Theriaké Settembre/Ottobre 2021

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Theriaké Anno IV n. 35 Settembre - Ottobre 2021

Theriaké [online]: ISSN 2724-0509

RIVISTA BIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANI FARMACISTI DI AGRIGENTO

LA SANITÀ NEL DOPO COVID PNRR un’occasione da non sprecare di Carlo Ranaudo

VALUE BASED HEALTHCARE Assistenza sanitaria basata sul valore, per una qualità migliore di Letizia Cascio

BEAUTY ROUTINE Ad ognuno la sua di Rossella Giordano

CARAVAGGIO Introduzione al suo “enigma” (I parte) di Rodolfo Papa

RINASCERE NEL SACRO, GESTAZIONE DI UN’OPERA La cappella dell’Immacolata Concezione nella Chiesa di San Giovanni Maria Vianney a Falsomiele (Palermo) di Irene Luzio

LA LEBBRA Storia di una delle più antiche malattie di Giusi Sanci


Sommario

4 Attualità

LA SANITÀ NEL DOPO COVID

PNRR un’occasione da non sprecare

8 Biogiuridica

VALUE BASED HEALTHCARE

Assistenza sanitaria basata sul valore per una qualità migliore

10 Cosmetica & Natura BEAUTY ROUTINE Ad ognuno la sua

16 Delle Arti CARAVAGGIO

Introduzione al suo “enigma” (I parte)

22 Cultura

RINASCERE NEL SACRO, GESTAZIONE DI UN’OPERA La cappella dell’Immacolata Concezione nella Chiesa di San Giovanni Maria Vianney a Falsomiele (Palermo)

28 Apotheca & Storia LA LEBBRA

Storia di una delle più antiche malattie

Responsabile della redazione e del progetto gra1ico: Ignazio Nocera Redazione: Valeria Ciotta, Elisa Drago, Rossella Giordano, Christian Intorre, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Carmen Naccarato, Silvia Nocera, Giusi Sanci. Contatti: theriake@email.it Theriaké via Giovanni XXIII 90/92, 92100 Agrigento (AG). In copertina: Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura. 1593-94, Pinacoteca Capitolina, Roma. Questo numero è stato chiuso in redazione il 14 – 10 – 2021

Collaboratori: Pasquale Alba, Giuseppina Amato, Carmelo Baio, Francisco J. Ballesta, Vincenzo Balzani, Francesca Baratta, Renzo Belli, Irina Bembel, Paolo Berretta, Mariano Bizzarri, Elisabetta Bolzan, Paolo Bongiorno, Samuela Boni, C. V. Giovanni Maria Bruno, Paola Brusa, Lorenzo Camarda, Fabio Caradonna, Carmen Carbone, Alberto Carrara LC, Letizia Cascio, Matteo Collura, Alex Cremonesi, Salvatore Crisafulli, Fausto D'Alessandro, Gabriella Daporto, Gero De Marco, Irene De Pellegrini, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù, Gaetano Di Lascio, Danila Di Majo, Claudio Distefano, Vita Di Stefano, Carmela Fimognari, Luca Matteo Galliano, Fonso Genchi, Carla Gentile, Laura Gerli, Mario Giuffrida, Andrew Gould, Giulia Greco, Giuliano Guzzo, Ylenia Ingrasciotta, Maria Beatrice Iozzino, Valentina Isgrò, Pinella Laudani, Anastasia Valentina Liga, Ciro Lomonte, Roberta Lupoli, Irene Luzio, Erika Mallarini, Diego Mammo Zagarella, Giuseppe Mannino, Massimo Martino, Carmelo Montagna, Giovanni Noto, Roberta Pacicici, Roberta Palumbo, Rodolfo Papa, Marco Parente, Fabio Persano, Simona Pichini, Irene Pignata, Annalisa Pitino, Valentina Pitruzzella, Renzo Puccetti, Carlo Ranaudo, Lorenzo Ravetto Enri, Salvatore Sciacca, Luigi Sciangula, Alfredo Silvano, Gianluca Tricirò, Emidia Vagnoni, Elena Vecchioni, Fabio Venturella, Margherita Venturi, Fabrizio G. Verruso, Aldo Rocco Vitale, Diego Vitello. In questo numero: Letizia Cascio, Rossella Giordano, Irene Luzio, Rodolfo Papa, Carlo Ranaudo, Giusi Sanci.

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Architettura in Farmacia

PROGETTO

PRODUZIONE

CONTRACT

PHARMATEKNICA è specializzata nella progettazione e produzione di arredamenti espositivi e tecnici su misura per la farmacia; partner WILLACH nella commercializzazione di cassetti per farmaci da banco e a colonna, utilizza superfici in HI-MACS, KRION, FENIX. I materiali utilizzati sono conformi agli standard ambientali. Oltre alla produzione di arredi, pharmateknica, si pone come interlocutore unico “general contractor” per la realizzazione o ristrutturazione della Vostra farmacia.

