentale sfruttando un periodo incerto come quello del lockdown, è un vecchio sogno delle tre menti che hanno concepito l’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR), ben nota alle buone forchette per il Culatello di Zibello stagionato nelle storiche cantine ma anche per le coltivazioni autoctone dell’orto. Se la quarantena ha offerto l’occasione per testare l’efficacia di un’idea nella sua versione con consegna domicilio, il punto vendita di prodotti di produzione propria dell’azienda e di realtà selezionate sul territorio apre in questi giorni le porte ai clienti all’interno del Podere La Motta, in Strada Motta Vecchia, quasi simbolicamente a ridosso dei campi e a brevissima distanza dall’Antica Corte. Dal venerdì alla domenica nella bottega sarà possibile avventurarsi in un’esperienza artigianale a km 0, lasciandosi tentare da ortaggi di stagione, salumi, vini, conserve e composte (giardiniera, salsa antica, confetture) e carni di qualità (dalla costata di bue bianco, ai tagli per ossobuco, brasato, roast beef, confezionati sottovuoto). Coinvolgendo anche realtà affermate, appartenenti ad una rete impegnata a tutelare le tradizioni e la biodiversità del territorio, la proposta dell’AgriBottega si arricchisce di veri e propri gioielli enogastronomici come i formaggi dell’azienda agricola biologica La Villa, che parlano attraverso il loro sapore, la loro genuinità e la loro freschezza di una passione e di un amore sconfinati per un luogo e la sua anima (photo © Carla Soffritti).

>> Link: www.anticacortepallavicinarelais.it

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ph: Franceschini Vincenzo

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it


TENDENZE Pastrami, autunno a New York o Montréal viaggiando con un sandwich

Autumn in New York… con un panino ripieno di carne. Carne di manzo messa dapprima in salamoia, quindi aromatizzata, affumicata e cotta a vapore: il pastrami vi dà il benvenuto nel suo mondo fatto di sandwich succulenti a più strati accompagnati da senape e cetrioli sottaceto, caffetterie affollate dallo stile vagamente retro come Katz’s a New York o Schwartz’s Deli a Montréal e antiche tradizioni kosher. Tradizioni che tra la seconda metà dell’800 e inizio 900 si imbarcarono sulle grandi navi insieme agli immigrati di religione ebraica provenienti dall’Europa dell’Est, Romania in particolare, e arrivarono fin dall’altra parte dell’Oceano, allontanandosi moltissimo dalla versione originaria della pastramă o pastırma, nata come metodo per conservare a lungo la carne che poteva essere di pecora, montone o tacchino, ma divenendo a tutti gli effetti un piatto emblematico della gastronomia USA e canadese. In foto potete vedere il pastrami prodotto nello stile di Montréal con punta di petto bovino (brisket) dalla Ala carni del Gruppo reggiano Bervini (www.alacarni.it; www.bervini.com): lo si può gustare tagliato a fette spesse, al naturale, con contorno di insalata di patate condita con yogurt e erba cipollina o con la classica coleslaw a base di cavolo cappuccio, carote e maionese. Per mangiare il vostro pastrami come ripieno di un sandwich, un toast, un bun o tra due fette di pane preferibilmente “nero”, integrale o di segale (il tipico sandwich americano), meglio tagliare invece le fette molto sottili, magari usando l’affettatrice al posto del coltello. A questo punto aggiungete la vostra salsa preferita ed iniziate ad impilare, sfidando la gravità e l’ampiezza del vostro morso o del vostro appetito (photo © Massimiliano Rella).

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I salumi come una volta


Un viaggio fra i sapori della grande salumeria Con L’Artemano abbiamo deciso di scrivere un nuovo affascinante capitolo della nostra storia: una selezione di salumi che custodisce tutto il nostro impegno e più di un secolo di esperienza. Le migliori specialità Levoni, prodotte in quantità limitata, profumi e sapori che raccontano di carni italiane selezionate, scelta meticolosa degli ingredienti e abilità dei nostri mastri salumieri.

DA MANI ESPERTE, CAPOLAVORI ITALIANI I salumi sono la continua riscoperta di una cultura antica che ci conquista ancora oggi, l’espressione di tanti territori unici e dell’amore innato per la qualità. In ogni assaggio de L’Artemano rivivono la passione di generazioni nerazioni di artigiani e quella gioia di assaporare i momenti che fa dell’Italia il paese degli amanti della vita e delle cose buone.

Per L’Artemano, il meglio della nostra produzione, garantiamo una na æ1.*7& gűűM .9&1.&3& :9.1.??&3)4 )4 ti e solo carni da suini nati, allevati trasformati in Italia. In questi salumi c’è la nostra attenzione instancabile per la qualità delle materie prime e degli gli ingredienti: aromi solo naturali ie ricercate qualità di spezie tipiche, che, macinate al momento.


L’arte dei salumi è una storia scritta a mano


I salumi come una volta


SALUMI & CO.

Le mani

in pasta Quanto ci piace il food design! In questi tempi cupi e imprevedibili può scatenare un sorriso e un po’ di sana leggerezza. Come i piatti, le t-shirt, gli strofinacci e altri articoli di Mani in Pasta (www.maniinpasta.co), il “Progetto Culinario Creativo” sviluppato a Lisbona dall’idea di Elisa Sartor e Valentina Toscano (photo © maniinpasta.co).

Arvorè

DI BRUNO FRONTEDDU Ad ogni salume il suo tagliere, possibilmente realizzato a mano da mani esperte e creative, come quelle di BRUNO FRONTEDDU. La sua linea Arvorè è stupenda (www.brunofronteddu.com/arvore). Arvorè “nasce dal desiderio di creare oggetti di uso comune ricercando forme originali e uniche capaci di coniugare funzionalità ed armonia estetica. È un progetto che ha il profumo degli alberi e ne conserva il ricordo. Non solo un respiro artigiano, ma una danza di linee e immaginari per la creazione di pezzi unici”. Bravissimo (photo © brunofronteddu.com).

Le meraviglie

DI SAARA KAATRA Il vintage è una tendenza che non conosce crisi, anche nell’arredo di una salumeria. Qualche idea? Usate vecchie scatole di biscotti o di tè, rigorosamente in latta. Daranno colore e quel gusto retro che rende il locale accogliente. Per scovare oggetti segnaliamo Mercanteinfiera, l’appuntamento autunnale che si svolgerà al quartiere fieristico di Parma dal 5 al 13 ottobre. Per informazioni: mercanteinfiera.it (photo © Amazon.co.uk).

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FOTOGRAFATI E MANGIATI

Salame CREMONA IGP Produttore: Santini Srl, Torre de’ Picenardi (CR).

www.salumificiosantini.it

Regione: Lombardia. Ingredienti: carne di suino pesante italiano, sale, spezie, aromi. Descrizione: colore rosso intenso che sfuma verso il bianco delle parti adipose, morbido al taglio, rivestito in budello naturale e legato a mano, questo Salame Cremona Igp è un ottimo prodotto che rappresenta la migliore sintesi tra la cultura e la natura del territorio cremonese. Aromatico e speziato al palato, ha un profumo deciso e molto gradevole. In abbinamento a: pane sciapo e un calice di Lambrusco rosato.

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Produttore: Salumificio Venegoni Spa, Boffalora sopra Ticino (MI). Regione: Lombardia. Ingredienti: carne e grasso suino, noce moscata, pepe, sale, chiodi di garofano, cannella, vino Barbera e Barolo. Senza: lattosio e glutine, additivi e conservanti. Descrizione: questo “salametto nostrano a taglio grosso” all’assaggio presenta un gusto morbido e aromatico molto piacevole. La storia della filzetta è stata ampiamente studiata a suo tempo dal prof. Carlo Cantoni: “con questo nome le produzioni principali di questo insaccato si localizzano nella Brianza e nel Mantovano-Cremonese, dove il salame di filzetta rappresenta il re degli insaccati” (Salame di filzetta, salame filzetta o salame in filzetta?, in Premiata Salumeria Italiana n. 1/2013).

www.salumificiovenegoni.it

In abbinamento a: michétta e filzetta, panino “epico” milanese (cit. Oste Bello, ostellobello.com).

FILZETTA

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BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA

Ho appena mangiato mio padre di Alessia Morabito – illustrazioni di Alessia Serafini

S

ono una Morabito, sono una mezzosangue calabrese e ho appena mangiato mio padre. Se fosse una seduta di terapia psicanalitica starei descrivendo il “parricidio Morabito” di edipica ispirazione, la tappa necessaria per la mia evoluzione di figlio/a, l’interiorizzazione della sua autorità e la sua storia, l’atto di incorporare e gestire responsabilmente la mia personalità con la sua. Mio padre era una testa calda nata nel centro della provincia di Reggio Calabria, diventato uomo in Costa Azzurra, arruolatosi alla fine degli anni ‘50 nella Legione Straniera. Tra i suoi cibi preferiti ricordo distintamente ‘nduja e ostriche. “Ostrica alla brace, olio all’nduja, limone e polvere di capperi”. Ho mangiato mio padre all’ottavo assaggio circa del menù degustazione che Tommaso ha cucinato per me. La ‘nduja è un particolarissimo salume che si spalma o si scioglie ma non si mangia a fette; pare prendere nome dall’insaccato francese andouille, distribuito in dono per ingraziarsi la popolazione calabrese da Gioacchino Murat, Re di Napoli, maresciallo napoleonico, ma soprattutto figlio di locandieri. I calabresi personalizzarono la ricetta dell’andouille sostituendo alle interiora le parti grasse di maiale macinate e caratterizzandole con il loro prodotto agricolo di punta, il peperoncino piccante di Calabria, che in più ne stabilizza la conservazione. Una volta che l’impasto assume una consistenza sufficientemente omogenea e cremosa viene insaccato nel budello naturale del maiale, per poi venir sottoposto ad una leggera affumicatura con erbe aromatiche. Infine, si lascia stagionare dai 3 ai 6 mesi. Ho mangiato mio padre con un cucchiaio. Il profumo di mare e di fumo, di piccante e di grasso, di sole e sasso. Ho masticato piano la consistenza muscolosa del mollusco cotto, l’olio alla ‘nduja mi ha avvolto la lingua e tolto le parole, il brodetto di limone, cappero e salmastro hanno pulito tutto eppure sono rimasta in silenzio. Ho fatto scarpetta nel piatto col pezzetto di una pagnotta monoporzione ancora calda, con un taglio a croce sulla superficie, che sottolineava con ridondanza la sacralità malata di questo gesto profano. Ho raccolto col dito nel piatto le briciole di mollica imbevute di olio di ‘nduja. Ho appena mangiato mio padre, il piatto era buonissimo, la mancanza rimane indigesta.

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La ‘nduja è un prodotto tipico dell’altopiano calabrese del Poro ed in particolare di Spilinga, piccolo borgo situato in provincia di Vibo Valentia. Naturalmente la zona di produzione è molto più estesa, soprattutto sul versante tirrenico, dove la produzione di questo semplice salume è diventato il vero e proprio motore dell’economica locale. Da tradizione, la ‘nduja viene prodotta solitamente durante i mesi invernali con le parti più grasse della carne di maiale, quali guanciale, pancetta e lardello, tritate e poi impastate insieme ad un abbondante quantitativo di peperoncino piccante che, oltre a dare alla carne un colore rosso ben definito, ne permette una lunga conservazione; le proprietà antisettiche del peperoncino, infatti, fanno sì che la ‘nduja non abbia bisogno di alcun conservante, rendendolo un prodotto al 100% naturale e genuino. Al peperoncino si devono inoltre gran parte delle sue proprietà nutritive e benefiche, tali da farla diventare un valido alleato dell’apparato digerente e circolatorio. La ‘nduja si commercializza come un classico insaccato sottovuoto o in pratici vasetti di vetro, che ne mantengono inalterato il sapore ed il gusto, anche per lunghi periodi. Per poterla gustare al meglio, tuttavia, consigliamo di lasciarla riposare al di fuori dalla confezione sottovuoto per qualche ora. Come si mangia Prodotto estremamente versatile, la ‘nduja può essere consumata e gustata in modi diversi. Il più comune (ma non per questo meno gustoso!) è quello di spalmarla su una fetta di pane casereccio, tostato o appena sfornato, ma è molto diffusa anche come base per primi piatti. La pasta con la ‘nduja, che sia fileja, scialatielli o spaghetti, è infatti un must della cucina calabrese. Può essere poi usata come ingrediente per condire la pizza o come ripieno per polpette, arancini e panzerotti. Ottima anche su fette di formaggi semi-stagionati o per delle squisite frittate. A chi preferisce un’esperienza che possa coinvolgere direttamente i sensi, consigliamo tuttavia di recarsi direttamente a Spilinga: ogni anno nel mesi di agosto si svolge infatti la tradizionale “Sagra della ‘Nduja”, che ne consente la degustazione nei modi più svariati possibili (fonte: www.bottegadicalabria.it).

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Photo: Gurus Lido Vannucchi

Da oggi disponibile anche al pistacchio.

www.mortadellafavola.it


IN BUONE MANI. 100 %

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ITALIANA


ATTUALITÀ

Cibus Forum: le fiere ripartono da Parma Soddisfazione per Fiere di Parma a conclusione della due giorni che ha riportato in presenza, per la prima volta dopo il lockdown, il confronto tra operatori della food community, Consorzi di tutela delle eccellenze del made in Italy, organizzazioni agricole, imprenditoriali e istituzioni

L

a ripartenza economica post Covid, con l’intesa tra le varie componenti della filiera agroalimentare, prende il via ufficialmente da Parma. I maggiori rappresentanti dell’industria alimentare, della Grande Distribuzione e dell’agricoltura si sono infatti dati appuntamento a Cibus Forum, svoltosi nel quartiere

fieristico della bella città emiliana gli scorsi 2 e 3 settembre, avviando un dialogo col Governo, rappresentato, in presenza nella giornata d’apertura, dal Ministro degli Affari Esteri LUIGI DI MAIO. «L’industria alimentare, dopo essersi rivelata fondamentale nel periodo strettamente legato all’emergenza, può ancora fare da traino economico e

tornare ai livelli pre-crisi velocemente» ha dichiarato IVANO VACONDIO, presidente di FEDERALIMENTARE. «Questa sua forza, però, non deve essere scambiata per uno stato di benessere. Il 2020 è l’anno nero anche per il food & beverage che, per riprendersi in fretta, ha assoluto bisogno del sostegno da parte del Governo. Mi riferisco in particolare

Cibus Forum è stato aperto dai saluti di Gian Domenico Auricchio, presidente di Fiere di Parma, Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, e Stefano Bonaccini, Governatore della Regione Emilia-Romagna (in foto, il suo intervento).

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ai finanziamenti a fondo perduto per il settore HO.RE.CA., che dovranno essere ben più sostanziosi di quelli stanziati nel DL di agosto, essenziali per far rialzare il settore della ristorazione. Se ci sarà questo supporto, sono convinto che entro la fine del prossimo anno l’industria alimentare tornerà ad essere il volano dell’economia italiana». Di Maio, nel corso del suo intervento nella prima giornata della fiera, ha confermato l’impegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con tutta la sua rete estera, a sostegno del comparto agroalimentare. «Vogliamo trasformare ogni Ambasciata nel mondo in una casa delle imprese, perché l’Italia e le nostre aziende devono crescere ed esportare le nostre eccellenze ovunque. Molti sono gli interventi che abbiamo previsto, a cominciare dal rilancio del settore fieristico, che può ora contare su una piattaforma digitale — Fiera 365 — a disposizione degli operatori. Abbiamo inoltre creato un programma straordinario di incoming fisico e virtuale attraverso il quale accoglieremo nel nostro Paese gli attori determinanti per il rilancio del brand Italia nel mondo, a cominciare proprio dalla filiera agroalimentare, che ne rappresenta una delle eccellenze più conosciute ed apprezzate». La necessaria collaborazione tra le componenti della filiera agroalimentare è stata sottolineata anche da GIORGIO SANTAMBROGIO, past president di Associazione Distribuzione Moderna e AD del Gruppo VèGè. «La Grande Distribuzione vuole collaborare con l’industria e l’agricoltura per affrontare le sfide del post-Covid. Stiamo già lavorando assieme per eliminare tutte le pratiche unfair come il caporalato nei campi e le aste a doppio ribasso. A proposito di queste ultime, abbiamo sostenuto la nuova legge già passata alla Camera e che è ora in discussione al Senato. Il confronto è aperto anche sul terreno dei prezzi e delle promozioni». Un’analisi condivisa da ANTONIO CELLIE, CEO di Fiere di Parma. «Abbiamo riunito per la prima volta dopo il lockdown i protagonisti della filiera agroalimentare: in presenza abbiamo avuto oltre 1.000 operatori al giorno e circa 3.000 spettatori in streaming,

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Luigi Di Maio ha confermato l’impegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale a sostegno del comparto agroalimentare. molti dei quali buyer esteri. La riflessione comune ha portato a definire i seguenti concetti: il lockdown ha spinto i consumatori a capire meglio il valore del cibo e del lavoro che c’è dietro, dunque bisogna insistere sulla valorizzazione del cibo italiano; urgono misure di sostegno all’HO.RE.CA. e in particolare ai ristoratori, che sono i grandi alfabetizzatori del cibo di qualità in Italia e nel mondo; l’innovazione mescola storia dei territori con le nuove tecnologie, quindi tradizioni antiche, droni, in agricoltura e packaging compostabile. Un bellissimo paesaggio di innovazione policentrica e quindi adatto all’eclettico talento italiano». Nel corso della prima mattinata è stato presentato anche il report di Nielsen sull’andamento dei consumi nell’era del Covid. Dopo il boom nel lockdown, le vendite del largo consumo si sono stabilizzate ma continuano a mantenersi positive. Il fattore prezzo sarà sempre più un fattore determinante e continueranno a crescere le vendite nei discount e nei negozi specializzati. Avremo una polarizzazione dei prezzi, con una domanda crescente sia sul basso sia sull’alto prezzo, e decrescente nella fascia media. L’e-commerce continuerà a crescere, anche se una parte significativa del territorio non è coperta.

Nella seconda giornata di Cibus Forum, dopo il saluto in streaming di TERESA BELLANOVA, Ministro delle Politiche Agricole — la quale ha ricordato l’impegno del Governo per contrastare il sistema di etichettatura alimentare a semaforo «che induce a scelte disinformate» e le pratiche sleali in agricoltura —, DENIS PANTINI di NOMISMA ha presentato una ricerca su come cambiano i comportamenti dei consumatori italiani nell’era post Covid. Pantini ha anche messo in guardia la filiera agroalimentare italiana: è necessario essere rapidi nell’affrontare la sfida del Green Deal, altrimenti si rischia che altri Paesi europei possano vantare una maggiore sostenibilità dei loro prodotti, tanto più che l’etichettatura a semaforo potrebbe definire i prodotti italiani come meno competitivi. «La partita su cui si gioca il futuro è tra cibo agricolo e cibo sintetico» ha dichiarato MASSIMILIANO GIANSANTI, presidente di CONFAGRICOLTURA. «Per noi il cibo deve avere un legame con la terra e siamo contrari al cibo prodotto in laboratorio. Naturalmente siamo favorevoli alle novità scientifiche e tecnologiche e guardiamo con interesse all’innovazione Bio Tech che rappresenta la nuova frontiera per stimolare la produzione senza operare modifiche genetiche come gli OGM. Ma l’Italia

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Post-Covid solutions: Costa Group presenta le innovazioni per Ho.re.ca. e Grande Distribuzione per la ripartenza del fuoricasa A Cibus Forum l’azienda spezzina Costa Group, leader a livello mondiale nella progettazione e arredamento di locali della ristorazione e del food retail, ha presentato le sue “soluzioni” 4.0 per il mondo del food & beverage post-Covid. «Lo stop forzato delle attività ha costretto in ginocchio un settore già sofferente e l’emergenza sanitaria sta accelerando il processo di evoluzione della ristorazione e dell’ospitalità in generale. Oggi l’obiettivo primario è ripartire, ma farlo con idee nuove» ha spiegato Franco Costa (in foto in basso), presidente di Costa Group. «Come Costa Group abbiamo avviato una ricerca rivolta al domani, coinvolgendo imprenditori operanti in settori diversi, per trovare insieme delle soluzioni. Soluzioni che sicuramente contribuiranno a traghettare l’ospitalità verso il futuro, con maggiore attenzione al cliente e un nuovo concetto di “percepito”. Siamo di fronte ad un mondo in rapida evoluzione, in cui ci rapportiamo con un pubblico profondamente cambiato: più insicuro, attento ed esigente. Sarà obbligatorio creare ambienti visibilmente sicuri e offrire un servizio protetto ed efficiente. Cibus Forum è l’occasione per mostrare in anteprima quanto gli imprenditori italiani sappiano fare con le mani e la testa, anche in piena emergenza». Le proposte di Costa Group realizzate insieme a partner specializzati • SaniTunnel di Sprech: da posizionare all’ingresso di locali pubblici, misura la temperatura corporea, rileva il corretto utilizzo della mascherina e il passaggio al suo interno garantisce la sanificazione delle persone e di tutti gli oggetti in transito; • Cashlogy, ovvero sistemi di pagamento automatici per limitare i contatti con il denaro contante e con l’operatore di cassa, garantendo maggiore sicurezza, igiene e riducendo tempi e costi; • il sistema di conservazione a temperatura di servizio UNOX®, frutto della sperimentazione e realizzato grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Fisica della Materia dell’Università di Parma, guidato dal prof. Davide Cassi, mantiene fino a 200 porzioni sopra i 63 °C, garantendo la massima sicurezza alimentare, oltre che tempi di servizio rapidi e operatività più efficiente; • Whide Tube sanifica le superfici e i prodotti all’interno di murali caldi e freddi attraverso un’azione stermicida efficace fino al 99% contro microrganismi nocivi come virus, muffe, batteri; • Tubdesign.it, semplici ma funzionali divisori realizzati da Emanuele Martera con la collaborazione dei detenuti della Casa Circondariale di La Spezia; • Dionisos, abiti da lavoro originali e igienizzati grazie ad un trattamento specifico non chimico del tessuto; • un inedito progetto take away per Autogrill Spa che sarà presto sulle strade italiane; un concept originale per garantire igiene, sicurezza mettendo in luce l’eccellenza dell’italianità;

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• Planet one, cocktail innovativi serviti secondo antichi saperi alchemici; • KnIndustrie, piatti, padelle e pentole dotati di manici rimovibili e coperchi per limitare il contatto tra operatore e prodotto. L’importanza del rame, materiale naturalmente antibatterico; • The Wine Sider semplifica l’esperienza d’acquisto nei ristoranti di tutto il mondo con un sistema unico basato sulla tecnologia: consulenza nella creazione della carta vini, formazione del personale, gestione digitale delle wine operations, dashboard di controllo e possibilità di pagare le bottiglie solo dopo averle vendute; • Overled, la combinazione di tecnologia e ricerca rivolta al dopo Covid per garantire al pubblico i più efficaci sistemi di sanificazione, con dispositivi diversi per ogni esigenza. Un occhio di riguardo a bicchieri e bottiglie, igienizzati in pochi istanti grazie all’impiego di luce Led-UVC; • Giardini Valle dei fiori, un sistema di noleggio e cura di installazioni verdi volte alla valorizzazione di spazi interni ed esterni. La combinazione di piante e vasi contribuisce alla creazione di ambienti unici ed è un ottimo sistema per mascheramenti e delimitazioni. * Costa Group vanta oltre 6.000 realizzazioni in tutto il mondo e da oltre 40 anni collabora con i più importanti brand del settore food e retail. Oggi Costa Group è tecnologia e ricerca, è molto di più del semplice mobile: è dar voce all’arredo, in modo che il cibo sia protagonista assoluto. >> Link: www.costagroup.net

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1) Claudio Leporati del Consorzio del Prosciutto di Parma. 2) Andrea Gavioli, San Marco Prosciutti. 3) La Coppa di Parma Igp. 4) Zanetti Spa, leader nella produzione di formaggi italiani nel mondo. 5) Lo stand del Consorzio di tutela del Salame Felino Igp. 6) Il Consorzio del Parmigiano Reggiano. agricola deve produrre di più: oggi solo il 75% di quello che finisce sulle tavole degli Italiani è prodotto da noi». «Per aumentare le esportazioni sarà importante anche il tema delle infrastrutture» ha aggiunto ETTORE PRANDINI, presidente COLDIRETTI. «Le merci agricole dovranno viaggiare meno su gomma e di più su treno, aereo e via mare. Siamo al 7o posto in Europa per trasporto agricolo via mare. Quindi il futuro si giocherà su logistica e interconnessioni infrastrutturali. Come pure sulle energie rinnovabili, con un sempre maggiore ricorso al bio-metano». «Per rendere sostenibile il sistema agroalimentare — ha osservato DINO

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SCANAVINO, presidente CIA-Agricoltori Italiani — bisognerà rivedere il concetto di filiera: oltre ad agricoltura, industria alimentare e Grande Distribuzione vanno aggiunti i trasporti, l’industria del packaging ed i produttori di macchine, sia meccaniche sia robotiche». Scanavino ha anche ricordato che quasi 10 milioni di Italiani avranno una minore capacità di spesa, per cui si dovrà forzatamente mantenere bassi i prezzi dei prodotti agroalimentari. PAOLO DE CASTRO, coordinatore S&D della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, ha ricordato che «la Politica Agricola Comune attiva risorse finanziarie pari a quasi il 40%

del budget europeo e il Recovery Fund prevede altri 7,5 miliardi di euro». Sulle problematiche dell’export è intervenuto ROBERTO LUONGO, direttore generale di ICE Agenzia, che ha sottolineato come si stia rafforzando un gioco di squadra tra le istituzioni che si occupano di esportazione: Farnesina, Agenzia ICE e Ministero dello Sviluppo Economico. ICE si è impegnata per garantire il rimborso delle spese sostenute alle imprese danneggiate dalla cancellazione delle manifestazioni fieristiche, sta finalizzando la realizzazione di Fiera Smart 365 per la digitalizzazione delle fiere e incontri B2B, promuovendo l’e-commerce delle

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imprese e la loro presenza nella Grande Distribuzione. «Non ci sarà ripresa se non c’è innovazione» ha dichiarato MARCO PEDRONI, presidente di Coop Italia e neopresidente di ADM-Associazione Distribuzione Moderna — e per innovazione intendo un rinnovato spirito di collaborazione tra tutti i segmenti della filiera agroalimentare che si basi su pochi punti basilari: accordi di ampio respiro equi per tutti; accorciamento ed efficientamento delle filiere; creazione di valore per i consumatori e non solo per le imprese. Ma innovazione è anche sostenibilità. Il New Green Deal è una buona idea, però va sostenuto con i fatti. Detassare i beni sostenibili e sostenere l’innovazione sui prodotti: questo servirebbe ad impostare nuovi modelli di consumo post pandemia». A Parma è stato poi presentato uno studio di The European House – Ambrosetti sul futuro dell’olio italiano: la crescita del comparto oleario italiano passa per la sostenibilità e la valorizzazione del prodotto come confermato da ZEFFERINO MONINI, dell’omonima azienda umbra, che ha sottolineato come i limiti territoriali dell’Italia non consentano una crescita in quantità e quindi si debba puntare su un aumento qualitativo, un valore per tutto il Paese. Nell’ultima sessione dell’evento, dedicata a sostenibilità e innovazione come risposta all’emergenza e curata da ALESSANDRO PEREGO, Politecnico di Milano, il moderatore, ALFONSO PECORARO SCANIO, presidente della Fondazione Uni-

Benedetta Malvisi dell’Azienda Agricola Coppini Arte Olearia, San Secondo (PR). Verde e già Ministro delle Politiche Agricole e dell’Ambiente, ha dichiarato: «È importante il forte messaggio sulla priorità della sostenibilità ambientale arrivato dal mondo delle università e da importanti attori del settore delle imprese. L’agroalimentare italiano deve diventare leader in Europa per la sostenibilità, sia per quanto riguarda le modalità di produzione sia nella propensione a rivoluzionare il sistema degli imballaggi all’insegna di una vera bioeconomia circolare. Con questa capacità di coniugare innovazione e sostenibilità si può rilanciare l’occupazione e la qualità della vita nei nostri territori e nelle nostre stesse aziende». A quest’ultima sessione è intervenuto, da

remoto, VINCENZO AMENDOLA, Ministro per gli Affari Europei, che ha confermato l’impegno di rendere il Green Deal uno strumento utile per la ripresa del Paese. In questo nuovo contesto mondiale, pieno di paure ma anche opportunità, l’Europa ha dato la sua risposta e l’Italia deve essere pronta a divenire leader in questa fase di transizione. Cibus 2021 ci aspetta Ora l’appuntamento è con Cibus 2021, che inaugurerà il 4 maggio del prossimo anno a Parma e sarà la prima grande fiera alimentare europea dopo il lockdown. >> Link: cibusforum.cibus.it


Il mondo della salumeria piange la scomparsa di Enrico Delfini, imprenditore capace, manager appassionato, profondo conoscitore del mercato delle carni e della lavorazione dei salumi Parmigiano di nascita, vicentino d’adozione, è scomparso lo scorso 6 settembre all’età di 72 anni, vittima di una grave malattia, Enrico Delfini. Molto conosciuto e stimato nel settore alimentare, dove si era fatto apprezzare per le sue capacità professionali quanto per la passione che metteva nel suo lavoro, Delfini era cresciuto fra stabilimenti e prosciuttifici, seguendo le orme del padre Dante. Un manager serio, preparato, appassionato, sempre portatore di idee innovative e creative, elegante e disponibile all’ascolto, al dialogo, che abbiamo avuto il piacere di intervistare più volte nel corso degli anni e incontrare alle varie fiere di settore. Delfini aveva iniziato giovanissimo come mediatore di salumi. Poco alla volta aveva poi costruito una carriera che lo aveva visto assumere ruoli di sempre maggiore responsabilità: insieme all’allevatore-macellatore Giuseppe Aimaretti e al vicentino Bruno Brendolan negli anni Novanta avviò uno dei più grossi stabilimenti di produzione del prosciutto crudo presenti a San Daniele, la cui insegna, A&B, segnava l’unione dei due imprenditori. Prima amministratore delegato, poi presidente, Delfini guidò l’azienda per anni, portandola a centrare successi importanti, sia in termini qualitativi sia gestionali. Alla Nuova Boschi, storica azienda di Felino, ha ricoperto il ruolo di amministratore delegato per oltre 13 anni. Tra i suoi ultimi progetti ricordiamo il prosciuttificio “Perla d’Ampezzo”. Delfini amava moltissimo il suo lavoro: anche dopo la pensione era infatti rimasto legato al settore dei prosciuttifici, a cui non ha mai smesso di dare il suo contributo. Negli ultimi anni, ad esempio, aveva studiato un sistema di tracciabilità delle carni e dei prosciutti per evitare possibili contraffazioni. «Il lavoro era la sua vita» racconta a Laura Ugolotti della Gazzetta di Parma Paolo Bucci, fratello della prima moglie, Lillia. «Era molto bravo, capace, tutti lo stimavano. Ma soprattutto era un uomo di una generosità fuori dal comune, un vero signore». Delfini viveva in provincia di Vicenza con la moglie, Silvia Brendolan, e le figlie Erica e Ilaria. «Pur non vivendo qui, tornava spesso a Parma ed era una piacevole abitudine quella di trovarci a tavola» prosegue Bucci. «Non scorderò mai le nostre cene, insieme alla figlia Maria Chiara. Amavamo entrambi la buona cucina ed era un modo per stare insieme e curare i legami di famiglia, seppur nella distanza. Per me Enrico era molto più di un cognato. Era un fratello, un amico, una persona di gran cuore, generoso e disponibile con tutti. So che si dice sempre di chi viene a mancare, ma nel suo caso è la pura verità. Credo che nessuno possa dire il contrario». Ai famigliari e agli amici vanno le più sentite condoglianze della Redazione tutta di Premiata Salumeria Italiana e Eurocarni.

