10 minute read

cap.2 • Il potente amuleto

Capitolo 2

Il potente amuleto

Sabato 21 maggio, Niky uscì da scuola all’una meno venti, abbracciò forte Lisa, le giurò eterna amicizia e tornò a casa più in fretta che poteva. Infilò le chiavi nella serratura e subito Pulce iniziò ad abbaiare e a raspare la porta dall’interno.

«Uffa! Pulce, sono io. Dai, spostati da lì. Lasciami entrare» gridò Niky.

Niente da fare. Ogni giorno la stessa storia. Per non fargli male, spinse molto lentamente la porta e, come al solito, infilò un piede nello spiraglio. Il cockerino si tuffò sulla scarpa da ginnastica, azzannò i lacci e cominciò a tirare e ringhiare, permettendo a Niky di aprire la porta. Il corridoio era un disastro. Le ante dell’armadio a muro erano spalancate e c’erano borse, zaini, trolley e marsupi dappertutto. Niky prese in braccio Pulce,

se non altro per staccarlo dalle sue stringhe e riuscire a camminare. «Mamma, dove sei?»

«Sono in camera. Perché sei a casa a quest’ora?»

«È l’una, mamma».

Il letto dei suoi genitori era letteralmente sommerso da vestiti: gonne, pantaloni, pantaloncini, camicie, maglie, magliette, cappelli, cappellini, teli e costumi da bagno, e il pavimento era ricoperto di valigie spalancate.

Irene si mise le mani nei capelli. «L’una? Non è possibile. Già l’una? Non ce la farò mai. Come faccio a non superare i quindici chili? Non è possibile, non ci riuscirò!»

«Ti aiuto, mamma?»

«No, tesoro. Devo fare da sola. Tu, piuttosto, mangia qualcosa. In frigorifero c’è un po’ di tutto».

Nicole andò in cucina e si preparò un panino.

Irene era davvero una mamma in gamba, ma una cosa che Niky non sopportava era la sua testardaggine. Voleva fare tutto e tutto da sola. Niky la conosceva bene e sapeva che in quegli attacchi di ostinazione era meglio sparire dalla circolazione e lasciarla sola. Così, si mangiò due super panini e diede un po’ di prosciutto a Pulce che in quell’occasione imparò a camminare sulle zampe posteriori.

Quando Niky tornò in camera, Irene era inginocchiata su un grande trolley e stava armeggiando con la cerniera.

«A che punto sei, mamma?»

«Ho quasi finito. Ancora uno sforzo e…»

«Posso iniziare a preparare la mia valigia?»

«Certo, tesoro. Adesso finisco quella di papà, poi vengo ad aiutarti. Prendi la valigia blu, quella rigida con le rotelle».

«Va bene, mamma».

«Ah, ricordati gli occhiali da sole. E le scarpe argentate, domani sera c’è una festa elegante».

«Sì, mamma».

«E il golfino con le stelline. In Egitto c’è una forte escursione termica».

«Un’escursione che?»

«Di sera fa freddo. Prendi anche il giubbino di jeans. Prepara tutto sul letto. Poi vengo io a riempire la valigia».

Niky smise di rispondere e lasciò che la mamma continuasse a parlare da sola. Dopo mezz’ora il papà si affacciò alla porta della sua camera. «Bravissima, vedo che hai già preparato tutto. Dov’è la mamma?»

«Eccomi, ero scesa in garage a prendere la gabbietta di Pulce».

Pulce arrivò di corsa. Vide la gabbietta e scappò a nascondersi sotto una poltrona del soggiorno.

Marco scoppiò a ridere. «Penso che domani sarà un problema convincerlo a stare lì dentro».

«Non preoccuparti» disse la mamma. «Ho una parola magica, ricordi?»

«Già e io… guarda qua» disse Marco. «Ho tutto: i passaporti, i certificati per Pulce e la prenotazione per il parcheggio in aeroporto. Dobbiamo essere là alle sei e mezza».

Niky sgranò gli occhi. «Alle sei e mezza di mattina?»

«Esatto! Tra dodici ore precise. Ci pensate? Si parteeee».

Era difficile prendere sonno. Poche ore e sarebbe partita alla scoperta di una terra lontana, misteriosa, di cui non conosceva altro che le immagini viste sul libro di storia. Pensò alle piramidi, alla sfinge, ai faraoni, all’immensa distesa di sabbia che circondava oasi lussureggianti. Quella notte, le luci dei lampioni del vialetto disegnarono sulle pareti della stanza di Nicole immagini fantastiche. Vide se stessa a cavallo di un dromedario che camminava lentamente, ondeggiando sotto il sole tra le dune del deserto disegnate dal vento. Un accampamento beduino. L’anziano della tri-

bù che preparava il tè e una ragazza che le indicava, lontane, le grandi piramidi.

Alle quattro e mezza squillò la sveglia di un telefonino. Poi un’altra. Pulce cominciò ad abbaiare e a correre per la casa. Niky si alzò dal letto. Le tremavano le gambe dall’eccitazione.