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Attualità

LA SANITÀ NEL DOPO COVID PNRR un’occasione da non sprecare Carlo Ranaudo*

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uesta pandemia e il tragico bilancio di morti e feriti che si sta portando dietro hanno dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, che il modello della sanità p u b b l i c a i n I t a l i a d e v e e s s e r e profondamente modi9icato ed adeguato ad una realtà che cambia. Nel 1978 la nascita del SSN con la Legge 833 segna una svolta nel percorso civile della Nazione. Una sanità in cui venivano abolite le mutue con prestazioni differenziate tra appartenenti a categorie ricche e quelle povere, e sanciva il principio di universalità, uguaglianza ed equità per l’accesso alle cure di tutti i cittadini, grazie all’intervento di un unico erogatore di servizi. Si costruisce un modello di sanità condiviso ed omogeneo sul territorio nazionale. Un modello basato sulla presenza di un terzo pagante, che copre la spesa attraverso la 9iscalità generale. Proprio questa gestione della spesa diventa sempre più un fattore critico, tanto che per governarla si introduce nel 1992 il concetto di aziendalizzazione, con un’attenzione alle entrate (fondo sanitario, ticket…) e alle uscite (prestazioni). Poi la svolta del 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione e il passaggio alle Regioni della componente economica, con abbinato il discutibile principio della legislazione concorrente. Da un lato uno Stato centrale che detta i principi generali (Livelli Essenziali di Assistenza in cui sono inseriti anche i farmaci), dall’altra le Regioni con il compito di erogare i servizi, gestire le risorse, organizzare i servizi. Comincia così a vacillare il principio di uguaglianza ed equità dei cittadini di fronte alla sanità. 21 Servizi Sanitari Regionali, modelli spesso diversi, concorrenza interna tra le regioni, ma anche buchi nei bilanci e commissariamento di quelle regioni — in maggioranza del centro sud — che non riescono a far quadrare i conti economici, sia per gestioni non sempre oculate, ma anche per problemi strutturali dif9icilmente risolvibili con i soli fondi sanitari. C o m m i s s a r i a m e n t o s i g n i 9 i c a r i s p a r m i o e i m p o s s i b i l i t à d i p ro g ra m m a z i o n e , c o n l a conseguenza dell’incremento della forbice tra regioni virtuose e altre sotto tutela.

L’aspetto più preoccupante che ha messo in luce questo modello regionalizzato è la incapacità di reggere alle emergenze. Il prezzo più alto di vite umane e di ricoveri è stato pagato proprio da quelle regioni cosiddette virtuose, con in testa il triangolo d’oro della sanità italiana: Lombardia, EmiliaRomagna, Veneto. Nessuna delle tre ha mai subito un commissariamento. Ognuna, anche se con un approccio politico economico diverso, è stata indicata come il punto di riferimento per le altre. E invece la pandemia mette a nudo i problemi, a volte ignorati o sottovalutati. Ma è veramente la pandemia l’unica vera causa della debacle del modello sanitario, o c’è forse qualcos’altro di più strutturato e che può rappresentare la mina vagante per il futuro nostro e delle future generazioni? Leggiamo qualche dato che potrebbe farci ri9lettere. Negli anni ’50 c’era in Italia un bambino per ogni anziano, oggi siamo a 5 anziani per ogni bambino. Si è allungata l’età media, ma sono anche aumentati gli anni di vita non in buona salute.

*Docente di Farmacoeconomia, Dipartimento di Farmacia - Università di Salerno

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Attualità

Figura 1. Il SSN resta la più grande infrastruttura del nostro Paese, la più grande opera pubblica mai costruita. Ma come tutte le opere ha necessità di essere periodicamente ristrutturata. In 40 anni l’Italia è mutata profondamente. (Min Salute).

Avere una popolazione anziana signi9ica fare i conti con la cronicità. Sono 24 milioni i cittadini italiani affetti da una patologia cronica, e più della metà soffre almeno di plurimorbilità. Ipertensione e malattia artrosica in primis, ma anche diabete, bronchite cronica, asma, patologia tiroidea. Tutto questo ha un costo elevatissimo per il SSN. Si parla di 65 miliardi di euro per la sola cronicità, ma è un dato molto sottostimato e soprattutto in continua crescita. Di fronte a questa enorme necessità di risorse diventa estremamente dif9icile, se non quasi impossibile, garantire la sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale con il modello attuale. I cronici e i fragili rappresentano una realtà sovraregionale e dunque il problema è di tutti. Il primo elemento di fondo è di tipo strutturale. Non può essere la realtà ad adattarsi ad un modello, ma sono i modelli ad adattarsi alla realtà. Sembra un gioco di parole, ma è una evidente realtà. Q u e l l o d i o g g i è i l m o d e l l o 9 i g l i o d e l l a aziendalizzazione della sanità, che ha portato alla occupazione del potere, alle spartizioni, alla gestione di 101 aziende sanitarie locali, di aziende ospedaliere, di aziende integrate con i policlinici. La

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regionalizzazione della sanità — 9iglia della sopracitata modi9ica del Titolo V della Costituzione — ha creato attorno ai miliardi della sanità un sistema di potere politico enorme. Un sistema di potere politico, ma anche un modello su cui si f o n d a n o i s e r v i z i s a n i t a r i . U n m o d e l l o “ospedalecentrico” basato sulle prestazioni, ognuna con un suo costo e pertanto con un suo rimborso secondo un concetto di “silos”, che considera esclusivamente il costo della malattia e della prestazione. È il modello DRG (Diagnosis Related Group o raggruppamenti omogenei di diagnosi) mutuato dal sistema americano, che non va dimenticato è totalmente diverso dal nostro, perché basato sul rimborso assicurativo. Un paziente si opera di protesi dell’anca o di bypass aortocoronarico o di cancro del colon, e al centro erogatore viene rimborsato il costo della prestazione. Poi questo paziente, una volta dimesso, torna a casa, con tutti i problemi della sua patologia cronica, e rimane a carico della Regione di origine. Un modello che ha fatto aumentare a dismisura la mobilità sanitaria dalle regioni del sud verso quelle del nord, che garantivano maggiore tecnologia e prestazioni più di avanguardia, sempre però legate ad ambiti chirurgici e diagnostici. Aziendalizzazione selvaggia che in nome del bilancio lascia fuori i cronici, i fragili, i posti letto di rianimazione e terapia intensiva, tutto quello che costa troppo e non porta bene9icio economico. Il Covid ci ha dimostrato che oggi quel modello non regge, anzi è diventato il punto debole non solo della sanità ma anche dell’economia. Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, che più di ogni altra regione, hanno attirato pazienti e malati nei loro ospedali, e che 9ino a ieri hanno vantato e incassato la maggiore mobilità attiva, oggi più di ogni altra piangono i propri morti. Il Covid ha solo portato a galla la inadeguatezza del sistema, e soprattutto la necessità di un radicale cambiamento di approccio.