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20° SALONE INTERNAZIONALE DELL’ALIMENTAZIONE

parma

4/7maggio2021

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IL FOOD IN RETE

SOCIAL di Elena

1. Prosciutto di Norcia I dati ISTAT di aprile 2020 ci raccontano che il numero di operatori certificati nel settore agroalimentare di qualità è in crescita del 3,4% e in particolare sono in aumento quelli attivi nella preparazione di carni, grazie anche al traino di 5 prodotti: il Prosciutto di Norcia in Umbria e Capocollo, Pancetta, Salsiccia e Soppressa provenienti dalla Calabria. Il Prosciutto di Norcia Igp è l’espressione della storia e della cultura salumiera del suo territorio. Il sito del Consorzio, molto ben fatto e visitabile su prosciuttodinorcia.com, vi farà scoprire la storia di questo prosciutto davvero unico (photo © instagram.com/prosciutto_di_norcia_igp).

2. Raimondello, salumi e carni “Secondo noi, la prima regola per mangiar bene è comprendere quello che si mangia”. Questa la filosofia alla base del lavoro di Raimondello (raimondello.com), azienda pugliese che lavora carni e salumi in quel di Martina Franca (TA). Fedeli alle tradizioni e al territorio e moderni e innovativi nella comunicazione. Da seguire (in foto, il loro capocollo di Martina Franca; photo © instagram.com/salumiraimondello).

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FOOD Benedetti

3. Ventricina del Vastese Regina dei salumi, la Ventricina del Vastese si produce con carne di maiale, sale, peperone e spezie. Per scoprirne storia, tradizione e segreti c’è il portale ventricinadelvastese.it che fa capo all’Associazione di Promozione e Tutela Ventricina del Vastese. “Non si può capire la Ventricina senza sapere cosa rappresenta il maiale in questa zona, dove convive la tradizione di allevarlo in casa con vari allevamenti estensivi del territorio: praticamente tutto. È ricchezza, è gusto, è sopravvivenza, è rito, è cultura. E anche ingegno: vale a dire capacità di usare ogni sua parte, nessuna esclusa”. Ci piace (photo © ventricinadelvastese.it).

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4. Gastronomia Yamamoto È una piccola grande meraviglia il portale web della Gastronomia Yamamoto di Milano (gastronomiayamamoto.it). “In Giappone, una delle prime parole che sentite appena rientrati è okaerinasai, che significa bentornato a casa. E con questo spirito che vi vogliamo accogliere nella nostra casa giapponese nel cuore di Milano”. Se il Giappone è lontano, Milano è più accessibile e i piatti di questa famiglia sono una vera delizia, così come le illustrazioni che impreziosiscono le pagine web. Bravissimi (photo © gastronomiayamamoto.it).

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MARKETING

INFODEMIA E GAMIFICATION: UN PROBLEMA E UNA SOLUZIONE di Francesca Monti

La gamification nel marketing utilizza processi e risorse dei mobile games e li applica a contesti che non sono ludici, come app di aziende o brand (photo © Song_ about_summer – stock.adobe.com).

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Il calore di casa in ogni momento

QualitÃ

Famiglia

Tradizione

ANTICO MAGNO COSCIA ARROSTO

DA SUINI NATI E ALLEVATI IN ITALIA

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SENZA GLUTINE


C

ome far sì che i prodotti diventino veri e propri comunicatori capaci di aiutare i consumatori a setacciare le informazioni? La gamification, ovvero l’uso di elementi di design game in contesti non videoludici, può fornire gli strumenti per farlo. Secondo un’indagine condotta dall’Università Cattolica, in media consumiamo 2,5 ore di flusso social, dato in incremento negli ultimi mesi di lockdown, e riceviamo 180 messaggi pubblicitari, spesso in forma soft, ovvero attraverso metodi di comunicazione indiretti, ma capaci di lasciare un input nella nostra quotidianità. Quando parliamo del settore della carne, dobbiamo fare riferimento anche a tutti i costrutti sociali, educativi ed etici che compongono in larga parte la comunicazione verso il consumatore finale. Ci troviamo di fronte ad una grande quantità di informazioni destrutturate, non solo TG, riviste, blog e talk discutono e definiscono posizioni sull’argomento, ma anche gli influencer propongono e inducono stili di vita e di consumo. Queste logiche, che indirettamente strutturano i vecchi e i nuovi mercati, sono socialmente accettate e difficilmente attaccabili attraverso lo stesso modus operandi, in quanto non utilizzano il confronto diretto e i contenuti hanno spesso una durata di 24 ore. Il settore della carne, contraddistinto da un’antica tendenza alla discrezione, deve trovare il proprio modello di informazione che aiuti i consumatori a vagliare i contenuti al fine di avvicinarli ad una scelta consapevole e singolare. Applicare la sfera del gioco alla vendita di un prodotto o di un servizio lo rafforza e crea un valore esperienziale per l’utente. Il gioco è un’unione inscindibile fra il serio e il ludico e ha un ruolo propedeutico ampiamente riconosciuto. Educare e informare i consumatori attraverso il loro sviluppo è un sistema soft per contrastare i continui flussi di informazione non organizzata. Il vantaggio è legato alla sfera emotiva e sensoriale: i contenuti via social infatti raramente offrono una vera esperienza a chi ne usufruisce. Secondo l’artigiano del legno MAURO SARGIANI, quello del gioco è un linguaggio completamente libero e svincolato da ordini

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Infodemia È la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili (fonte: treccani.it). Gamification o ludicizzazione La gamification (traducibile in italiano come “ludicizzazione”) è l’utilizzo di elementi mutuati dai giochi e delle tecniche di game design in contesti non ludici. Il concetto di gamification è divenuto noto al grande pubblico nel febbraio 2010 grazie alla conferenza che Jesse Schell, game-designer americano, tenne in occasione del “D.I.C.E. Summit” di Las Vegas, anche se il termine non venne mai utilizzato in quel discorso. La vita quotidiana è scandita da numerose azioni, spesso ritenute noiose e mal digerite (pagamento di tasse, prevenzione sanitaria, manutenzione), mentre il gioco è un’azione volontaria da cui trarre piacere. La gamification cerca di coinvolgere le persone a provare più divertimento e partecipazione nelle attività quotidiane attraverso il gioco. Tra i molteplici obiettivi della gamification vi sono: • fidelizzare la clientela; • acquisire nuovi clienti; • risolvere problemi comuni tra più clienti; andando a modificare le abitudini degli utenti. La fidelizzazione è una dinamica che esiste già dal Settecento. In quel secolo, alcuni commercianti americani pensarono di regalare dei gettoni di rame ai propri clienti, in modo che, dopo averne raccolti in gran numero, li potessero riscattare, ricevendo in cambio veri prodotti. I gettoni di rame erano quindi delle monete virtuali per premiare i clienti più fedeli, mediante la vincita di premi. L’utilizzo di queste monete del Settecento segna l’inizio di una evoluzione che portò a raccolte punti sempre più complesse, fino a giungere ai primi Frequent Flyer Program degli anni Ottanta, realizzati con l’aiuto di veri e propri game designer. Un ulteriore gradino di questa evoluzione fu raggiunto negli anni novanta, quando le strategie di marketing di alcuni marchi, come Chupa Chups (1992) e Adidas (1994), iniziarono a interessarsi ai videogiochi, creando delle pubblicità in scenari di giochi. Nasce così l’in-game advertising. Il principio alla base della gamification è quello di utilizzare le dinamiche e meccaniche del gioco: • punti da accumulare; • livelli da raggiungere; • ricompense o doni da ottenere; • distintivi da esibire; per stimolare alcuni istinti primari di un essere umano: competizione, status sociale, compensi e successo. È stato provato che l’utilizzo di metodologie ludiche stimola un comportamento attivo, riscontrabile tramite l’analisi dei dati delle scelte fatte all’interno del gioco. Uno studio sull’influenza del gioco e della gamification sulla società è stato fatto da Jane Mcgonigal, secondo cui la componente ludica può agevolare la comprensione del mondo attuale e stimolare comportamenti sociali virtuosi. I giochi possono inoltre servire a rendere migliore o più sopportabile quelle esperienze che normalmente non gratificano a sufficienza una persona, dando un significato più epico alle azioni compiute (fonte: Wikipedia).

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e gerarchie, che permette di parlare con il mondo attraverso una continua induzione di alfabeti. Come i social, il gioco agisce su un modello di consumatori orizzontali, senza però dare risposte omogenee, ma fornendo gli strumenti per alfabetizzarsi al mondo della carne. Il gioco trasmette informazioni serie in maniera divertente permettendo alle persone di costruire la propria educazione e riflessione in materia. Come trasformare il consumo di carne in un gioco esperienziale? Per prima cosa bisogna differenziare la Grande Distribuzione e le macellerie. Nel primo caso, il modo più efficace è azionare dei digital game con cui coinvolgere il consumatore e portarlo alla scoperta della materia prima divertendosi. Anche le macellerie possono affacciarsi al mondo digital ma, essendoci un contatto diretto con il consumatore, si può pensare di avvalorarlo attraverso il coinvolgimento e la creazione di una game experience. Un caso interessante di quest’ultimo periodo arriva dalla Sicilia: si tratta di un kit d’asporto per creare in casa i propri cannoli siciliani. Nella scatola si trovano le istruzioni, le cialde, la “crema” all’interno dell’apposita tasca da pasticciere e le decorazioni. Si tratta di una bella intuizione per dare al consumatore non solo il food ma anche l’esperienza del luogo, attraverso una formula tratta dal mondo del gioco. Comporre un cannolo significa trasmettere la cultura di una realtà territoriale, poterne osservare gli ingredienti, percepire i fondamentali di preparazione e diventare consapevoli della complessità del prodotto artigianale. Proprio quando la preparazione del cannolo non è perfetta si percepisce il valore del processo produttivo. Il gioco può diventare una piattaforma di comunicazione per il settore della carne sia per affrontarne le criticità attraverso una metodologia che affianca logiche soft e partecipative, sia come mezzo per imparare attraverso un’esperienza coinvolgente, educativa, emozionale e divertente. Francesca Monti Monti – Selezione e lavorazione carni www.monticarni.it

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AZIENDE

LUGLIO 2020, STORICA DATA PER I SALUMI ITALIANI 100% TRADIZIONALI L’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle carni suine nei prodotti trasformati va nella direzione della tutela della trasparenza del mercato e dei salumi della tradizione come da sempre sostenuto da Stagionello Store

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L

uglio 2020. Sono trascorsi tre mesi da quando l’Italia ha sottoposto all’attenzione dell’Unione Europea la proposta di decreto nazionale che prevede l’obbligo dell’indicazione dell’origine delle carni suine nei prodotti trasformati quali i salumi. In questi tre mesi l’Europa non si è pronunciata negativamente e, pertanto, il provvedimento è potuto essere approvato sul territorio nazionale italiano. «Ed è questo un giorno memorabile, una conquista per noi operatori del settore che da sempre lavoriamo a sostegno degli allevatori e dei produttori italiani» ci dicono da Stagionello Store. Tale provvedimento prevede infatti che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette le seguenti informazioni: Paese di nascita degli animali, Paese di allevamento, Paese di macellazione. Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso Paese, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma “Origine: (nome del Paese)”. La dicitura “100% italiano” è utilizzabile dunque solo quando la carne è proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia. «Finalmente le nostre idee di salumi sicuri e tradizionali iniziano a concretizzarsi. Da sempre con Stagionello® divulghiamo una vision fortemente legata al made in Italy. In tempi non sospetti, quando per alcuni il food made in Italy era solo una moda, Stagionello®, grazie all’applicazione del Cuomo Method (dispositivo e metodo brevettato da ALESSANDRO CUOMO; brevetto N. EP2769276B1), chiudeva il cerchio di una filiera di produzione del salume totalmente made in Italy, tracciata, verificabile e monitorata in continuo. In Italia, così come all’estero abbiamo trasmesso, e continuiamo ogni giorno a farlo, il nostro sapere ai manager della filiera alimentare tradizionale in tutto il mondo. Abbiamo sempre sostenuto con la Stagionello Academy l’idea che un salume made in Italy sia fatto di materie prime italiane, che conservano la memoria storica del nostro Paese. Ciò che mangia l’animale, i territori in cui viene allevato… sono i primi ingredienti di un vero salume 100% italiano. Tracciabilità e sicurezza sono dunque le

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Stagionello® chiude il cerchio di una filiera di produzione del salume totalmente made in Italy, tracciata, verificabile e monitorata in continuo. due prerogative di un decreto che arriva nel momento storico ed economico più giusto. Le chiusure massive delle attività dovute al Covid-19 hanno infatti arrecato un danno a carico delle nostre attività agricole e dei 5.000 allevamenti italiani ormai in ginocchio anche a causa della concorrenza sleale estera. È questo il momento giusto per dire basta a carni estere spesso propinate per italiane. Oggi più che mai la filosofia del From farm to fork ha bisogno di essere sostenuta dalle leggi. Il consumatore finale, con #iorestoacasa, ha acquisito una nuova consapevolezza, adottando una maggiore responsabilità nelle scelte che fa al momento dell’acquisto. Il con-

sumatore finale vuole cibi salubri, a km 0 e, soprattutto, provenienti da filiere interamente made in Italy. È il momento giusto per riscoprire e far riscoprire al mondo intero il vero ed originale made in Italy prodotto in maniera sicura e controllata. Solo così potremmo portare a tavola dei 35 milioni di Italiani che ogni settimana scelgono salumi stagionati e cotti i sapori di un tempo, genuini e sicuri».

>> Link: stagionellostore.com

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Paccasassi, il mare del Conero in vasetto Un tradizionale prodotto marchigiano, il finocchio marino sottolio, torna in auge e diventa disponibile tutto l’anno grazie a Rinci, giovane azienda di Castelfidardo, Ancona, che coi paccasassi realizza anche pesti e salse. Il plus del loro prodotto? La croccantezza. Ottimi sui piatti a base di pesce, saranno la “svolta” del vostro crostino con la mortadella. Ma la vera domanda è: di cosa sanno esattamente i paccasassi? di Gaia Borghi

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A sinistra: il finocchietto marino cresce spontaneamente tra i sassi e le scogliere del Parco Naturale del Conero, dove è considerato una specie protetta. In alto: crostoni con mortadella, burrata e paccasassi (photo © Francesca @la_chicca_d_altri_tempi).

d Ancona e nel resto delle Marche i paccasassi sono conosciuti e apprezzati da tempo, mentre al di fuori dei confini regionali, anche per via di un nome non esattamente invitante, difficilmente qualcuno se li farebbe aggiungere nel piatto o come ingrediente per rendere ancora più goloso il proprio panino. Eppure…

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Una tradizione culinaria anconetana antica Eppure i paccasassi, anche detti spaccasassi o spaccapietre, non sono altro che le piantine di finocchio o finocchietto marino (Crithmum maritimum), un’ombrellifera succulenta perenne che può raggiungere un’altezza compresa tra i 30 e i 60 centimetri e che cresce spontanea tra i sassi e le scogliere della Riviera del Conero. Nelle Marche, dove fa appunto parte della tradizione culinaria regionale, questa profumata erba aromatica è stata così ribattezzata

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perché emerge tra le fenditure delle rocce come aprendosi un varco tra di esse e quindi, letteralmente, spaccandole. In natura la si trova soltanto per alcuni mesi, quelli estivi; fiorisce da fine agosto a novembre per poi quasi scomparire durante l’inverno e ritornare più rigogliosa che mai nella primavera successiva. Ricchissimo di vitamina C, betacarotene, flavonoidi e iodio, il finocchietto marino in passato era per i marinai una riserva preziosa anti-scorbuto da tenere in cambusa e utilizzare in cucina nei lunghi viaggi per mare per sopperire alla mancanza di frutta e verdura fresche. In Puglia, ad esempio, in particolare nella provincia di Lecce e il Salento, la versione sottaceto del finocchio marino, qui nota come Erva ti Mare, è presente nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Viene di solito usato come ingrediente nelle insalate, per farcire panini, condire le friselle o semplicemente come contorno.

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La raccolta, resa spesso difficile dall’ubicazione delle piante — “terribile mestiere”, scriveva WILLIAM SHAKESPEARE nel suo Re Lear, quello di scalare le rupi marine per raccogliere “l’erba di San Pietro”, altro nome del finocchio marino, perché sovente “a metà strada cade chi la cerca” — è stata da tempo vietata al fine di tutelare l’ambiente e il paesaggio: il Crithmum maritimum è oggi una specie protetta del Parco del Conero e la fondazione Slow Food ha inserito i paccasassi tra i prodotti dell’Arca del Gusto, che, come dice il nome stesso, promuove il recupero e la salvaguardia delle piccole produzioni. Fortunatamente, però, ci sono realtà che ne hanno avviato la coltivazione, trasformando i paccasassi anche in deliziose conserve, pesti e salse da aggiungere a diverse preparazioni.

Rinci e il tempo dei paccasassi Una di queste è RINCI-MERAVIGLIE DI GUSTO, di Castelfidardo, Ancona. Nata esattamente cinque anni fa, l’azienda, che è certificata BIO, consta di un moderno laboratorio dotato di impianti per la trasformazione e produzione di conserve e salse vegetali. Il core business di Rinci è per l’appunto la produzione del finocchio marino sottolio, i famosi paccasassi. I giovani soci sono tre, LUCA GALEAZZI, FRANCESCO VELIERI e ALESSANDRO BABBINI. Come nasce l’idea di riportare i paccasassi sulle tavole marchigiane e non solo lo abbiamo chiesto ai diretti interessati. «I paccasassi sono un prodotto tradizionale del nostro territorio su cui RINCI ha scommesso diventando la prima azienda in Italia a coltivarlo e a trasformarlo» mi dicono.

Rinci gestisce e controlla l’intera filiera dei paccasassi, dalla raccolta dei semi alla replicazione in serra, fino al trapianto, crescita e raccolta delle piantine, in terreni siti all’interno del Parco del Conero, a poche centinaia di metri dal mare

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«Il nostro progetto prende il via da un ricordo d’infanzia, quello di un panino con la mortadella farcito con i paccasassi sottolio preparati in casa che erano stati raccolti quando ancora si poteva farlo nei pressi di Mezzavalle (magnifica spiaggia incontaminata sita nella parte Nord di Ancona, sovrastata dallo scenario montuoso del Conero, NdR)». Una sorta di madeleine di PROUST tutt’altro che dolce, insomma, in cui il tempo perduto… perduto non è più e un prodotto fino a quel momento reperibile solo nella sua forma originaria di pianta spontanea, e quindi stagionale, viene salvato dall’oblio e trova nuova vita grazie all’unione di innovazione agronomica, commerciale e tecnologica, cioè un efficientissimo sistema di conservazione del prodotto che lo rende oggi disponibile tutto l’anno. Primavera, estate, autunno, inverno: è il nuovo tempo dei paccasassi. «È grazie alla nostra azienda agricola Paccasassi del Conero che Rinci gestisce la coltivazione di paccasassi in circa 5 ettari di terreni siti all’interno del Parco del Conero, a poche centinaia di metri dal mare» proseguono i ragazzi di Rinci. «Le coltivazioni sono in continua crescita e sono gestite secondo pratiche agronomiche circolari.

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A sinistra: Luca Galeazzi, Francesco Velieri e Alessandro Babbini, i tre soci di Rinci nei campi di paccasassi (photo © Crescentini Studio).

A destra: il vasetto di paccasassi Rinci sottolio e la salsa di paccasassi, con aggiunta di succo di limone e acciughe, perfetta in abbinamento a primi piatti di pasta o per dare un tocco di originalità al classico bollito di carne (photo © @vatinee). L’azienda gestisce e controlla l’intera filiera, dalla raccolta dei semi alla replicazione in serra, fino al trapianto, crescita e raccolta delle piantine, che effettuiamo da maggio/giugno a inizio agosto. Tutti i processi produttivi e di commercializzazione sono realizzati in ottemperanza alle più recenti norme di sicurezza alimentare». La forma dei paccasassi: la versione tradizionale dei paccasassi è quella in vasetto sottolio, Rinci firma però anche altri prodotti a base di paccasassi. «Tramite la nostra Ricerca & Sviluppo abbiamo potuto ideare diversi nuovi prodotti enogastronomici a base di paccasassi. La versione tradizionale, quella che si preparava in casa per intenderci, come hai giustamente ricordato è quella sottolio, che noi naturalmente produciamo, ma abbiamo creato anche una maionese vegetale (senza uova) con i paccasassi e una senape, molto delicata, sempre con i paccasassi. Coi paccasassi facciamo il pesto, anche nella versione “rossa” arricchita con i pomodori secchi. Abbiamo poi una salsa di paccasassi, non una crema, che assomiglia alle tradizionali salse verdi. Un prodotto molto buono perché sapido, grazie all’aggiunta delle acciughe. Infine, abbiamo anche creato un condimento di olio evo con i fiori dei

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paccasassi che non vengono aggiunti in infusione ma in molitura». «Ciascuna delle nostre preparazioni nasce da uno studio approfondito condotto sulle singole materie prime e dall’applicazione di conoscenze scientifico-tecnologiche e metodi di lavorazione artigianale. Tradizione e innovazione sono quindi le due direttrici lungo le quali si sviluppa, si amplia e si rinnova la nostra offerta» mi racconta CLAUDIA GONNELLI, che in azienda si occupa della parte commerciale e della comunicazione. «Quello che distingue il nostro prodotto, ad esempio, è la croccantezza, che riusciamo a mantenere avendo trovato il giusto “grado” di cottura o, meglio, scottattura delle piantine. I paccasassi Rinci restano croccanti, non diventano mollicci, e questo è un plus valore notevole all’assaggio». Claudia, qual è il prodotto Rinci che va per la maggiore? «I nostri paccasassi sottolio evo, il miglior modo per scoprire e rispondersi alla domanda “ma di che cosa sanno i paccasassi?”». A chi vi rivolgete? «Il nostro target sono i così detti foodies, persone amanti del cibo, attenti alla qualità di ciò che mangiano. Persone

interessate alla storia di un prodotto, alla filiera controllata che c’è dietro». Solo Italia o anche estero? «Abbiamo dei distributori in Germania, Austria e siamo entrati da poco anche nel mercato americano, rifornendo negozi importanti come market all foods e bi-rites attraverso il nostro importatore Manicaretti». Come si mangiano i paccasassi? «I paccasassi sono una pianta dal gusto iodato, aromatico e dalle spiccate note agrumate. Sono ideali serviti su crostini in abbinamento a salumi, acciughe, pesce affumicato o latticini freschi. Sono ottimi per accompagnare secondi di carne e pesce, per impreziosire insalate e primi piatti. Noi come primo approccio consigliamo sempre di prendere un crostino e abbinarli con la mortadella — o il ciauscolo, per restare in tema 100% Marche — e la burrata, oppure con i pomodori secchi, sulla pizza…. Da lì in poi parte la scoperta di tutti gli accostamenti». Già un must per l’aperitivo sulle spiagge del Conero, sono da mettere in valigia per portarsi un po’ di mare a casa a fine vacanza. Gaia Borghi >> Link: www.rinci.it

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PRODOTTI TIPICI

LA SPALLA COTTA DI GIUSEPPE VERDI di Giovanni Ballarini

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Spalla di maiale, antico e pregiato salume a spalla di San Secondo è uno dei salumi più antichi del quale si abbia menzione nel Parmense e la preparazione e trasformazione della spalla del maiale è accertata già nell’anno 1170 quando nelle terre di San Secondo, in un atto di stipula con i coloni, fra i vari corrispettivi in natura compaiono le spallam o spalam. La spalla è nominata nuovamente nel 1184 in un atto di affitto di un podere e nel quale figura questo salume. Nei secoli successivi a San Secondo e dintorni vi è un ampio commercio della spalla e nel 1788 è attestata la spedizione di spalle di San Secondo alla Corte estense del Ducato di Modena. Ai tempi di GIUSEPPE VERDI, nel 1850, il Vocabolario Parmigiano-Italiano di CARLO MALASPINA definisce la spalla: “specie di Prosciutto ammagliato che si fa con la Spalla di maiale. Il migliore ed il più celebrato di questi salumi si fa a San Secondo, borgata del Parmigiano”. Nel 1873, nel Vocabolario Geografico Storico e Statistico dell’Italia di SALVATORE MUZZI, alla voce relativa a San Secondo Parmense si dice “… ne rustici dei cortili… si allevano e impinguano i più bei maiali della provincia. Celebre è infatti quel prosciutto speciale, chiamato spalla di San Secondo, del quale gl’industrianti fan lucroso commercio”. La spalla cotta si ottiene dal maiale. La parte di questo animale dal quale si ricava è la parte superiore della zampa anteriore e questo taglio si differenzia dal taglio dell’arto posteriore da cui si ricava il prosciutto. La presenza nella spalla dell’osso piatto della scapola rende piuttosto complessa la stagionatura: per questa difficoltà la versione cruda della spalla è meno diffusa della versione cotta. Un tempo, e quindi anche in quello di Giuseppe Verdi, i maiali avevano uno sviluppo dell’arto anteriore maggiore di quello posteriore e dalla spalla si otteneva un salume di maggior pregio rispetto al prosciutto. Oggi, dopo essere stata disossata rifilata e salata, la spalla è avvolta in vescica di maiale o di bovino e stagionata per un breve periodo (30-40 giorni) senza l’aggiunta

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Spalla cotta di San Secondo (photo © www.incampercongusto.it). di spezie. Al termine di questa stagionatura si procede alla cottura della spalla in acqua e vino (può essere bianco o rosso Fortana) con l’aggiunta di spezie e verdure per conferirle aroma e gusto. La cottura avviene a fuoco molto lento a una temperatura di circa 75 °C e dura diverse ore. Giuseppe Verdi produttore di salumi? Nel numero XX 1992 (pag. 23) della Verdi Newsletter dell’American Institute for Verdi Studies della New York University si legge che l’editore musicale GIULIO RICORDI avrebbe acquistato da Giuseppe Verdi una spalla di maiale con marchio G.V. e che, in una lettera del 22 agosto 1890, si sarebbe congratulato con il maestro per il felice avvio di un nuovo business — la vendita di salumi preparati dallo stesso compositore —, pur lamentandosi di aver trovato il conto un poco salato. Come viene trasformato Giuseppe Verdi in salumiere? A causa di un equivoco in cui cade l’estensore americano della nota; equivoco evitabile anche solo considerando l’astronomico prezzo di una spalla cotta segnato nella fattura (mille lire, pari a circa 425.000 euro odierni) e la firma di Giuseppe Verdi

apposta sulla marca da bollo non originale ma contraffatta. Che cosa è avvenuto in realtà? Da tempo ne siamo al corrente, come ha dettagliatamente spiegato CORRADO MINGARDI dal quale traiamo le notizie di quanto segue (MINGARDI C., Bodoni e Verdi: salumi e sovrani, Quaecumque Recepit Apollo, Scritti in onore di Angelo Ciavarella, Bollettino del Museo Bodoniano di Parma n. 7, 1993). In rapida sintesi, il 12 agosto del 1890 Giuseppe Verdi invia al suo editore di Milano Giulio Ricordi due spalle di maiale uso San Secondo. Delle due spalle una è per la famiglia di Ricordi e l’altra per TERESA STOLZ, nata Tereza Stolzová (1834-1902), soprano ceco naturalizzato italiano nonché soprano verdiano drammatico per eccellenza, potente e appassionata, ancora oggi associata alla figura e all’opera di Verdi avendone cantato molte opere. All’editore che chiede quanto gli debba per la spalletta che ha ricevuto, il maestro risponde dicendo che vi è grande abbondanza di maiali ma le spallette sono carucce e gli indica un prezzo iperbolico di centomila lire. Dopo tre giorni, Ricordi risponde con una lettera nella quale loda il maestro dicendogli “Ella riesce bene in tutto…

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Panino farcito con spalla cotta e formaggio (photo © www.facebook.com/alvolo. cibidastrada).