Alle cinque erano tutti in garage pronti a partire. La nonna arrivò quasi di corsa, in vestaglia e con qualche bigodino in testa. «Avete tutto?»

«Sì, siamo pronti» rispose Marco chiudendo il bagagliaio.

«Bene, allora buon viaggio e vi raccomando, divertitevi» disse la nonna e avvicinandosi a Niky le diede un sacchettino di camoscio blu. «Ecco, l’ho trovato. Ti porterà fortuna».

«Grazie, nonna. Sei eccezionale» replicò Niky abbracciandola forte.

«Adesso vai, o farete tardi».

Marco chiuse il bagagliaio e aprì la porta del garage. Irene prese in braccio Pulce, gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e lo mise nella sua gabbietta. Poi tutti salirono in auto.

La nonna seguì l’auto lungo il vialetto. «Chiamate, vi raccomando... sul telefonino».

Irene aprì il finestrino. «Sul telefonino? Parti di nuovo?»

«Sì tesoro, vi ho parlato del convegno in Bretagna… non posso certo rimanere qui».

«Allora, buon viaggio anche a lei signora Amanda» rise Marco salutandola con la mano.

«Grazie caro e buon divertimento».

L’auto si allontanò e Niky si inginocchiò sul sedile posteriore per salutare ancora una volta la nonna.

«Niky, che cosa c’è in quel sacchettino?» le chiese la mamma.

«Un amuleto. È un antico amuleto portafortuna che la nonna ha portato dall’Egitto tanti anni fa. Guarda!» Niky mostrò alla mamma un ciondolo turchese appeso a un cordoncino di cuoio.

«È uno scarabeo!» risero mamma e papà.

«Perché ridete? È bellissimo e ho promesso alla nonna che lo porterò sempre» si indispettì Niky legandosi il cordoncino al collo. Il papà imboccò l’autostrada

Ciao Lisa, sono partita. TVB e i primi raggi di sole colpirono il parabrezza. Niky mandò un messaggino a Lisa e iniziò a giocare con il telefonino.

Alle sei arrivarono al parcheggio dell’aeroporto. Un ragazzo li aiutò a scaricare le valigie, prese le chiavi e portò via l’auto. Papà entrò nell’uffi-

cio per prendere la ricevuta. Niky si sedette sul suo trolley blu, tra l’assonnato e il pensieroso. Afferrò il suo amuleto e lo strinse forte. Ora che si avvicinava il momento di salire in aereo, un portafortuna le serviva. Fino a quel momento non ci aveva pensato, ma adesso…

Proprio in quel momento arrivarono altre tre auto e in un baleno il parcheggio si riempì di gente. Era una compagnia di persone anziane, vestite con colori sgargianti e cappelli di paglia. Erano allegri e rumorosi. Pulce, che aveva russato per tutto il viaggio e dormiva ancora, si svegliò di soprassalto e cominciò ad abbaiare e ad agitarsi tanto che la gabbietta si rovesciò su un lato.

Irene la raddrizzò immediatamente, aprì lo sportello, fece uscire il cockerino e gli mise il guinzaglio. Pulce cominciò a correre da una parte all’altra poi, inaspettatamente, puntò una signora con una lunga gonna rossa e luccicanti scarpe da ginnastica dorate. Le si avvicinò, alzò una zampa posteriore e…

«Noooo!» l’urlo di Irene terrorizzò la signora che fortunatamente fece un balzo all’indietro ed evitò il disastro.

Niky, scrivimi tutto quello che fai.

La donna lanciò a Pulce e alla sua padrona uno sguardo di fuoco, la mascella le si irrigidì e avrebbe sicuramente detto cose orribili se in quel momento il bus navetta non fosse entrato dal cancello.

L’autista spense il motore. Tutti si avvicinarono al minibus, per salire per primi e prendere i posti migliori, ma subito si aprì il portellone laterale e scese un ragazzo in divisa, dalla carnagione scura. «No signori, mi dispiace questo è un mezzo riservato, non è la navetta del parcheggio».

Il ragazzo richiuse la portiera, entrò nell’ufficio e ne riuscì dopo qualche istante. Si avvicinò a Marco e sorrise. «Prego, ingegnere. La navetta è per voi».

«Per noi? Deve esserci un errore».

«Lei è l’ingegner Renetti».

«Si, certo, ma…»

«Io sono Nadir, steward di terra dell’Egypt Air. Sono qui per accompagnarvi in aeroporto e per rendere piacevole il vostro viaggio fin dall’inizio».

«La ringrazio».

«È un piacere. Se volete salire, io mi occuperò dei bagagli e di tutto il resto».

«Devo mettere il cagnolino nella gabbietta?» chiese Irene.

«No, signora. Può tenerlo al guinzaglio, solo in volo deve essere rinchiuso».

Irene prese in braccio Pulce e salì. Poi salì Niky e infine Marco. Nadir caricò i bagagli e si mise alla guida.