Figura 2. Il modello attuale non è più adeguato e va profondamente rivisto. Siamo all’ “anno zero” come ha titolato l’ultimo forum sulla sanità 9ine 2020.

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Attualità

salute, piani9icando con anticipo le azioni più opportune. Un sistema di assistenza diverso dalla classica medicina di attesa, che aspetta la malattia per intervenire. Questo modello basato sulla prevenzione può rappresentare anche il vero elemento di sostenibilità del SSN, perché la malattia ha un costo elevato, sanitario e sociale, che oggi lo Stato non può più permettersi di affrontare. La grande svolta può oggi venire dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un 9iume di risorse in cui la sanità entra in tre capitoli o Missioni; nella Missione 1, la più ampia, per la digitalizzazione, l’innovazione e la competitività; nella Missione 6 con i sette miliardi di euro per la costituzione delle reti di prossimità, telemedicina e assistenza sanitaria territoriale, e i sei miliardi per l’innovazione e la digitalizzazione del SSN. Nella Missione 5 sulla inclusione territoriale. Un piano che prevede la creazione di 1288 case della comunità e 381 ospedali di comunità. Senza un modello organico, senza una visione politica e un progetto piani9icato, programmato e governato, si corre il rischio di voler utilizzare questi fondi per una manutenzione del già esistente. Le case della salute le conosciamo già. Oggi non serve rimodellare l’esistente, ma scrivere il progetto della sanità del futuro. Il Covid ci ha solo dimostrato che si deve invertire il 9lusso. Il paziente deve entrare in ospedale solo quando è necessario, per le emergenze, per le patologie complesse, per gli interventi altamente La presa in carico del paziente rappresenta la vera specialistici ed ottenere s 9 i d a d e l l a S a n i t à . assistenza quali9icata. Tutt’altra cosa rispetto al «Non giochiamo con la sanità. Per il resto è l’ospedale modello di presa in La sanità è una cosa seria, è il bene più che deve andare sul carico della malattia. importante da cui dipende tutto. t e r r i t o r i o , a n c h e Ma siamo attrezzati? Spendere con efficacia ed efficienza queste attraverso sistemi come Oggi diventa necessario a n z i i n d i s p e n s a b i l e risorse sarebbe il modo migliore per onorare l’assistenza domiciliare, l a t e l e m e d i c i n a , i l riscrivere la Sanità. le migliaia di vittime dirette e indirette di potenziamento della R i p r o g ra m m a r e u n a questa pandemia, e fare in modo che non medicina di prossimità. assistenza territoriale siano morte invano. Non è una opzione, ma è Non si può assistere più che si prenda cura dei una drammatica necessità, se non si vuole al fenomeno delle liste di pazienti sempre più che i principi di uguaglianza e universalità, attesa senza 9ine, in cui anziani, e sia veramente lo stesso ente, che nega attenta ad un concetto alla base della grande riforma del 1978, una prestazione, diventa che negli ultimi anni vadano drammaticamente perduti. e s a t t o r e d i r i s o r s e sembrava quasi solo uno Il grande guaio dell’emergenza COVID p r iva te n e l l a s te s s a slogan: la prevenzione. sarebbe pensare che non ci sia stata e che struttura. E allora: a chi Prevenire non signi9ica tutto possa tornare come prima» conviene avere le liste fare un vaccino per il c h i l o m e t r i c h e ? C o v i d - 1 9 o p e r Probabilmente a chi l ’ i n 9 l u e n z a o p e r i l dovrebbe fare di tutto per evitarle. morbillo. Prevenire signiNica agire sui fattori di rischio, investendo su un modello di medicina di iniziativa, quel paradigma assistenziale che prevede di agire anticipatamente, ed individuare possibili bisogni ed eventuali fattori di rischio per la

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Biogiuridica

VALUE BASED HEALTHCARE Assistenza sanitaria basata sul valore, per una qualità migliore