La finta ricevuta fatta stampare da Giulio Ricordi.

pida per circa dodici ore onde levargli il sale. Si mette dopo in altra acqua fredda e si fa bollire a fuoco lento, onde non scoppi, per circa tre ore e mezza, e forse quattro se grossa. Per sapere se la cottura è al punto giusto si fora la spalletta con un curedents e se entra facilmente la spalletta è cotta. Si lascia raffreddare nel proprio brodo e si serve. Guardare soprattutto alla cottura; se è dura non è buona, se è troppo cotta diventa asciutta e stopposa. Il modo di cottura della spalletta è un poco diversa da quella che lo stesso Verdi indicava il 27 aprile 1872 in una lettera al conte OPPRANDINO ARRIVABENE e

nella quale si dice quanto segue: prima di metterla al fuoco bisogna levarla di sale, cioè lasciarla per un paio d’ore nell’acqua tiepida. Dopo si mette al fuoco entro un recipiente che contenga dell’acqua. Deve bollire a fuoco lento per sei ore, poi la lascerai raffreddare nel suo brodo. Fredda che sia, vale a dire circa ventiquattro ore dopo, levala dalla pentola, asciugala e mangiala. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

perfino nelle spallette” e acclude una ricevuta. Ricordi fa infatti stampare nella sua tipografia una finta ricevuta della Privilegiata Fabbrica di Spalle e Spallette di majali… marca G.V., nella quale figura il saldo della cifra di lire centomila e una marca da bollo di dieci centesimi annullata con la firma contraffatta di Verdi. Cottura della spalla secondo Giuseppe Verdi La spalletta che Giuseppe Verdi regala a Giulio Ricordi è accompagnata da una lettera nella quale il maestro spiega come cucinarla: si mette nell’acqua tie-

Nota A pagina 44 spalla cotta, photo © www. aironidelpo.it

Foodbarrio: un social commerce che punta solo alle eccellenze L’e-commerce di food in Italia è in continua crescita. Nel 2019 c’è stato un incremento di acquisti on-line di prodotti alimentari del 39% rispetto al 2018. E c’è da scommettere che questo dato sia cresciuto esponenzialmente durante il lockdown. La pandemia ha lasciato un mondo profondamente cambiato, in cui la distanza sociale ha modificato il nostro stile di vita, accelerando un processo irreversibile che porterà tantissimi produttori made in Italy a dover aprire uno shop on-line per ovviare a problemi di contatto fisico ma anche alle limitatezze dei mercati. Molti piccoli produttori non hanno tempo, conoscenze e spesso risorse per iniziare a creare da soli un e-commerce dove vendere i propri prodotti. Per questo motivo è nato Foodbarrio, un social commerce che punta solo alle eccellenze gastronomiche. “In questo mercato virtuale il produttore può creare la propria vetrina/bottega dove caricare tutte le proprie specialità senza limiti e iniziare a vendere on-line in Italia e, a breve, all’estero in un solo giorno. Inoltre, i produttori che si uniscono a Foodbarrio hanno accesso a una serie di vantaggi, tra cui un team dedicato a supporto, un social interno per interagire e rimanere in contatto con i propri clienti, l’accesso alla community degli amanti del cibo che animano l’app e promozioni a loro dedicate. Foodbarrio è anche un luogo di incontro virtuale che mette in contatto i cultori del buon cibo con i produttori regionali. Gli artigiani del cibo possono infatti raccontarsi e farsi conoscere ad un pubblico che non può fisicamente entrare in contatto con loro e gli appassionati di specialità tipiche possono vagare virtualmente per cantine, frantoi, caseifici, norcinerie e agriturismi, costruendo un vero e proprio rapporto con i produttori. Infine, riconoscendo margini più ampi ai produttori, si incentiva la sostenibilità delle realtà rurali, che torneranno a essere attrattive anche per le giovani generazioni e le piccole aziende saranno valorizzate, premiando la genuinità, la biodiversità dei prodotti e la trasparenza dei processi produttivi”. >> Link: www.foodbarrio.com

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ANALISI DEL FOOD

SALUMI E CONSERVANTI: DOVE, QUALI E PERCHÉ di Agostino Macrì 48

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el nostro Paese la tradizione dei salumi ha radici molto antiche ed è strettamente collegata all’allevamento rurale dei maiali, sia allo stato semibrado sia nell’interno di piccole porcilaie annesse alle cascine o alle abitazioni. Al momento della macellazione, che generalmente avveniva in pieno inverno, c’era una grande disponibilità di carne che una famiglia non poteva consumare in breve tempo e bisognava quindi conservarla. Il maiale era molto prezioso e praticamente tutte le sue parti venivano utilizzate: il grasso veniva fuso per ottenere lo strutto; con le setole si facevano i pennelli; gli intestini divenivano contenitori per salsicce e salami; nelle vesciche veniva messo lo strutto; con le zampe si faceva lo zampone, ecc… Il sale è un conservante La carne fresca, grazie anche al suo elevato contenuto in acqua, deperisce facilmente e per conservarla è stato necessario trovare metodi efficaci, ricorrendo a sostanze chimiche che adesso noi chiamiamo “additivi alimentari”. Il primo ad essere stato utilizzato è il sale. La sua azione conservante è dovuta al fatto che, a causa di un processo “osmotico”, sottrae l’acqua dai tessuti ed evita che le carni vadano incontro a processi di degradazione. Contemporaneamente, nei salumi “freschi” (salami, salsicce, lonze, prosciutto) si sviluppa una flora microbica che “attacca” alcune strutture presenti nei muscoli, migliorando sensibilmente le caratteristiche organolettiche dei vari prodotti. Nitriti e nitrati contro la tossina botulinica Un problema molto serio cui possono andare incontro i salumi è lo sviluppo del Clostridium botulinum e della conseguente tossina botulinica. Si tratta di un veleno “naturale” potentissimo e in grado di provocare la morte anche in concentrazioni basse. L’aggiunta nei salumi di nitriti e nitrati (di sodio o di potassio) inibisce lo sviluppo di questo batterio e conferisce loro un ottimo livello di sicurezza. I nitriti reagiscono con la mioglobina e con l’eventuale emoglobina, “stabilizzandone” il colore rosso. L’aspetto collaterale che preoccupa è una reazione che avviene tra i nitriti e

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alcuni amminoacidi con la formazione delle nitrosammine. Si tratta di sostanze di cui è stato accertata la capacità di indurre la formazione di tumori. Proprio per questo motivo le autorità sanitarie hanno imposto dei limiti nella quantità di nitriti che possono essere aggiunti ai salumi; il rispetto di tali limiti garantisce l’assenza di pericoli significativi. Ovviamente un consumo esagerato di salumi contenenti nitrosammine può comportare dei problemi. Ad esempio, il consumo abituale di importanti quantità di bacon la mattina con la prima colazione (come avviene nei Paesi anglosassoni) non può ritenersi completamente sicuro. Non a caso il parere dello IARC (International Agency for Research on Cancer) sulla pericolosità delle carni processate è in gran parte basato sulle osservazioni realizzate su popolazioni forti consumatrici di questo tipo di alimenti. I salumi cotti Esistono però anche i salumi “cotti” (mortadella, prosciutto cotto, zampone, cotechino, würstel, ecc…) che si conservano grazie proprio ai trattamenti termici a cui sono sottoposti, che eliminano i microrganismi e bloccano le reazioni enzimatiche che possono farli degradare. Tra gli additivi usati per i salumi cotti ci sono i polifosfati che hanno la funzione “tecnologica” di “addensanti”. La loro azione consiste

nel dare compattezza e morbidezza alle carni, grazie anche alla capacità di “trattenere” l’acqua nei tessuti. Un eccesso di polifosfati nella dieta potrebbe interferire con l’assorbimento di sali minerali. Per questa ragione, è bene non eccedere nel consumo di alimenti che li contengono che, oltre ai salumi cotti, sono anche alcuni formaggi a pasta “molle”. In ogni caso, la presenza di polifosfati viene segnalata nelle etichette. Sia nei salumi “crudi” sia in quelli “cotti” è possibile aggiungere spezie e vegetali (pepe, peperoncino, rosmarino, pistacchi) che conferiscono particolare gradevolezza e che sono il frutto di esperienze secolari dei nostri “salumieri” artigiani. I salumi sono degli ottimi alimenti e la presenza di “additivi” è molto importante per garantirne la sicurezza e la qualità organolettica. Come per tutti gli alimenti è importante non eccedere, tuttavia non è il caso di rinunciare al classico panino con qualche ottimo salume, magari accompagnato da un frutto o da un piatto di verdure. Prof. Agostino Macrì COSNALA – Comitato Scientifico Nazionale sull’Alimentazione d’origine Animale www.carnerossa.info Nota A pagina 48 uova e bacon (photo © petrrgoskov – stock.adobe.com).

COSNALA, la scienza a servizio di una corretta alimentazione Il Comitato Scientifico Nazionale sull’Alimentazione d’origine Animale (COSNALA) nasce da un progetto del MiPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali), per iniziativa di Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare). Obiettivo del COSNALA è ripristinare un’informazione corretta e basata su dati scientifici riguardo l’alimentazione in generale e quella basata su prodotti di origine animale in particolare. Il suo compito istituzionale — il cui ultimo beneficiario è il consumatore — è produrre documentazione, paper scientifici, materiale multimediale su un’alimentazione varia ed equilibrata, con particolare attenzione ad alimenti come le carni, il pesce, il latte e i suoi derivati. Il materiale prodotto, nonostante la solida base scientifica, ha un forte orientamento divulgativo.

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SALUMI BUONI E SALUTARI La fermentazione dei salumi porta alla formazione di peptidi bioattivi che determinano la loro qualità gustativa e gastronomica e dimostrano di avere importanti azioni salutistiche di Giovanni Ballarini

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ibo fresco, appena raccolto, attenzione alla data di scadenza imposta o consigliata sono imperativi giustificati per molti alimenti, ma non devono far dimenticare che, per altri, una giusta maturazione ne determina la qualità gastronomica e, come dimostrano alcune recenti ricerche, anche l’acquisizione di rilevanti proprietà salutistiche. L’età anche in alimentazione porta vantaggi e il tempo è fondamentale per conferire ai cibi le migliori caratteristiche. Conoscere e governare l’effetto del tempo e delle condizioni ambientali nelle quali

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avvengono le trasformazioni degli alimenti è una delle materie di studio oggi più interessanti in ogni fase della loro produzione, dalla raccolta al consumo. Un tempo ci si affidava all’esperienza empirica trasmessa dagli avi, ora è la scienza che mette in luce i vantaggi di corrette maturazioni e fermentazioni, come quelle riguardanti i salumi, che inducono la formazione di peptidi bioattivi utili per la salute. Peptidi bioattivi Le radiazioni, molte sostanze chimiche, il fumo di tabacco, l’inquinamento,

lo stress, l’invecchiamento, le specie reattive dell’ossigeno (ROS), da sole o in associazione, causano ossidazioni e infiammazioni nelle cellule che incrementano il rischio di malattie croniche cardiovascolari (CVD), di diabete di tipo II, ipertensione e obesità. Oltre alla ricerca di nuovi farmaci, oggi si pone molta attenzione ai nutrienti acquisiti con la dieta; per questo i peptidi bioattivi derivati dagli alimenti sono considerati un punto chiave, data la loro capacità di migliorare le proprietà antiossidanti degli organismi. Insieme ad un gran numero di antiossidanti prove-

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L’essiccazione, la stagionatura, la maturazione e la fermentazione sono procedure che tradizionalmente danno sapore alla carne anche attraverso il rilascio di peptidi bioattivi. Questi peptidi hanno un valore nutrizionale, in quanto sono immediatamente assorbibili senza una scissione digestiva, ma esercitano anche un ruolo bioattivo (photo © Jenifoto – stock.adobe.com). nienti dalle piante, vi sono anche alcuni peptidi derivati dalla carne, tra cui la carnosina, l’anserina ed altre numerose sequenze amminoacidiche. La maggior parte di questi peptidi si trova in fase di latenza negli alimenti, non ha alcun effetto bioattivo e la sua attivazione è determinata dalla digestione gastrointestinale o dalla lavorazione del cibo mediante processi come l’essiccazione, la stagionatura, la fermentazione e l’idrolisi enzimatica. L’opinione corrente collega fortemente i concetti di nutrizione e salute e sembra che i peptidi rilasciati durante la digestione abbiano un ruolo chiave nel miglioramento delle condizioni di benessere per il nostro fisico. Si ritiene infatti che questi peptidi siano attivi su un ampio spettro di funzioni e siano coinvolti in molti processi metabolici tra i quali la pressione e la coagulazione del sangue, l’obesità, il metabolismo delle lipoproteine, il metabolismo minerale, la salute dentale, le difese immunitarie, le funzioni intestinali e neurologiche, le perossidazioni, i tumori. La maggior parte degli studi riguarda i peptidi derivati dal latte, ma si

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studiano e si valutano anche i peptidi bioattivi degli alimenti vegetali, animali e marini. Molti mostrano attività citotossica selettiva contro un’ampia gamma di linee di cellule tumorali in vitro e in vivo, mentre altri hanno effetti immunomodulatori e antimicrobici. Inoltre, alcuni peptidi esercitano attività antinfiammatoria e antiossidante, che potrebbero aiutare nella prevenzione delle malattie croniche. Peptidi bioattivi negli alimenti Col termine generico di peptidi bioattivi di origine animale si definiscono brevi sequenze di amminoacidi che derivano dall’idrolisi delle proteine presenti nelle carni degli animali (bovini, suini, ovini, avicoli) o in varie specie di organismi marini. L’essiccazione, la stagionatura, la maturazione e la fermentazione sono procedure che tradizionalmente danno sapore alla carne anche attraverso il rilascio di peptidi bioattivi. Recentemente, alcuni peptidi antiossidanti e antipertensivi sono stati purificati da prosciutti spagnoli, italiani di Parma e cinesi. Un lungo periodo di maturazione induce un aumento

della resa di peptidi e di amminoacidi, mentre la produzione di peptidi a catena più corta si concentra durante le fasi finali della stagionatura, per cui questi proscritti sono più ricchi di peptidi bioattivi. I peptidi bioattivi che provengono dalla carne sono più costosi rispetto a quelli di origine vegetale; per questo un’opzione interessante è ricavarli da sottoprodotti della carne, in questo soddisfacendo ulteriori requisiti come il risparmio energetico e la salvaguardia dell’ambiente. Pertanto, un’ulteriore verifica della bioattività in vivo, la messa a punto di un efficace processo produttivo e di una buona normativa sono i principali aspetti verso cui deve proiettarsi la ricerca, ancor prima dell’immissione in commercio dei peptidi bioattivi. Peptidi bioattivi nei salumi Secondo alcune ricerche1, nell’ampia varietà di prodotti salumieri prodotti nei paesi europei, dove sono considerati prodotti tradizionali di valore, avviene un’intensa proteolisi grazie all’azione combinata delle peptidasi muscolari e microbiche, generando grandi quantità

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di peptidi e amminoacidi liberi. Questi composti determinano il sapore caratteristico, ma alcuni peptidi bioattivi possono anche svolgere attività antiossidanti e inibitorie dell’angiotensina, diminuendo la pressione arteriosa (ACE-inibizione). Gli studi fino ad ora compiuti rivelano che i diversi tipi di salumi fermentati prodotti in Spagna, Italia e Belgio dimostrano un elevato degrado delle proteine, principalmente delle miofibrille, con la produzione di elevate quantità di amminoacidi liberi e di peptidi di diverse dimensioni, con differenze probabilmente dovute alla formulazione del prodotto, alle condizioni di lavorazione e alle colture starter utilizzate, capaci d’influenzare l’attività degli enzimi di origine muscolare e batterica. Valutando la bioattività attraverso la misurazione dell’attività ACE-inibitoria e antiossidante, si è visto che i salumi spagnoli e belgi prodotti con fermentazione hanno valori di inibizione dell’ACE dell’85% circa; quelli belgi presentano la più alta attività antiossidante e maggiore capacità di riduzione del ferro, dimostrando che i salumi fermentati sono fonti naturali di peptidi bioattivi e danno un valore aggiunto ai prodotti tradizionali. Il prosciutto crudo è un prodotto molto diffuso nei paesi del Mediterraneo e nel quale la maturazione della carne porta allo sviluppo di grandi quantità di peptidi che contribuiscono alla sua consistenza, sapore e qualità finale. La proteolisi è il principale meccanismo biochimico che si verifica durante la stagionatura del prosciutto; una migliore conoscenza di questo fenomeno è essenziale per avere una produzione regolare e uniforme e per dare un valore aggiunto al prodotto, dimostrando che ha caratteristiche salutistiche capaci di migliorare l’accettabilità dell’alimento da parte di una popolazione sempre più attenta alla salute. Per quanto riguarda i prosciutti, GALLEGO e collaboratori2 dimostrano che i peptidi naturali del prosciutto crudo possono avere un ruolo positivo sulla salute dell’apparato cardiovascolare perché i peptidi ACE-inibitori sono stabili al riscaldamento utilizzato nella cottura, e soprattutto alla digestione; inoltre, i metodi di cottura domestici mediterranei e l’attività inibitoria del

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fattore acetilidrolasi aumenta significativamente in seguito alla digestione gastrointestinale. Proteomica salumiera L’uso della proteomica (scienza che studia le proteine e i loro derivati, come i peptidi bioattivi) permette una migliore caratterizzazione dei prodotti alimentari e il controllo della loro qualità finale, consentendo anche continue modifiche di qualità non solo organolettica e gastronomica, ma anche salutistica. A questo proposito, come sottolineano anche GALLEGO e collaboratori3, lo studio dei peptidi bioattivi è uno strumento importante per la caratterizzazione dei salumi al fine di identificare e quantificare peptidi bioattivi e potenziali biomarcatori, studiarne la stabilità in condizioni di trattamento o digestione gastrointestinale, ricercare modifiche che potrebbero influire sulla loro qualità, e soprattutto valorizzare i loro caratteri non solo nutrizionali, ma anche salutistici, anche in relazione alle più importanti e diffuse anomalie sanitarie dell’attuale popolazione dei paesi industrializzati. In questa prospettiva, un uso sistematico e continuativo di prodotti carnei fermentati, con una considerevole quota di proteine lisate e un rilevante contenuto di peptidi bioattivi, com’è il caso di carni suine trasformate in prosciutti, spalle, lombi a media lunga stagionatura, assume un ruolo salutistico che non deve essere considerato un intervento terapeutico, bensì un coadiuvante o una prevenzione nei confronti di disturbi o malattie da ossidazione. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota 1. GALLEGO M. et al. (2018), Bioactive peptides and free amino acids profiles in different types of European dry-fermented sausages, Int. J. Food Microbiol., 276, 71-78 pp. 2. GALLEGO M. et al. (2019), Peptides with potential cardioprotective effects derived from dry-cured ham by-products, J. Agric. Food Chem., 67(4):1115-1126. 3. GALLEGO M. et al. (2018), Perspectives in the use of peptidomics in ham, PROTEOMICS. • A pag. 50, photo © nazarovsergey – stock.adobe.com

41038 S. Felice s/P (MO) Via Palazzetto, 36


Parmigiano Reggiano Dop: nel primo semestre 2020 +6,1% vendite Italia e +11,9% per l’export Nonostante il Covid e le incertezze sui mercati internazionali, il Parmigiano Reggiano chiude il primo semestre 2020 con il segno positivo sia in Italia che all’estero. Questi dati emergono da un’analisi del Consorzio Parmigiano Reggiano e del Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA). Se in Italia l’aumento complessivo delle vendite è stato pari al 6,1% (34.200 tonnellate contro le 32.000 del semestre precedente), all’estero, l’export è cresciuto dell’11,9%: nei primi sei mesi del 2020 sono oltre 27.000 le tonnellate di prodotto che hanno superato i confini italiani per raggiungere le tavole di tutto il mondo. Il 2020 è stato un anno eccezionale che ha cambiato anche la distribuzione dell’export del prodotto. Nel primo semestre del 2020, il primo mercato è stato la Germania (quota 19,6% su totale export), seguito da Francia (19,5%) — fino ad ora primo mercato dopo l’Italia —, USA (18,2%), Regno Unito (13,5%) e Canada (5%). L’Europa cresce complessivamente del +12,5%, con incrementi notevoli per Paesi Bassi (+31,6%), Belgio (+31,3%), Germania (+16%), Regno Unito (+15,1%) e Francia (+7,2%). Anche l’extra-UE cresce e registra un +11,9%: da segnalare le performance positive di Canada (+153,9%), Area del Golfo (+50,5%), Cina (+37,2%), Norvegia (+35,8%). Un altro dato interessante riguarda il formato preferito dai consumatori all’estero. I buyer acquistano per lo più porzionati e grattugiati, che crescono rispettivamente del 14,7% e del 14,2%, mentre calano le forme intere che registrano una flessione pari al 5,9%. «Anche in questo momento di crisi e incertezza il mercato ci ha premiato. I dati dimostrano come la marca forte e ben posizionata verso il consumatore sia stata il vaccino migliore per arginare gli impatti commerciali del Covid. Ora serve collaborazione di tutti per tutelare il prodotto ed evitare i rischi legati ad un autunno molto incerto sia in Italia che all'estero. Nel primo semestre 2020 abbiamo registrato una crescita in Italia pari al +6,1% e un incremento delle esportazioni pari all’11,9%, un dato estremamente positivo che arriva in un momento difficile per il nostro comparto» ha commentato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano. «Ricordiamo che il Parmigiano Reggiano ha ottenuto ottime performance in termini di vendite, ma che sta anche soffrendo di un eccesso di offerta che ha causato un calo dei prezzi ed una conseguente riduzione della remuneratività per le nostre aziende produttrici. Ci stiamo dando da fare per rispondere prontamente alla crisi. Le misure che abbiamo adottato sono sostanzialmente tre. In primo luogo, il Consorzio acquisterà dai suoi 335 caseifici fino a 320.000 forme (160.000 dell’ultimo quadrimestre 2019 e 160.000 del primo quadrimestre 2020) così da riequilibrare il mercato. Le forme, continua Bertinelli, «saranno conservate nei magazzini, fatte stagionare più a lungo e reimmesse progressivamente sul mercato quando sarà possibile ottenere una remunerazione adeguata al prodotto». Non è la prima volta che il Consorzio interviene per ritirare le forme al fine di alzare le quotazioni: era già successo nel 2014-2015. La novità è che ora «il Consorzio non si limiterà a ritirare le forme dal mercato, ma ridurrà ulteriormente le quote di produzione che sono stata stabilite per il triennio a venire». >> Link: www.parmigianoreggiano.com

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Il Salame di Varzi Dop cresce del 12,5% Estremamente positivi i dati economici resi noti dal Consorzio di tutela del Salame di Varzi. Nel 2019 sono stati prodotti 564.774,62 kg di Salame di Varzi Dop (+12,5% rispetto al 2018), pari a 607.515 salami certificati. L’affettato ha raggiunto nel 2019 ben 197.475 confezioni di prodotto, registrando un +158% rispetto all’anno precedente. Ciò dimostra che questa tipologia di servizio continua ad incontrare in maniera significativa il favore dei consumatori. «L’ottimo risultato ottenuto nel 2019 dal Salame di Varzi Dop conferma il trend in costante crescita registrato negli ultimi anni» ha dichiarato Fabio Bergonzi, presidente del Consorzio di tutela. «È un risultato che ci rende fieri anche perché in controtendenza rispetto al comparto del salame. L’inizio del 2020 aveva confermato il trend positivo ma nei mesi del lockdown c’è stata una forte contrazione delle vendite dovuta alla chiusura del canale Ho.re.ca. Già a giugno, invece, abbiamo registrato una netta ripresa, con un incremento in grado di colmare il gap negativo creatosi». Il salame di Varzi deve la sua qualità al dosaggio ottimale degli ingredienti, alle tecniche di lavorazione contadina affinate attraverso i secoli e alla conformazione del territorio, favorito da quel microclima montano tipico della Valle Staffora tra la brezza marina ligure e l’aria fresca di montagna. L’insieme di queste condizioni ha permesso ai produttori di sfruttare l’instaurarsi di particolari processi enzimatici e la trasformazione biochimica del prodotto per il quale vengono utilizzate le parti più nobili del maiale. Salame a grana grossa, compatta, con la parte grassa ben bilanciata e di colore bianco, questa eccellenza per essere degustata al meglio, deve essere tagliata a fette spesse per cogliere a pieno l’aroma fragrante, leggermente speziato, così come la sua morbidezza, la delicatezza e dolcezza (fonte: ISIT). >> Link: www.consorziovarzi.it


TRASFORMAZIONE

L’AFFUMICATURA Una tecnica antica con evoluzioni moderne. Il punto di “Sale, pepe e sicurezza”, il blog curato da esperti in sicurezza alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie

L’

affumicatura è una tecnica di conservazione del cibo antica. Nonostante le lavorazioni più tradizionali o alcuni amatori dell’affumicatura casalinga utilizzino ancora oggi costruzioni in pietra o piccoli edifici in legno, l’industria alimentare si è invece modernizzata adottando attrezzature in acciaio inox. L’uomo iniziò ad apprezzare il particolare aroma

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che questo trattamento rilasciava sul cibo e, col passare dei secoli, affinò sempre di più la tecnica fino a costruire delle vere e proprie smokehouse, letteralmente “case del fumo”. In questi edifici, costituiti per la maggior parte da un unico ambiente, un solo ingresso e privi di finestre, il cibo veniva appeso all’interno e, successivamente, avvolto dal fumo creato nella camera stessa, oppure convogliato da una camera di

combustione esterna. Nonostante le lavorazioni più tradizionali o gli amatori dell’affumicatura casalinga ancora oggi utilizzino costruzioni in pietra o piccoli edifici in legno simili ad armadi col tetto, l’industria alimentare si è invece modernizzata adottando attrezzature in acciaio inox. I cibi più notoriamente sottoposti ad affumicatura sono il pesce, la carne, i salumi e i formaggi. Fra i pesci troviamo

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il salmone, la trota, l’aringa, il tonno e il pesce spada; fra i prodotti di carne troviamo invece le salsicce, lo speck, il prosciutto, i würstel e la pancetta; fra i formaggi e i latticini ci sono in particolare la scamorza, la provola, il caciocavallo e la ricotta. Il processo d’affumicatura Uno dei fattori più importanti per il processo d’affumicatura è la legna: per una buona riuscita del trattamento è importante sia di tipo non resinoso, per esempio come quella di faggio, quercia, castagno, noce o acacia. Col fine poi di donare al prodotto maggiori caratteristiche organolettiche, alla legna possono essere aggiunte anche erbe aromatiche come alloro, rosmarino, timo o maggiorana. Grazie alla combustione lenta, incompleta e senza fiamma della legna e delle erbe aromatiche, il fumo che si forma contiene e trasferisce all’alimento sostanze ad azione antimicrobica come fenoli, carbonili e acidi organici, e sostanze antiossidanti sui grassi come i composti fenolici. In passato il trattamento veniva condotto a temperature tali da ridurre la carica batterica superficiale e disidratare il prodotto, per farlo conservare per lunghi periodi di tempo: in questo modo si univa l’azione del calore e della disidratazione all’azione conservante delle sostanze citate. Le tecniche di affumicatura Le tecniche di affumicatura oggi impiegate sono essenzialmente tre e si distinguono in base alla temperatura del fumo impiegato e alla durata del processo: • affumicatura a freddo, quando l’alimento viene trattato con fumo tra i 20 e i 25 °C, il trattamento varia da pochi giorni ad alcune settimane; in genere è la tecnica che viene usata per il salmone e gli alimenti semigrassi; • affumicatura semicalda, quando il processo viene condotto tra i 25 e i 45 °C; di solito è usata per trattare salumi e insaccati come prosciutto, speck, lardo e pancetta; • affumicatura a caldo, ovvero con l’impiego di fumo tra i 50 e i 90 °C; viene fatta per poche ore e per prodotti di pronto consumo.

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Dalla conservazione all’aromatizzazione Sebbene nasca come tecnica di conservazione, l’industria alimentare dei Paesi occidentali tende oggi a considerare il trattamento di affumicatura come una tecnica di aromatizzazione degli alimenti, da associare anche ad altre tecniche di conservazione come l’aggiunta di conservanti o il sottovuoto. Ciò l’ha portata ad utilizzare un aroma chiamato “fumo liquido”, che è un estratto delle componenti aromatiche del fumo prodotto in modo naturale. Il fumo liquido può essere aggiunto come additivo ed essere applicato al prodotto per nebulizzazione, docciatura, immersione o iniezione, in modo da donare all’alimento il sapore caratteristico di affumicato. Quali rischi ci sono con l’affumicatura? Il rischio per la salute dei consumatori legato al processo di affumicatura è il possibile accumulo a concentrazioni elevate di sostanze chimiche tossiche o cancerogene come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), tra cui il benzo(a) pirene e il benzo(a)antracene. Gli IPA sono una serie di composti carboniosi che si sviluppano da qualsiasi fenomeno

combustivo. Queste sostanze possono contaminare il prodotto affumicato per vari motivi, che dipendono dalla qualità del legno utilizzato per la produzione del fumo o da come viene condotto il trattamento di affumicatura. Per esempio la scarsa quantità di ossigeno nella camera di affumicamento, o una temperatura di produzione del fumo molto elevata, sono fattori che ne favoriscono la formazione. La combustione condotta in una camera separata rispetto alla camera di affumicatura ha il vantaggio di permettere il filtraggio del fumo e trattenere le componenti corpuscolate. Anche il fumo liquido, essendo ottenuto per distillazione, permette di ridurre notevolmente il tenore delle sostanze potenzialmente nocive, ma è una tecnica meno efficace ai fini della conservazione rispetto a quella tradizionale: per questo il suo utilizzo rende necessaria l’associazione con altre tecniche di conservazione. L’Unione Europea, col Regolamento (UE) 1881/2006 e successive modifiche, ha stabilito i tenori massimi di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che possono essere presenti nei prodotti affumicati senza che questi provochino un danno a breve o lungo termine per la

Uno dei fattori più importanti per il processo d’affumicatura è la legna: per una buona riuscita è importante sia di tipo non resinoso (photo © Butch – stock.adobe.com).

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Pancetta affumicata. Il rischio per la salute dei consumatori legato al processo di affumicatura risiede nel possibile accumulo a concentrazioni elevate di sostanze chimiche tossiche o cancerogene come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Per questo motivo, quando acquistiamo un prodotto affumicato è sempre bene rivolgersi a canali di vendita convenzionali e di fiducia, sottoposti a controlli (photo Š Zbigniew Lewczak). Premiata Salumeria Italiana, 5/20


salute dei consumatori. La legislazione italiana inoltre vieta l’impiego di legni o vegetali legnosi per la produzione del fumo che siano stati incollati, impregnati, colorati, dipinti o trattati in modo analogo. Per un consumo sicuro e consapevole Quando acquistiamo un prodotto affumicato è sempre bene rivolgersi a canali di vendita convenzionali e di fiducia e non a produttori o venditori improvvisati. In questo modo siamo certi che chi vende o produce l’alimento affumicato è tenuto ad effettuare dei controlli sui propri prodotti al fine di garantire al consumatore il rispetto dei limiti di legge e quindi un alimento sicuro. L’acquisto attraverso canali di vendita convenzionali ci garantisce anche la sorveglianza e il controllo da parte dell’autorità pubblica. Come per tutti i rischi di tipo chimico, è sempre valido il consiglio di variare spesso la propria dieta e mantenersi informati e aggiornati sulle eventuali allerte alimentari consultando fonti autorevoli ed istituzionali. Per un acquisto consapevole infine è necessario leggere bene l’etichetta. Infatti troveremo indicazioni diverse in base al fatto che l’alimento sia stato sottoposto a trattamento di affumicatura o invece sia stato aromatizzato con fumo liquido. Nel primo caso il prodotto riporterà la dicitura “prodotto affumicato”, mentre nel secondo caso deve essere indicato tra gli ingredienti “aroma di affumicatura” o “aroma di affumicatura ricavato da [prodotti, categorie o basi alimentari]”, come per esempio: “aroma di affumicatura ricavato dal faggio”. Fonte: Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie Blog “Sale, pepe e sicurezza” curato da esperti in sicurezza alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che fornisce informazioni sui rischi per la salute collegati alla preparazione e al consumo di alimenti www.salepepesicurezza.it www.izsvenezie.it Nota A pagina 56, salsicce in affumicatoio tradizionale; photo © Voyagerix – stock. adobe.com

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BELLE BOTTEGHE

GUARDA, SCEGLI, MANGIA di Riccardo Lagorio

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uarda, scegli e mangia. È la formula della boutique gastronomica S•QUI•SITO, che conta su braci e cucina, uno spazio di 300 m2 che è anche caseificio con produzione di latticini a vista. Nel banco formaggio si scopre un’offerta

di oltre 300 tipologie, poi il forno per pani e pizze impastati con lievito madre e farine biologiche, sfornati freschi più volte al giorno, e un banco macelleria e salumi con una selezione di carni e prosciutti di pregio. Chi sceglie il ristorante nella formula Scegli al banco e

noi te lo cuciniamo e portiamo al tavolo può contare su un’enoteca di oltre 300 etichette nazionali ed estere. Infatti non esiste un menu da S•QUI•SITO, ma la possibilità di scegliere tutto quello che è in vendita: salumi, formaggi, latticini freschi, pane, pizze in teglia e una

Da S•QUI•SITO si magnifica la pizza, anche quella in pala, come questa con mortadella, stracciata di bufala e granella di pistacchi.

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


S•QUI•SITO è tante cose buone insieme; è caseificio con laboratorio a vista, salumificio, macelleria, enoteca, panetteria, drogheria, pizzeria e cucina (photo © Aurora Scotto di Minico). selezione di contorni freschi al banco gastronomia. Tutto prêt-à-manger. Il banco formaggi e il caseificio sono la punta di diamante del locale, del GRUPPO CIRO AMODIO, società specializzata nella produzione di latticini dal 1825. La lavorazione, realizzata rigorosamente a mano, avviene nel laboratorio a vista: ogni giorno si alternano due cicli produttivi, quello della mattina e del pomeriggio, che permettono di offrire al cliente un prodotto finale fresco e saporito.

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Grande spazio è dedicato ai prodotti a pasta filata, in primis le mozzarelle, realizzate con latte di bufala e disponibili in varie pezzature, ma anche provole, ciliegine con panna, trecce e bocconcini. Ben rifornita la produzione di caciotte e primo sale oltre ad una vasta gamma di dessert a base di latte di bufala, budini aromatizzati, panna cotta e più di 15 gusti di yogurt. Oltre ai prodotti di propria produzione, al banco formaggi è possibile

orientare la scelta tra circa 300 formaggi. Tra i migliori prodotti, il Provolone del Monaco DOP del Caseificio Perrusio di Meta, sulla penisola sorrentina, e le forme affinate da La Casearia Carpenedo, nel Trevigiano. La macelleria conta su 19 referenze provenienti da Italia, Brasile, Australia, Argentina e Giappone. Tutte le carni sono sottoposte a lunghe frollature per acquisire gusto e morbidezza. La scelta spazia dal nostrano Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP all’Aber-

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deen Angus, dalla picanha di animali brasiliani al Kobe Wagyu. Gli amanti dei salumi si perdono nei meandri della bontà. Ciascun prodotto è pensato per essere acquistato e portato a casa oppure ordinato e gustato al momento per un aperitivo con tagliere a base di salumi e formaggi, di grandi etichette e pani artigianali di propria produzione. È possibile scegliere tra i migliori prosciutti al mondo come il rinomato Jamón ibérico, dal sapore delicato e avvolgente, al Jambon de Bosses DOP, il prosciutto valdostano elaborato in piccoli quantitativi e aromatizzato con erbe di montagna. Bresaola della Valtellina IGP, Culatello di Zibello DOP e mortadelle al tartufo e pistacchio completano il panorama di 200 prodotti provenienti da tutto il mondo. La drogheria e l’enoteca sono i luoghi ideali per chi vuole scegliere tra le migliori referenze del mercato. A riempire gli scaffali vere e proprie griffe gastronomiche nazionali e internazionali. Alcuni esempi? La colatura di alici di Cetara, in dirittura d’arrivo per la DOp, e i lupini giganti di Vairano. Tra i vini, che possono essere ordinati anche al calice, le etichette più blasonate d’Italia e Champagne. Nella lista dei distillati si scelgono alcuni rum d’annate prestigiose e agricoli o sake di difficile reperimento. Da queste parti si magnifica la pizza, realizzata con lievito madre e farine speciali. Tra le proposte spicca la pizza in pala, una declinazione della classica pizza napoletana caratterizzata da una particolare struttura alta e alveolata che permette di ottenere un impasto dal cuore morbido e croccante in superficie. Ci si può orientare tra vari gusti come la classica Margherita, la salsiccia e stracchino e quella farcita con mortadella e stracciata di bufala. Ci sono anche pani e panini: farina di grano duro, grano saraceno, farina integrale e di soia, di segale. Per gli appassionati del genere c’è la possibilità di comporre il proprio panino con l’hamburger o richiedere una degustazione di formaggi e salumi. Riccardo Lagorio S•QUI•SITO Via Pomigliano, angolo via Marciano 80048 Sant’Anastasia (NA) Telefono: 081 5302328 Web: squisitofood.it

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Un locale inserito nel circuito delle Botteghe Storiche e Artigianali di Genova

SA’ PESTA, CUCINA TIPICA E FARINATA NELLA CLASSICA SCIAMADDA di Massimiliano Rella

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a’ Pesta è una classica sciamadda, un vecchio locale con forno a legna inserito nel circuito delle Botteghe Storiche e Artigianali, 39 antiche attività, dal cibo al tessile, messe in rete

dalla Camera di Commercio di Genova (www.botteghestorichegenova.it). In questa bottega tra i vicoli della Superba si sfornano di continuo farinate, torte di verdura, rustici (ad esempio, pesto e acciughe), accanto ad una proposta di

qualche piatto tradizionale. Dagli anni ‘50 la sciamadda storica è gestita dalla FAMIGLIA BENVENUTO, dal signor FRANCESCO e dai figli PAOLO, CINZIA e ANTONELLA (e il marito di lei, RICCARDO). Il locale è molto semplice: maioliche bianche e verdi e

La cottura della farinata in forno “basso”.

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La ricetta della “fainà” ha radici antiche e nonostante il passare del tempo non ha mai subito modifiche. sui tavoli rustici di legno i vasetti d’erbe aromatiche. «È uno degli ultimi due locali di questo tipo, gli altri sono scomparsi perché è difficile gestire un’offerta di cibo così articolata, servizio veloce, cucina di trattoria e specialità anche da asporto», ci dice Paolo. Tra le specialità di Sa’ Pesta c’è innanzitutto la farinata, un impasto di farina di ceci, acqua e sale, cotto in 1011 minuti in uno speciale forno a legna basso e con apertura larga, progettato appositamente per inserire una grande teglia circolare in cui cuoce la farinata, “spalmata” su un fondo d’olio d’oliva; non si usa l’extravergine perché ha un sapore più invadente. Sottile, dorata e fragrante grazie al tipo di cottura in forno “basso”, la farinata cuoce bene in superficie mentre sotto rimane più morbida. Può essere servita anche in abbinamento a stracchino o gorgonzola. Ma facciamo un passo indietro. Percorrendo le leggende sulla farinata genovese si fa risalire la sua nascita al Medioevo, precisamente nel 1284, anno della battaglia della Meloria in cui la Repubblica di Genova sconfisse la rivale Pisa. Nel corso degli scontri si

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scatenò una furiosa tempesta che fece imbarcare acqua nelle galee genovesi. Si ruppero anche dei barili d’olio che, mescolandosi ai sacchi di farina di ceci e all’acqua di mare, formarono una poltiglia che i marinai stremati fecero “cuocere” al sole. La locuzione Sa’ Pesta significa invece sale pestato (nel mortaio). Il sale, un tempo grande fonte di guadagno, era monopolio dell’Antica Repubblica Marinara, veniva custodito in depositi speciali sul porto e venduto in spacci detti stapole. L’antica Sa’ Pesta era un luogo di vendita del sale che da grosso veniva raffinato. Nel medioevo Genova ebbe anche il monopolio del pane e del vino, quindi le merci della Sa’ Pesta si estesero a questi generi alimentari, in breve trasformandosi in uno spazio popolare per cibi rapidi, come torte di verdure e farinata, che nel XV secolo era chiamata “scripilita” per lo scoppiettare nel testo (una teglia di rame stagnato) durante la cottura a fuoco a legna. Il proprietario del locale era chiamato O Sa’ Pesta. Tornando ai nostri giorni, nel rispetto

della tradizione delle sciamadde la famiglia Benvenuto propone quindi anche ottime torte rustiche: alla bieta, di cipolle, di verdure miste, ecc… La cucina della trattoria ci riserva invece piatti come il minestrone alla genovese (denso e con pesto) e le trofie al pesto fatto in casa, buonissimo… In carta dei vini qualche etichetta ligure, lo sfuso della cantina Lunae Bosoni e qualche birra artigianale della genovese Faber. Le farine liguri arrivano dal molino di Pegli. Per le torte salate è utilizzata infine la prescinseua, un caglio animale di mucca. Massimiliano Rella Sa’ Pesta Via dei Giustiniani 16/R 16123 Genova Telefono: 010 2468336 Web: www.sapesta.it ORARI Pranzo lun.-dom.: 12:00-14:00; cena su prenotazione giov.-sab.; ultimo ingresso 20:45. Specialità da € 7,00 a € 12,00. Nota Photo © Massimiliano Rella.

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LA QUALITĂ€

Prosciutto di Parma, una Dop che fa bene

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ggi si parla sempre più spesso di mangiar bene alludendo non soltanto a cibi buoni e appetitosi, ma anche sani, e quindi ad uno stile di vita basato su un’alimentazione corretta ed equilibrata. Genuinità, bontà e benessere sono dunque tutti elementi che il consumatore oggi ricerca nei prodotti che acquista. È infatti particolarmente attento in questa fase e preferisce investire sulla qualità con un consumo più consapevole rispetto al passato. Il

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Prosciutto di Parma risponde perfettamente a queste esigenze, poiché è in grado di portare ogni giorno la qualità a tavola e garantisce sicurezza e piacere al consumatore. Il Prosciutto di Parma è una DOP, un prodotto controllato e tutelato da leggi nazionali e comunitarie in virtù del suo inscindibile legame con la zona geografica di cui porta il nome. Può essere prodotto esclusivamente un’area estremamente limitata che comprende il territorio della provincia di Parma.

In alto: sala di stagionatura del prosciutto di Parma (photo © Alessandro Carra).

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Risotto alla zucca, Gorgonzola, salvia e Prosciutto di Parma Ingredienti per 4 persone • 1 cipolla finemente tritata • 1 spicchio d’aglio schiacciato • 3 cucchiai d’olio d’oliva • 20 g di salvia in foglie • 200 g di riso per risotto • 200 g di zucca a cubetti • 50 ml di vino bianco • 550 ml di brodo vegetale • 50 g di Gorgonzola piccante • 4 fette di Prosciutto di Parma • Sale e pepe nero pestato in mortaio Procedimento Fate appassire la cipolla e l’aglio in 2 cucchiai d’olio d’oliva. Sminuzzate metà della salvia e aggiungetela al soffritto. Unite il riso e mescolate aggiungendo i cubetti di zucca. Fate rosolare per 3 minuti.Aggiungete il vino bianco e fate sfumare. Aggiungete poco a poco il brodo vegetale mescolando continuamente fino all’assorbimento del liquido. Aggiungete il Gorgonzola e mescolate fino a farlo fondere. Condite se necessario. Fate soffriggere ciò che rimane delle foglie di salvia in un cucchiaio d’olio d’oliva fino a renderle croccanti. Adagiatele su un foglio di carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso. Disponete il risotto sui piatti e guarnite con la salvia croccante e Prosciutto di Parma (photo © Steve Lee).

Solo qui è possibile produrre il Re dei Prosciutti, perché in questa area hanno luogo tutte le condizioni climatiche ideali per la stagionatura naturale del Prosciutto di Parma. Le aziende produttrici legate al Consorzio del Prosciutto di Parma lavorano nel pieno rispetto delle rigide regole imposte dal Disciplinare di produzione a salvaguardia della tradizione e della qualità di un prodotto completamente naturale che utilizza soltanto carne di suino rigorosamente nato e allevato in Italia e sale marino. Il Prosciutto di Parma è un alimento buono ma anche sano perché non contiene conservanti né additivi generalmente utilizzati nella preparazione di altri alimenti a base di carne; è un prodotto che unisce al gusto e alla sua inconfondibile e famosa dolcezza anche un alto valore nutrizionale. Grazie ai pochi grassi, a molti sali minerali, alle vitamine e proteine

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facilmente digeribili, risulta un alimento adatto a tutti, compresi bambini, anziani e sportivi. È altamente digeribile grazie al contenuto di proteine di ottima qualità e alla naturale proteolisi che avviene durante la stagionatura; aiuta gli sportivi grazie all’azione detossificante e anti-fatica degli amminoacidi liberi che concorrono alla riparazione del danno muscolare dovuto all’usura che il muscolo subisce durante il movimento; contribuisce a combattere e inibire l’azione dei radicali liberi, principale causa di invecchiamento e malattie degenerative, e a ripristinare l’equilibrio fisiologico dell’organismo, grazie alla presenza di antiossidanti naturali, come la vitamina E e il selenio. Protegge inoltre dalle patologie cardiovascolari grazie all’elevato contenuto di acidi grassi insaturi, quei grassi buoni che fanno bene alla salute, come l’acido oleico, e contribuisce al raggiungimento dei livelli

giornalieri di assunzione raccomandati di vitamine del gruppo B, fornendo anche una buona quota di preziosi minerali facilmente assorbili dall’organismo. In cucina Per apprezzare davvero il Prosciutto di Parma bisogna gustarlo da solo o con pane e grissini, servito a fette molto sottili e senza eliminare tutto il grasso che ne esalta la dolcezza e il sapore. Anche la frutta è un ottimo abbinamento: dal classico melone, ai fichi o alla frutta esotica. Naturalmente in cucina è un ingrediente prezioso che si presta a tanti abbinamenti e preparazioni gastronomiche anche molto innovative. Come la ricetta che trovate nel box in alto. L’autunno si avvicina. Mettiamo la zucca in tavola con un risotto gustoso e saporito grazie ai contrasti sapidi di Gorgonzola e Prosciutto di Parma. >> Link: www.prosciuttodiparma.com

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


SALUMI IN TAVOLA

CRUDO DI CUNEO DOP, DAI NORCINI PIEMONTESI ALLA TAVOLA DEI GRANDI RISTORANTI

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i sono alcune tradizioni nate secoli fa che, nonostante tutto, si sono viste riconoscere i giusti meriti solo recentemente. È il caso del Crudo di Cuneo, la cui arte era già praticata nel XVII secolo, come testimonia uno scritto del 1618 che fa riferimento al lavoro dei norcini piemontesi, quando la sala di stagionatura veniva chiamata stanza del paradiso e le cosce stagionate erano destinate esclusivamente alla tavola del

vescovo e dell’abate. A quei tempi i giorni della mattanza del maiale, evento che si teneva verso la fine dell’inverno, erano giorni di festa durante i quali si svolgeva un rituale quasi “sacro” sotto la direzione del sautissé, l’esperto della lavorazione delle carni che passava di cascina in cascina per lavorare il maiale e “selezionare le cosce migliori da stagionare nelle cantine o nei granai delle cascine”. Dopo la seconda metà del 1900, l’importanza del salume creb-

Gli Spaghetti BBQ con il prosciutto Crudo di Cuneo Dop dello chef Mammoliti.

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be sempre più, tanto che la nobiltà e il clero esigevano ricette personalizzate dai maestri salumieri fondatori dei primi salumifici artigianali. Il prosciutto, dopo una lunga battaglia portata avanti dal Consorzio di tutela nato nel 1998, il 17 dicembre 2009 ha ottenuto il riconoscimento più importante: la DOP. Assieme ad altri sette prosciutti italiani in questa categoria, può fregiarsi della certificazione che, ancora più dell’IGP, ne attesta il legame col territorio. Infatti, il processo produttivo dei prodotti DOP deve avvenire per intero nell’area deputata indicata nel Disciplinare. In quello del Crudo di Cuneo, è consentito l’utilizzo di cosce fresche di suini pesanti (di peso medio di 165 kg) nati, allevati e macellati nelle province di Cuneo, Asti e in 54 comuni della provincia di Torino. In quest’area vi è un microclima condizionato dalle correnti d’aria tiepide e secche che salgono dalla Liguria e dalla Provenza, attraverso le valli del Cadibona-Montezemolo, Tanaro, le valli monregalesi e le valli franco-italiane del Roya Vermenagna e Vésubie a Sud, dalle valli francesi della Durance e del Queiras e scendono attraverso le valli cuneesi dello Stura di Demonte, del Maira e del Varaita a Ovest. Sul lato Nord, l’area è protetta da una sorta di barriera ventosa costituita dalle correnti che scendono dalla Val Susa e che proteggono il microclima della

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delle emozioni. L’obiettivo, a questo punto, dichiarato dello chef, è quello di far rivivere ai clienti che scelgono di mangiare alla Madernassa le stesse emozioni che lui provava nell’infanzia. Da quest’idea sono nati gli “Spaghetti BBQ”. Un primo piatto che ha l’obiettivo di trasmettere al cliente i profumi e i sapori delle grigliate della domenica. Il profumo sprigionato quando il piatto arriva al tavolo è infatti quello delle costine di maiale abbrustolite sulla griglia del papà di Michelangelo, qui conferito proprio dal Crudo di Cuneo, dal quale si ricava un’estrazione utilizzata per completare la cottura dello spaghetto, ultimando infine con un burro affumicato al BBQ. La ricetta si completa con l’aggiunta, alla base, di due croccanti: uno di prosciutto e l’altro, al fine di ricordare l’aroma abbrustolito della carne di maiale, di pane bruciato. E il cerchio si chiude. Michelangelo Mammoliti, La Madernassa di Guarene (photo © Alberto Olivero). zona di produzione considerata. In tutta questa zona, il livello di umidità variabile dal 50 al 80% rappresenta la perfetta condizione per la stagionatura dei prosciutti, anche in cantine naturali senza condizionamento d’ambiente. Al termine della stagionatura, che oggi è protratta per oltre 24 mesi, l’ente terzo di controllo svolge le verifiche di conformità del processo produttivo e, se tutte le regole sono state rispettate, appone il timbro a fuoco che contraddistingue il prosciutto Crudo di Cuneo. Il Crudo di Cuneo nelle cucine dei grandi chef Come tanti altri prodotti della salumeria italiana, oltre ad essere protagonista nelle tante botteghe della Penisola e nei punti vendita nei quali lo si può acquistare, il Crudo di Cuneo DOP lo è anche nelle cucine dei grandi ristoranti. Ad esempio, Rosso Barolo di Barolo (CN), Badellino di Bra (CN), il Nazionale di Vernante (CN), Bove’s di Cuneo, ecc… hanno creato specifiche ricette con il Crudo di Cuneo DOP, partendo dalla convinzione che per preparare un grande piatto occorre utilizzare le materie prime del territorio e di grande qualità. Uno dei ristoratori che ha interpretato meglio questa regola è il giovane MICHELANGELO MAMMOLITI, lo chef del risto-

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rante 2 stelle Michelin La Madernassa di Guarene (CN). Nel suo regno, dove giocano un ruolo di primaria importanza le materie prime vegetali provenienti dall’orto di proprietà della struttura, non rivestono un ruolo secondario i restanti ingredienti, che lo chef riesce a esaltare con una particolare predilezione — come nel caso del Crudo di Cuneo —, verso quelli locali. Ma facciamo un passo indietro, per meglio inquadrare la “forza” con la quale un simile prodotto sia diventato l’ingrediente principe di un piatto segnature dello chef. Da diversi anni a questa parte, il giovane ma già esperto Michelangelo, volendo conferire ai propri piatti un valore aggiunto, ha avviato una ricerca per fare sì che il piatto stesso evochi delle emozioni e dei ricordi nel consumatore. Oltre alla genuinità degli ingredienti e ai sapori indiscussi del piatto, esso deve trasferire

La ricetta Entriamo tecnicamente nel dettaglio della ricetta, vedendo come il giovane chef utilizza il prosciutto Crudo di Cuneo DOP. «In BBQ — afferma Michelangelo — usiamo il prosciutto Crudo di Cuneo in tre consistenze, che prevedono altrettante tecniche di lavorazione della materia prima. Si inizia con un’estrazione, e in questo caso il prosciutto è utilizzato come sostanza aromatica, in altre parole per “profumare” un brodo. Dalla cotenna invece estraggo un olio e questa è la seconda formula che mi permette di tirar fuori la sua essenza più profonda. In ultima battuta, utilizzo il prosciutto Crudo di Cuneo, dal quale ho estratto l’olio, per fare un croccante che sarà poi disposto alla base del piatto. Non è facile trovare delle materie prime con le quali poter lavorare in modi così differenti e con risultati al palato tanto equilibrati quanto gustosi». >> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it

D.M. 8 agosto 2019 n. 057418 e D.M. 11 settembre 2020 n. 9117579: realizzazione di iniziative volte a sviluppare azioni di informazione per migliorare la conoscenza e favorire la divulgazione del Crudo di Cuneo DOP. Bando 2019, art. 2, lettera A (del D.M. 1 marzo 2016 n. 15487).

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FORMAGGIO

Agricola Circe: FARSI AMMALIARE DA UNA MOZZARELLA di Massimiliano Rella

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a mozzarella di bufala è una specialità identificata con la Campania ma prodotta con punte d’alta qualità anche nell’Agro Pontino, una fascia costiera e pianeggiante della provincia di Latina, un tempo terre paludose, poi bonificate negli anni ‘30. Tra caseifici e allevamenti di bufale in questa vasta area c’è una ricchezza di sapori e prodotti che non teme concorrenza. Tra le zootecnie modello siamo andati a visitare AGRICOLA CIRCE, un’azienda agricola e casearia con una ventina di dipendenti che il professor PIERLUIGI BENEDETTI — già affermato ginecologo e ostetrico — gestisce con i figli poco più che trentenni, EDOARDO e NICCOLÒ. Nell’800 la famiglia era proprietaria di uliveti e di un piccolo allevamento di bufale in Ciociaria, provincia di Frosinone. Nell’Agro Pontino si stabilì dopo la guerra, ampliando l’attività zootecnica. «L’azienda agricola però fu fondata nell’86, proseguendo la passione della mia famiglia per l’allevamento» ci racconta il professor Benedetti. «Il caseificio è invece aperto da quindici anni. Qui lavoriamo solo il nostro latte fresco di bufala».

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La tenuta di 300 ettari in unico corpo, con 1.600 capi in allevamento, è situata tra il Parco Nazionale del Circeo e i monti Lepini, in un’area dell’Agro Pontino che assicura condizioni ideali per il benessere delle bufale, i terreni fertili, l’acqua in abbondanza e il clima mite. La gestione dei terreni, dell’allevamento e del caseificio, in una sintesi tra innovazione e tradizione, ha come obiettivo la produzione di mozzarelle e formaggi di qualità. L’allevamento segue sostanzialmente i seguenti criteri di gestione: il primo riguarda il benessere animale, garantito da ampi spazi (fino a 15 m2/capo) in stalla libera, con “piscine”, terra, controllo dell’igiene e della temperatura (meno di 26 gradi) e cura dell’illuminazione. Inoltre, ventilazione automatica, spazzole rotanti, mangiatoie e abbeveratoi in acciaio inox per un latte sano d’alta qualità. Dal punto di vista alimentare gli animali si cibano di 15-20 kg d’erba fresca verde al giorno, il più possibile durante l’anno, oltre ad un mix di insilati di mais, orzo, mais, fieno per l’80% autoprodotti; un’alimentazione ricca di foraggi altamente digeribili.

LA TENUTA DI 300 ETTARI IN UNICO CORPO, CON 1.600 CAPI IN ALLEVAMENTO, È SITUATA TRA IL PARCO NAZIONALE DEL CIRCEO E I MONTI LEPINI, AREA DELL’AGRO PONTINO CHE ASSICURA CONDIZIONI IDEALI PER IL BENESSERE DELLE BUFALE, TERRENI FERTILI, ACQUA IN ABBONDANZA E CLIMA MITE

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Mozzarelle di Bufala dell’azienda agricola Circe di Pontinia (LT). Il caseificio aziendale trasforma 40 quintali di latte al giorno e produce 10 quintali di mozzarella di bufala e altre specialità .

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In alto: Pierluigi Benedetti e il figlio Niccolò. In basso: il caseificio.

La qualità dei capi, sottoposta a miglioramento genetico per avere animali più sani, longevi e produttivi, è controllata dall’Associazione Italiana Allevatori. Oltre alle bufale l’allevamento conta 40 Pezzate rosse che fanno da “balia” per l’allattamento delle vitelle di bufala (annutoli), il cui latte ha costi evidentemente maggiori da valorizzare con la trasformazione casearia. Un altro punto di forza è l’autoproduzione di energia rinnovabile, per circa 5 GW, dieci volte di più del fabbisogno energetico, il tutto attraverso un impianto di pannelli solari fotovoltaici, già da 12 anni, e un impianto di biogas. «Questi risultati sono il nostro fiore all’occhiello, rispondono ai requisiti per un’energia

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circolare» aggiunge Benedetti. «La nostra idea è di fare anche agricoltura e zootecnia di precisione usando concime e liquami su misura dopo una valutazione dei dati scientifici e sulla base della nostra esperienza». Il caseificio trasforma 40 quintali di latte al giorno e produce 10 quintali di mozzarella di bufala e altre specialità, come ricotta, primosale, burrate e caciocavalli, distribuiti in gran parte in GDO, presto col commercio on-line. La mozzarella di bufala di “filiera corta” è un prodotto di qualità che segue un Disciplinare: al latte crudo viene aggiunto siero innesto aziendale, un mix di fermenti unici della lavorazione del giorno prima che lascia l’impronta

organolettica. Successivamente sono aggiunti caglio e sale. Dopo 4-5 ore il latte cagliato è pronto per la filatura così la “pasta” viene mozzata — o intrecciata a mano — in varie pezzature: anche in mozzarelle da 1 kg. Invece, la ricotta è fatta col primo affioramento della bollitura del siero e aggiunta di latte fresco ad inizio procedimento per avere un prodotto più soffice e gentile. Una minima parte delle mozzarelle è affumicata naturalmente con paglia e spezie non trattati. Massimiliano Rella >> Link: www.agricolacirce.com Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Microclima ottimale

Sale marino

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elementi per un prosciutto unico

Coscia di maiale

Coscia di maiale, sale marino e un microclima ottimale:

più naturale di così! www.prosciuttocrudodicuneo.it

Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo D.O.P. Corso Dante Alighieri 51 - 12100 Cuneo · info@prosciuttocrudodicuneo.it

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Tradizioni casearie di Basilicata

FORMAGGI MANGONE, DESIDERI IN FORMA SOLIDA di Riccardo Lagorio

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umerosi piccoli caseifici che oggi custodiscono le tradizioni casearie furono aperti per contrastare la scarsa remunerazione del latte, in precedenza conferito a società private casearie, talvolta succursali di multinazionali. Tra l’ultimo decennio del XX secolo e i primi dieci anni di quello successivo il panorama della produzione di formaggio si è così modificata, con la capillare presenza di trasformatori di latte di ridotte dimensioni. Si è trattato, a modo suo, di una risposta alla diminuzione dei prezzi derivante dall’apertura delle frontiere di un’Europa che stava cambiando. In alcuni di questi micro-caseifici, specie nel Nord Italia, l’allevamento caprino è stata eletto come emblema di questa rivoluzione votata al recupero della campagna e alla salubrità. Talvolta hanno dato nuova vita a prodotti che si davano per scomparsi, in perfetta sincronia con novità concepite dalla curiosità e dalla fantasia del casaro. Costoro hanno parzialmente arginato la perdita di identità casearia generata dalle molteplici chiusure di aziende, determinate dall’impossibilità di adeguarsi a norme igienico-sanitarie pensate per grandi superfici, o dal raggiungimento

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dell’età di pensionamento ovvero dal trapasso dei più anziani operatori. Un esempio di recupero delle tradizioni casearie si può trovare sulle colline di Muro Lucano, un angolo verde di Basilicata. Parla ROSA MANGONE: «Nel 2005 mi venne suggerito di aprire un minicaseificio aziendale perché il latte delle 18 vacche non veniva pagato a sufficienza e la coltivazione di granoturco, orzo e fieno coltivati sui 16 ettari richiedeva costi crescenti». Nel frattempo il marito VITO CERONE lasciava il lavoro come dipendente delle Ferrovie dello Stato, distaccato a pensione di anzianità. Da appassionato di materia casearia, Vito in precedenza aveva ottenuto un diploma di casaro insieme alla nipote MICHELA: «Trasformare la materia liquida in solido è sempre stato un mio desiderio»,

racconta. L’ampio carnet di formaggi lucani a latte crudo è rinato, specie quelli a pasta filata. Bocconcini, trecce e mozzarelle vengono filate con acqua salata su un tavolo di lavoro al termine dell’acidificazione della pasta, filante e dolce, mentre per ottenere la scamorza si è provveduto a rendere la rottura della cagliata più sottile e la filatura avviene con acqua non salata. Al termine della lavorazione le scamorze saranno deposte nella salamoia. «La pasta del provolone viene ottenuta con siero innesto, cioè l’aggiunta di siero al latte e caglio in pasta, per rendere più piccante il risultato finale. La rottura della cagliata è a pezzi sottili e la prova della filatura richiede tempi più lunghi rispetto a scamorze e mozzarelle» spiega Rosa Mangone. Il

Al Caseificio Mangone, sulle colline di Muro Lucano, un angolo verde di Basilicata, si gustano bocconcini, trecce e mozzarelle, scamorze e provoloni, anche con peperoni cruschi in polvere, primo sale e tomini. Esempio di recupero delle tradizioni casearie lucane

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Rosa Mangone e Vito Cerone.

provolone viene tenuto in salamoia per 40 ore in ragione di ogni chilogrammo e mezzo di prodotto. La vendita si effettua a partire dal quindicesimo giorno, ma il suggerimento è di consumarlo non prima dei 2 mesi. Sono molti a richiedere gusti decisi, così sono nati provoloni con peperoni cruschi in polvere, ovvero essiccati e affumicati, e peperoncino piccante. Il

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primo sale e i tomini sono altrettanto graditi dalla clientela. «C’è qualche ristorante della zona che acquista i nostri prodotti, ma le vendite sono indirizzate prevalentemente alle famiglie. Soprattutto nel periodo estivo siamo apprezzati dai cosiddetti turisti di ritorno, emigrati o loro discendenti che tornano per qualche settimana a occupare le case lasciate vuote durante l’anno. Questo

fatto ci aiuta a mantenere aperta l’attività», spiegano. E a mantenere viva la propensione dell’Italia ad essere il Paese dove il latte assume più forme diverse. Riccardo Lagorio Caseificio Mangone Contrada Ponte Giacoia snc 85054 Muro Lucano (PZ) Telefono: 0976 77006

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La tradizione casearia dell’isola spagnola Riserva della Biosfera UNESCO

IL QUESO MAHÓN DE MENORCA DOP di Massimiliano Rella

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inorca è un’isola di paesaggi di pietra, un’architettura ancestrale con 11.000 km di muretti a secco, alti un metro e mezzo, che da sempre proteggono gli allevamenti e i campi agricoli dal vento, separando le proprietà in appezzamenti chiusi. Questi muretti segnano i confini della barraca, cioè un perimetro campestre di pietre a secco per il ricovero del bestiame, a pianta circolare o a ferro di cavallo, realizzato pietra su pietra per sovrapposizione di

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corpi più piccoli, a forma piramidale smussata. L’architettura agricola e zootecnica di Minorca ci regala un altro gioiello: le case di Lloc, come sono chiamate le tradizionali fattorie minorchine, un bell’esempio di combinazione funzionale tra agricoltura, allevamento ed esigenze abitative. Sono grandi case-fattoria con un portico, un cortile, un forno a legna esterno, qualche magazzino, l’orto, i campi e le stalle. La zona abitativa è separata (ovviamente) dal rifugio degli

animali, la facciata è rivolta sempre a sud e i muri sono imbiancati di calce; a volte troviamo torri di difesa. Sì certo, direte voi, ricordano comunque le vecchie fattorie coloniche del Veneto, dell’Emilia-Romagna o le masserie della Puglia e di altre regioni italiane. Vero, ma con uno stile e un gusto tutto minorchino e, soprattutto, con un cuore “zootecnico”; non tanto per la produzione di carne, ma per il latte e il formaggio, pilastro dell’allevamento locale.

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Stagionatura e massaggio con aceto del Queso Mahón de Menorca Dop nella fattoria Binillubet, a Es Mercadal. A Minorca si produce infatti uno dei migliori “quesos” di Spagna, il Queso Mahón de Menorca DOP. La tradizione casearia sull’isola “gioiello” dell’arcipelago delle Baleari è sempre stata forte, ma nel XX secolo si è sviluppata anche “l’industria” del formaggio fuso. Già noto nel XV secolo,

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al servizio dell’ottimo formaggio di Minorca tre secoli dopo quattro navi prestavano regolare servizio di distribuzione con la terraferma, facendo la spola con il porto di Maó, il nome catalano della “capitale” minorchina Mahón. Fatto con latte crudo vaccino, filtrato con una garza, pressato e immerso in

salamoia, il Queso de Mahón si lascia arieggiare per uno-due mesi a temperatura ambiente. Ha una forma quadrata smussata, detta fogassa. Può essere tenero, semi-stagionato, stagionato o vecchio. Sull’isola si producono anche altri formaggi a latte crudo di Vaca Menor-

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Forma fresca di Queso Mahón de Menorca Dop nella fattoria e caseificio Binillubet. quina rossa, di razza Frisona o di capra. Tutto questo è ancora più eccezionale se pensiamo che l’isola è dal ‘93 Riserva della Biosfera UNESCO, titolo riconosciuto per l’alta qualità del suo ambiente naturale, ben conservato e in armonia con l’agricoltura e il turismo, principali fonti di reddito. Per tutelare il patrimonio agrario e paesaggistico è stato promosso anche il progetto di Custodia Agraria da una Ong di ecologismo responsabile chiamata GOB. Ha l’obiettivo di combattere l’abbandono dei campi e l’eccessivo sfruttamento della terra attraverso accordi con le fattorie per promuovere attività sostenibili secondo protocolli “agronaturali”. Tra le fattorie troviamo coltivatori di grano antico autoctono, allevatori di vacca rossa locale, meno produttiva delle “cugine” Frisone bianche e nere, produttori di formaggi, di vino, ecc… Prodotti che sono venduti la domenica al mercato contadino Agromaó e in un negozio dedicato nel mercato Claustro del Carmen. Su prenotazione attraverso la coop dei produttori

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agricoli delle Baleari, Farmers & Co (www.farmersandco.es), si possono fare visite guidate in queste piccole aziende contadine. «Fino a vent’anni fa a Minorca si produceva quasi solo formaggio» ci dice LUCIA PONS, della SA Cooperativa del Camp, che riunisce produttori di varie specialità, dai salumi all’olio. «Gli altri prodotti, ad esempio il vino, sono arrivati di recente, quando il settore agricolo ha cominciato a diversificare». Ma torniamo al nostro formaggio. Siamo entrati in un allevamento con caseificio, Binillubet (www.fincabinillubet.com), per osservare il processo produttivo del Queso Mahón de Menorca DOP. La fattoria si trova nell’agro di Es Mercadal: 88 ettari in collina, gestita dalla FAMIGLIA MARQUES, contadini, allevatori e casari con 45 vacche in produzione a ciclo chiuso. Al latte mescolato del pomeriggio e della mattina sono aggiunti fermenti e caglio d’origine naturale. Ad una temperatura di 33 gradi in circa 40 minuti si forma la cagliata, poi frantumata in piccoli grani con uno strumento ad hoc. I pezzetti di caglio

sono prelevati, pressati a mano e avvolti in una tela quadrata di lino, chiusa con un cordino. Il “sacchetto” è riposto su una rastrelliera e pressato meccanicamente con un peso di 3 kg per 7-8 ore: in questa fase il formaggio assume una caratteristica forma quadrata e schiacciata. Trascorse 20-24 ore di salamoia, il formaggio finisce nei locali di stagionatura per minimo due mesi, girato più volte sottosopra ogni settimana. Dopo due mesi abbiamo il semi-curado, fresco, lattiginoso, molto acidulo ed erbaceo. Se la stagionatura dura 3-5 mesi, abbiamo un formaggio curado, dai granuli piccoli e compatti, le note sapide e il sentore acidulo. Dopo 12 mesi e 18 mesi si ottengono la reserva e la gran reserva, questi di grana molto fine, note piccanti e sentori di maturazione e consistenza a scaglie. I prezzi vanno dagli 11,50 ai 15,00 €/kg. Massimiliano Rella Nota A pagina 80 la fattoria con caseificio Binillubet; photo © Massimiliano Rella.

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Magici e non più misteriosi formaggi verdi e blu di Giovanni Ballarini

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li erborinati (o a pasta erborinata) sono formaggi che presentano caratteristiche venature dalla colorazione blu-verde più o meno intensa. In dialetto milanese erborin è il prezzemolo, le cui foglioline ricordano esattamente le striature dei formaggi. All’estero sono detti semplicemente formaggi verdi o blu, in francese fromages bleus (o à pâte persillée, a pasta prezzemolata, da persil, prezzemolo), in inglese Blue/ Bleu cheese. L’erborinatura è dovuta a funghi microscopici colorati del genere Penicillium (Penicillium glaucum nel Gorgonzola e Penicillium roqueforti nella produzione Roquefort, Camembert e Brie) che si sviluppano durante la maturazione delle forme. Affidata un

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tempo al caso, oggi l’erborinatura è controllata e ottenuta aggiungendo al latte, prima della cagliata, colture pure e selezionate. Inoltre, la forma, durante la stagionatura, può essere bucata con grossi aghi per favorire l’entrata dell’ossigeno necessario allo sviluppo dei funghi. Il gusto caratteristico dell’erborinato è pungente e leggermente piccante, l’aroma invece dipende dai batteri che accompagnano i funghi. Il Brevibacterium linens, ad esempio, è responsabile del forte odore di alcuni erborinati, identificato gergalmente come “puzza di piedi”. Leggende “erborinate” Si definiscono erborinati oltre novanta formaggi, tra i quali il francese Ro-

quefort, l’inglese Stilton e l’italiano Gorgonzola. Del più famoso erborinato nazionale non si conosce con esattezza la data di nascita: alcune testimonianze parlano dell’anno 879, mentre, da altre, pare non contenesse venature colorate prima del XI secolo. Tracce storiche se ne hanno a partire del XV secolo nei pressi di Milano, esattamente nella cittadina di Gorgonzola, da cui il nome. Come accade per molti altri prodotti alimentari, una leggenda narra che il Gorgonzola sia nato per “errore” e in particolare da uno stracchino (così detto perché prodotto da vacche stracche, stanche, a fine lattazione o in transumanza). Durante la sosta di ritorno dagli alpeggi presso una cascina della pianura di Gorgonzola un mandriano avrebbe

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In un perfetto tagliere di formaggi gli erborinati, che solitamente hanno il gusto piÚ intenso, vanno assaggiati alla fine (photo Š sergeyshibut). 85


Polenta con Gorgonzola, il più noto formaggio erborinato italiano (photo © nolonely – stock.adobe.com). lasciato in un recipiente latte cagliato, al quale un altro mandriano avrebbe poi aggiunto altro latte cagliato, il tutto in un ambiente ricco di fieni in fermentazioni e di muffe. Dopo diversi giorni il proprietario della cascina si accorse di aver ottenuto un formaggio con delle venature verdi molto appetitoso per la mescolanza della cagliata fredda della sera con la cagliata tiepida del mattino.

Nell’Ottocento la produzione di Gorgonzola crebbe sensibilmente, tanto da essere esportato in tutta Italia e all’estero, anche in Inghilterra. Nel 1996 è stato riconosciuto dalla Comunità europea e registrato tra i prodotti DOP). La forma, del peso di circa 12 kg, su entrambe le facce riporta il marchio di origine ed è avvolta in fogli di alluminio che riportano il contrassegno caratteristico

I Blu nel mondo Molti formaggi erborinati hanno un nome che contiene l’aggettivo blu o che a questo colore fa riferimento. Ve ne elenchiamo alcuni: Amablu Blue cheese (USA), Amish Blue (USA), Asturias blue – Cabrales (Spagna), Bavaria blu (Baviera), Beenleigh blue (UK), Bergere Bleue (USA), Bleu d’Aoste (Italia, Valle d’Aosta), Blu Bénédictin (Canada), Bleu d’Auvergne (Francia), Bleu des Basques (Francia), Bresse Bleu (Francia), Birchrun Blue – Bryn Mawr Farmers’ Market (USA), Bleu de Corse (Francia), Bleu de Gex Haut-Jura Dop o Bleu de Septmoncel (Francia), Bleu de Laqueuille (Francia), Bleu des Causses (Francia), Blue du Vercors Dop o Sassenage (Francia), Castello Creamy blue (Danimarca), Blue Rathgore (Irlanda), Blu 61® (Italia, Veneto), Buxton Blue (UK), Cambridge Blue Cheese (UK), Cashel blue (Irlanda), Caveman blu (USA), Le Ciel de Charlevoix (Francia), Clemson Blue Cheese (USA), Crater Lake Blue (USA), Danablu (Danimarca), Devon Blue (UK), Dorset Vinny Blu (UK), Dunsyre Blue (UK), Exmoor Blue Cheese IGP (UK), Garstang Blue (UK), Gippsland Blue Tarago River (Australia), Harbourne Blue (UK), Jubilee blue (Nuova Zelanda), Lanark Blue (UK), Maytag Blue (USA), Meredith Blue (Australia), Mindoru blue – Swiss Valley Blue-veined cheeses (USA), Norbury Blue (UK), Olivet bleu (Francia), Oregon Blue (USA), Oxford Blue (UK), Roaring Forties Blue (Australia), Rogue River Blue (USA), Shropshire Blue (UK), Saint Agur Bleu (Francia), Selbu blå (Norvegia), Blue Vein – Waimata Cheese (Nuova Zelanda), Yorkshire Blue (UK).

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della denominazione protetta. Celebre in Francia è il Roquefort, erborinato originario di Roquefort-sur-Soulzon prodotto con latte di pecora e unico formaggio la cui denominazione d’origine è riconosciuta per legge dal 1925. Anch’esso è protagonista di una leggenda: si narra infatti che CARLO MAGNO (742814) arrivando, senza preavviso, in un’abbazia di un piccolo villaggio nei pressi di Roquefort (probabilmente a Vabres), ed essendo giorno di magro, dovette accontentarsi di un misero pasto fatto di solo pane e formaggio. Il formaggio presentava strane macchie che l’Imperatore, ignorandone la natura, eliminò accuratamente col coltello. L’abate gli fece però rispettosamente rilevare che, così facendo, avrebbe perso la parte migliore. Quando Carlo Magno l’assaggiò ne fu così convinto che pregò il religioso di mandare ogni anno due casse di quel formaggio alla sua reggia di Aquisgrana. La crosta del Roquefort è umida, la pasta è untuosa, compatta, di colore avorio con muffe di colore azzurro provocate dallo sviluppo del Penicillium roqueforti. Molte varietà di erborinati sono state create conseguentemente alla crescente richiesta di Roquefort che, nella sua ricetta originale, aveva un alto costo di produzione. Nel Regno Unito lo Stilton (o Blue Stilton) sarebbe invece una creazione

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relativamente recente, comparendo la prima volta nel XVIII secolo. Nel 1996 ha ottenuto il riconoscimento della DOP. Formaggi continentali L’addomesticamento degli animali da latte (capre, pecore, bovini) è particolare dell’area euro-asiatica e mediterranea dove, nel 6 millennio a.C., iniziò anche la produzione dei formaggi. I formaggi erborinati si svilupparono però solo nell’Europa continentale e non nel Mediterraneo. In Italia questi formaggi sono presenti soltanto nel Settentrione, non al di sotto del fiume Po, che sembra costituire un confine per la produzione di questi latticini con l’area mediterranea. Probabilmente questa particolarità è da riferire alle diverse condizioni di allevamento degli animali e alle condizioni ambientali e climatiche. In passato i parti degli animali avvenivano in primavera e in questa stagione iniziava la produzione dei formaggi, proseguendo in estate con una coda autunnale. Questo periodo caldo e asciutto nell’area mediterranea non è favorevole allo sviluppo dei funghi, mentre nell’Europa

continentale prevale un clima umido nel quale i funghi microscopici trovano un ambiente propizio per la loro cresciuta e diffusione. Inoltre, nell’area mediterranea la produzione dei formaggi avveniva mentre gli animali, in prevalenza pecore, erano al pascolo e non vi erano fieni in fermentazione. Nell’Europa continentale invece la produzione dei formaggi in prevalenza di latte vaccino avveniva in ambienti a stretto contatto coi fieni raccolti per l’alimentazione invernale degli animali, fieni soggetti a fermentazioni dove sono presenti funghi le cui spore inevitabilmente contaminano l’ambiente. Infine, le grotte in cui i primi formaggi maturarono avevano l’umidità e la bassa temperatura degli ambienti controllati, condizioni particolarmente favorevoli alla proliferazione di muffe. Formaggi sicuri I formaggi erborinati del passato sono la conseguenza di spontanee contaminazioni ambientali del latte e per questo sono diversi da forma a forma, da anno a anno e da caseificio a caseificio. Alla fine del 1800 le spore

da inoculare nella cagliata venivano raccolte da pane ammuffito, da popolazioni di muffe selvagge dei caseifici e da delle grotte o locali di stagionatura. Negli ultimi quarant’anni, per evitare problemi di natura igienico-sanitaria e rendere il processo di maturazione del formaggio replicabile e affidabile, si sono selezionati ceppi di muffe coltivati in laboratorio e industrialmente, le cui spore servono per la produzione di formaggi erborinati sicuri e privi di micotossine. Le micotossine sono metaboliti secondari naturali dei funghi che possono causare molti effetti negativi, come il cancro, mutazioni genetiche, disturbi a livello estrogenico, gastrointestinale e renale. Alcune micotossine sono inoltre immunosoppressive e riducono la resistenza alle malattie infettive. Tra i funghi produttori di micotossine vi sono anche i Penicillium ma gli stipiti oggi usati nella produzione dei formaggi erborinati sono innocui, diversamente da quanto potrebbe avvenire usando stipiti selvaggi. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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Romagna solatia, dolce paese

I Cappelletti all’uso di Romagna e la Spoja lorda di Nunzia Manicardi

appelletti, cappelletti… Non si può andare in Romagna, soprattutto nella Bassa Romagna (provincia di Ravenna), e non sentir parlare di caplèt. Un mito, un mantra. Altrettanto difficile, se non impossibile, non trovarsene un piatto davanti, prima o poi. Onore della tavola, quella godibilissima tavola ro-

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magnola in cui la convivialità trionfa non meno degli ottimi piatti tradizionali. Cappelletti ripieni di petto di cappone, di mortadella, di formaggio, in brodo di carne oppure conditi con il ragù, col pomodoro, con burro e Parmigiano… PELLEGRINO ARTUSI, nel suo celeberrimo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene — la raccolta di ricette

italiane edita nel 1891 e oggetto poi di innumerevoli riedizioni — la mette, fra le 790 da lui pubblicate, subito al posto n. 7, e già questo la dice lunga sull’importanza di questo primo piatto. Il famoso gastronomo originario di Forlimpopoli ricorda innanzitutto che il nome è dovuto alla forma a cappello, che rende i cappelletti molto più grandi

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di magro di maiale nella lombata, cotto e condizionato nella stessa maniera. Se la ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara d’uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo”. Adesso il ripieno è pronto per essere chiuso nella sfoglia. Prima, però, applicate la regola fondamentale di ogni buon cuoco: “Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere, perché gl’ingredienti non corrispondono sempre a un modo”.

Spoja lorda con ragù bianco. Le massaie romagnole la confezionavano quando non avevano il tempo necessario per preparare i cappelletti, che richiedevano un ripieno più elaborato, oppure per utilizzare i resti della sfoglia per i cappelletti (photo © www.agrodolce.it). dei tortellini. Guai a paragonarli, però! Rechereste un insanabile affronto sia ai creatori di questi ultimi, gli Emiliani (di Modena e Bologna), che ai Romagnoli stessi, essendo popoli diversi uniti ma anche divisi fra di loro non soltanto dal trattino posto dal burocrate-legislatore fra Emilia e Romagna ma anche da storie e tradizioni diversissime che affondano nella notte dei tempi e che, pur a volte nell’apparente somiglianza, sono invece irriducibilmente diverse. Così è, appunto, la differenza fra cappelletti e tortellini.

Il ripieno Ma che cosa ci va, dentro questi cappelletti? “Ecco il modo più semplice di farli onde riescano meno gravi allo stomaco” continua l’Artusi. “Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, grammi 180. Mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe, e tritato fine fine colla lunetta. Parmigiano grattato, grammi 30. Uova, uno intero e un rosso. Odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi piace. Un pizzico di sale”. E se mancasse il petto di cappone? “Supplite con grammi 100

LA SFOGLIA ROMAGNOLA È LA BASE PER LA PREPARAZIONE DELLE MINESTRE, TERMINE CON CUI SI INDICANO I PRIMI PIATTI, IN BRODO E ASCIUTTI. LA PASTA SI LAVORA FINCHÉ NON DIVENTA FINE E MORBIDA, UN POCO RUVIDA PER ASSORBIRE IL CONDIMENTO, SI LASCIA ASCIUGARE E SI TAGLIA IN FORME DIVERSE

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La sfoglia Adesso è il momento della sfoglia, che secondo l’Artusi, deve essere “piuttosto tenera di farina spenta con sole uova servendovi anche di qualche chiara rimasta”. Occhio al taglio della sfoglia: la misura di ogni cappelletto va presa con un disco rotondo di diametro 67 mm (non un millimetro di più e non uno di meno… Artusi riporta perfino il disegno!). “Ponete il composto in mezzo ai dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito. Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell'acqua, gli orli dei dischi”. E il caplèt è bell’e fatto. Semplificando, mi sento di consigliare quanto segue: tirate la sfoglia sottile con il matterello oppure aiutatevi facendo le strisce con la macchinetta. L’importante è non passarla troppe volte e, soprattutto, che sia molto consistente in modo che abbia la giusta porosità e ruvidezza. Le “grinzine” servono infatti a catturare i condimenti. E se non avete a disposizione il disco citato da Artusi… beh, allora tagliate la sfoglia in tanti quadratini di circa 5 cm di lato, ponete al centro il ripieno e chiudete il quadratino a triangolo, premendo molto bene nei bordi per evitare che in fase di bollitura si apra, poi fate girare ciascun triangolo attorno a un dito della mano e sovrapponete le due estremità: otterrete così la tipica forma a cappelletto. Il brodo I cappelletti vanno gustati nel brodo di cappone. Erano in origine un piatto di lusso, riservato alle feste più solenni e, fra tutte, al Natale. Si fanno bollire per qualche minuto e poi si lasciano riposare nel brodo bollente per almeno

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10 minuti prima di servirli in modo che si impregnino ancora di più di sapore. Per questo motivo, dicono gli intenditori, sono ancora migliori quando sono riscaldati. Poi, col tempo, si è affermata anche l’abitudine di mangiarli asciutti, con un ricco ragù di carne e abbondante parmigiano. Sono nate anche varianti relative al ripieno, fra cui quella che prevede la mortadella. Ma ci sono anche i cappelletti di magro ossia con ripieno soltanto di formaggio. Anzi, in origine erano questi i cappelletti tradizionali della festa, in tempi in cui la penuria di carne si faceva ancora sentire. Si utilizza formaggio morbido campagnolo, fra cui il più indicato è il raveggiolo. Benissimo anche la casatella (stiamo parlando sempre di formaggi romagnoli di tipo fresco e a pasta molle) e la ricotta, meglio se di pecora. Ottimo l’arricchimento con Parmigiano e pecorino e il profumo di noce moscata. La spoja lorda Ma non finisce qui… Dai cappelletti nasce anche un piatto di recupero, altrettanto tipico della cucina romagnola, che ultimamente gode di una fortunata fase di riproposta. Si tratta della spoja lorda, che in dialetto significa letteralmente “sfoglia sporcata”. Viene chiamato anche minestra imbottita o minestra piena. Spoja lorda perché era abitudine, dopo aver preparato i cappelletti di magro, preparare quest’altra minestra con la sfoglia avanzata (di solito i ritagli) e col ripieno residuo. La sfoglia all’uovo veniva quindi solo leggermente “sporcata” perché ormai era rimasto ben poco, ma si riusciva lo stesso ad ottenere dei piccoli ravioli che venivano anch’essi cotti nel brodo. Se vogliamo preparare la spoja lorda come una ricetta a se stante e non abbiamo a disposizione i formaggi romagnoli possiamo ricorrere al quartirolo e alla robiola. È opinione di molti che la spoja lorda sia nata a Brisighella, il bel paese di origine medievale in provincia di Ravenna ai piedi dell’Appennino tosco-emiliano. Siccome Pellegrino Artusi non ne parla, a differenza dei cappelletti di magro, potrebbe essere nata successivamente. Nunzia Manicardi Nota A pagina 88, photo © silenziostampara. wordpress.com

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VINO La riscossa della viticoltura camuna

Vini dei Pitoti di Riccardo Lagorio

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ome in una fotografia scattata a fine Seicento, il padre minore riformato GREGORIO BRUNELLI affresca il fondovalle camuno che si incarna “prima nella pianura a verdeggiare prati e germogliare campi, poi nella costa e nei dossi a stendersi in alte pergolate e lunghe file le viti co’ pampini” (CURIOSJ TRATTENIMENTI, Venezia, 1698), chiarendo che le Schiave e i

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Moscati danno migliori risultati. Scavata dai ghiacciai e rimodellata dallo scorrere delle acque del fiume Oglio, la Valcamonica, in provincia di Brescia, rappresenta un territorio complesso per la sua storia e la sua geografia. Alla fine delle interminabili gallerie che infilano le montagne a picco sul lago d’Iseo, la Valcamonica si apre come per miracolo. Il paesaggio, descritto

da muretti a secco e da terrazzamenti che hanno reso possibile l’utilizzo dei pochi spazi disponibili, per secoli si è fondato su un sistema agricolo centrato sulla viticoltura e sulla castanicoltura. Losine, Ono, Erbanno, Cerveno e Gorzone sono le località che più di altre vengono citate come migliori per la produzione di vino nei documenti tra Sette e Ottocento.

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A sinistra: l’Azienda Agricola Scraleca sita in località Scraleca, Angolo Terme, Brescia (photo © scraleca.it). In alto: la cantina Rocche dei vignali di Losine, nel cuore della Valle Camonica, e il Cammunorum, punta di diamante della cantina (photo © www.rocchedeivignali.it). A destra: il vino Grandimani della Cantina Flonno (photo © www.cantinaflonno.it).

Nella seconda metà dell’Ottocento l’abbandono della vite si fece però evidente, a favore dell’introduzione di gelsi per l’allevamento dei bachi da seta e a causa di susseguenti attacchi di oidio, peronospora e filossera. Altro aspetto che giocò a sfavore della viticoltura fu l’insediamento di aziende industriali e artigianali nella seconda metà del Novecento, tanto che

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dagli oltre 2600 ettari vitati del 1956 si passò agli 85 del 2001. Durante quei 45 anni negli appezzamenti vitati si potevano trovare Uva rara (conosciuta in loco come Valcamonec o Balsamina), Schiava Lombarda (Ciass negher), Barbera d’Asti, Merlot, Ciliegiolo e Incrocio Terzi. Il generale clima di riscoperta e recupero delle attività agricole a

rischio di scomparsa ha funzionato da stimolo per l’Associazione Produttori Agricoli di Valle Camonica (APAV) nel 1999, dalla cui sensibilità nascerà nel 2003 la Cooperativa Rocche dei Vignali (rocchedeivignali.it). Oggi la compongono 18 soci. Insieme coltivano una superficie di poco più di 10 ettari, «ma il loro ruolo è ben più importante dei numeri, poiché

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In alto: Cantina Monchieri (photo © www.cantinemonchieri.it). In basso: Alex Belinghieri e il suo Nautilus. Vino da uve Ciass negher, trascorre 24 mesi nelle profondità del Lago d’Iseo (photo © www.consorziovinivallecamonica.it).

garantisce un presidio ambientale e sociale al territorio» spiega il presidente GIANLUIGI BONTEMPI. «La stella polare che ci guida è l’amore per la nostra valle e le nostre tradizioni». Prova ne sono le etichette come Dess, il metodo classico da uve Chardonnay e Manzoni bianco che prende il nome dal substrato calcareo bianco tipico dei terreni sotto la Concarena, la montagna incantata degli antichi Camuni, e la punta di diamante della cantina, Camunnorum. Un vino ammaliante nel colore rosso rubino intenso, nei profumi di frutta matura ottenuti grazie al parziale appassimento di circa 2 mesi in cassetta dopo la vendemmia e nel gusto rotondo e sapido conferito dall’affinamento di botti di rovere.

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Un’altra ventina di aziende agricole compongono il panorama viticolo camuno. Alcune di loro appartengono al Consorzio Vini IGT Valle Camonica (consorziovinivallecamonica.it). Vista l’impossibilità a citarle una per una, ne abbiamo scelte alcune tra le più significative. Come quella di FAUSTO e ANTONIO LIGABUE, protetta sotto l’affascinante chiesa romanica dedicata a San Siro a Capo di Ponte (agricolaligabueantonio.com). «La mia famiglia ha sempre prodotto vino e dal 2004 abbiamo iniziato a imbottigliare. Il nostro impegno è recuperare la naturalità nella conduzione delle vigne, prive di pesticidi e tagli, e nell’ottenimento del vino, privo di solfiti aggiunti e lieviti selezionati» spiega

il padre Fausto. Tas 2006, Merlot, è probabilmente uno dei migliori vini assaggiati negli ultimi anni. Tenero e autorevole come un padre, carezzevole e didattico come una madre. Una gioia all’occhio il suo profilo cardinale, una sferzata di bosco il naso, un viale alberato di cipressi senza fine la bocca. Dei quasi 2 ettari suddivisi in 5 diversi appezzamenti, Ligabue si distingue per avere impiantato anche vitigni di montagne lontane come Cornalin, Fumin e Petite Arvine. Vinificate invece da ceppi di Barbera centenari ai piedi della Concarena, tra Cerveno e Losine, le bottiglie di Minègo, ogni anno uniche, possiedono irresistibili note di spezie e inattese chiusure di geranio al naso.

