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cap.5 • Babysitter… mai

Capitolo 5

Babysitter… mai!

Alle sette in punto arrivò una telefonata.

«Ingegnere, sono Talib. Vi aspetto nella hall».

«Siamo pronti. Scendiamo immediatamente».

Irene mise in bagno una ciotolina d’acqua e una di croccantini, l’osso di gomma e la pallina di stoffa, poi spinse una poltrona fin davanti alla porta dell’antibagno in modo da costruire a Pulce un ampio recinto. «Ecco, così almeno i disastri saranno limitati».

Il cockerino abbaiò, poi si accorse che nessuno badava a lui e cominciò a giocare con la sua pallina correndo avanti e indietro per tutta la lunghezza del bagno.

Marco, Irene e Niky elegantissimi, in abito da sera, scesero nella hall. Talib Wahab li accompagnò verso la sala dove avrebbero conosciuto

i rappresentanti del ministero, i consulenti e il console italiano in Egitto.

Marco era agitatissimo e non faceva che sistemarsi il papillon.

«Va bene così, caro» gli sussurrò Irene. «Stai tranquillo. Se siamo qui il progetto è già stato approvato, non devi essere nervoso».

Seguendo Talib passarono dalla forte luce dei corridoi dell’albergo a una grande sala in penombra. Tutto era in stile arabo, dal soffitto ad archi e volte da cui pendevano lampade in lucido ottone riccamente lavorate, al pavimento ricoperto di magnifici tappeti dai colori vivaci. In un angolo, un gruppo di musicisti suonava antichi strumenti dalle forme strane e un’insolita musica riempiva l’aria. Al centro della sala era apparecchiato un lungo tavolo ovale con stoviglie raffinate e preziose. Uomini in gallabeya bianca, una lunga tunica, turbante e ciabattine di cuoio con la punta all’insù erano schierati lungo una parete in attesa di servire le vivande. A Niky sembrava di essere nel film di Aladino e a ogni meraviglia che intravedeva sentiva una scossa e un brivido correrle lungo la schiena.

Arrivò il professor Alberto e di seguito, a piccoli gruppi, uomini e donne, vestiti all’occidentale.

Talib iniziò subito le presentazioni: il ministro dell’energia alternativa, il ministro dell’ambiente, i consulenti tecnici, gli esperti geologi, il segretario dell’ambasciatore, il console italiano in Egitto.

“Finalmente un italiano” pensò Niky.

«Tu sei Nicole?» le chiese il console.

«Sì, signore».

«Credevo fossi più piccola. Pensavo avessi cinque o sei anni. Tra un attimo arriveranno mia moglie e mio figlio. In questi giorni, mentre tuo padre è impegnato, terranno compagnia a te e a tua madre».

«Grazie, signor console». Dall’agitazione di papà Niky aveva capito che essere educata e gentile era un dovere assoluto. Ma se il console la pensava più piccola, allora suo figlio era un bambino e l’idea di dover fare da babysitter a un bambino, magari anche pestifero, le cambiò l’umore. Lei sarebbe stata benissimo con Aiutoo! Vogliono farmi fare la babysitter. mamma, Pulce e quel simpatico professore, non aveva assolutamente bisogno della compagnia di un bimbetto che le avrebbe rovinato la vacanza.

Mentre Niky era impegnata a guastarsi la sera-

ta con pensieri pessimisti, una bellissima donna egiziana, alta, slanciata, dai capelli neri e lucenti raccolti in una lunga treccia avanzò lentamente verso di loro.

«Signora Renetti, le presento mia moglie».

«Piacere di conoscerla, signora».

«Il piacere è mio» rispose la moglie del console in un ottimo italiano. «Mi chiami Zahra, se staremo insieme qualche giorno è meglio che usiamo il tu, non crede?»

Irene sorrise e Niky pensò che quella donna e la mamma sarebbero senz’altro diventate amiche.

«Lui dov’è?» sussurrò il console alla moglie.

«Sta arrivando. Non ha voluto mettere la camicia e la cravatta e ha fatto un sacco di storie per le scarpe di vernice. Voleva mettere le scarpe da ginnastica… figurati».