Letizia Cascio*

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eneralmente quando si parla di qualità in ambito sanitario [1], per valutare quanto si è stati più o meno virtuosi, ci vengono in soccorso gli indicatori di performance [2]. Questi possono essere molteplici e sviluppano i risultati in percentuale o sotto forma di scale valoriali. Il dato relativo alla qualità non è però solo un numero Bine a se stesso, afBinché diventi un’informazione concreta, è necessario che venga elaborato anche rispetto agli outcomes [3], che sono determinati, per buona parte, dal livello di Biducia che un paziente ripone in una struttura sanitaria alla quale, tranne nei casi di necessità ed urgenza, deciderà di afBidarsi, nel caso in cui avesse il bisogno di ristabilire il proprio buono stato di salute. La qualità, dunque, da cosa effettivamente dipende? I criteri di analisi, come dicevamo, sono variegati, ma ciò che accosta ad essi la rilevanza dell'esito della cura è il Value Based Healthcare che è orientato proprio a questo, a dare alla componente dinamica, quale il paziente, rilevanza essenziale nei piani di miglioramento. Il paziente, infatti, è una componente sfaccettata in quanto presenta bisogni, una storia clinica ed a volte anche urgenze diverse. Ciò che fa il Value Based Healthcare è legare aspetti gestionali, tecnologici e generalmente strutturali, di output, alla dimensione umana. Questo nuovo approccio necessita di una rivisitazione anche dell'aspetto relazionale tra medico e paziente, dove è sì essenziale la preparazione professionale del medico, ma il paziente diventa parte attiva e l'offerta di salute diventa strettamente dipendente dal grado di soddisfacimento dell'utenza. Guardiamo degli esempi per capire meglio l'approccio, che ho avuto modo di approfondire durante una recente esperienza formativa [4]. Il metodo Value Based Healthcare, nonostante presenti delle complessità, è molto utilizzato in realtà come l’Olanda, che vi ha puntato molto per migliorare i percorsi, valutando prima i risultati che i volumi. Sul territorio nazionale è altrettanto presente in maniera

più circoscritta e legata a singole realtà, ma è un a s p e t t o d i c r e s c e n t e i n t e r e s s e , c h e v e r r à certamente sviluppato, qui come a livello globale, in q u a n t o r i p e n s a r e a l rapporto tra gli esiti di cura e i c o s t i p e r m e t t e d i ra zion a l izza re a n c he i bisogni di spesa sanitaria [5]. In Olanda, il percorso del Value Based Healtcare è assistito dall’intelligenza artiBiciale tanto da essere considerato un “perfect marriage” [6], prediligendo software avanzati nei percorsi diagnostici in radiologia, così come app in dermatologia per agevolare la prevenzione del melanoma. A proposito di app, si nota come in relazione all’attuale pandemia sia stato necessario reinventare il percorso di acquisizione del consenso informato a distanza, sia per quei pazienti posti in isolamento, sia per chi era all’interno di uno studio clinico, per permettere di procedere senza ritardi. Anche la Food and Drug Administration (FDA) statunitense si è espressa attraverso la redazione di u n a g u i d a s u l l ’ u t i l i z z o d i te c n o l o g i e p e r l’acquisizione del consenso informato a distanza [8]. Ciò denota un approccio fortemente innovativo che incita quasi ad una rivoluzione digitale da parte di tutti gli attori coinvolti, per andare oltre il taglio dei costi e mettersi nella logica di investimenti proattivi, mantenendo sempre Bloridi i principi di equità ed universalità, e garantendo alti standard di qualità. Il modello Value Based Healthcare è stato sviluppato negli Stati Uniti presso la Harvard Business School [9] dal Prof. Michael Porter che, basandosi su modelli economici gestionali, ha stilato sei punti deBiniti dei pilastri, a partire proprio dalla misurazione e valutazione degli esiti, seguite dall’organizzazione delle unità di assistenza integrate, dall’integrazione

*Dottoressa in Giurisprudenza

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Biogiuridica

anche di quelle separate, dal superamento d e l l ’ e v e n t u a l e l i m i t e g e o g r a B i c o , d a l l a riorganizzazione della modalità di Binanziamento, coadiuvando tutto ciò con l’uso di una piattaforma efBicace. Seppure il modello sia stato sviluppato negli USA, in Europa lo si guarda, come abbiamo visto, con estrema curiosità; e sebbene risulti complicato in un sistema sanitario universalistico mantenere fede a tutti e sei i pilastri descritti, è comunque rilevante come il modello abbia stimolato la riallocazione strategica delle risorse proprio in base ai patient outcomes. Un’esperienza di notevole interesse è anche quella del Galles [10], dove nel 2014 il Ministro della Salute ha promosso un piano denominato Prudent Health Care [11], nel quale il Value Based Healthcare ha avuto un ruolo rilevante per ridisegnare il processo di raccolta corretta dei dati di uno studio sul P a r k i n s o n , a t t r a v e r s o s o p r a t t u t t o l a somministrazione ai pazienti di questionari, successivamente caricati in piattaforme, e messi a disposizione di team di specialisti e pazienti. Attraverso questo progetto pilota è stato standardizzato il metodo a livello nazionale, per altri percorsi assistenziali, dando la possibilità di consultare in maniera diretta il risultato di ricerche mediante la consultazione di report aperti all’intera popolazione interessata. E si intende proseguire guardando ad una maggiore integrazione degli attori, per migliorarne la comunicazione. Dunque, in generale, la cultura del valore è giustiBicata se si è in grado di dare agli esiti la corretta rilevanza, laddove invece si hanno risorse limitate per la loro misurazione, diventa un esercizio astratto. Ad esempio, si ritiene che tale approccio sia utile nella gestione delle cronicità, dove sarebbe più semplice gestire gli episodi acuti della malattia anche grazie ad una migliore efBicienza tecnica che abbia l’obiettivo di fornire la massima qualità dei servizi ad un costo moderato, intervenendo con il modello Value Based Healthcare solo dove necessario, e non sull’intero processo; così come accade in Olanda per la gestione dei diabetici [12]. In Italia proprio per la presenza di un sistema sanitario frammentato, è auspicabile un dialogo ad ampio spettro per identiBicare sistemi obsoleti e andare verso un nuovo modello che aiuti ad individuare fattori prioritari e a dare incisività a piani di Binanziamento, riducendo asimmetrie gestionali e facendo sì che gli esiti da misurare siano più strutturati e d’ausilio all’ottimizzazione dell’intero percorso. E pertanto ci si chiede, come saranno spesi i soldi del Recovery plan? Il testo è strutturato in “missioni”. La

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sesta [13] è dedicata alla sanità, e punta sia alla digitalizzazione che allo sviluppo della medicina di prossimità, dualità che decongestionerebbe il sistema sanitario nazionale. Pertanto, sembra scontato pensare che l’ausilio di sistemi che incrementino una gestione delle cronicità a livello domiciliare con il metodo Value Based Healthcare, utilizzato da altri Paesi a noi vicini, possa essere fondamentale. Le questioni aperte sono tante e per avere risposte bisognerà attendere il 2026, quando è previsto l’arrivo dei risultati; Bino a quel momento, l’Italia è chiamata a giocare, proprio in tal senso, una delle partite più importanti.

