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Le maschere romane,

Il Carnevale nel Lazio

di Elena Castiglione

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Seppur meno note di quelle delle altre città, anche quelle romane hanno lasciato un segno nella nostra storia e tradizione: da Cassandrino a don Pasquale, dal Generale La Rocca ai più famosi Rugantino e Meo Patacca. Il loro merito è quello di aver messo in risalto in maniera ironica e farsesca vizi, virtù (di meno…) del mondo aristocratico e pontificio del loro tempo.

CASSANDRINO

La sua origine è incerta, ma sin dal XIX secolo è considerata “maschera romana”. È un brav’uomo, sposato e con figlie dalle quali si fa raggirare molto facilmente, così come dalle donne che corteggia e che si prendono gioco di lui. È sprovveduto, timido e credulone. Nasce nobile e col tempo diventa sempre più borghese, sempliciotto, fino a diventare ridicolo. Con la sua voce nasale e i suoi abiti eleganti mette alla berlina i vizi e le debolezze del mondo aristocratico e pontificio e si erge a portavoce dei sentimenti e delle lamentele del popolo verso queste classi sociali.

RUGANTINO

È probabilmente la maschera più conosciuta, anche “fori le mura”, grazie alle innumerevoli rappresentazioni teatrali che ancora continuano a andare in scena. Rappresenta il popolano romano, il bullo e attaccabrighe di Trastevere, “svelto co’ le parole e cor cortello”. È strafottente e arrogante. Il nome proviene da “ruganza” che in romanesco significa proprio arroganza. Ma la sua arroganza si fermava alle parole, i modi da spaccone lasciavano poi il posto a una persona pavida e in fondo buona e amabile.

MEO PATACCA

È l’altra maschera più conosciuta insieme a Rugantino. Appare per la prima volta in un poema di fine Seicento di Giuseppe Berneri. È un soldato sempre pronto a scontrarsi e a raccontare bravate. Proprio dalla paga del soldato, il soldo o “patacca”, deriva il suo nome. Durante il Settecento andò praticamente nel dimenticatoio a causa della “censura” delle autorità. Tornò alla ribalta nell’Ottocento, grazie alla bravura e alla popolarità di due attori che lo interpretarono in teatro: Annibale Sansoni e Filippo Tacconi, conosciuto di più col soprannome de “Il Gobbo” e fu autore anche di nuove storie di Meo Patacca, fortemente ironiche e mordaci soprattutto nei confronti dell’autorità ecclesiastica, cosa che gli procurò parecchi guai con la giustizia!

DON PASQUALE DE’ BISOGNOSI

Rappresenta un uomo aristocratico, molto facoltoso, ma profondamente sciocco.

Come somiglianza lo accomunano alla maschera di Pantalone, ma è sicuramente meno scorbutico, scortese e scostante.

Rimane sempre incastrato dalle beffe dei camerieri e delle servette che gli fanno da contorno e nonostante faccia del tutto per poter trovare moglie riesce puntualmente a mettersi in situazioni dalle quali ne esce sempre sconfitto e beffeggiato.

MANNAGGIA LA ROCCA

La maschera di questo generale fu creata da uno "stracciarolo" di Campo de’ Fiori, tale Luigi Guidi. Lui stesso l’aveva inventato sulla falsariga di Capitan Spaventa per il Carnevale romano: nei panni di un generale a cavallo di un esercito, che non era mai esistito, composto da straccioni, sfilava nelle vie cittadine in groppa ad un asino o a un vecchio cavallo addobbato per l’occasione. La sua caratteristica era quella di raccontare imprese totalmente inventate, con aria estremamente giocosa. Il pubblico partecipava attivamente e la rappresentazione andava avanti da Piazza del Popolo a Piazza Venezia, con botte e riposte tra il pubblico e l’attore oltre a lanci di ortaggi marci e coriandoli…

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