«Ah eccolo» disse il console alzando leggermente un braccio. «Ecco mio figlio».

Niky nemmeno si voltò e facendo un lungo giro intorno alla sala sgattaiolò fuori. L’amuleto! Lo aveva lasciato in camera e doveva recuperarlo. Antico o no, si era convinta che funzionava e in quell’occasione solo un colpo di fortuna poteva salvarla. Così camminò in fretta fino all’ascensore e salì al quindicesimo piano. Raggiunse la

suite, aprì la porta e ascoltò attentamente. Niente, nessun rumore. Pulce si era evidentemente addormentato. Silenziosamente, al buio per non svegliarlo andò nella sua stanza, prese lo scarabeo e lo strinse forte. Ora si sentiva più sicura. Uscì dalla suite, raggiunse di nuovo l’ascensore e scese. Al piano terra la porta si aprì. Uscì e… «Karim! Che cosa fai qui?»

«Non lo so. Anzi, lo so benissimo e vorrei essere in qualsiasi altro posto».

«A chi lo dici! Pensa che vogliono farmi fare la babysitter!»

«Beh, mal comune mezzo gaudio».

«Che cosa vuoi dire?»

«Che mezz’ora fa ho scoperto che mio padre mi ha fatto venire al Cairo per lo stesso motivo. Devo tenere compagnia a una bambina».

«E io a un bambino. Magari ha cinque anni. Ti immagini?!»

Karim rise. «Se anche a te è capitata la stessa cosa, il tuo portafortuna non funziona molto bene».

Niky arrossì. «Lascia perdere. Pensa che oggi hanno tentato di rubarmelo».

«Non ci credo. Chi avrebbe…»

Il professor Mariani arrivò a interrompere

la conversazione. «Ragazzi, dove eravate finiti? I vostri genitori vi stanno cercando dappertutto. Su venite».

Un pensiero attraversò la mente di Niky e improvvisamente capì. Infilò una mano in tasca e strinse forte lo scarabeo. Forse… Sì, assolutamente sì. Aveva funzionato di nuovo!

Quando i tre entrarono nella sala tutti erano già seduti a tavola. Irene e Zahra lanciarono un’occhiataccia ai rispettivi figli e i ragazzi si misero a sedere l’uno accanto all’altro.

«Tu sei il figlio del console?» sussurrò Niky.

Karim la guardò perplesso. A quel punto anche lui capì e tirò un sospiro di sollievo. «Già, e non ho bisogno di una babysitter».

«Beh, sicuramente nemmeno io» scoppiò a ridere Niky e si beccò una nuova occhiataccia da Irene.

La cena fu lunga, lunghissima, interminabile. I ragazzi iniziarono a far palline con la mollica di shami e a farle rotolare da un bicchiere all’altro.

Questa volta fu Zahra a intervenire rimproverando il figlio. Niky, allora, raccontò a Karim tutto quello che era accaduto in piscina e di come secondo lei la signora inglese avesse cercato di rubarle l’amuleto. Ma presto l’argomento si esaurì e i ragazzi ricominciarono a far palline di shami e a tirarsele.

Zahra era molto infastidita. «Insomma, domani

partiamo. Hai intenzione di comportarti così anche sulla nave?»

«Sulla nave? Quale nave?»

Il professor Mariani chiese il permesso e si alzò da tavola. «Su su voi due… venite con me. Vi racconterò il programma della settimana».

«Posso andare, mamma?» chiese Karim.

«Posso andare anch’io?» chiese Niky.

«Shukran» ringraziò Karim.

«Shukran» lo copiò Niky.

Uscire da quella stanza fu una liberazione. I ragazzi e il professore andarono al bar della piscina e davanti a un gelato scoprirono l’entusiasmante programma dei giorni successivi. La cosa a cui Niky teneva di più erano le piramidi e quando seppe che il giorno dopo sarebbero andati Niente babysitter. Il bambino nn è un bambino è K. proprio lì, fece letteralmente i salti di gioia.

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