Bibliografia e sitografia 1. h t t p s : / / w w w . s a l u t e . g o v . i t / i m g s / C_17_pubblicazioni_1984_allegato.pdf 2. https://blog-artexe.mapsgroup.it/indicatori-diperformance-sanita-le-3-leve-da-ottimizzare 3. Molinari G., Management e leadership nelle organizzazioni sanitarie. Franco Angeli 2005, p. 21. 4. https://www.universiteitleiden.nl/en/education/studyprogrammes/summer-schools/summer-school-ai-vbhc-2021 5. Koehring M., Value Based Healthcare in Europe, a new era for patients, payers, providers, innovators. The Economist 2016. 6. Cit. Mark van Buchem Prof. chairman of the Department of Radiology and actively involved in both the Bield of AI and VBHC. 7. https://acrpnet.org/2020/06/03/fda-offers-freeeconsent-app-to-advance-remote-trials/ 8. https://www.fda.gov/media/136238/download? utm_campaign=MyStudies%20App%20OGCP&utm_medi um=email&utm_source=Eloqua 9. Porter M.E., What is value in health care? N Engl J Med., 2010, Dec 23;363(26):2477-81. doi: 10.1056/ NEJMp1011024. Epub 2010 Dec 8. PMID: 21142528. 10. https://www.vbhc.nl/wp-content/uploads/Porter-Whatis-value-in-healthcare.pdf 11. https://gov.wales/sites/default/Biles/publications/ 2019-04/securing-health-and-well-being-for-futuregenerations.pdf 12. AA.VV., Le sei priorità per implementare il Value Based Healthcare in Italia. Harvard Business Review 13. https://www.governo.it/sites/governo.it/Biles/PNRR.pdf

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Cosmetica & Natura

BEAUTY ROUTINE Ad ognuno la sua

Rossella Giordano*

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er beauty routine si intende quell’insieme di gesti quotidiani volti alla cura della persona, di pratiche e abitudini che dovrebbero af9iancare quelle che già vengono eseguite ogni giorno, proprio come fare la doccia o lavarsi i denti. La beauty routine per il viso, come si può intuire, comprende una serie di gesti che vengono dedicati alla cura del volto. Se eseguita quotidianamente, questa abitudine di bellezza darà dei risultati sorprendenti, migliorando il tono, l’elasticità e la luminosità del viso. Esistono beauty routine che vanno eseguite con cadenza quotidiana, altre invece con tempi più dilatati, come una volta a settimana o anche al mese. L’importante per ognuna di queste pratiche di cura per il viso è il rispetto dell’esatto ordine in cui vanno eseguiti tutti i passaggi. Per la beauty routine quotidiana i gesti da fare sono — nell’ordine — pulire e idratare. Sono due passaggi che vanno fatti usando prodotti speci9ici, e vanno compiuti due volte al giorno, al mattino e alla sera. Le differenze di gesti fra l’appuntamento mattutino e quello serale sono poche, ma fondamentali. Sia al mattino che alla sera, la pelle va pulita prima con un detergente e poi con un tonico viso, fra il primo e il secondo prodotto nella beauty routine serale si può aggiungere anche l’uso di dischetti viso anti-età peeling, con effetto esfoliante, che fungono da scrub viso, e nutrono al contempo la pelle. In questo modo si rimuovono tutte le impurità e si prepara il viso a r i c eve re i l p a s s a g g i o s u c c e s s ivo : d i s e ra corrisponderà ad una crema notte dal potere fortemente idratante e levigante, mentre al mattino a una crema idratante e rinfrescante. La beauty routine da eseguire una volta a settimana, casomai da fare durante il weekend, quando gli impegni di lavoro lasciano un po’ più di tempo libero da dedicare a sé, aggiunge ai passaggi della detersione e dell’idratazione quello dell’esfoliazione. In questo caso può essere effettuato un vero e

proprio scrub viso che levighi, puri9ichi e liberi la pelle dalle impurità, con agenti esfolianti di origine naturale, delicati sulla pelle. L’altro passaggio da fare almeno una volta alla settimana per una beauty r o u t i n e p e r f e t t a è l ’ a p p l i c a z i o n e d i u n a maschera viso. Come per il peeling, anche la maschera si può fare più volte nel corso di una settimana, l’importante è rispettare l’appuntamento con almeno un trattamento ogni sette giorni. Questo gesto va eseguito dopo aver deterso il viso, e prima di applicare la crema idratante. La scelta della maschera rispetta quelle che sono le necessità della pelle: una pelle secca o segnata dalle rughe avrà bisogno di un prodotto super-idratante, mentre una pelle più grassa avrà bisogno di un trattamento puri9icante. Una volta al mese invece è bene fare una beauty routine che corrisponda più che altro ad un check, per vedere se è cambiato qualcosa, se ci sono segni o altri punti del viso da porre all’analisi di un dermatologo, per capire se i prodotti scelti sono quelli giusti o si deve aggiustare il tiro, scegliendo soluzioni che siano più idratanti o più detox. Si evince pertanto che la nostra pelle trae enormi bene9ici dall’applicazione di tutti questi prodotti cosmetici, che riescono a garantire elevate prestazioni grazie alle continue ricerche volte a c o m p r e n d e r e d a u n l a t o i m e c c a n i s m i dell'invecchiamento cutaneo e dall’altro a sviluppare strategie di progettazione per migliorare la salute generale della pelle. Oggi sappiamo che i fattori che in9luenzano la salute e l'invecchiamento della pelle cambiano durante la nostra vita a causa sia di fattori