Una volta al terminal, furono accompagnati direttamente al controllo documenti e da lì verso una porta a vetri blu con la scritta AREA VIP. Nella stanza c’erano grandi poltrone e un tavolo imbandito per la colazione. Un ragazzo con i capelli neri, la pelle ambrata e bellissimi occhi verdi si stava versando un bicchiere di succo d’arancia. Per un istante il suo sguardo incrociò quello di Niky e lei arrossì.

«Prego, signori. Servitevi pure, l’imbarco è tra un’ora Ciao, Lisa. Aeroporto.esatta, avete tutto il tempo Ragazzo stracarino! per la colazione» disse gentilmente lo steward. Poi si rivolse al ragazzo, sussurrò qualcosa in arabo e uscì dalla stanza.

Marco era molto allegro. «Avete visto? Penso proprio che non vi pentirete di essere venute. Avremo un’accoglienza fantastica. Vuoi una tazza di caffè, cara?»

«Sì grazie. Lascia… faccio io». Irene versò due tazze di caffè e si accomodò su una delle grandi

poltrone in pelle accanto al marito. «Non siamo mai stati in un’area vip».

«Chissà se incontreremo qualche attore o qualche cantante?» ridacchiò Niky.

Irene la guardò e si alzò di scatto. Bevve in fretta il caffè, frugò nella sua borsa e prese una piccola trousse. Poi le diede il guinzaglio. «Tienilo tu, tesoro. Vado a cercare uno specchio. Voglio truccarmi un po’. Devo essere un disastro».

Niky rimase di stucco. La mamma che si preoccupava del trucco era una cosa molto strana, ma non la contraddisse e si versò un bicchiere di succo d’ananas. Non ebbe però il tempo di assaggiarlo che Pulce cominciò a strattonarla, riuscì a liberarsi e si precipitò verso il ragazzo che stava mangiucchiando una brioche. Poi si alzò sulle zampette posteriori e cominciò

ad agitare la coda guaendo e ansimando.

«Pulce! Vieni qui immediatamente. Lascialo stare» gridò Niky.

Marco abbassò il giornale. «Forse ha fame. Tesoro, dagli qualcosa».

Niky prese dalla borsa della mamma il pacchetto di biscotti per cani, ne scartò uno e cominciò a sventolarlo chiamando Pulce.

Niente da fare, il cagnolino si era ancorato con le unghiette ai jeans del ragazzo e non aveva la minima intenzione di mollare la presa.

«Posso darglielo io?» chiese il ragazzo divertito.

Niky arrossì e gli porse il pacchetto di biscotti. «Sì, è meglio. Parli italiano?»

«Certo. Sono italiano».

Niky arrossì di nuovo e si sedette.

Pulce mangiò tre biscottini, si accoccolò tra i piedi del ragazzo e rimase lì per tutto il tempo a farsi grattare la testa.

Quando Irene tornò, guardò compiaciuta il ragazzo, riprese il suo posto e Pulce corse subito da lei.

Poco dopo arrivò Nadir. «Signori, l’aereo sta imbarcando i passeggeri, se volete seguirmi». Poi si rivolse al ragazzo: «Vieni anche tu Karim, siete sullo stesso aereo».

Irene prese il guinzaglio di Pulce e tutti seguirono lo steward lungo un breve corridoio fino a un’uscita deserta davanti a cui era parcheggiata una grande jeep.

Marco si irrigidì. «Questa non è l’uscita per l’imbarco».

«No, ingegner Renetti. Questo è un gate privilegiato. Ecco le vostre carte d’imbarco. Prego, accomodatevi in auto. Vi accompagnerò all’aereo».

Gli ospiti salirono, Nadir prese dal bagagliaio la gabbietta di Pulce e la diede a Irene. «Signora, vorrebbe per favore mettere il cagnolino nella gabbietta? Da qui in poi non può stare al guinzaglio».

«Certamente. Speriamo che non si agiti troppo».

Nadir si mise alla guida e l’auto partì.

Pulce capì immediatamente che cosa stava per accadergli e si appiattì sotto un sedile. Irene riuscì a prenderlo in braccio e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Pulce abbaiò contento e la sua padrona lo infilò nella gabbietta.

«Che cosa gli ha detto?» chiese Karim incuriosito dalla scena.

«È una parola magica. Figurati che non l’ha mai detta nemmeno a me» rispose Niky.

«Un giorno la scoprirai» rise Irene. Poi si rivolse

al ragazzo: «Parli sia italiano che arabo?»

«Sì, signora. Mia madre è egiziana e mio padre è italiano. Ma io sono nato qui, vado a scuola in Italia. L’arabo lo parlo così e così».

«Che classe fai?»

«La prima liceo scientifico a Milano».

«Anche Nicole vuol fare il liceo scientifico. Chissà, potreste ritrovarvi nella stessa scuola».

Niky arrossì. «Mamma!»

Fortunatamente l’auto si fermò. Sulla pista c’era molto vento. Il rumore dei motori degli aerei metteva agitazione. Dall’autobus parcheggiato poco più lontano, gli ultimi passeggeri scendevano in fretta e salivano svelti la scaletta dell’aereo. Karim e la famiglia Renetti salutarono Nadir e salirono insieme agli altri.

This article is from: