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cap.11 • Nella valle dei re e delle regine

Capitolo 11

Nella valle dei re e delle regine

Alzarsi alle quattro e mezza fu un’esperienza traumatizzante. Il sole era già sorto, ma la luce non riuscì ad aprire gli occhi di Niky e di Karim. Si vestirono sognando, fecero colazione dormendo e partirono in dormiveglia. Quando finalmente si svegliarono, si trovarono su una strada sconnessa tra aspre montagne desertiche. Il pulmino si addentrò tra pareti rocciose e arrivò in un parcheggio. All’entrata del sito archeologico, la guida locale li avvisò che solo cinque tombe erano aperte al pubblico.

«Possiamo vedere quella di Thutmosi terzo?» chiese ansiosa Niky.

«Sì, ma dovrete camminare. È la più lontana e la più difficile da raggiungere». 100

Niky era entusiasta e la comitiva si mise in cammino attraverso un paesaggio spettrale fatto di sabbia e rocce rossastre. Poi, finalmente, il professore indicò un punto a circa dieci metri di altezza. «Guardate là. Su quella parete rocciosa. Quello è l’ingresso della tomba di Thutmosi terzo».

Salirono una ripida scaletta in ferro e arrivarono all’ingresso. Da qui percorsero un lungo cunicolo scavato nella montagna. Niky e Karim vollero contare i passi. «Cinquanta» disse lui.

«Cinquantasette» disse lei.

«Tu hai le gambe più corte».

«Va beh» chiuse Niky. Non c’era abbastanza aria lì dentro per discutere.

Alla fine della galleria entrarono in una sala ovale, a forma di cartiglio. Nel centro c’era un grande sarcofago di alabastro rosso e le pareti erano ricoperte di geroglifici e di dipinti tutti rossi e neri su uno sfondo bianco. Il professore spiegò che il faraone aveva voluto far dipingere ora per ora il suo viaggio dalla vita terrena all’aldilà.

Niky però era delusa. «Dove sono le statue, i gioielli e la mummia? Professore, qui non c’è niente».

«La mummia di Thutmosi non è mai stata ritrovata. Quando gli archeologi sono entrati qui,

la tomba purtroppo era già stata saccheggiata».

«E come fanno a sapere che è proprio la sua?»

Il professore indicò due cartigli su una parete. «Qui ci sono i suoi nomi. Il nome di nascita Thutmosi e il nome che prese all’incoronazione: Menkheperra».

«Nel secondo cartiglio c’è uno scarabeo» disse sottovoce Karim a Niky.

«Sì, l’ho visto».

Le altre tombe non interessarono i ragazzi più di tanto e quando a Irene mancò l’aria e si decise di tornare alla nave, furono contenti.

A mezzogiorno in punto si sentì il suono forte e cupo della sirena. La nave partì tra l’eccitazione generale verso Kom Ombo, il tempio di Sobek, il dio coccodrillo. Il pomeriggio trascorse lentamente e pigramente per tutti. Gli unici che non riuscivano a fermare i pensieri erano Niky e Karim.

Dopo aver fatto il bagno in piscina, aver ascoltato il racconto del professore sul tempio del dio coccodrillo che avrebbero visto il giorno successivo e aver assecondato Irene nell’osservare il blu dell’acqua, il verde lussureggiante della riva e il giallo ocra del deserto, riuscirono finalmente a liberarsi degli adulti e si rifugiarono nella sala lettura. Le pareti della saletta erano rivestire di

scaffali in legno stipati di libri sull’antico Egitto; era una vera e propria biblioteca galleggiante in miniatura.

«Prima di tutto mettiamo in fila gli indizi» disse Niky. «Abbiamo uno scarabeo verde che qualcuno ha ricoperto di argilla smaltata di turchese. Perché?»

«Per nasconderlo?»

«Esatto, per non farlo trovare…»

«Perché è la chiave per un tesoro».

«Bravo. Però per trovare il tesoro ci vuole anche una mappa».

«E la mappa è il papiro. Allora abbiamo la mappa e la chiave. Adesso che cosa facciamo?»

«Aspettami qui». Niky corse via. Tornò trafelata dopo qualche minuto con lo scarabeo e con il papiro. Srotolò il foglio, lo stese su un tavolino e indicò un ovale che conteneva i disegni di un cerchietto, una specie di pettine e uno scarabeo.

«Questo è uno dei cartigli di Thutmosi terzo. Qui c’è scritto Menkheperra. Lo abbiamo visto anche

nella tomba. E questo disegno…» disse mettendoci sopra un dito «è uno scarabeo».

«Lo vedo. E allora?»

«Semplice. Mettiamo il mio scarabeo su quello del cartiglio e scopriamo il vero volto di Hatshepsut».

Con movimenti solenni Niky appoggiò l’amuleto sul disegno nel cartiglio.

«Non succede niente» sbuffò Karim.

«Ci manca qualcosa. Dobbiamo scoprire dov’è l’inizio della vita di Menkheperra o di Thutmosi, insomma del faraone».

«La vita del faraone è a Luxor, ma come facciamo a scoprire il punto preciso in cui è nato? Secondo me non c’è soluzione».

«Se Lucy Amstrong vuole così tanto questo scarabeo, una soluzione deve esserci. Dobbiamo solo pensare».

Durante la cena il capitano della motonave avvisò i passeggeri che l’indomani ci sarebbe stata la serata Mille e una notte a cui si doveva partecipare in abiti adatti.

«Che cosa vuol dire abiti adatti?» chiese Niky.

«Che ci vestiremo da arabe» rispose Irene elettrizzata.

Dopo cena, la boutique della nave fu presa d’as-

salto. La hall si trasformò in un grande camerino di prova in cui le ospiti si riparavano l’un l’altra mentre si infilavano e sfilavano tuniche bianche, gialle, turchesi, pantaloni trasparenti, corsetti ricamati di perline, nel tentativo di sembrare almeno minimamente principesse o ballerine arabe. Lo spettacolo era davvero divertente: gli animatori saltellavano da un ospite all’altro per sistemare turbanti, parrucche, arrangiare file di perline sulla fronte delle donne e appendere scimitarre di plastica ai calzoni degli uomini. Qualcuno cadde inciampando nelle ciabattine con la punta all’insù, altri si fasciarono la testa tipo mummia e molti sembravano sacchi di patate con la testa.

Verso le dieci uno a uno gli ospiti cominciarono ad andarsene esausti, carichi di borse e sacchetti di plastica pieni di vestiti e accessori.

Zahra entrò nella boutique e parlò per qualche minuto in arabo con il proprietario. L’uomo annuì e cercò con lo sguardo il resto del gruppo.

«Che cosa gli hai detto?» chiese Irene.

«Gli ho chiesto di procurarci abiti più caratteristici. Li avremo domani. Vedrai, saremo bellissime».

«Anch’io?» chiese Niky.

«Certo, saremo tutti perfetti… anche il professore».

«Signore mie, io sono troppo vecchio per mettermi in costume».

«Vedremo!» replicarono ridendo Zahra e Irene incamminandosi verso il ponte delle cabine.

Il mattino successivo, per fortuna, tutti poterono dormire fino alle sette. Un’ora dopo la nave attraccò a Kom Ombo. Irene era malinconica, nervosa, di cattivo umore.

«Che cos’hai mamma?»

«Niente. Sono solo un po’ triste».

«Perché? Ci stiamo divertendo un sacco!»

«Sì, tesoro. È vero, ma…»

Niky, improvvisamente, ricordò. «Oggi è il vostro anniversario di matrimonio?»

«Sì».

Niky non disse più nulla. Non sapeva proprio come consolare la mamma, per fortuna l’Egitto l’aiutò.

Quando i passeggeri scesero a terra, subito si sentirono trasportati in epoche lontane. Salirono su un piccolo promontorio dove visitarono il tempio di Sobek e di Horus, il dio falco. L’aria era tersa e il sole illuminava il Nilo di riflessi dorati.

Papà oggi è il vostro anniversario. Te lo ricordi?

Se si socchiudevano gli occhi era facile immaginare schiere di coccodrilli che si crogiolavano al sole. All’interno del tempio una guida locale mostrava con orgoglio coccodrilli mummificati di tutte le dimensioni. Karim rimase molto impressionato da quella vista. Niky ne fu disgustata. Irene nemmeno li vide i coccodrilli e passò tutto il tempo a fotografare i resti del tempio che si stagliavano sulle acque del Nilo.

A mezzogiorno la nave ripartì. Dopo pranzo, Zahra era molto impaziente. «I nostri abiti devono essere arrivati. Andiamo a provarli!»

Il gruppo si alzò da tavola giusto in tempo per incrociare Herby che era sceso a pranzare da solo. Lucy, a quanto disse, non si sentiva bene: era ancora sotto shock e preferiva rimanere in cabina.

«Quella donna ha davvero grandi problemi» osservò Zahra.

Il proprietario della boutique li stava aspettando e, non apPapà hai fatto gli auguripena entrarono, iniziò un ca- alla mamma? rosello di abiti meravigliosi: da beduina, da ballerina e da principessa. Irene e Zahra scelsero abiti molto seducenti da odalisca. Li provarono e… erano bellissime. I lunghi capelli rossi di Irene, la carnagione appena

arrossata dal sole e i suoi splendidi occhi blu risaltavano ancora di più in quei veli verde acqua e la facevano sembrare una vera principessa. Niky si infastidì. Perché la mamma si conciava in quel modo se papà non c’era?

Zahra invece aveva scelto un abito giallo che facesse risaltare la sua carnagione ambrata e gli occhi neri. Anche lei era bellissima e seducente, ma Karim non ci badò nemmeno. Fatta la loro scelta le due Sono impegnato. amiche cominciarono a occuDopo la chiamo. parsi del professore che dietro una tenda si lasciò convincere, quasi con rassegnazione, a provare di tutto. Quando ricomparve, Karim e Niky non riuscirono a trattenere un’esclamazione di stupore. Indossava un abito da sceicco con tanto di stivali, scimitarra e turbante con una grossa gemma in fronte. Karim volle un vestito uguale e dopo che lo ebbe indossato, tutti pensarono che a lui stava anche meglio dal momento che non aveva la pancia.

Finalmente, venne il turno di Niky. Si infilò un paio di pantaloni in tulle da danzatrice e un corsetto ricamato con paillettes e perline, poi si specchiò.

«Questi pantaloni sono larghi» disse imbronciata. «Scendono sotto l’ombelico. Io non voglio che si veda».

Zahra le si avvicinò. «Cara, tutti abbiamo l’ombelico. Dal momento in cui nasciamo…»

Niky sussultò. «Ok, va bene! Questo vestito mi piace moltissimo. Posso andare?»

«Dove?» le chiese Irene.

Niky si rivestì in fretta. «Nella sala lettura. Ciao! Vieni Karim?»

L’amico la seguì e i due scomparvero lasciando gli altri molto perplessi.

«Hai sentito che cosa ha detto tua mamma?»

«Sì, ho sentito. E allora?»

«Come fai a non capire? L’ombelico! Lo abbiamo dal momento in cui nasciamo. Il segno dell’inizio della nostra vita da soli è l’ombelico».

Karim strabuzzò gli occhi. «Tu sei matta! Completamente fuori zucca! Secondo te, dove troviamo l’ombelico di Thutmosi terzo? Anche se ci fosse la mummia, non credo che avrebbe ancora l’ombelico».

«Su una statua. Dove vuoi trovare l’ombelico di uno morto da più di tremila anni? Andiamo a cercare tutte le immagini del faraone. Siamo sulla strada giusta».

«Adesso mi sembra che tu fantastichi un po’ troppo» osservò Karim. Però, la seguì alla postazione internet nella sala lettura.

I due ragazzi digitarono statua di Thutmosi terzo e avviarono la ricerca. Sì, una statua tutta nera compariva in continuazione, ma non si vedeva bene. Finalmente trovarono un sito in cui si poteva ingrandire l’immagine. Fu una conferma sorprendente. Proprio lì, sulla cintura sotto l’ombelico, c’era inciso il cartiglio di Menkheperra: un cerchio, un pettine e uno scarabeo.

«Eccezionale!» esclamò Niky.

«Pazzesco!» esclamò Karim. «Tu hai tirato a indovinare e…»

«Non ho tirato indovinare, è una questione di logica, deduzione e un pizzico di intuito femminile, mio caro. Adesso, dobbiamo scoprire dov’è questa statua».

Non riuscirono a trovare l’informazione in internet. Dovunque c’era la foto, ma in nessun sito c’era scritto in quale museo si trovasse.

Erano ancora impegnati nella ricerca quando entrò il professore. «State giocando?»

«Stiamo facendo una ricerca, ma non riusciamo a trovare dove sia questa statua» rispose Karim.

Il professore andò alle loro spalle e guardò lo schermo. «Quella è la statua di Thutmosi terzo. Era nel museo di Luxor, ma ora è in mostra temporanea qui al museo di Assuan».

«Andremo a vederla?» chiese Niky.

«Certamente. Avevo previsto una visita. È un piccolo museo ma la collezione dei reperti di Thutmosi terzo è molto interessante».

«Quando andremo?» chiese Karim.

Il professore sospirò e si sedette di fronte a loro. «Bene ragazzi, adesso penso sia ora che voi mi diciate tutto».

«Non possiamo» rispose Niky. «Anche se glielo dicessimo, non ci crederebbe mai».

«Provate!»

Niky si convinse. Andò a prendere lo scarabeo e il papiro e gli raccontò tutto.

Il professore prese lo scarabeo e lo osservò attentamente. Sull’addome c’erano incisi dei geroglifici. «Mat» disse il professore decifrandoli. «Significa verità». Poi appoggiò l’amuleto sul tavolino e incrociò le braccia. «Ragazzi, le vostre deduzioni mi sembrano più che logiche; in effetti questo è uno scarabeo di diaspro verde e l’incisio-

ne sull’addome è significativa, ma l’idea dell’ombelico di Thutmosi terzo…» il professore non riuscì più a trattenersi e scoppiò un una fragorosa risata. «È troppo ridicolo. Nessun archeologo, nessuno scienziato ci avrebbe mai pensato». Poi si asciugò le lacrime e cercò di ricomporsi. «Però, perché non tentare. In fin dei conti, tutti i grandi che hanno scoperto qualcosa sono andati per tentativi».

«Questo vuol dire che ci porta al museo?»

«Senz’altro. Mi prenderò del matto, ma proveremo a incastonare lo scarabeo nel cartiglio del faraone».

In quel momento a Karim sembrò di vedere un’ombra allontanarsi furtivamente dalla porta della sala lettura, e correre lungo il corridoio, ma pensò che senz’altro si trattava di suggestione.

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