*Farmacista

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Cosmetica & Natura caucasica, la carnagione asiatica e quella scura h a n n o u n d e r m a m o l t o p i ù s p e s s o e strutturalmente più compatto. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui gli asiatici e gli individui con carnagione scura hanno una minore incidenza di rughe facciali [2]. • Età e sesso. Ormoni e fattori speci9ici di genere possono anche svolgere un ruolo importante, rispettivamente nella morfologia della pelle e nel processo di invecchiamento. La pelle maschile della mano ha un derma più spesso rispetto alle femmine, ma ha un ipoderma più sottile, suggerendo così l'in9luenza degli ormoni legati al genere. Uno studio interessante, che coinvolge lo screening dell'intero genoma delle aree cutanee protette dal sole, mostra una sovrapposizione di soli 39 geni, sottolineando come il processo di invecchiamento possa differire tra maschi e femmine [3]. Figura 1. Mappa schematica dei fattori biologici, ambientali e l'invecchiamento cutaneo. Da Khmaladze I., et al., The Skin Interactome: A Holistic "GenomeMicrobiome-Exposome" Approach to Understand and Modulate Skin Health and Aging. Clin Cosmet Investig Dermatol. 2020 Dec 24;13:1021-1040. doi: 10.2147/CCID.S239367. [1]

estrinseci, come fattori ambientali e stile di vita, sia di fattori intrinseci. Inoltre, dobbiamo considerare la micro9lora, cioè l’insieme di microrganismi — batteri, virus e funghi — che costituiscono un ecosistema vivente nel nostro intestino e sulla nostra pelle, e possono avere un impatto importante sulla nostra salute. In uno studio condotto proprio recentemente si è utilizzato un approccio olistico per comprendere l'effetto collettivo degli elementi chiave che in9luenzano la salute della pelle e l'invecchiamento cutaneo, stabilendo come questi ultimi dipendano dalle interazioni molecolari tra il nostro genoma, il nostro microbioma e l'esposoma (l’insieme di tutte quelle sostanze a cui siamo esposti tramite l’ambiente esterno) (Figura 1) [1]. FATTORI INTERNI • Etnia. I fenotipi 9isici e biologici che scaturiscono dai processi di invecchiamento cutaneo si manifestano in modo diverso tra le diverse popolazioni etniche. Le prime rughe compaiono prevalentemente nei soggetti caucasici, rispetto ad altri gruppi etnici infatti, le donne cinesi mostrano una comparsa di rughe ritardata di 10 anni, se confrontato con le donne francesi. Gli individui con pelle altamente pigmentata hanno fasci di 9ibre di collagene più piccoli, ma 9ibroblasti nucleati più grandi rispetto agli individui con pelle caucasica. Rispetto alla pelle

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FATTORI ESTERNI • Esposizione solare (UVA e UVB). La radiazione u l t r a v i o l e t t a è i l f a t t o r e p r i n c i p a l e dell'invecchiamento cutaneo estrinseco, che rappresenta circa l'80% dell'invecchiamento del viso. La radiazione UV è una combinazione di radiazioni a diversa energia; UVA (320–400 nm), UVB (290–320 nm) e UVC (100–290 nm). Tra questi, i raggi UVA raggiungono gli strati più profondi della pelle (i 9ibroblasti) e inducono alterazioni indesiderate nel derma, di solito seguite da segni precoci di fotoinvecchiamento e i n a l c u n i c a s i d i f o t o c a n c e r o g e n e s i . Contrariamente agli UVA, gli UVB vengono assorbiti direttamente dalle cellule epidermiche, portando a caratteristiche mutazioni del DNA, e i prodotti del DNA danneggiati successivamente possono attivare la melanogenesi della pelle e consentire alla pelle di rafforzare la sua protezione contro le radiazioni [4]. • Inquinamento. Tra i vari tipi di inquinanti (aria, acqua, suolo, rumore, inquinamento radioattivo e termico), l'inquinamento atmosferico è quello principale, che colpisce tutti gli organismi viventi. Gli inquinanti comuni sono il particolato (PM), i composti organici volatili (VOC), l'ozono, l'azoto e l'anidride solforosa. Le loro concentrazioni e la loro composizione variano nei Paesi di tutto il mondo. Dopo essere entrati nella pelle, gli inquinanti possono indurre la produzione di ROS, portando all'invecchiamento cutaneo prematuro, specialmente nel fenotipo cutaneo iperpigmentato [5]. Nelle persone residenti nelle zone più inquinate, rispetto a chi vive in luoghi meno inquinati, è stato osservato un aumento del livello di secrezione sebacea, ma