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Le incisioni rupestri di Valcamonica sono state il primo sito in Italia riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità. Ne sanno più di qualcosa SANDRO SORTENI e GIACOMO LAIDELLI, i proprietari della Cantina Flonno (cantinaflonno.it), che come etichette hanno selezionato proprio le immagini più eloquenti dei pitoti, le figure antropomorfe scolpite nel Parco nazionale, all’interno del quale sono impiantati i vigneti. Grandimani, Merlot in purezza che rappresenta l’orante dalle mani spropositate, risulta equilibrato e fine, possiede buona struttura aromatica e persistenza. Anche la Cantina Monchieri (cantinemonchieri.it) è stata fondata nei primi anni Duemila da SILVIA TORETTI e dal marito GIAN MARIO. Dai 3 ettari di proprietà la sfida, vinta, è stata ottenere un corposo rosso, Rosso Donna, da uve Marzemino e Merlot, e un Metodo Classico Pas Dosé di Chardonnay, brillante e ammandorlato. Dalla Valle Camonica proviene anche il migliore spumante a livello mondiale realizzato con uve autoctone (del concorso diamo ampio spazio nell’articolo Euposia International Challenge sui vini spumanti a pagina 108 di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 3/2020) e lo produce ALEX BELINGHIERI (vinivallecamonica.com), in appezzamenti situati a Cividate Camuno, sede del Museo nazionale dove si conserva anche un pilastrino con Bacco fanciullo rinvenuto a Malegno. Il suo Nautilus, di uve prevalentemente Ciass negher, trascorre 24 mesi nelle profondità del lago d’Iseo, a temperatura e pressione costanti. Bollicine incessanti e sottili, colore biondo scarico, profumi di ginestra e camomilla avvinti intorno a un retrogusto lavico rendono euritmico e sensuale questo vino versione JULES VERNE. La storia di Alex Belinghieri è rivelatrice di un lungimirante approccio alla terra. Tra il 1999 e il 2007 gestisce il ristorante di famiglia, dove ha la possibilità di assaggiare e riflettere sul mondo del vino, che interpreta in maniera rigorosa. «I ceppi più antichi delle vigne di Ciass negher risalgono al 1890, quelli più recenti al 1940. In vigna combatto l’oidio esclusivamente con zolfo e la peronospora per mezzo del rame. In cantina la fermentazione

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dei mosti delle uve rosse è affidata ai lieviti autoctoni e limito moltissimo l’uso dei solfiti», spiega. Le vigne d’Incrocio Manzoni rivolte a sud a 700 metri di altitudine nei pressi del santuario dell’Annunciata restituiscono il Bianco dell’Annunciata, fruttato di pesca e con ricordi di menta al naso che si ripercuotono, lievi, in bocca. Per conoscere l’attuale realtà vinicola camuna bisogna avvicinarsi a quei “collibus viniferis quae vinis optimis celebrantur… Orbanno praecipue Castello” secondo quanto richiamato da ANDREA BACCI nella sua Storia naturale dei vini (1595). È proprio ad Erbanno che ENRICO TOGNI nel 2003 decide di recuperare i vigneti impiantati dal nonno negli anni Sessanta. «Una scelta controcorrente, ma che mi dà sempre più soddisfazioni. Specie ora che ho trovato un equilibrio tra la coltura della vite e degli ortaggi e cereali tra le vigne, a filari alterni». Tra queste l’Erbanno, il vitigno che meglio di altri resiste alle malattie e

quindi permette un numero ridotto di trattamenti. Enrico Togni ottiene così il San Valentino, porpora di colore, profumo speziato, verticale e spigoloso. Note che si scorgono anche nella versione Metodo Classico rosato, il Martì Cuntrare. Rispetto per l’ambiente, recupero dei muretti a secco che ripagano con vini luminosi e delicati, equilibrati e armonici come il 1703, di uve Nebbiolo (localmente, Barzemì). Nebbiolo, varietà Michét, e Chiavennasca che anche STEFANO MATTI a Berzo Demo coltiva ai 600 metri di altitudine in località Conca d’Oro. Ne ottiene un bicchiere dal colore rosso granata e profumi intensi, caldi di lampone e ribes rosso, bocca alcolica e vellutata con ricordi balsamici. Due altre interessanti realtà hanno messo a dimora Incrocio Manzoni. Ci hanno creduto TINO TEDESCHI, dell’Azienda Agricola Scraleca (scraleca.it) e La Muraca dei FRATELLI CHIAPPINI.

«Il particolare microclima che si trova sulle sponde del lago Moro, dove abbiamo i vigneti, ci permette di ottenere Griso, un vino corposo con buona vena acida secondo le norme della produzione agricola integrata della Regione Lombardia» spiega Tino Tedeschi, che da poco è stato eletto presidente del Consorzio Vini Valle Camonica. MARIO e GIANPIETRO CHIAPPINI hanno infine disboscato ronchi utilizzati sino a qualche decennio prima, ripulendoli anche dai sassi ammonticchiati per l’utilizzo del terreno, detti in loco murache. Da questi terrazzamenti sotto la Concarena nasce un vino bianco ottenuto da fermentazioni spontanee, sulfureo, pieno di erbe e miele ma sostenuto da buona acidità, ideale per essere stappato trascorsi almeno cinque anni dalla vendemmia. Messaggio lanciato dalla Valle Camonica a coloro che sono sostenitori dei vini bianchi consumati giovani. Riccardo Lagorio

I dieci anni del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti: appuntamento a Piacenza Expo dal 28 al 30 novembre I Vignaioli Indipendenti confermano le date della decima edizione del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti, in programma dal 28 al 30 novembre prossimi a Piacenza Expo. Un’edizione in cui lo spazio espositivo sarà più ampio, nel rispetto delle norme del distanziamento sociale, gli orari di apertura estesi, con ingressi contingentati e monitorati. «Con la conferma del Mercato, vogliamo ritrovare il piacere dello stare insieme ma anche mandare un messaggio forte per la ripartenza del settore vitivinicolo e non solo» dichiara Matilde Poggi, presidente FIVI. «Per la Fiera di Piacenza, nostro partner in questo progetto da anni, questa sarà la prima esposizione organizzata direttamente dopo il lockdown e le restrizioni dovute al Covid-19». I vignaioli aderenti alla FIVI sono i rappresentanti di una viticoltura che vuole farsi custode del territorio e seguono l’intera filiera produttiva dalla coltivazione delle vigne fino alla produzione e alla vendita del vino. L’immagine della locandina della decima edizione è stata disegnata da Gianluca Folì, illustratore romano, già autore nel 2016 dell’immagine del Mercato. Un uomo e una donna ballano stretti stretti, in armonia: sono un vignaiolo e la Madre Terra, abbracciati a loro volta dai tralci della vite che crea fra i due un legame profondo. Questa l’illustrazione con cui i Vignaioli Indipendenti danno appuntamento a tutti gli appassionati di vino nell’atmosfera festante del Mercato (fonte: EFA News – European Food Agency). >> Link: www.mercatodeivini.it

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Il caviale Calvisius incontra le bollicine Ferrari da VOCE nella bellezza dei giardini di Milano Se il rientro dalle ferie si fa difficile Calvisius e Ferrari hanno la ricetta ideale per alleviare la nostalgia da vacanza: basta unire un luogo simbolo della cultura italiana e milanese, il Giardino di Alessandro, bollicine eccellenti e il caviale italiano più celebre al mondo. Il risultato è un’esperienza irripetibile da veri intenditori. Fino alla fine di ottobre, infatti, i due marchi simbolo dell’enogastronomia made in Italy saranno protagonisti da “VOCE in Giardino”, il nuovo spazio all’aperto di VOCE Aimo e Nadia situato tra le Gallerie d’Italia e l’antica Casa del Manzoni. Circondati da sculture di Joan Miró, Giò Pomodoro, Jean Arp e Pietro Cascella, gli ospiti di “VOCE in giardino” possono scoprire in quest’angolo di verde nel cuore di Milano Calvisius Tradition Royal, Siberian e Beluga. Dall’iconico Spaghetto al caviale omaggio a Gualtiero Marchesi da degustare in abbinamento alle migliori bollicine Ferrari Trentodoc come Perlé 2014, Riserva Lunelli 2009 e Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2007. Apertura del locale dalle 12:00 alle 15:00 e dalle 18:00 alle 24:00. VOCE in Giardino Via Alessandro Manzoni 10 20121 Milano >> Link: www.voceaimoenadia.com – www.calvisius.it – www.ferraritrento.com

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Le cantine “in fermento” dell’associazione “Bianchello d’Autore”

LA RIVINCITA DEL BIANCHELLO DEL METAURO di Massimiliano Rella

I nove produttori di Bianchello del Metauro riuniti nell’associazione “Bianchello d’Autore”. In piedi, da sinistra, Tommaso Di Sante, Cantina Di Sante; Cesare Mariotti, Cantina Mariotti; Mattia Marcantoni, Cantina Il Conventino di Monteciccardo; Luca Avenanti, Cantina Terracruda; Stefano Bruscia, Cantina Bruscia. Seduti, Stefano Tonelli, Fattoria Villa Ligi; Carla Fiorini, Cantina Fiorini; Claudio Morelli, Cantina Morelli; Fabio Bucchini, Cantina Cignano.

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esso in ombra dalla fama del Verdicchio, il Bianchello del Metauro Doc prova a farsi largo tra i grandi del vino marchigiano. Nel 2019 questo bianco interessante e poco conosciuto ha festeggiato i cinquant’anni dal riconoscimento della denominazione d’origine controllata (1969) ma è ancora una realtà dai numeri modesti — 200 ettari in 13 comuni e 1,2 milioni di bottiglie nel 2018 — e dalla storia ammantata di leggenda. Si narra infatti che nel 207 a.C. i Romani riuscirono a sconfiggere le truppe cartaginesi di Asdrubale nella battaglia del fiume Metauro perché alcuni soldati avversari avevano abusato di un vino bianco locale, piacevole e beverino, consegnando un po’ ubriachi la vittoria ai legionari di GAIO CLAUDIO NERONE. Così scrisse TACITO alla vigilia dello scontro e ci piace pensare all’alleanza del Bianchello contro l’invasore. Da sempre il Bianchello del Metauro è un vino-vitigno che deve il suo nome al colore tenue degli acini, un autoctono di questo territorio collinare punteggiato di borghi medievali, in provincia di PesaroUrbino. Di buona freschezza, sapidità e acidità, si produce con uve Biancame (o Bianchello), minimo 95%, con la possibilità di un 5% di Malvasia bianca lunga. La versione Superiore (introdotta nel 2014) prevede una maggior selezione dei grappoli, rese/ettaro più basse e un grado alcolico di 12,5% contro l’11,5% del vino DOC versione fermo e giovane. Al gusto il Superiore ha un naso più ampio e sfumature agrumate di fiori bianchi e frutti gialli. Nel 2014, però, il Disciplinare modificato inserì anche le versioni passito e spumante (Charmat e Metodo classico); tipologie dalle sensazioni agrumate, le bollicine, e di miele d’acacia o girasole, i passiti. Dal vino semplice e beverino di un tempo il Bianchello del Metauro si sta ritagliando le caratteristiche di un prodotto di personalità e longevità… Attualmente sono 25 le cantine che lo producono e da un paio d’anni 9 di queste aziende si sono riunite nell’associazione “Bianchello d’Autore”. Tutte insieme producono 6.000 ettolitri di vino certificati, 500.000 bottiglie l’anno di Bianchello del Metauro DOC e altrettante etichette con altri vitigni del territorio e internazionali.

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Tra le cantine del progetto troviamo Di Sante (www.disantevini.it), il cui titolare, TOMMASO DI SANTE, ci spiega che «il Bianchello è da sempre percepito come un vino giovane e di facile beva; oggi però stiamo dimostrando che ha belle potenzialità d’affinamento, anche in legno. La modifica del Disciplinare ci ha aperto nuove prospettive e il territorio adesso è in fermento». Un’altra è Cantina Claudio Morelli (www.claudiomorelli.it), nata negli anni ‘30 per la commercializzazione del vino, costruita negli anni ‘50 e le cui prime bottiglie a marchio uscirono nel ‘60. A metà anni ‘70 il produttore Claudio Morelli si orientò verso la qualità, introducendo ad esempio il controllo delle temperature e la spremitura soffice. Negli anni ‘80 comprò le prime vigne, oggi arrivate a 20 ettari in diversi appezzamenti. Oltre al Bianchello del Metauro, coltiva Sangiovese, Montepulciano e Cabernet per produrre solo vini da monovitigno. Per i bianchi sono tre le etichette di Bianchello del Metauro Doc. LUCA ADENANTI è il giovane proprietario di Terracruda (www.terracruda.it), azienda nata nel 2005 ma con vigne di famiglia da oltre 50 anni nel comune di Fratte Rosa, 22 ettari a 350 metri slm. Prima della costruzione della struttura vendevano alla cantina sociale, oggi producono 130.000 bottiglie tra Bianchello del Metauro DOC, anche Superiore e Superiore “Riserva” (un anno di legno, prima annata nel 2007), gli spumanti Charmat e Metodo classico e un passito.

Totale 7 tipologie di Bianchello (circa 65.000 bottiglie) più i rossi delle DOC Pergola Rosso da uve Aleatico e Colli Pesaresi Sangiovese DOC. Guarda alla longevità e alle nuove interpretazioni FABIO BUCCHINI di Cantina Cignano (www.cantinacignano.it). L’azienda è situata tra colline d’arenaria gialla a 6 km da Fossombrone, nella vallata del torrente Tarugo, un affluente del Metauro. Famiglia di mezzadri fino agli anni ‘60, i Bucchini pian piano acquistano terra fino ad arrivare a 80 ettari, 15 dei quali a vigna in un unico corpo e 1 ad uliveto, a 220-240 metri slm. Coltivano 9 ettari di Bianchello del Metauro, ma anche Sangiovese, Montepulciano e Sauvignon blanc. La produzione comprende 4 etichette di Bianchello del Metauro DOC: 20.000 bottiglie sul totale di 30.000. Un’ultima novità ci arriva da Lady Bianchello, la produttrice CARLA FIORINi, proprietaria dell’azienda agraria Fiorini (www.fioriniwines.it) e unica donna del gruppo del Bianchello d’Autore. Di recente ha lanciato la serie dei Pop Wine, vini “particolari” volti a interpretare il Bianchello in modo nuovo, non convenzionale. Per descrivere questo obiettivo, Fiorini ha trovato il parallelo perfetto con la Pop Art. Un omaggio che passa anche dagli stessi nomi, ispirati a tre dei suoi più celebri interpreti: ANDY WHAROL e KEITH HARING (per “Radiant Baby”, dalla serie di icone dell’artista statunitense). Insieme a loro, completa il trio un rosso, Roy (da ROY LIECHTENSTEIN). Massimiliano Rella

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Ca’ Olivassi: anche a Noale si può fare vino di Gian Omar Bison

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idea che a Noale si possa vinificare un rosso pregevole, di respiro nazionale, potrebbe suonare azzardata se non bizzarra. Vitigno autoctono? Neanche per sogno! Un Merlot, come non ce ne fosse già abbastanza. Non siamo in collina, non siamo subito ai

piedi della collina e siamo in provincia di Venezia. Più che un enologo verrebbe da chiedersi se potrebbe servire un alchimista. Eppure LINO TOSATTO, dell’azienda agricola Ca’ Olivassi, col suo Quartese e la sua Decima, è la prova di quanto sia sindacabile a volte il dogma delle zone vocate (“fuori da queste

«Abbiamo ottenuto un’uva di qualità, abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo in vigna» ripete Lino Tosatto ai suoi collaboratori terminata la vendemmia. «Adesso il potenziale vino di qualità eccelsa, in cantina, si può solo danneggiare. Stiamo attenti che questo non avvenga e lasciamo fare alla natura».

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neanche l’edera attecchisce” dicono i più) se la cura e l’attenzione in vigna e in cantina sono maniacali. Ed è la dimostrazione che anche a Noale, con la giusta dedizione, è possibile produrre un gran vino. Ma ci vuole un contadino, come ama definirsi nonostante la laurea in Scienze politiche, non un professore e neanche un poeta, con tutto il rispetto per professori e poeti. Un visionario umile e determinato a non fermarsi davanti agli stereotipi del qui sì e lì no; a non farsi dettare la linea soltanto dai manuali. L’azienda agricola esiste e lavora dai primi del Novecento grazie alle fatiche del nonno e del padre di Lino. Una tipica gestione familiare che, oltre alla sussistenza, ha sempre coltivato e allevato per vendere ortaggi, cereali, carne e insaccati, uova e latte nel territorio limitrofo. Il vino? Un alimento per consumo domestico. Merlot anche allora, «non esattamente di pregevole fattura» ricorda Lino. «Eppure i terreni sono gli stessi e nei tre ettari di superficie vitata complessiva che ad oggi lavoro le vigne più vecchie hanno qualche decennio». Cos’è cambiato? «Da appassionato di vino e di vigne e da gran viaggiatore mi sono convinto che sotto il profilo geografico fossimo in un’area vocata alla viticoltura: alla giusta latitudine, storicamente attraversata da fiumi e acque superficiali che hanno segnato le campagne. Una zona adatta da un

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Il Quartese rappresenta in toto la volontĂ aziendale ossia cercare il massimo carattere che può derivare dall’espressione tra vitigno, terreno e ambiente per proseguire nella vinificazione naturale dell’uva in cantina, senza alcun intervento aggiuntivo. punto di vista geologico e della composizione dei terreni come poi le analisi ci hanno confermato. Nel corso dei secoli il territorio della gronda lagunare veneziana ha subito trasformazioni significative dal punto di vista idrogeologico. Il letto del fiume Dragonziolo negli anni ‘60 ha cambiato il suo corso lasciando un terreno fertile e particolarmente ricco di elementi nutritivi che ne fanno luogo ideale per la cultura della viteÂť. E allora come tirarne fuori un vino di qualitĂ da tutto questo? Come dare corso alla sua idea di vino? ÂŤLavorando bene in vigna con tanto di sovescio e concimazione naturale con letame di bovine da latte, per ricavarne uve di qualitĂ . Ed estrema pulizia nelle pratiche di cantinaÂť. PerchĂŠ per Lino è semplice: se lavori bene in vigna e porti a vendemmia uva sana e matura intervenendo di potatura verde, di selezione grappolo per grappolo, scartando quanto basta, il vino buono è solo una conseguenza.

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ÂŤPrima mio nonno Alessio (un ragazzo del ‘99), poi mio padre Domenico, detto MĂŠnei Olivasso, mi hanno ispirato i ÂŤsaperiâ€? dell’agricoltura: il saper essere in sintonia con la natura; l’utilizzo saggio delle risorse; il rispetto dei cicli vitali; il rispetto della vita. Saperi che per secoli hanno guidato la vita nei campi ed hanno consentito a una moltitudine di contadini e agricoltori di operare in equilibrio con l’ambiente senza danneggiarlo, anzi contribuendo a plasmare e ad abbellire il paesaggio agrario. Non vedo perchĂŠ nell’allevamento della vite e nella vinificazione si debba avere un atteggiamento diverso. Non lo capisco neanche per gli industriali del vino. Ăˆ un caposaldo che condivido con mia moglie Stefania e certamente un insegnamento che proverò a trasmettere ai mie figli ancora piccoliÂť. Dopo la vendemmia si procede con l’appassimento delle uve in fruttaia, poggiando i grappoli nei plateau per evitare la sovrapposizione degli acini. Una fase che si protrae per un periodo variabile

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A destra: Lino Tosatto. In basso: le viti della tenuta godono di una posizione ottimale, in prossimità della laguna di Venezia, dove la terra è ricca di elementi nutritivi che forniscono caratteristiche organolettiche uniche. Ma la qualità del vino è soprattutto il risultato di un’attentissima cura del vigneto.

dagli 45 ai 60 giorni. «L’appassimento dell’uva — sottolinea Lino — comporta un graduale aumento del contenuto zuccherino, una concentrazione ed un aumento delle sostanze coloranti (antociani) e dei composti fenolici. Queste concentrazioni, oltre ad aumentare la gradazione alcolica, conferiscono più struttura e corpo ed una colorazione più profonda rispetto ad un vino normale». Si passa alla pigiatura e si lascia fermentare il mosto in tini aperti di castagno esclusivamente con l’azione di lieviti indigeni. «Ne ho in abbondanza e concorrono ad arricchire e rendere caratteristico il corredo aromatico del vino». Pressatura soffice e una volta pronto avviene il travaso del vino in botti di

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rovere da 5 hl dove matura per almeno 18-24 mesi. Da qui l’immissione in bottiglia e l’affinamento per almeno sei mesi prima dell’immissione sul mercato. Nessuna filtrazione forzata. Parliamo di vini robusti, dal tenore alcolico importante (14/14.5%), con profumi che spaziano dalla frutta a bacca rossa alle more, liquirizia, spezie come la cannella, il chiodo di garofano, fino al cioccolato e al tabacco dolce. In bocca il sorso è pieno e appagante, equilibrato tra morbidezza, amabilità, freschezza e tannicità levigata che rendono la beva piacevole. Si abbina a carni rosse importanti, selvaggina, preparazioni stufate e in umido, formaggi stagionati. Ma vi posso assicurare che anche da solo, quasi da

meditazione, raggiunge i livelli eccelsi dei migliori passiti secchi. Perché Quartese e Decima? «Perché erano oneri reali corrispondenti, nel caso del Quartese, alla quarantesima parte dei frutti raccolti — evidenzia Lino — che a sua volta deriva dalla divisione (IX secolo) delle decime domenicali vescovili in quattro parti: una per il vescovo, una per i poveri, una per la manutenzione della chiesa e una per il sostentamento del clero. È un mondo che sembra lontano ma è stato parte importante della storia contadina e cattolica del Veneto». E se lo dice Lino, democristiano mai pentito e amministratore per anni del comune di Noale, possiamo credergli. Anche perché, «ebbi occasione di far assaggiare ad un alto prelato della curia vescovile di Treviso un vino prodotto in azienda. E questi appena assaggiato esclamo: “Senti che bon! Questo el xe proprio un vin da messa!”». Tra un paio di anni, per completare la proposta, Ca’ Olivassi uscirà con un vino a bacca bianca, del quale Lino non ha voluto confermare il vitigno. «Si tratta di un vitigno che già esisteva ed esiste tuttora nella nostra tenuta in piccolissima quantità (il vino prodotto al momento non viene commercializzato, NdR), e dalle quali viti abbiamo selezionato i tralci migliori per produrre nuove barbatelle che già sono state messe a dimora». Gian Omar Bison >> Link: www.caolivassi.it

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: viaggio al Lago di Garda, la sponda lombarda di Laura Franchini

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l lago più grande del nostro Paese racchiude molteplici panorami, sapori, tradizioni. Riduttivo parlare del Garda in senso generico, in quanto si tratta di territori differenti per differenti opportunità turistiche, di svago e di cultura. Anche le tradizioni enogastronomiche sono molteplici, a seconda delle zone. Percorrendo la Gardesana occidentale, la strada che lo costeggia, si ammirano i paesi affacciati sull’acqua godendo di scorci paesaggistici sorprendenti e scoprendo specialità indimenticabili. Apprezzatissimo l’olio d‘oliva, ma troviamo anche formaggi, vini Doc, salumi e diversi locali dediti alla divulgazione del gusto e delle tipicità. Partendo da Sirmione, celebrata da GOETHE e STENDHAL, ci si potrà rilassare alle terme e dedicarsi alla visita delle Grotte di Catullo e della Rocca Scaligera, ma abbiamo anche la possibilità di gustare diversi piatti preparati con il pesce di lago, come coregone, luccio, alborella e trota lacustre, accompagnati da polenta fumante. Nel centro di Salò, poco distante dal Duomo di Santa Maria Annunziata, la Pasticceria

Vassalli, locale storico, è imperdibile erdibile sosta t per gli amanti del cioccolato d’autore. Continuando verso nord si arriva a Gardone Riviera, famoso per ospitare il Vittoriale degli Italiani. Presso il ristorante del Grand Hotel potremo gustare gli squisiti ravioli allo Zafferano di Pozzolengo. Lasciatevi uno spazio per il dessert e dirigetevi a Toscolano Maderno, dove troverete la squisita omonima torta a base di crema pasticcera al limone. I limoni, i dorati frutti del Garda, sono indiscussi protagonisti della Riviera gardesana, declinati in molte proposte, tra le quali troviamo marmellate, dolci e liquori. Non dimenticate di salire a Tremosine, il balcone del Garda, per ammirare l’incredibile vista che regala dall’alto e per gustare la formaggella di Tremosine, formaggio tipico proposto in diverse versioni, anche al tartufo e con le olive gardesane. Accanto a queste e tante altre proposte di gusto che la costa bresciana del lago regala, vi proponiamo alcune eccellenze vinicole locali che potrete degustare ovunque.

CONOSCI TU IL PAESE DOVE FIORISCONO I LIMONI? BRILLANO TRA LE FOGLIE CUPE LE ARANCE D’ORO, UNA BREZZA LIEVE DAL CIELO AZZURRO SPIRA, IL MIRTO È IMMOBILE, ALTO È L’ALLORO! LO CONOSCI TU? LAGGIÙ! LAGGIÙ! O AMATO MIO, CON TE VORREI ANDARE! (J.W. von GOETHE)

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Il vino gardesano bene si accompagna ai piatti tipici della tradizione locale. Lugana o Garda Classico Chiaretto ad esempio sono ottimi da sorseggiare gustando il pesce di lago, come il luccio (photo Š Artem Shadrin – stock.adobe.com).

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Lugana DOC Arilica Pilandro Inizia nel 1980 l’avventura vinicola della FAMIGLIA LAVELLI, quando acquista vigneti e la Tenuta Pilandro, eretta a San Martino della Battaglia tra il XV e il XVI secolo nel cuore della Lugana. Un’avventura declinata alla tradizione e al rispetto delle tipicità del territorio e dei vitigni, che si ritrova tutta nei calici dei vini proposti. Affina in botti di rovere questo calice prodotto con uve Turbiana in purezza, caratterizzato da un’estrema eleganza, con incisività di struttura e persistenza. Di un bel giallo paglierino con sgargianti riflessi dorati, regala alla degustazione olfattiva note intense e pulitissime, altrettanto sgargianti. Sono profumi di fiori di acacia e glicine, note fruttate e ammandorlate, ottima la speziatura a contorno. Altrettanto convincente la sorsata, equilibrata e morbida, perfetto il sostegno della spalla acida. Un vino armonico, deciso, elegante, perfetto ad accompagnare piatti di pesce anche mediamente strutturati.

Azienda Agricola Pilandro di Lavelli Pietro Località Pilandro 1 (Uscita A4 Sirmione) 25015 Desenzano del Garda (BS) Telefono: 030 9910363 E-mail: info@pilandro.it Web: www.pilandro.com ndro.com

Lugana DOC Limne Roveglia È ora la quarta generazione della FAMIGLIA AZZONE a tenere le redini di questa bella realtà che ha origini nel lontano 1404, quando la famiglia Roveglio acquistò terreni e cascine dal monastero San Salvatore di Brescia (oggi Santa Giulia di Brescia). Verso la fine dell’Ottocento FEDERICO ZWEIFEL, nonno degli attuali proprietari, lasciò la natia Svizzera e si innamorò del Lago di Garda, dove trovò terreni che si rivelarono adatti alla coltivazione delle vigne. I prodotti di questa versatile realtà, moderna nelle tecnologie quanto attaccata alle tradizioni della sua stessa storia, sono convincenti e costanti nella qualità. Come questo calice, uve Turbiana al 100%, che fermenta esclusivamente in botti di acciaio. Il colore è limpido e brillante, giallo paglierino netto. Al naso porge distintamente note fruttate finissime e persistenti, con piccoli ricordi vegetali e speziati. Armonia precisissima anche al palato, dove le tinte acide si integrano perfettamente con le parti alcoliche e morbide del vino. Un calice perfetto da servire fresco nelle calde sere estive, che accompagnerà perfettamente piatti di pesce, di lago e di mare, in tutte le stagioni.

Tenuta Roveglia Loc. Roveglia 1 25010 Pozzolengo (BS) Telefono: 030 918663 E-mail: info@tenutaroveglia.it Web: tenutaroveglia.com

Riviera del Garda Classico Rosso Dunant Podere Selva Capuzza Siamo a soli 4 chilometri dalle rive del Garda con questa cantina, posizionata all’inizio dell’anfiteatro morenico, ad un’altitudine di circa 120 metri slm. Un contesto ambientale unico, che ha portato la proprietà a dedicarsi con passione alle uve autoctone del territorio, come Turbiana, Tuchì, Groppello, Marzemino, Barbera e Sangiovese. Questo calice è prodotto con uve Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera, rigorosamente raccolte a mano. Visivamente è di un color rosso rubino limpido, mentre alla degustazione olfattiva si apre deciso e ammaliante, con tinte fruttate di frutti di bosco e confettura di marasca, foglie di tabacco e vaniglia, rami spezzati e pepe nero, note nette e linde. Non delude la sorsata, piena e lunga, assolutamente equilibrata, fresca e vellutata. Ottima la beva, elegante e ben abbinabile. Da provare coi salumi del territorio, con piatti di carne, anche strutturati, umidi e stracotti.

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Società Agricola Selva Capuzza 25015 Desenzano del Garda (BS) Telefono: 030 9910381 E-mail: ufficio@selvacapuzza.it Web: www.selvacapuzza.it ap puzza.it

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Capriano del Colle DOC Bianco Superiore Otten:2 2015 San Michele

Cantina San Michele Via Parrocchia 57 25020 Capriano del Colle (BS) Telefono: 030 9444091 E-mail: info@sanmichelevini.it Web: www.sanmichelevini.it

Nel 2011 questa interessantissima realtà vinicola assiste ad un cambiamento che porterà una decisa evoluzione a tutta la produzione. Si tratta dell’ingresso della nuova generazione della FAMIGLIA DANESI, che li vedrà impegnati in un rinnovamento produttivo, dirigendosi verso il regime biologico e verso una costate ricerca qualitativa. Una volontà decisa, che si ritrova tutta in questo vino, unico e caratteristico. Sono uve Trebbiano al 100%, parte delle quali vengono sottoposte all’attacco della muffa nobile e vendemmiate tardivamente. Successivamente fermentano in vasche di acciaio a temperatura controllata per 15 giorni, affinano poi in vasche di cemento e altri 12 mesi in bottiglia. Il risultato è un vino di grande carattere con un’olfattiva intensa e persistente e una grande armonia. Sono note eleganti di fiori e di spezie, noce moscata e zafferano, con ricordi agrumati e fruttati. Il palato è fresco e sapido, equilibrato e lungo, con raffinatezza. Un vino trasversale, adattissimo all’abbinamento con formaggi evoluti e crudi di pesce.

Valtènesi Doc Chiaretto Rosagreen biologico Pasini San Giovanni

Pasini Azienda Agricola San Giovanni Via Videlle 2 25080 Raffa di Puegnago (BS) Telefono: 0365 651419 E-mail: info@pasinisangiovanni.it Web: www.pasinisangiovanni.it

Fondata da ANDREA PASINI nel 1958 e condotta tutt’oggi in famiglia, alla terza generazione di vignaioli, la Pasini San Giovanni è una realtà particolarmente attenta al rispetto del territorio e dell’ambiente, con scelte produttive ecologiche e sostenibili, oggi così importanti. Il calice proposto è prodotto con uve del vitigno autoctono Groppello, nel pieno rispetto della DOC Valtènesi. I vigneti si trovano nei pressi delle buche del golf di Soiano e sono coltivati in agricoltura biologica. Visivamente il rosato è limpido e brillante, al naso si esprime con gusto e grande finezza, note floreali e fruttate delicate ma nette, con ricordi di piccola speziatura e tinte vegetali armoniche. Sorsata gentile ma di carattere, con una perfetta spalla acida a sostegno, fresca e sapida. Un calice versatile, che si presta al rito dell’aperitivo quanto al pasto, perfetto con formaggi freschi, piatti di carne, cucine esotiche e tranci di pizza.

