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Cocomero o anguria?
Cocomero o anguria?
di Elena Castiglione
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Frutto famoso, fresco e simbolo dell’estate da noi a Roma in realtà si chiama “cocommero”, con due emme. Ebbene sì, a noi a volte ci piace essere generosi e raddoppiare, altre volte siamo pigri... e dimezziamo... Il termine più conosciuto in Italia Centrale, è cocomero, dal latino Cucumis citrullus. Anguria dal greco Angurion è un termine più usuale nel Settentrione. Naturalmente sia cocomero che anguria hanno anche tanti e coloriti derivati dialettali. In Campania lo chiamano mellone d’acqua, in Toscana popone. A ciascuno il suo nome!
Appartiene alla famiglia delle Cucurbitacee ed è originario dell’Africa tropicale. È un frutto conosciuto fin dall’anichità. Pensate che un raccolto di cocomeri è documentato anche su alcuni geroglifici egizi di 5000 anni fa ed era usanza di lasciarne uno nella tomba dei faraoni come mezzo di sostentamento per l’aldilà! Un po’ di fresco non si nega a nessuno! Nella tradizione romana non c’è chiusura di un pranzo di ferragosto senza il “cocommero”. Ancora oggi durante l ’estate romana ci imbattiamo nei “cocommerari” che al grido di “taja ch’è rosso”, invitano i passanti a degustarlo durante una passeggiata! Nel Lazio sono rinomati quelli coltivati nell’Agro romano, come a Maccarese e Torre in Pietra, ottimi per le caratteristiche organolettiche del terreno. Vuoi sapere se il cocomero è a giusta maturazione? Batti sopra con le nocche e se il suono è come quello di un ... tamburello significa che è maturo!
Taja ch’è rosso!
Mario dell’Arco (1946)
Piazza Colonna, e un celo paro paro
come un coperchio messo sur callaro.
Appena sente un soffio da ponente,
esce er cocommeraro;
e in fila, a fianco a fianco, sopra ar banco
tante lune scarlatte, a spicchi o tonne,
in un letto de fronne.
«Taja, ch’è rosso!». Piomba
er ganimede in bomba,
er greve e la minente:
lui in fongo e faraiolo,
lei in polacca e scioccaje cor pennente;
e in coda er pretazzolo.
E tutti a cianche larghe e a testa bassa
giostreno de ganassa.
«Taja, ch’è rosso!». In cima a la colonna,
coll’occhio a la cortella che s’affonna
ne la porpa croccante, zitto e muto,
san Paolo ignotte sputo;
finché slonga er palosso
e se frega er cocommero più grosso.
«Taja, ch’è rosso!». E intanto
che séguita la lagna,
taja er cocommeraro e taja er santo;
però san Paolo è jotto: taja e magna
e sputa semi in testa a quelli sotto.
Mario dell’Arco è stato un architetto e poeta romanesco, riconosciuto da Pier Paolo Pasolini «l’innovatore della letteratura romanesca». Promotore delle riviste «Er Ghinardo», «Orazio», «il Belli», dell’Arco è una figura chiave della poesia dialettale novecentesca e molto attivo nel panorama culturale romano degli anni Cinquanta. Collabora con l’amico Sciascia alla rivista da lui diretta «Galleria», il quale scrive per le riviste dell’amico e firma la postilla alla raccolta Er gusto mio del 1953. Sciascia, dell’Arco e Pasolini pubblicano insieme l’antologia Il fiore della poesia romanesca del 1952, curata da Sciascia con la premessa di Pasolini, nella quale sono antologizzati Belli, Pascarella, Trilussa e lo stesso dell’Arco. (Fonte Biblioteca Nazionale Centrale di Roma)