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Cosmetica & Natura con una minore concentrazione sia di squalene che di vitamina E, acido lattico e un indice eritematoso più elevato sul viso, determinando così una maggiore secchezza atopica, orticaria e dermogra9ismo rosso [6]. • Clima. La pelle è la barriera tra il resto del corpo e il suo ambiente, e questo dimostra le alterazioni cutanee che avvengono in risposta ai cambiamenti climatici. Le variazioni stagionali hanno un grande impatto sull'aspetto e sulla consistenza della pelle. Le temperature fredde e le condizioni secche sono state collegate ad un più alto tasso di irritazioni, infatti durante l'inverno nei Paesi del nord, il rischio di problemi cutanei, come la dermatite, aumenta a causa della bassa temperatura e dell’umidità, mentre in estate l'esposizione quotidiana della pelle ad un ambiente a bassa umidità induce un minor contenuto di acqua nello strato corneo e accentua le rughe sottili legate alla secchezza cutanea [7]. STILE DI VITA • Sonno. Il sonno è importante per la crescita e il rinnovamento di molteplici sistemi 9isiologici, compresa la pelle. Uno studio condotto su 60 donne caucasiche sane ha mostrato che la bassa qualità del sonno (durata ≤ 5 ore) è associata a una ridotta funzione della barriera cutanea, un aumento dei segni dell'invecchiamento del viso e una minore soddisfazione per l'attrattiva e l'aspetto, rispetto al buon sonno (durata 7-9 ore). Inoltre, la mancanza acuta di sonno in9luisce sulla barriera cutanea, sull'idratazione, sull'elasticità, sui pori, sulla traslucenza, sulla luminosità e sul 9lusso sanguigno [8]. • Esercizio 9isico. Durante l'esercizio, l'ossigeno e il sangue ricco di sostanze nutritive vengono trasportati in tutto il corpo attraverso l'integrazione altamente regolata di fattori emodinamici centrali e periferici. Inoltre durate l’attività 9isica, la sudorazione aiuta la pelle a mantenersi pulita, poiché quando sudiamo i pori eliminano le tossine che devono essere lavate adeguatamente in seguito, poiché possono causare irritazioni e macchie [9]. • Nutrizione. L'apporto nutrizionale può in9luenzare la nostra salute e quella della nostra pelle a livello molecolare. Molti macronutrienti hanno ottimi effetti sulla pelle, sia se assunti per via orale che topica; si tratta di vitamine e antiossidanti essenziali. Tra i più conosciuti ci sono le Vitamine C e A e i Carotenoidi. La vitamina C agisce sulla pelle, sia come antiossidante guidando la fotoprotezione e riducendo la pigmentazione della pelle, ma anche in termini di in9luenza sulla sintesi e il

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miglioramento della stabilità delle proteine del collagene nella pelle. La vitamina A e i suoi derivati (retinolo, esteri retinilici, retinaldeide, acido retinoico) sono ampiamente utilizzati per la salute della pelle grazie ai loro ruoli bene9ici multifunzionali, in relazione al trattamento dell'acne, alle pigmentazioni e alla regolazione delle proteine della matrice come i collageni. A questi si aggiunge l’azione sinergica di altre sostanze come i carotenoidi, i polifenoli e le ceramidi che contribuiscono al normale tro9ismo della pelle [10]. • Microbioma. Il microbioma cutaneo, cioè l’ecosistema presente sulla nostra barriera cutanea esterna, è ampiamente in9luenzato dal genoma (età, sesso, genetica) e dall'esosoma ( f a t t o r i e s t e r n i e d i s t i l e d i v i t a ) . Nell'invecchiamento cutaneo, si veri9ica una signi9icativa alterazione della 9isiologia della super9icie cutanea tra cui pH, composizione l i p i d i c a e s e c re z i o n e d i s e b o . Q u e s t i cambiamenti 9isiologici possono avere un impatto anche sulla composizione del microbioma cutaneo. Non è un caso come i fenomeni di dermatite atopica (AD) che si veri9icano sia nell’adulto che nei bambini dipendano dalla presenza di alcuni batteri della p e l l e a s s o c i a t i a l l ' i n f a n z i a ( c o m e l o Streptococcus) che sono sostituiti, durante la pubertà, dai commensali associati agli adulti (Propionibacterium e Corynebacterium), e in relazione all'aumento della produzione di sebo [11]. Recentemente, è stato dimostrato che uno stress psicologico continuo può avere un impatto sul microbiota cutaneo, il che probabilmente non sorprende, poiché la pelle è uno dei principali organi neuroendocrini e molti ormoni e neurormoni cutanei possono modulare la 9isiologia batterica. In breve, il numero totale e l'abbondanza relativa di Corynebacterium, Propionibacterium e Staphylococcus sono maggiori nei soggetti stressati rispetto a quelli non stressati. Inoltre, batteri produttori di acido lattico come Lactobacillus e Lactococcus aumentano con lo stress rispettivamente del 59% e del 67%. Questo aumento indica l'acidi9icazione della super9icie della pelle, con conseguente riduzione del pH della pelle stressata rispetto a quella non stressata [12]. Sulla base degli articoli citati, si deduce che i processi di invecchiamento della pelle sono in9luenzati da numerosi e diversi fattori che possono anche differire a seconda delle nostre eredità etniche. La diversità del meccanismo di invecchiamento cutaneo etnico dipende quindi da età e genere (genoma), dall'impatto dell'ecosistema microbico (microbioma)