Lugana DOP Bio Perla del Garda

Perla del Garda Via Fenil Vecchio 9 25017 Lonato del Garda (BS) Telefono: 030 9103109 E-mail: info@perladelgarda.it Web: www.perladelgarda.it

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Perla del Garda è una cantina su tre livelli, ideata per consentire la cosiddetta “vinificazione a caduta”. Una scelta importante, in linea con la filosofia aziendale, che vede i titolari impegnati in un’opera di consolidamento di azioni rivolte al rispetto dell’ambiente e delle zone circostanti, soprattutto delle colline moreniche che ospitano i vigneti. Quindi filiera certificata, regimi biologici, sostenibilità. Uve in purezza Turbiana per questo calice brillante e convincente, già dall’aspetto visivo. Al naso si apre altrettanto brillantemente con note fini e pulite di fiori e frutti, ricordi di erbe aromatiche, un’olfattiva fresca, giovane, di grande fascino. Anche la sorsata è freschissima, sapida quanto ben bilanciata, parti morbide e dure in assoluto equilibrio. Un calice da servire ben freddo, particolarmente adatto agli aperitivi, ai fritti di pesce, alle grigliate di pesce di lago, coregone e luccio con polenta.

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WEEK-END Emozioni in Malga, in calendario dal 17 ottobre al 7 novembre

Speck, formaggi e passeggiate di Riccardo Lagorio

Rio Pusteria: le attività proposte da Emozioni in Malga sono gratuite per gli ospiti delle strutture aderenti presenti in quest’area (photo © Hannes Niederkofler).

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mozioni in Malga è un’iniziativa all’insegna della ruralità, del divertimento e del sano movimento per godere della stagione autunnale sulle Alpi altoatesine, voluta per mettere a disposizione dei turisti la possibilità di conoscere il territorio anche durante una stagione insolita. È un calendario settimanale che dal 17 ottobre al 7 novembre propone attività adatte a tutti i gusti e le età che combinano esperienze pensate per vivere e partecipare, osservare e gustare, tra sapori e tradizioni, paesaggi di montagna ed escursioni. Il programma è valido dal lunedì al sabato e dà la possibilità di partecipare, su prenotazione, a tutte le attività oppure scegliere il singolo evento. Infatti, l’autunno è la stagione perfetta per vivere la montagna dell’Alto Adige: le giornate di ottobre e novembre, ancora soleggiate e caratterizzate da temperature miti, regalano colori e panorami da ammirare tra lunghe camminate e gustose pause in malga. L’area vacanze di sci e malghe di Rio Pusteria è una zona compresa tra la Valle Isarco e la Val Pusteria: sono luoghi che invitano a riscoprire le tradizioni del territorio tra meleti, punti panoramici e malghe che custodiscono un ricco patrimonio culturale e culinario locale. Inoltre, la partecipazione è gratuita per gli ospiti delle strutture aderenti nelle località del comprensorio; per rendere la vacanza ancora più intensa ed interessante per tutti gli altri è richiesto un compenso di 8,00 euro per ogni singolo evento. Per tutta la durata di Emozioni in Malga, le baite e le malghe che aderiscono all’iniziativa propongono un particolare menu di specialità autunnali a base di prodotti tipici. Raggiungibili con semplici e panoramici sentieri escursionistici, offrono un’occasione in più per completare l’esperienza di scoperta del territorio, lasciandosi conquistare dai sapori delle tradizioni culinarie locali: tra le più particolari ricette da provare ci sono la zuppa di fieno e i canederli al cirmolo. Si può scegliere tra oltre 10 attività dedicate a chi ama le escursioni, la cucina, i sapori tipici altoatesini e i paesaggi incontaminati di queste valli. Così, dopo un piatto di speck e gnocchi al pesto di germogli di abete rosso,

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Aperitivo con lo speck a Rio Pusteria (photo © www.eventiesagre.it).

Emozioni in Malga invitano il turista a conoscere da vicino questa terra, la sua gente e le sue usanze per rendere la vacanza ancora più intensa e interessante. Accompagnati dai colori autunnali, dall’aria fresca di montagna e dai sapori tipici, tra speck, dolci alle mele ed erbe aromatiche c’è la possibilità di cucinarsi il proprio strüdel insieme a una coltivatrice e alla Reginetta della Mela alla taverna Walderhof a Naz; Vivere l’Alpe propone un’escursione guidata all’alpe di Velturno e la preparazione di un Muas, specialità contadina a base di sciroppo di sambuco. Con l’Escursione delle mele si intraprende una passeggiata attraverso l’area frutticola in compagnia di un coltivatore locale, seguita da una degustazione a base di mele; Cucina contadina alla croce di punta combina un’escursione alla degustazione di prodotti tipici prodotti provenienti dai masi del territorio. Le capre e i loro doni suggerisce una visita al maso Untereggerhof in località Valles con degustazione di prodotti e presentazione di cosmetici naturali legati al latte caprino; Storie di spelonca conduce tra boschi ed erbe aromatiche fino ad un maso di montagna dove gustare golose specialità. Non la solita briscola è un’iniziativa dedicata all’arte del Watten che permette di imparare il tradizionale gioco di carte in una baita sul mon-

te Jochtal; Formaggio & Birra offre una degustazione di formaggi e birra artigianale col maestro casaro e sommelier di birra HUBERT STOCKNER, sull’Alpe Velturno. Gli effetti positivi del Pino Mugo presenta un’escursione all’alba sull’Alpe di Villandro per conoscere il Pino Mugo, seguita da una ricca colazione; Le erbe dell’alpe di Luson portano sull’Alpe di Luson con un’esperta di erbe, che durante una passeggiata tra l’aria fresca di alta montagna e gli ultimi raggi sole, rivela i segreti delle erbe officinali e delle loro proprietà terapeutiche. Autentiche storie di malga propone una piacevole passeggiata sul monte Gitschberg tra storie, saghe e leggende sulle montagne dell’Alto Adige; con La meraviglia del tramonto si può vivere una magica escursione nel bosco con vista sulle montagne infuocate, mentre La via del legno regala l’esperienza di una camminata dalla montagna al paese, seguendo il filo rosso del legno e delle tradizioni legate a questo materiale. Riccardo Lagorio >> Link: www.emozioni-in-malga.it

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ACQUALAGNA E LA SUA TRUFFLE EXPERIENCE di Massimiliano Rella 110

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n autunno potremmo aspettarci una Fiera Nazionale del Tartufo di Acqualagna un po’ diversa da sempre, complice l’emergenza da coronavirus e la “manna” del distanziamento sociale prolungato. Mentre andiamo in stampa, ci rispondono dal piccolo comune marchigiano, in provincia di Pesaro Urbino, che la 55a edizione in agenda tra fine ottobre e il mese di novembre è confermata, ma con modalità che terranno conto delle prescrizioni sanitarie e probabilmente sarà spalmata su un periodo più lungo.

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A sinistra: tartufo bianco di Acqualagna. In alto: a caccia di tartufi d’Acqualagna con il cercatore Giorgio Remedia e il suo cane Lili.

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Suprema di faraona al tartufo bianco. Il paese di Acqualagna nelle scorse settimane ha preso anche contatti con i municipi concorrenti di Alba, in Piemonte, e San Miniato, in Toscana, per sondare il terreno e confermare i grandi appuntamenti dell’autunno che attirano migliaia di buongustai, anche molto ricchi, interessati al più pregiato dei tartufi, il Tuber Magnatum Pico, i cui meravigliosi profumi “affiorano” dalla terra soltanto tra fine settembre e dicembre. L’intera filiera del turismo dedicata alla truffle experience muove ad Acqualagna un giro d’affari di 30 milioni di euro l’anno, in tutte le stagioni, qui misurate in varietà tartufo. A ogni stagione il suo: il Bianco pregiato (Tuber Magnatum Pico) dall’ultima domenica di settembre al 31 dicembre; il Nero pregiato (Tuber Melanosporum Vitt.) dal 1o dicembre al 15 marzo; il Tartufo Bianchetto (Tuber Borchii Vitt.) dal 15

gennaio al 15 aprile; infine, il Tartufo nero estivo (Tuber Aestivum Vitt.) da giugno ad agosto. Turisti, insomma, letteralmente presi per la gola tra sagre e tavolate in osterie e ristoranti che non si fanno mai mancare un piatto al tartufo di stagione, fino a vere ricerche in campo guidati da un esperto cercatore e dal suo fidatissimo cane (noi siamo andati tra i boschi con GIORGIO REMEDIA e il piccolo Lili, un bel bracco incrociato a un pointer). Ogni tre-quattro mesi, Covid permettendo, c’è anche una fiera. Quella del Nero pregiato in pieno inverno, quella del Nero estivo ad agosto, quella del Bianco pregiato il prossimo ottobrenovembre, nelle modalità che verranno rese note dopo l’estate. Acqualagna, non per caso, è la patria dei cercatori di tartufo, autentici custodi di segreti e tecniche di ricerca e metodi di addestramento dei cani.

ACQUALAGNA E TARTUFO VUOLE DIRE 250 TARTUFAIE COLTIVATE DI TARTUFO NERO E UNA DECINA DI TARTUFAIE SPERIMENTALI CONTROLLATE DI BIANCO PREGIATO, 8 AZIENDE DI TRASFORMAZIONE E 10 PUNTI VENDITA DI TARTUFO, PIÙ UN MUSEO A TEMA

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Pensate che almeno un cittadino su due ha il patentino da cercatore (sono 2.200) e che il 70% dei cani da tartufo proviene da questo tranquillo e ricco paese marchigiano. Parlare di Acqualagna e tartufo significa contare 250 tartufaie coltivate (di tartufo nero e una decina di tartufaie sperimentali controllate di Bianco pregiato), 8 aziende di trasformazione e 10 punti vendita di tartufo, come L’Officina del Semplice o il negozio Le Trifole, per citare un paio di negozi. Al tartufo è dedicato pure un museo a tema — è quasi banale dirlo — (www.museotartufoacqualagna.it) in piazza Enrico Mattei, dove il visitatore può scoprire tutto sul pregiato tubero e le sue varietà seguendo un percorso multisensoriale accompagnato da video ed esperienze digitali, tra mappe olfattive e teatro virtuale. Invece, attraverso il sito del comune (www.acqualagna.com) abbiamo l’aggiornamento costante sui prezzi della borsa del tartufo, le cui quotazioni sono raccolte giornalmente da un osservatorio che stabilisce un valore medio riferito alla qualità e alla pezzatura, da: 0-15 grammi, 15-50 grammi e superiore a 50 grammi. In cucina il tartufo si consuma crudo ed è perfetto su primi piatti, risotti, carni crude, insalate di funghi, frittate, uova a occhio di bue, omelette, scaloppine, crostini caldi, ma si presta anche per abbinamenti imprevedibili per esempio con pesce, spezie e verdure. Noi abbiamo assaggiato un’ottima Suprema di faraona al tartufo bianco e il delicato Uovo al tartufo bianco su crema di patate parmentier. Il Bianco pregiato è il più famoso e costoso dei tartufi. Di forma rotondeggiante, con cavità e sporgenze, esternamente quasi liscio e giallo-biancastro, ma di un colore interno che varia in base al grado di maturazione della pianta con cui il tubero ha vissuto in simbiosi (dal bianco al marrone fino al rosato). Il profumo è deciso e molto aromatico. Solitamente è consumato crudo, affettato. Si conserva per poco tempo, passando in breve dalla maturazione alla marcescenza. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Nasce il Registro della Rete dei Cammini Veneti La Regione del Veneto ha istituito il Registro della Rete dei Cammini Veneti. Lo ha fatto con una delibera, approvata dalla Giunta su proposta dell’assessore al turismo Federico Caner, che individua le modalità e i termini per l’iscrizione, l’aggiornamento e la pubblicizzazione di itinerari da percorrere a piedi, attraverso località e siti di interesse storico, culturale, religioso, naturalistico, paesaggistico, enogastronomico. «Si tratta — spiega Caner — di una forma di escursionismo, di visita e di scoperta dei territori che sta conoscendo una fortissima espansione. Il moltiplicarsi di prodotti editoriali e di siti internet specializzati dedicati ai cammini testimonia non solo un crescente interesse per questo genere di offerta turistica ecosostenibile, ma anche un costante aumento del numero di appassionati per un’attività che, se fino a qualche anno fa era ricondotta prevalentemente al famoso pellegrinaggio a Santiago de Compostela, oggi viene proposta in tutta Europa, non solo recuperando e valorizzando gli antichi cammini dei pellegrini, ma anche collegando tra loro luoghi di grande fascino e attrattiva. La nostra regione si è dotata qualche mese fa di un’apposita legge per il riconoscimento e la valorizzazione dei propri cammini. Ora diamo concretezza alla norma e, nell’ambito delle azioni di promozione dello sviluppo sostenibile del territorio e del patrimonio naturale, storico-paesaggistico e delle tradizioni locali che lo caratterizzano, intendiamo favorire questo genere di proposta, contribuendo così ad arricchire e diversificare ulteriormente l’offerta turistica veneta». Il Registro della Rete dei Cammini Veneti è diviso in quattro sezioni: itinerari culturali riconosciuti da parte del Consiglio d’Europa; cammini interregionali riconosciuti dal Ministero competente in materia di beni e attività culturali e di turismo; cammini individuati a seguito di intese con altre regioni o accordi con enti locali; cammini locali di interesse regionale. Il Registro individua per ogni cammino riconosciuto dalla regione quale cammino locale di interesse regionale i seguenti dati: il soggetto gestore, il tracciato del cammino e la relativa cartografia; le informazioni necessarie a evidenziare il legame storico, culturale, religioso, naturalistico, ambientale, paesaggistico, enogastronomico fra i luoghi interessati nel cammino; gli elementi utili a garantire la fruibilità dei cammini, quali le indicazioni delle tappe e delle strutture di pubblico servizio presenti lungo il percorso e i tempi medi di percorrenza, per categorie di utenti. Per quanto riguarda le prime due sezioni, tra gli itinerari culturali del Consiglio d’Europa che attraversano il Veneto c’è, ad esempio, il Cammino di San Martino di Tours, mentre nell’Atlante dei Cammini d’Italia riconosciuti dal MIBACT quelli interregionali che interessano la regione Veneto sono la Via Claudia Augusta, la Via Romea Germanica, il Cammino di Sant’Antonio e la Romea Strata (fonte: Regione del Veneto, Giunta regionale; in foto, due escursionisti nei pressi del Lago di Garda; photo © Emanuela Micheli).

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IL GUSTO DI CAMMINARE

Bar to Bar Andando per Langa, tra le zone del Barbaresco e quelle del Barolo di Elena Simonini

T

utte le stagioni sono belle per infilare le scarpe da trekking e andare per cammini, ma l’autunno di più. Non solo per i colori, per il vento tiepido e per i profumi, ma anche perché, a ben guardare, l’autunno e il camminare si assomigliano. Entrambi scorrono silenziosi, lenti ma inesorabili. E poi le foglie sono proprio come i passi, i quali cadono a terra sempre uno dietro l’altro, uno dietro l’altro.

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Andare per sentieri immergendosi dentro la mite luce dell’autunno è una delle cose che preferisco. Perché rappresenta davvero un’esperienza stupenda, in grado di restituire un’indescrivibile dolcezza che è al tempo stesso malinconica e vitale, con gli alberi fuori che si accartocciano, le luci dentro alle finestre che si accendono, e poi con l’aria che odora tutta di caminetti e di mosto. Tra i vari e diversi itinerari che si possono percorrere in autunno, i più

suggestivi sono senza dubbio quelli che si sviluppano, almeno in parte, in mezzo ai vigneti, i quali proprio in questa magica stagione si rivelano nello stupefacente tripudio di tutte le mille e incredibili variazioni dei gialli e dei rossi che la natura riesce a mescolare. È dunque per questa ragione che stavolta, mentre le giornate si accorciano e l’aria rinfresca, ho pensato di condurvi nello strepitoso territorio delle Langhe, a passeggiare tra dolci colline

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e piccoli borghi, spesso avvolti dalla tipica e sottile foschia autunnale, in un percorso che si estende nelle zone di produzione del Barbaresco e del Barolo e che, proprio per questo motivo, viene chiamato Bar to Bar. Il Bar to Bar è un cammino ad anello che consta di circa 130 km caratterizzati da continui saliscendi, per un dislivello di oltre 3.000 metri. È percorribile in sette o più tappe, a seconda del vostro livello di preparazione, e anche a seconda del

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tempo che avrete a disposizione, perché si tratta di una strada che è proprio bello esplorare senza fretta, prendendosi anche, quando possibile, le giuste pause per godere appieno della magnifica offerta enogastronomica e culturale di tutto questo ricchissimo territorio. È possibile intraprendere il Bar to Bar in entrambe le direzioni, con partenza da ciascuna delle località lungo il cammino, anche se, di consueto, si suole avviarsi da Alba (e cioè dalla Langa

In alto: immergersi nella Langhe, tra boschi, vigneti e noccioleti, celebri per la nocciola tonda gentile. Il Bar to Bar consente di visitare tranquilli borghi medievali e ammirare vedute mozzafiato, assaporando straordinari vini e altrettanto straordinari salumi e formaggi per cui il Piemonte è noto nel mondo (photo © Rostislav Glinsky).

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Il Castello di Barolo, situato al centro del paese (photo © Alessandro Cristiano – stock.adobe.com). del Barbaresco, nella parte orientale del territorio), città sospesa in mezzo ad infinite distese di colline ricche di vigneti, che subito, ne sono certa, vi conquisterà. In ogni modo, proseguendo sul cammino, nessuna delle tappe mancherà mai di stupirvi né di incantarvi, col

continuo susseguirsi di paesaggi meravigliosi, mai monotoni e sempre diversi. Passo dopo passo, tra faticose salite e ripide discese, si avvicenderanno sotto i vostri piedi e davanti ai vostri occhi strade bianche, intriganti boschi, infinite colline vitate e splendidi terrazzamenti dai quali godere di insoliti scorci e di

panorami mozzafiato. Avrete l’immancabile opportunità di visitare deliziosi paesini e stupendi borghi arroccati, con castelli e fortezze medievali. Tra tutte le meravigliose bellezze di cui potrete nutrire lo sguardo, vi consiglio di non perdervi la salita alla piazza del borgo di La Morra la quale, dopo

Bar to Bar… salami Ovvero, quando Barolo e Barbaresco, i veri protagonisti del nostro enoico cammino, vanno ad impreziosire anche i salumi locali. Il salame al Barolo è una tipica specialità piemontese. Quello dell’Agrisalumeria Luiset — azienda agricola a filiera corta di Ferrere d’Asti (AT), tra le colline del Monferrato astigiano, con allevamento suino e relativa salumeria, nella quale trasforma le carni in salumi tipici del Piemonte — è preparato con tagli nobili del suino, insaporito con spezie, erbe aromatiche e vino Barolo, secondo un’antica ricetta contadina di Langa. Dopodiché viene insaccato in un budello naturale, legato a mano e fatto stagionare molto lentamente. Il Barolo contribuisce a donare al salume crudo una particolare colorazione rossastra, oltre ad un profumo e ad un sapore immediatamente riconoscibili all’assaggio. Il salame crudo al vino Barbaresco rappresenta l’eccellenza della produzione aziendale Luiset. “Viene preparato seguendo una preziosa ricetta di famiglia” raccontano. “Il segreto di questo salame gustoso sta non solo negli ingredienti della concia come sale, vino, spezie e aromi per esaltare il naturale gusto della carne ma anche nella scelta tra carni magre e grasse e nella proporzione tra loro. È nei salami a grana più grossa come il nostro Luiset, impreziosito con vino Barbaresco, che si distingue meglio la qualità dei tagli impiegati: parti magre rifilate e grasso duro tagliato a cubetti creano la giusta armonia fra le note più saporite e quelle dolci e avvolgenti”. I salumi e le carni Luiset si possono acquistare direttamente nel punto vendita aziendale, a Ferrere, nella Salumeria Luiset nel centro di Alba e in quella a Torino, nei pressi del Museo egizio, oppure restando comodamente a casa propria attraverso lo shop on-line. >> Link: www.agrisalumeria.it

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Serralunga d’Alba (photo © ©Pietro – stock.adobe.com). plicemente vorrete godervi la bellezza di questo paesaggio, potrete fermarvi, rilassarvi e degustare ottimi calici, direttamente presso le cantine del territorio, e così scoprire le diverse e incredibili declinazioni di note gustative che sono in grado di restituire le uve del Nebbiolo, le cui viti vedrete soavemente appoggiate sui dolcissimi pendii circostanti. E così,

poi, sicuramente rinfrancati nel fisico e nello spirito, potrete ripartire e riprendere a camminare, silenziosamente e lentamente, passo dopo passo, proprio come fa l’autunno che piano piano, inesorabilmente, accorcia la luce alle giornate e ci conduce alla stagione più fredda. Elena Simonini

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aver di fatto affrontato la scalata più faticosa dell’intero anello, vi restituirà come regalo la migliore e più suggestiva veduta, a perdita d’occhio, su tutto questo territorio unico e magnifico che è la Langa. Una volta giunti verso la zona più a sud dell’anello, verso il confine con la Liguria, vi potrete sorprendere ad ammirare un netto cambio di paesaggio il quale, piuttosto repentinamente, si trasforma da dolce e soave in selvaggio e più impervio. Qui le colline si elevano in altezza e, diventando inadatte alla coltivazione della vite, sono adibite a pascoli, a boschi, e anche ai meravigliosi noccioleti, che svettano inconfondibili, in infinite file ben ordinate, soprattutto nel territorio intorno al piccolo e davvero grazioso paesino di Cravanzana. Immancabile e irrinunciabile, infine, la sosta e la visita alle cittadine che più caratterizzano la zona, e che danno il nome al cammino, e cioè ai paesi di Barbaresco e Barolo e alle località circostanti. Durante tutto il cammino, in ogni modo, quando vi sentirete stanchi o sem-

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FIERE

MarcabyBolognaFiere si prepara all’edizione del 2021

È

l’evento leader per il settore della MDD in cui la GDO è protagonista e rappresenta, da oltre diciassette anni, il momento di confronto per l’analisi dei trend di mercato e la pianificazione delle strategie business. A quattro mesi dalla data di svolgimento della manifestazione — organizzata da BolognaFiere in collaborazione con ADM, Associazione Distribuzione Moderna — è tangibile la fiducia delle imprese nella manifestazione e la volontà di rilancio dell’economia nel post pandemia. «Rilevare un’adesione così significativa da parte delle imprese — ha dichiarato ANTONIO BRUZZONE, direttore generale di BolognaFiere — in un anno che ci ha costretti al confronto con l’emergenza causata dalla pandemia è, per la nostra società, motivo di orgoglio. In questi mesi la struttura, in stretta collaborazione con il partner ADM e il comitato tecnico scientifico, ha lavorato per arricchire ulteriormente la fiera con nuove iniziative che renderanno la partecipazione a MarcabyBolognaFiere ancora più strategica e performante». Il positivo trend nelle adesioni a MarcabyBolognaFiere 2021 è anche lo specchio del dinamismo dei prodotti MDD che, nel nostro Paese, hanno ancora ampie opportunità di incrementare le rispettive quote di mercato: in Francia questa categoria di prodotti vale il 33,9% del food, nei Paesi Bassi il 30,0% (con andamento costante), in Italia il 22,3% (+2%); l’unico Paese in Europa in controtendenza è il Regno Unito che registra un –2,8% ma a fronte di una quota di penetrazione del mercato del 53%. Negli USA, infine, i prodotti MDD rappresentano il 18,7% (+0.5%) (fonte IRI-Consumer Spending Tracking, maggio 2020).

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Lay-out rinnovato e obiettivo sicurezza per MarcabyBolognaFiere 2021 Gli operatori professionali in visita all’evento potranno muoversi all’interno di un lay-out ulteriormente finalizzato rispetto alle precedenti edizioni che si svilupperà in sette grandi padiglioni espositivi. Infatti, in aggiunta ai tradizionali 25, 26, 28 e 29, MarcabyBolognaFiere 2021 occuperà anche i padiglioni 31, 32 e il nuovissimo 37 del Quartiere fieristico di Bologna, assicurando le migliori condizioni per uno svolgimento dell’evento in piena sicurezza grazie anche a percorsi finalizzati alla razionalizzazione dei flussi di visita e ai protocolli per la sicurezza che saranno applicati. MarcabyBolognaFiere 2021 dedicherà al settore FOOD i padiglioni 25, 26, 28, 29 e 37 e al settore NON FOOD i padiglioni 31 e 32. Due gli ingressi a disposizione di espositori e operatori: l’ingresso Nord e l’ingresso Ovest Costituzione; il primo collegato direttamente alla rete autostradale e al sistema di parcheggi (più funzionale per quanti utilizzeranno l’auto), il secondo collegato alla stazione ferroviaria, al centro cittadino e all’aeroporto internazionale G. Marconi con mezzi pubblici (funzionale a quanti privilegeranno la rete ferroviaria o il trasferimento in aereo).

settore del fresco, ortofrutta in primis (ma destinato a coinvolgere tutti i settori del fresco), che promuove le relazioni tra produzione e distribuzione mettendo in evidenza tre obiettivi primari in termini di strategie per il business: Innovation, Experience, Networking — la nuova Marca Wine Area e l’iniziativa Free From Hub. Sviluppata dal know-how di BolognaFiere e BOS, Free From Hub si ripropone nell’edizione 2021 con l’obiettivo di rappresentare il mercato free from italiano e internazionale. Il mercato evidenzia che viene posta, sempre più attenzione, agli healthy food nella loro accezione più ampia: cibi sani, che fanno bene all’organismo sia per le proprietà benefiche che sono state aggiunte, nel caso dei cibi rich-in, o tolte nel caso dei prodotti free from. I consumatori sono sempre più attenti al binomio cibo-salute, prediligendo, con sempre maggiore incidenza, prodotti funzionali, alimenti biologici e free from. Queste tendenze saranno in primo piano a MarcabyBolognaFiere 2021 nell’ambito di Free From Hub, che comprenderà anche un nuovo spazio Functional Food Hub per dare risposte esaustive e promuovere nuove opportunità di business.

