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Approfondimento L’alimentazione nella storia
L’alimentazione nella storia
Il Paleolitico e il Neolitico
Il Paleolitico è ricordato come l’età della raccolta e della caccia. I nostri più antichi progenitori (le Australopitecine vissute da 6 a 2,5 milioni di anni fa) consumavano vegetali (foglie, frutti, radici) e resti di carcasse di animali morti per cause naturali. Gli ominidi (già appartenenti al genere Homo) che succedettero alle Australopitecine tra 2 milioni e 200.000 anni fa circa, furono esperti nella raccolta di radici, frutti, bacche e tuberi. La capacità di padroneggiare il fuoco, che sembra risalire a 500.000-400.000 anni fa, consentì di cuocere cibi di diverso genere. La caccia di elefanti, rinoceronti, renne e cavalli si affermò probabilmente nello stesso periodo. Durante il Neolitico si verificò una grande rivoluzione economica e alimentare: i cacciatori portarono a compimento prima la domesticazione del maiale, poi della capra, della pecora e dei bovini, e quasi contemporaneamente si ottennero le prime forme di orzo e grano domestici, di lenticchie e piselli. La diffusione dell’agricoltura comportò un forte aumento demografico e la crescita di villaggi permanenti sempre più allargati.
Le Età del Rame, del Bronzo e del Ferro
Durante l’Età del Rame (III millennio a.C.), l’agricoltura si arricchì con le colture della vite, del fico, del ciliegio, del susino, del pruno e del castagno. Furono inoltre inseriti spelta, segale, avena, miglio e ceci. Miele, fichi, bacche e frutta secca permisero lo sviluppo di una produzione dolciaria sempre più variata. Il pollame, già apprezzato presso le città della Magna Grecia, si diffuse nella penisola italiana nel corso dell’Età del Ferro.
L’antichità preclassica
L’alimentazione degli antichi Egiziani era varia e sufficientemente equilibrata: alla base vi erano grano e orzo, utilizzati per la preparazione del pane e della birra. Abbondavano numerose varietà di verdure (cipolle, porri, aglio, sedano, cetrioli e soprattutto lupini, ceci, fave e lenticchie). Erano gustati anche alcuni tipi di tuberi e rizomi (loto, papiro) e nei frutteti erano coltivati cocomeri, meloni, fichi, palme da dattero. Si raccoglieva e apprezzava anche la frutta selvatica, come le noci di palma dum. Le proteine animali erano fornite dai latticini, dalle uova, dalla carne e dal pesce. Dal latte di bovini, ovini e caprini si ricavavano burro e formaggi. Tra le bevande aveva grande rilevanza il vino (non solo di uva ma anche di datteri, di fichi e di melagrana). Nell’antica Mesopotamia, dove vivevano i Sumeri, gli Assiri e i Babilonesi, si consumavano cereali, ortaggi, frutta, funghi, pesce, carne di pollo, maiale, fagiani, latte, miele, olio d’oliva, burro, strutto. Probabilmente era usato il sale per insaporire i cibi. La bevanda di base era la birra. I ricchi organizzavano anche lauti banchetti privati e ufficiali: i commensali mangiavano su vassoi in camera, sul divano, all’ingresso, in giardino e l’unica posata usata era il coltello. I Fenici facevano ampio uso di cereali, legumi (in particolare lenticchie) e ortaggi, e praticavano ampiamente la coltivazione degli alberi da frutta: in particolare il fico fenicio era molto rinomato.
L’antica Grecia
La cultura alimentare del mondo classico si caratterizzava soprattutto per tre aspetti: la convivialità, la tipologia dei consumi alimentari, la cucina unita alla dietetica. Nell’antica Grecia, l’alimento basilare era l’orzo consumato sotto forma di galletta (maza). Si consumavano anche altri cereali (miglio), legumi, semi, olive fresche o in salamoia, verdure crude e cotte, numerosi frutti. Le carni bovine, suine e ovine erano consumate in occasione dei sacrifici; ad esse si aggiungevano le carni di selvaggina. I Greci consumavano anche: pesci di mare e d’acqua dolce e frutti di mare; formaggio sia al naturale sia come dolce, mescolato a diversi ingredienti tra cui il miele; alcune spezie provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa. La bevanda principale era il vino, dal retrogusto resinato (dovuto alla resina di pino che sigillava le anfore) e aromatizzato con miele, timo e altre spezie (per conservarlo più a lungo). In estate era diffuso anche il consumo di idromele (dal greco hýdor, acqua, e méli, miele), una bevanda fermentata ottenuta a partire dal miele.
La cultura alimentare romana
L’alimentazione romana nel periodo monarchico e nei primi anni della Repubblica (V sec. a.C.) era sobria e costituita da pochi alimenti: legumi, verdura e soprattutto polente a base di cereali (orzo, miglio, farro). La base dell’alimentazione era rappresentata dalla polta (o puls), un piatto a base di cereali bolliti in acqua salata (l’ingrediente principale era il farro). Dal II secolo a.C., la polta fu abbandonata progressivamente in seguito alla diffusione del pane, che assomigliava alle gallette. In epoca repubblicana, con la diffusione di piccoli orti, crebbe il consumo di verdure, mentre la carne era un bene che potevano permettersi solo le fasce più abbienti. Inoltre, fino al III secolo a.C., era vietato macellare i bovini, utilizzati per lavorare e per compiere sacrifici. Il latte, specialmente di pecora e di capra, era tra gli alimenti più importanti della dieta di base. Il sale aveva un’enorme importanza e il primo lusso che ogni famiglia si concedeva era proprio una saliera d’argento. Si mangiava spesso pesce di mare conservato sotto sale. I Romani utilizzavano il miele per dolcificare e apprezzavano molto anche le erbe aromatiche e le spezie. Il vino era di solito mescolato con l’acqua e bevuto annacquato. Il secolo cruciale per la svolta nelle abitudini alimentari romane è il II secolo a.C. quando, con la vittoria nelle guerre puniche e la caduta di Cartagine, la possibilità di commerciare in tutto il bacino del Mediterraneo determinò l’affluire sui mercati romani di immense quantità di prodotti provenienti dalle zone conquistate. La cucina acquistò sapori e profumi particolari e una delle sue caratteristiche divenne l’accostamento di sapori contrastanti (come nel caso del dolce con il piccante o del dolce con lo speziato). I Romani iniziarono a consumare pesce, vino, olio, ortaggi e vari tipi di carne. La gente comune mangiava per strada (dato che spesso era vietato cucinare in casa per il pericolo di incendi), nelle tabernae o presso i numerosi venditori ambulanti, che offrivano bibite, salsicce, olive, acciughe, pizzette e dolci.
La suddivisione dei pasti e i banchetti
I pasti principali erano tre: • abbondante colazione al mattino, che spaziava dal pane intinto nel vino (consuetudine greca), a olive, uova o formaggio, miele e frutta secca; • un pasto leggero a mezzogiorno, spuntino veloce e freddo, a base di formaggio di pecora o capra, pesce, pane, cipolle, frutta, legumi, vino e raramente carne; • pasto principale nel tardo pomeriggio, sempre caldo, costituito da un piatto unico, se si mangiava da soli, o occasione di convivio, con addirittura circa cinquanta portate.
I banchetti non erano in realtà prerogativa dei soli ricchi, poiché potevano essere gli stessi commensali a portare il loro contributo per il pasto. Il banchetto era articolato in tre servizi: • antipasti e stuzzichini (gustatio), accompagnati da vino mielato (mulsum); • prima mensa, di norma di sette portate, durante la quale erano serviti maiale, agnello, pollame, selvaggina e pesce; • secunda mensa, con frutti freschi o secchi, dolci, e a volte cibi salati e piccanti, come salsicce o focacce al formaggio per eccitare la sete.
Il Medioevo
Dal III al X secolo d.C. si diffuse l’economia silvo-pastorale basata sullo sfruttamento delle risorse naturali della foresta, dei pascoli naturali, delle acque interne e sulla pratica di caccia, pesca, allevamento brado e raccolta, con una grande varietà di alimenti e una dieta più equilibrata rispetto ad altre epoche. Tratto caratteristico dell’economia alto-medievale era l’allevamento di suini, capre e pecore, utilizzate per la produzione di lana e di latte. Nell’alto Medioevo si diffuse la cultura di ispirazione germanica che assegnava alla carne il ruolo di alimento simbolo del guerriero e del potere. La bevanda quotidiana era il vino. La cervogia (che solo più tardi sarebbe diventata la birra aromatizzata dal luppolo) era caratteristica della cultura germanica delle regioni del Nord Europa. Era invece assente l’acqua, anche per le carenze igieniche. A partire dall’XI secolo si affermò progressivamente l’economia agraria e i cereali, insieme a legumi e ortaggi, divennero l’elemento principale della dieta dei contadini, mentre andarono riducendosi sia lo sfruttamento dei boschi sia la presenza della carne nella loro alimentazione. Nel corso del Medioevo, il cibo divenne un elemento di distinzione tra le classi superiori, che si nutrivano d’alimenti raffinati, e quelle inferiori, che mangiavano prodotti più grossolani. Si venne inoltre a delineare sul piano alimentare l’opposizione tra città e campagna, simbolizzata: • dal pane bianco di frumento contrapposto ai pani scuri, alle polente e alle zuppe di cereali inferiori; • dalla carne fresca del mercato contrapposta alla carne salata del contadino; • dalla carne di pecora contrapposta alla cultura rurale del maiale.
Dal XV al XVII secolo
Con la scoperta del Nuovo Mondo, in Europa arrivarono le patate, il mais, i fagioli, il tacchino, i pomodori e il cacao. Dall’Oriente giunsero invece caffè e tè. Le grandi trasformazioni storiche dell’età moderna ebbero importanti conseguenze sull’alimentazione: • la Riforma protestante sgretolò la regolamentazione ecclesiastica medioevale, favorendo la diversificazione di cucine nazionali; • il progresso della stampa permise la diffusione dei libri gastronomici; • l’ingrandimento delle città favorì il passaggio da un’agricoltura di sussistenza a un’agricoltura di mercato, provocando l’espansione delle terre destinate alla coltura dei cereali, a scapito dei terreni destinati all’allevamento e alla caccia; • le trasformazioni della proprietà rurale determinarono un generale impoverimento del regime alimentare contadino.
Il Rinascimento
La grande cucina rinascimentale prese forma in Italia con: • pratiche e piatti d’ispirazione medievale; • mescolamento dei gusti dolce e salato; • presentazioni altamente scenografiche; • abbondante uso di spezie.
In questo periodo comparvero le minestre e nacque l’abitudine di avvolgere le carni in croste di pane. Alla fine del Quattrocento, comparvero le paste “all’italiana”: maccheroni e vermicelli, conditi con uvette oppure con burro e sale, e le prime paste ripiene, antenate dei tortellini. Lo zucchero, opportunamente elaborato, portò all’invenzione della “moderna” pasticceria e della confetteria. In quest’epoca, si andò notevolmente rafforzando l’uso della carne macellata, specialmente del manzo e del vitello, e nacque una vera e propria passione per le frattaglie e le interiora degli animali.
Dal Seicento a oggi
A partire dal XVII secolo, si avviò la transizione dalla grande cucina italiana alla grande cucina francese: le cucine nobiliari europee passarono nelle mani dei cuochi francesi che iniziarono a imporre la nuova moda. La cucina del Settecento privilegiava la vista, attraverso una presentazione scenografica della mensa. L’Ottocento e il Novecento furono caratterizzati da grandi cambiamenti sociali ed economici. Le conseguenze in campo alimentare furono: • maggiore disponibilità di generi alimentari; • ampliamento dei mercati, dovuto allo sviluppo dei trasporti; • passaggio dall’economia di sostentamento all’economia di mercato; • sviluppo di industrie alimentari e conserviere, che iniziarono a produrre su larga scala prodotti un tempo preparati artigianalmente; • crescita della ristorazione, che spaziava dai ristoranti di lusso alla ristorazione collettiva, alla quale si riferiva ogni giorno una clientela sempre più numerosa; • disponibilità di prodotti esteri sui mercati europei, anche grazie allo sviluppo delle tecnologie della refrigerazione; • cambiamento delle aree di approvvigionamento delle materie prime, che iniziarono ad arrivare alle industrie alimentari dalle più svariate aree geografiche; • diffusione in Europa, a partire dagli anni Settanta del XX secolo, dei supermercati: in Italia il primo supermercato fu aperto nel 1957.
Negli ultimi due secoli, nella maggior parte dei Paesi europei, la proporzione degli alimenti vegetali si è ridotta a vantaggio delle proteine animali e dei grassi, con un aumento del consumo di latticini e di verdura e frutta fresca. Dopo le due guerre mondiali, a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo si assiste a un miglioramento dei consumi alimentari in concomitanza con il boom economico e la diffusione del benessere. A partire dalla fine degli anni Sessanta del XX secolo si diffonde la Nouvelle Cuisine, caratterizzata da combinazioni di piccole quantità di cibi, presentati artisticamente in piatti di dimensioni superiori al normale, guarniti e addobbati dagli stessi ingredienti delle ricette. In risposta a essa, si afferma progressivamente una cucina che si propone di conciliare le ricette della tradizione con l’innovazione.
LAVORO COOPERATIVO
La fine del XX secolo e l’inizio del XXI assistono al ritorno delle carestie e della fame in molte regioni dei Paesi in via di sviluppo. Secondo i dati disponibili, circa 795 milioni di persone nel mondo – ovvero una persona su nove – sono denutrite. L’obiettivo 2 dell’Agenda 2030 si propone di porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile. Tutti insieme: raccogliete i dati relativi ai fatti e ai traguardi dell’obiettivo 2 dell’Agenda 2030. Alla luce di quanto appreso, analizzate le principali cause della fame nel mondo nei Paesi in via di sviluppo, elencate di seguito, mettendone in evidenza gli effetti e le conseguenze: • arretratezza dei processi produttivi rispetto all’incremento demografico; • sviluppo di monocolture a scapito delle colture tradizionali per fornire alle industrie alimentari dei Paesi industrializzati le materie prime necessarie; • conflitti frequenti e instabilità politica.