Focus dedicati ai trend emergenti: Fresco, Wine e Free From in primo piano Da sempre MarcabyBolognaFiere si caratterizza per mettere in evidenza i trend emergenti, dedicandogli spazi e occasioni specifiche di approfondimento. Nel 2021 la manifestazione proporrà, accanto alla seconda edizione di Marca Fresh — lo spazio riservato al

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SONO 180 GRAMMI, LASCIO? Arto, Setti

BBQ modenese di Giovanni Papalato

ra tutti sappiamo che il barbecue (abbreviato BBQ) è un metodo di cottura secondo il quale il cibo, specialmente carne, è posto su una griglia sospesa su fiamma libera o carboni ardenti. Se proprio vogliamo dirla tutta, non è solo così, perché con lo stesso termine ci si può riferire ai cibi cotti in questa maniera, allo strumento usato per la cottura, all’evento in sé e, quindi, alla cottura e degustazione degli alimenti cotti tramite questa tecnica. Inoltre, si può intendere anche un piatto tipico della Carolina del Sud, le costolette alla griglia. Ecco, oltre a tutto questo Barbecue è anche un brano tratto da “Arto”, il secondo disco di SETTI. Modenese, classe 1985, NICOLA SETTI è lontano anni luce dall’egemonia Trap e dalle repliche in serie di modelli cantautoriali uguali a se stessi, perché ha un identità precisa. La sua. È la prima volta che in questa rubrica si parla di un artista italiano, in quanto essere credibili e validi quando ci si esprime nella nostra lingua, soprattutto in ambito musicale, non è affatto scontato. “Arto” è un disco breve ed eterogeneo, ma allo stesso tempo di senso pieno e compiuto e non una disorganica raccolta di brani. È il suo secondo disco, a quattro anni dall’esordio sulla lunga distanza e quindi carico di aspettative e cambiamenti. In questo senso il titolo e la copertina dell’album sono ad esorcizzare certe dinamiche, col ritratto ironicamente serioso dell’autore. La produzione di LUCA MAZZIERI (già “A Classic Education”, “Wolther Goes

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Stranger”) e il contributo di compagni di etichetta come BASEBALL GREGG e SMASH incidono in maniera decisa sul risultato, senza andare a scapito dell’identità di Setti, arricchendo e non coprendo la sua scrittura. Una dinamica dal risultato non scontato e prezioso. Si comincia entrando letteralmente nella Stanza assieme al protagonista. Ai tempi del liceo, tra chitarre dream pop, ci si immerge nel disagio adolescenziale delle relazioni interpersonali e degli amori non corrisposti. Un flashback che si muove tra tastiere lontane ed una batteria cadenzata ad accompagnare. Ci troviamo in una condizione che l’autore padroneggia: un apparente disarmonia tra testi e musica che dapprima rimane sotto traccia e poi si rivela una volta ottenuta confidenza. E lì aderisce tra petto e cervello per rimanere. “Tra me e lui era ovvio che scegliesse lui. Infatti è così che andò”. È un attacco della sezione ritmica e del synth che ridesta quello di Iowa. Le strofe hanno una seconda voce femminile che si inserisce nella struttura del brano donando spessore. È solo invece Setti quando nel ritornello, quasi in sospensione, canta: “Mai stato quello che tu hai amato di più va bene così, anche se tu invece sì”. Mentre il brano scema prima di fermarsi di scatto, certe parole sedimentano assieme alla suggestione sonora di certi Devo con chitarre meno acide. Da uno stato ad un altro, con Wisconsin l’autore prosegue a partire dai primi EP autoprodotti fino al disco di debutto,

“Ahilui”, in cui era presente Kentucky, con un gioco che è un omaggio a SUFJAN STEVENS, un autore a cui è legato e che aveva iniziato il progetto di pubblicare un album dedicato ad ognuno degli Stati Uniti. Per entrambi non è dato sapere se e come procederanno nei loro intenti, ma sicuramente in questo album si concretizzano e si inseriscono in una poetica che indaga una specie di mappa intima e che allo stesso tempo interpreta gli animi di una generazione. Anche perché Setti non è (ancora?) mai stato nei posti che danno titolo ai suoi brani, ci tiene a sottolineare. Nello specifico, il brano appartiene al suo repertorio; era comparso in uno dei primi EP e spesso veniva suonato nei live. Qui viene completamente riarrangiato, andandosi ad inserire nel contesto di “Arto” in assoluta armonia grazie ad una più definita vocazione pop, ovviamente non convenzionalmente inteso. È una canzone astratta e si muove agilmente in una dimensione distorta come se un gruppo post punk suonasse country. “Certi pranzi coi parenti sono proprio devastanti” è un verso liberatorio, intercetta una verità che è stata, sarà di tutti. In un testo di suggestioni e immaginari personali dà il senso dell’intimità che Setti riesce a creare. È in grado di donare a chi ascolta un senso di domesticità anche utilizzando luoghi e situazione lontani dall’ordinario. È strutturalmente folk Barbecue, il duetto con AVOCADOZ (VALENTINA GALLINI). Banjo e chitarra a 12 corde, un sintetico mix tra theremin e sega sanno

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di tradizione americana, uno xilofono emerge e pulisce prima che una elettrica bruci l’epilogo: “Preparerò un barbecue / Che bruci tutto quel che so di te / Farò un falò / Ritorneremo / A quando ero più scemo / E tu non eri me”. Il lato A si chiude con Woods, un brano atipico nella scrittura dell’autore perché il testo è per la prima volta lineare. È il racconto di un concerto mancato (la band è quella del titolo) a causa di un imprevisto, situazione da cui letteralmente si evade col ritornello. La batteria senza piatti, chitarre prima desertiche poi sognanti, il finale con fiati che sanno di Motown e del primo Battisti, in un gioco di rimandi in cui ognuno può trovare la sua memoria: “Sono là sono là / Sono al concerto / Sono là sono là / Nello stesso punto in cui ti ho perso”. Al termine di questo lato rimane a tratti la percezione salgariana di avere memoria di qualcosa, di poterlo raccontare anche senza averlo concretamente provato. Cambiare lato del disco, abbandonando in un certo senso un mood eterogeneo ma decisamente legato a certi USA musicali e culturali per ritrovarsi in Sudamerica con Bestia riesce a non essere spiazzante. È un brano scritto in terza persona, una bossa confidenziale per un testo che racconta disillusioni e confessioni fatte al protagonista. Un analista? Una persona su un treno che ascolta inconsapevole conversazioni al telefono di sconosciuti nello stesso compartimento? “Le persone diventano tempo / Sono cose di qualche anno fa / ‘se dentro ci fossi anche tu’ / Mmmmh come fa? / Quella persona che sa mi attraversa la testa”. Simmetrico, come Iowa dopo Stanza sul primo lato, irrompe Presente, un gioiello post punk che entra senza chiedere permesso, per restare. Drum Machine, basso, chitarra elettrica, batteria, tutto si inserisce in un crescendo denso e nervoso. Perfetto, necessario. Ci sono i primi JOY DIVISION di Digital e i nostri CCCP. C’è Setti. La sua voce ha trasporto, parte dallo stomaco passando per il cervello e un po’ trema di consapevolezza quando parte dai social per parlare di se stessi: “Quando tu sei con me / Sei lontano da te / Non è il passato / Non

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è il futuro / Non ho presente / Quel che succede / Durante il giorno / E non si vede / Ci giro intorno”. La sequenza di questo brano e la successiva Orizzonte è per chi scrive uno dei punti più intensi del disco. I suoni ambientali di una sera d’estate, la chitarra acustica e la voce di Nicola. Ti fermi, smetti quel che stai facendo, ascolti. Commuove e lascia sospesi. La bellezza tende a fare così: “L’orizzonte non esiste / Io lo vedo, non esiste / Sono sempre molto triste / Quando te ne vai / Perché in fondo resti / Ma il peggio è che lo sai”. Ci si desta con gli accordi iniziali di Mi Mancavi che muove nostalgie e cori. La forza di certi brani sta in melodie e parole che in pochi minuti riescono a rivelare meccanismi atavici e necessari. Anche quando si parla di persone che ci hanno fatto del male, ma ci mancano. Tra metafore ed elementi mitologici troviamo alcuni riferimenti a ciò che consapevolmente abbiamo ascoltato fino ad ora, come mappe e stanze. Un omaggio a BATTIATO nell’inciso, le tastiere circensi nel ritornello completano un affresco surreale ma estremamente credibile: “La tua voce come un coro da stadio mi spaventa / Ci si accontenta / Mi mancavi / Mi lanciavi coltelli e mi mancavi / Mi mancavi”.

Sono passati solo 20 minuti dall’inizio del disco e si giunge al termine di un viaggio tanto breve quanto intenso. E lo si fa con una canzone nata in fase di missaggio, con Nicola che chiede se procedere, attacca poi si ferma e ridendo riprende stavolta deciso. L’incipit è uno scambio che disorienta e il protagonista giunto al termine del suo percorso arriva alla conclusione che vuole un cuore di legno, non prezioso e resistente in sé, ma con qualcuno tutto intorno. Un cerchio. Quello in copertina, quello del vinile che gira sul piatto, le canzoni di un album che compiono il giro offrendo così all’ascoltatore il compito di dare un senso a ciò che ascolta: “Ci siamo detti tutto / Avete fatto bene / Ci siamo fatti tutto / Dicendoci ‘succede’ / E ora io voglio un cuore di legno / Col cristallo se cade poi non ci fai molto / Allora io cerco un cuore di legno / Sì però / Con te / Tutto attorno”. Solo voce e chitarra, alla fine e per l’unica volta, riprendendo il giro del primo brano, Stanza. Quello che rimane di “Arto” è la sensazione un disco importante, necessario. Una rielaborazione personale dell’autore e dell’ascoltare, di ciò che ci rende unici ma anche uguali. Un disco postmoderno all’interno del panorama cantautoriale italiano, fermo al moderno. Giovanni Papalato

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SICUREZZA ALIMENTARE

Salame del contadino tra mito e realtà Gli agricoltori possono vendere anche i salumi da loro prodotti, ma, oltre i miti e le favole, quali sono le realtà di sicurezza e di qualità? Ci possiamo fidare? di Giovanni Ballarini

hhh il mitico vino dell’agricoltore ottenuto dall’uva tramutata in mosto coi piedi! Ahhh il leggendario salame del contadino, ottenuto da un maiale allevato come una volta, senza aggiunta di additivi e maturato nella sua cantina! Prodotti rari e preziosi di cui si favoleggia, accettando anche evidenti difetti come bottiglie col fondo o

A

salami scuri e con qualche bucherello, un poco rancidi… Ma un tempo era così, si dice. Tutto vero o tutto falso? Non sarebbe invece bene che ognuno facesse il proprio mestiere e che, come dice un antico proverbio romano, Sutor, ne ultra crepidam, ovvero Ciabattino, non (andare) oltre le scarpe!? E tutto questo perché un Decreto Legislativo del 2001 autorizza gli agricoltori a

vendere ai cittadini i propri prodotti, sia le materie prime, e tra queste gli alimenti, sia questi stessi alimenti trasformati. Di conseguenza, il contadino può vendere verdura, frutta, latte, polli e conigli e altri animali da cortile della sua azienda, ma anche i prodotti da lui trasformati in conserve di diverso tipo, come confetture e marmellate, formaggi e salumi, ottenuti nella propria azienda

Salame rustico (photo © vpardi – stock.adobe.com).

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Nei cosiddetti “mercati contadini” i produttori agricoli effettuano la vendita diretta all’aperto delle proprie produzioni (photo © Maria Sbytova). da lavorazioni artigianali, senza particolari obblighi riguardanti le strutture e il personale. Ovviamente, il contadino deve rispettare le norme previste dalla legge per garantire la sicurezza igienico-sanitaria di quanto vende. Da un punto di vista fiscale, sono importanti le agevolazioni che derivano dalla possibilità anche di vendere, sia pure in percentuale minoritaria (ma non determinata), alimenti e preparazioni non prodotti nella propria azienda, completando così la varietà dell’offerta. Con la vendita diretta dal produttore al consumatore si saltano le intermediazione commerciali e si riducono i costi. Ciò è certamente utile per un’agricoltura italiana non priva di problemi e, almeno in teoria, ugualmente per i consumatori. Ma è sempre così? Salvo casi eccezionali, dal contadino non si acquistano prodotti tipici ufficializzati (DOP, DOC, IGP, ecc…) e neanche alimenti biologici, che per utilizzare specifiche denominazioni

devono sottostare ai controlli dei consorzi (prodotti tipici) o degli enti di certificazione (prodotti biologici). Nel caso della vendita diretta, è il contadino o l’allevatore stesso che deve osservare le norme di legge in materia di concimi, pesticidi, farmaci veterinari ecc… e non vi sono i controlli che avvengono presso i mercati generali o sono compiuti dalla Grande Distribuzione. Nella vendita diretta dal produttore al consumatore vi è soltanto un rapporto di fiducia che si instaura tra cliente e venditore, col chiaro interesse del venditore a “fidelizzare” il cliente. Quest’ultimo può avere un’idea della produzione quando acquista presso l’agricoltore o l’allevatore visitando l’azienda, rendendosi conto di cosa si sta producendo in quel momento e in quali modi, per esempio, avviene la trasformazione del latte in formaggi o delle carni in salumi. Molto cambia quando la vendita avviene da un camion posto su una piazza o lungo una strada, in particolare quan-

La salumeria italiana è divenuta celebre per sicurezza e, soprattutto, per qualità, da quando è passata dalle mani del contadino a quella di artigiani specializzati, diversi dei quali si sono trasformati in industriali che hanno saputo valorizzare e migliorare la tradizione

Premiata Salumeria Italiana, 5/20

do è evidente la distanza che esiste tra l’azienda e il tipo di prodotto e il luogo di vendita! Oppure quando si tratta di alimenti non prodotti in azienda e forse acquistati ai mercati generali. La possibilità di offrire a possibili acquirenti prodotti extra-aziendali può diventare un’occasione d’inganno. Per questo motivo, sarebbero necessarie norme più precise per una maggiore trasparenza, con una chiara separazione tra gli alimenti di produzione aziendale e quelli acquistati, così che il consumatore possa compiere una scelta consapevole. In modo analogo, dovrebbe essere definita con precisione la quantità massima di prodotti extra-aziendali, per evitare che qualche contadino metta in vendita una minima quantità dei suoi prodotti e il resto sia invece acquistato, trasformandolo così in un commerciante di alimenti e mettendo in atto sia una frode nei confronti dei cittadini che una concorrenza sleale nei confronti dei commercianti soggetti a un ben diverso e pesante regime fiscale. Una particolare attenzione va poi dedicata al cosiddetto salame del contadino, una delle preparazioni salumiere che più facilmente rientrano tra quelle extra-aziendali, acquistate da piccoli stabilimenti o da artigiani locali ed esposte assieme ai prodotti di propria produzione o messi in bella mostra vicino al banco dove vi è la cassa, non di rado con indicazioni invitanti. I prezzi, in rapporto ai corrispettivi della Grande Distribuzione, sono spesso sostenuti e, quando sono presenti dei difetti, sono spiegati come caratteristica di genuinità, assenza di conservanti e, soprattutto, propri di una tecnica legata ad un antico passato. È da sottolineare però che, come per il vino, anche per i salumi tutti, salame compreso, è bene siano prodotti da esperti. La salumeria italiana è infatti divenuta giustamente celebre per sicurezza e, soprattutto, per qualità, da quando è passata dalle mani del contadino a quella di artigiani specializzati, diversi dei quali si sono trasformati in industriali che hanno saputo valorizzare e, soprattutto, migliorare la tradizione. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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TECNOLOGIE Capecchi Spa sceglie il gestionale CSB-System

INNOVARE PER AFFRONTARE I CAMBIAMENTI

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utto inizia con NELLO CAPECCHI nel 1970 a Roma, in uno spazio di 80 m2 e qualche piccolo camioncino che distribuisce prodotti lattiero caseari. Negli anni ‘80 è il figlio ROBERTO, con ingegno e imprenditorialità, a prendere le redini dell’azienda e focalizzare il suo target nel settore agroalimentare, spingendo la società verso più alti traguardi.

Oggi l’azienda, ubicata all’interno del C.A.R. — Centro Agroalimentare di Roma — si divide in tre business unit: distribuzione, consulenza e produzione. La divisione distribuzione ha una superficie di 11.000 m2, dei quali 9.000 coperti e un’area di 250 m2 all’interno del mercato ittico del C.A.R., per la gestione dell’ittico fresco. Nel 2015, per anticipare un’esigenza del mercato

agroalimentare, è stata creata la divisione Enjoy Food–Business Solution, in cui vengono sviluppati modelli di business sostenibili e innovativi. Nel 2018 invece, è nata la business unit RC food, il centro di trasformazione di prodotti di IV e V gamma per la ristorazione, che sorge sempre all’interno del C.A.R., per un totale di 3.600 m2 dotati delle più innovative attrezzature. «La nostra è una

Etichettatura della carne.

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capecchispa.com V gamma per il mondo della ristorazione a 360°. Il CSB-Rack, PC industriale multifunzione, posizionato al ricevimento merci, registra quantità e qualità delle materia prime in entrata, contenente le informazioni su codice e nome articolo, data di entrata, quantità, locazione magazzino, fornitore, codice lotto, scadenza o TMC e l’eventuale esito dei controlli qualitativi sull’intera fornitura. I dati sono trasmessi in tempo reale e direttamente al gestionale diventando la base del Sistema Informativo Lotti. Altri due CSB-Rack sono posizionati in macelleria, per il sezionamento delle mezzene. Qui si registrano i risultati della lavorazione, controllando in tempo reale efficienza e rese di reparto, perché comparate con quelle attese sulla base degli ordini di produzione.

Il sistema di tracciabilità CSB-System. storia di ricordi, passione e crescita» sottolinea Roberto Capecchi. «Il nostro impegno è rivolto al controllo di ogni singola fase della produzione, senza mai trascurare gli standard qualitativi: dal sezionamento in loco delle mezzene e del pesce, al piatto pronto da cuocere». Capecchi è una realtà dove le persone hanno una profonda cultura del lavoro, dove i cambiamenti si affrontano giornalmente con coraggio e innovazione. Una realtà che si avvale del programma CSB-System, gestionale integrato, modulare e completo, che soddisfa tutte le esigenze del settore Food & Beverage. Si va dagli acquisti alla macellazione e sezionamento, dall’ottimizzazione ricette alla produzione, dalla peso-prezzatura integrata alla rintracciabilità completa, dalla gestione magazzino e vendite ai controlli qualità lungo l’intera filiera, la contabilità

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amministrativa e industriale, l’EDI per interfacce con clienti e fornitori e l’M-ERP per poter operare sempre e ovunque. «Ho conosciuto i responsabili commerciali CSB-System ad una fiera di settore e ho intuito subito che era un software polivalente, adatto a qualunque settore dell’agroalimentare». Capecchi Spa gestisce con CSB-System il ricevimento merci, la produzione e la sua pianificazione, il sezionamento, il controllo delle giacenze, lo scambio dati tramite EDI e la tracciabilità dei prodotti. RC Food, il centro di produzione e trasformazione di Capecchi Spa Realizzato secondo gli standard qualitativi riconosciuti dai mercati internazionali, il centro di produzione è sviluppato per produrre alimenti di IV e

Controllo Qualità e rintracciabilità garantita Alla Capecchi Spa il sistema di autocontrollo, progettato e realizzato sul metodo HACCP, è applicato a garanzia della sicurezza del prodotto/servizio erogati con sistematici processi di analisi e controllo. Al fine di garantire un continuo e costante miglioramento dei risultati aziendali, la Capecchi Spa ha istituito una squadra “HACCP e Rintracciabilità” avente la responsabilità di gestire la sicurezza alimentare e tutti gli aspetti in tema di tracciabilità e rintracciabilità di filiera. Grazie al CSB-System è assicurata l’assoluta trasparenza della tracciabilità dei prodotti. I dati relativi alle mezzene e/o materie prime lavorate, vengono collegati in modo univoco al rispettivo lotto di produzione. I prodotti finiti si possono coordinare in modo univoco ad una produzione. Mediante il coordinamento dei lotti produzione con le ricette inserite nel CSB-System e alla rintracciabilità completa del lotto fino al prodotto finito, l’azienda è in grado

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In alto: la sede della Capecchi Spa. In basso: il parco automezzi dell’azienda. di garantire la totale rintracciabilità downstream e upstream. Premendo un tasto si identificano in pochi istanti tutti le informazioni necessarie: mezzene utilizzate e relative informazioni sul Paese di nascita, allevamento e macellazione, fornitori delle materie prime impiegate, nonché tracciabilità e rintracciabilità degli imballi primari (MOCA) e l’acquirente finale del prodotto. Collaborazione vincente anche per il futuro Oggi l’azienda romana rappresenta un’importante realtà. La flotta Capecchi consegna nel Lazio e nelle regioni limitrofe rispettivamente ogni 4 ore

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e tre volte a settimana. La collaborazione tra CSB-System Srl e Capecchi Spa si è rivelata vincente in termini di sicurezza alimentare, qualità costante del prodotto, razionalizzazione delle risorse e, soprattutto, di pronta risposta alle esigenze del mercato in continua evoluzione. Per questo si è deciso di implementare la soluzione M-ERP del CSB-System anche per l’evasione ordini nel settore ittico così da rendere il processo più veloce e ancora più sicuro. Una storia che prosegue e non si arresta quella dell’azienda Capecchi Spa, che ha scelto CSB-System come partner informatico per fare la differenza.

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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Boxmarche presenta il Living Company Report nel nuovo stabilimento di Pergola dedicato alla produzione di Halopack Lo scorso 18 settembre Boxmarche ha presentato il Living Company Report 2019, pregevole volume in cui l’azienda dal 2003, fra le prime PMI in Italia, pubblica ininterrottamente il Bilancio Integrato (di esercizio, sociale ed ambientale, analisi del capitale intellettuale). Il tema dell’evento, “Ri-Nasci-Menti”, in un momento socioeconomico così complesso, vuole essere da parte dell’azienda di Corinaldo un messaggio di buon auspicio per il futuro: ripartire (RI) dalla voglia di reagire e di cambiamento (NASCI) spinta dalle Persone (MENTI). «Il trauma profondo che abbiamo vissuto ha segnato la nostra esistenza ma ha generato al tempo stesso idee che ci hanno dato nuova forza. Ecco allora che dai pericoli si creano opportunità» ha spiegato il presidente di Boxmarche Tonino Dominici. Il visual design del LCR, ideato da DMP Concept di Senigallia, è ispirato ad alcune delle opere più importanti del Rinascimento italiano. Tra queste, anche la Madonna del Perugino e gli stucchi del Brandani a Palazzetto Baviera di Senigallia, recentemente restaurati anche grazie al contributo di Boxmarche. Cuore di Carta: Halopack riduce del 90% l’utilizzo di plastica La presentazione del Living Company Report è stata l’occasione per inaugurare il nuovo stabilimento di Pergola (Pesaro-Urbino) dedicato alla produzione di Halopack, vassoio eco-friendly in cartoncino per alimenti freschi confezionati in atmosfera protettiva e skin. Halopack è composto per il 90% da cartoncino riciclato ed è una valida alternativa agli attuali vassoi in plastica garantendo un’alta resistenza strutturale. Per Halopack, inoltre, non vengono usate né additivi, né colle ed è compatibile con le principali tecnologie di chiusura vassoi. Carne, formaggio, pesce, primi piatti, insalate… Halopack, grazie alla barriera EVOH del suo sistema di chiusura, è concepito per mantenere o estendere la shelf-life dei cibi freschi sia MAP sia skin. Per contribuire a ridurre gli sprechi alimentari. Un pack altamente sostenibile a livello economico, sociale ed ambientale. Boxmarche ne è produttore e distributore esclusivo per il mercato italiano.

Azienda cartotecnica nata nel 1969 a Corinaldo (AN) per fornire scatole per le aziende calzaturiere marchigiane, Boxmarche hai poi diversificato la produzione su diversi settori (food & beverage, casalingo, cosmetica, farmaceutica, ecc…), raggiungendo livelli di eccellenza per produzione di packaging con prodotti di alto design ampiamente riconosciuti attraverso il conseguimento di numerosi premi nazionali. Il legame con il territorio dell’azienda è forte e concreto, avendo negli anni sostenuto e prodotto rilevanti iniziative culturali, sociali e di solidarietà. >> Link: www.boxmarche.it

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DA IMPRIMA NUOVE TECNOLOGIE PER LA SICUREZZA ALIMENTARE: TT SENSOR PLUS 2 roduttori e acquirenti desiderano che i prodotti mantengano sempre un’eccellente qualità durante il trasporto. Tuttavia, alcune merci particolarmente sensibili alle variazioni di temperatura possono alterarsi durante il viaggio pur sembrando perfettamente integre al momento della consegna. Oggi, di fronte a una

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generazione di consumatori sempre più esigente e informata, è necessario fornire più garanzie. Per soddisfare queste necessità e dare ancora più valore a tutta una serie di prodotti di eccellenza squisitamente made in Italy, le nuove tecnologie a tutela della sicurezza alimentare stanno riscuotendo molto successo.

IMPRIMA (Ferrara/Milano, www. imprima.it), azienda tra le più importanti a livello nazionale nel settore dell’identificazione e tracciabilità del prodotto, ha individuato nel TT Sensor Plus 2 prodotto da Avery una valida ed efficace risposta a queste nuove richieste. Si tratta di una smart label in grado di tracciare nel tempo le variazioni di

TT Sensor Plus 2 è una smart label in grado di tracciare nel tempo le variazioni di temperatura subite dai prodotti durante la loro movimentazione, grazie al suo sofisticato sensore termico.

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temperatura subite dai prodotti durante la loro movimentazione grazie al suo sofisticato sensore termico. Limitazione degli sprechi e qualità garantita delle referenze consegnate sono i principali vantaggi derivati dal suo impiego durante il trasporto di merci pregiate, particolarmente delicate o surgelate. IMPRIMA distribuisce e fornisce assistenza su tutto il TT System, un kit che comprende: TT Sensor Plus 2 (etichetta con rilevatore di temperatura), TT Scan (lettore e software di programmazione per PC), TT App (applicazione per smartphone), TT Net (database in cloud). L’etichetta è monouso ed effettua fino a 150.000 registrazioni di temperatura in tempo reale da –30 °C a +60 °C, con una precisione di ±0,3 °C, da 0 °C a +40 °C e ±0,5 °C per il resto dell’intervallo. Premendo il pulsante è possibile controllare lo stato del sensore (acceso/spento/allarme). La batteria al litio da 3 volt non è sostituibile ma l’etichetta, inattivata e in

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condizioni normali, si conserva fino a 2 anni. Dal momento della configurazione e dell’attivazione, la durata operativa è, invece, di 3 anni. L’etichetta misura solo 68 mm x 26 mm x 3,5 mm, pesa 4 grammi e resiste all’acqua. I dati vengono caricati velocemente tramite smartphone, lettori NFC collegati a PC, tablet e gestiti con il software TTNet. La memoria non è volatile e i dati non sono modificabili o cancellabili. Il software in dotazione permette di creare profili personalizzati per ogni utente, destinatario, articolo da tracciare. Grazie all’interfaccia semplice e intuitiva è possibile visualizzare la cronologia dettagliata di ciò che è accaduto alla merce durante il suo viaggio ed evidenziare eventuali criticità. Le informazioni raccolte possono essere estrapolate per ulteriori analisi o condivise via e-mail per aumentare l’efficienza della catena di approvvigionamento. Ogni etichetta possiede un codice ID univoco.

Le potenzialità, i vantaggi e i campi di applicazione offerti dalla tecnologia TT Sensor Plus 2 sono molteplici, tuttavia è fondamentale affidarsi a un partner esperto per raggiungere con successo gli obiettivi prefissati. IMPRIMA mette a disposizione le competenze acquisite in anni di attività nel settore dell’identificazione e tracciabilità del prodotto instaurando con i propri clienti un costante rapporto di collaborazione e sinergia al fine di ottenere i risultati migliori.

IMPRIMA Srl Via Delle Arti Grafiche 12 44049 Vigarano Mainarda (FE) Telefono: 0532 739611 Fax: 0532 739699 E-mail: imprima@imprima.it Web: www.imprima.it

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CI DEDICHIAMO COMPLETAMENTE ALL’AFFILATURA Fazzini Technology da oltre 30 anni si dedica a progettazione, produzione e vendita di macchine affilatrici professionali per coltelli e forbici

Compact K10.

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a più di 30 anni Fazzini Technology si dedica alla progettazione, produzione e vendita di macchine affilatrici professionali per coltelli e forbici. L’innovazione dei materiali e del processo produttivo interamente made in Italy, la facilità di utilizzo dei suoi prodotti e l’elevata qualità sono e rimangono fondamentali. Il sistema di affilatura delle affilatrici Fazzini, sicuro ed affidabile, è molto

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apprezzato da chi desidera risolvere il problema dell’affilatura all’interno della propria attività. L’azienda, attiva in Italia ed in tutto il mondo, offre una gamma di macchine affilatrici professionali utilizzate in diversi settori ed in particolar modo nelle macellerie, salumifici, ristoranti, pescherie, bar, pizzerie, aziende agricole. Il lavoro costante, la serietà e l’impegno hanno permesso a Fazzini Technology di rendere l’affilatura alla

portata di tutti, anche di operatori inesperti. Affilando i coltelli direttamente sul posto risparmierete tempo e denaro. I vostri coltelli non lasceranno mai il posto di lavoro e saranno sempre ben affilati e pronti all’uso. Attualmente Fazzini Technology offre diversi modelli di macchine, ognuna delle quali progettata e adattata per il rispettivo tipo di utilizzo. Tutti i modelli sono realizzati in alluminio ed acciaio

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In alto: Professional K100. In basso: a sinistra, Small KS5 e, a destra, Micra K2.

e questo significa massima robustezza e riduzione al minimo delle vibrazioni. Tutti i modelli sono dotati di mole in acciaio rivestite in CBN (Nitruro di Boro Cubico): questa particolare composizione consente la lavorazione a secco senza problema di surriscaldamento, permette all’operatore di lavorare in modo durevole, veloce e pulito riducendo al minimo i costi. Riferimenti regolabili facilitano l’affilatura di forbici e lame particolari.

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Il sistema d’affilatura Fazzini brevettato (RPS Sistema centraggio mole) estremamente efficace permette di tenere la lama perfettamente perpendicolare all’interasse delle mole migliorando ulteriormente la qualità dell’affilatura. Le macchine più vendute nel settore sono Professional K100, Compact K10, Small KS5 e Micra K2. Confrontate le specifiche e le dimensioni dei vari modelli e scegliete quello che meglio si adatta alle vostre esigenze.

Fazzini Technology Via Vittorio Veneto 9/D 23815 Introbio (LC) – Tel. 0341 981440 E-mail: info@fazzinitechnology.com Web: www.fazzinitechnology.com

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TRE LIBRI

MASSIMO MONTANARI Il mito delle origini Breve storia degli spaghetti al pomodoro Editore: Laterza, 2019 – 2ª ediz. Collana: I Robinson 120 pp. – € 7,20

VEA CARPI (IN COLLABORAZIONE CON IRENE HAGER) La mia pasta madre Il pane, i dolci, la vita in montagna Illustrazioni di Giorgia Pallaoro 272 pp. – € 24,90

MICHAEL RUHLMAN, BRIAN POLCYN Salumi The Craft of Italian Dry Curing 302 pp. – € 32,77

Il mito delle origini è quello che ci fa pensare che esista un punto magico della storia in cui tutto prende forma, tutto comincia e tutto si spiega; il punto in cui si cela l’intimo segreto della nostra identità. Ma perché quello delle origini è solo un mito? Il fatto è che le origini, di per sé, spiegano poco: l’identità nasce dalla storia, da come quelle origini si sviluppano, crescono, cambiano attraverso incontri e incroci spesso imprevedibili. Basta un piatto fumante di spaghetti al pomodoro per spiegarlo. Seguendo le tracce del nostro piatto identitario per eccellenza, MASSIMO MONTANARI, il massimo storico dell’alimentazione italiano, risale a tempi e luoghi distanti, dall’Asia all’America, dall’Africa all’Europa, dalle prime civiltà agricole alle innovazioni medievali, fino a vicende di qualche secolo fa, o dell’altro ieri. Scopriamo così che ricercare le origini della nostra identità (ciò che siamo) non ci porta quasi mai a ritrovare noi stessi (ciò che eravamo) bensì altre culture, altri popoli, altre tradizioni, dal cui incontro e dalla cui mescolanza si è prodotto ciò che siamo diventati.

Facendo il pane e i lievitati con la pasta madre si impara a decelerare. È una vecchia tradizione che richiede tempo e crea un legame con il passato. La pasta madre, o lievito naturale, è un impasto di farina e acqua lasciato fermentare. Negli ultimi anni ha conquistato una popolarità sempre più vasta e ora la si può trovare anche sui marketplace e sulle piattaforme internet. VEA CARPI, nata nel 1975, studia Scienze politiche a Firenze e, nel 2001, si trasferisce per amore in un maso di montagna in Valle dei Mocheni, Trentino. Contadina, cuoca, appassionata di lana, vive nel maso con i tre figli e il marito. Insieme gestiscono un agriturismo. La pasta madre di Vea ha 70 anni e ha bisogno di cure continue e amorevoli. Con lei Vea sforna sorprendenti magie: dai dolci pasquali in primavera al pane alle erbe aromatiche in estate, al pane con la frutta in autunno fino al panettone a Natale. Perché la pasta madre è incredibilmente versatile, è più sana e molto più digeribile rispetto ad altri tipi di lievito.

Guanciale, coppa, spalla, lardo, lonza, pancetta, prosciutto e salame: MICHAEL RUHLMAN e BRIAN POLCYN insegnano agli Americani come preparare otto tipici salumi italiani con il loro nuovo libro Salumi, che arriva dopo il grande successo riscosso da Charcuterie. Salumi esplora e rende semplici le tecniche della stagionatura (Italian Dry Curing) e i metodi fondamentali per preparare i salumi italiani in modo tradizionale. Ruhlman e Polcyn spiegano anche come macellare un maiale, sia alla maniera italiana che a quella americana. Non mancano numerose illustrazioni dell’arte antica della macellazione, resa nuova e moderna.

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