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Cosmetica & Natura e da molteplici fattori esterni e dallo stile di vita (esosoma). Nel prossimo futuro, al 9ine di mitigare l’impatto negativo di tali fattori, sarà importante per il settore cosmetico lo sviluppo di un approccio che risulti essenziale per capire come la somma di ciascun fattore, sia esterno che interno, sta in9luenzando la salute della pelle e l'invecchiamento cutaneo a livello individuale, con lo scopo di de9inire ulteriormente raccomandazioni appropriate, relative soprattutto allo stile di vita. È innegabile che i fattori che in9luenzano la salute della pelle e i processi di invecchiamento cutaneo agiscano principalmente attraverso la modi9ica delle interazioni molecolari nelle cellule della pelle e l'alterazione de9initiva della loro omeostasi. Sulla base di tali complessità, la ricerca sta cercando di sviluppare un adeguato modello biologico/matematico in grado di identi9icare gli attori molecolari responsabili dei processi di invecchiamento cutaneo, in risposta ai fattori di stress esterni, e quindi offrire uno strumento prezioso per scoprire e in9luenzare nuovi bersagli, che mitighino questi processi di invecchiamento [13]. Pertanto, dal momento che la salute e l’aspetto della nostra pelle dipendono sia da situazioni che prescindono la nostra volontà, sia da alcuni comportamenti e abitudini che ognuno di noi può adattare alle proprie esigenze e migliorare col tempo, altro non ci resta che prenderci un po’ più cura di noi stessi. La frenesia della vita quotidiana sicuramente non ci lascia molto tempo a disposizione, ma dedicarsi anche solo 5 minuti al giorno può essere signi9icativo p e r r i d u r r e d i q u a l c h e a n n o , a l m e n o apparentemente, l’età anagra9ica della nostra pelle e quindi del nostro volto. In conclusione, l'uso quotidiano di diversi prodotti per la cura della pelle, la ormai ben nota beauty routine, diventa estremamente importante per la salute della pelle, e la spina dorsale di una tale routine di bellezza è progettata attorno a un regime di cura articolato in più fasi adattate alle esigenze personali di ciascuno; e per questo motivo è giusto dire: a ciascuno la sua beauty routine.

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19(9):2668. doi: 10.3390/ijms19092668. PMID: 30205563; PMCID: PMC6163216. Makrantonaki E., Bekou V., Zouboulis C.C., Genetics and skin aging. Dermatoendocrinol. 2012 Jul 1;4(3):280-4. doi: 10.4161/derm.22372. PMID: 23467395; PMCID: PMC3583889. Bernerd F., Asselineau D., Successive alteration and recovery of epidermal differentiation and morphogenesis after speciHic UVB-damages in skin reconstructed in vitro. Dev Biol. 1997 Mar 15;183(2):123-38. doi: 10.1006/ dbio.1996.8465. PMID: 9126289. Flament F., Bourokba N., Nouveau S., Li J., Charbonneau A., A severe chronic outdoor urban pollution alters some facial aging signs in Chinese women. A tale of two cities. Int J Cosmet Sci. 2018 Oct;40(5):467-481. doi: 10.1111/ ics.12487. Epub 2018 Oct 8. PMID: 30112861. Lefebvre M.A., Pham D.M., Boussouira B., Bernard D., Camus C., Nguyen Q.L., Evaluation of the impact of urban pollution on the quality of skin: a multicentre study in Mexico. Int J Cosmet Sci. 2015 Jun;37(3):329-38. doi: 10.1111/ics.12203. Epub 2015 Mar 18. PMID: 25655908. Engebretsen K.A., Johansen J.D., Kezic S., Linneberg A., Thyssen J.P., The effect of environmental humidity and temperature on skin barrier function and dermatitis. J Eur Acad Dermatol Venereol. 2016 Feb;30(2):223-49. doi: 10.1111/jdv.13301. Epub 2015 Oct 8. PMID: 26449379. Kim M., Kim E., Kang B., Lee H., The Effects of Sleep Deprivation on the Biophysical Properties of Facial Skin. Journal of Cosmetics, Dermatological Sciences and Applications, 7, 34-47. doi: 10.4236/jcdsa.2017.71004. Shiohara T, Sato Y, Komatsu Y, Ushigome Y, Mizukawa Y. Sweat as an EfHicient Natural Moisturizer. Curr Probl Dermatol. 2016;51:30-41. doi: 10.1159/000446756. Epub 2016 Aug 30. PMID: 27584960. Schagen S.K., Zampeli V.A., Makrantonaki E., Zouboulis C.C., Discovering the link between nutrition and skin aging. Dermatoendocrinol. 2012 Jul 1;4(3):298-307. doi: 10.4161/derm.22876. PMID: 23467449; PMCID: PMC3583891. Patra V., Wagner K., Arulampalam V., Wolf P., Skin Microbiome Modulates the Effect of Ultraviolet Radiation on Cellular Response and Immune Function. iScience. 2 0 1 9 M a y 3 1 ; 1 5 : 2 1 1 - 2 2 2 . d o i : 1 0 . 1 0 1 6 / j.isci.2019.04.026. Epub 2019 Apr 26. PMID: 31079025; PMCID: PMC6515114. Morvan P.Y., Vallee R., Evaluation of the Effects of Stressful Life on Human Skin Microbiota. Appli. Microbiol. O p e n A c c e s s , 2 0 1 8 ; 4 : 1 . doi:10.4172/2471-9315.1000140 Cfr. Khmaladze I. et al., op. cit.

Bibliografia 1. Khmaladze I., Leonardi M., Fabre S., Messaraa C., Mavon A., The Skin Interactome: A Holistic "GenomeMicrobiome-Exposome" Approach to Understand and Modulate Skin Health and Aging. Clin Cosmet Investig Dermatol. 2020 Dec 24;13:1021-1040. doi: 10.2147/ CCID.S239367. PMID: 33380819; PMCID: PMC7769076. 2. Del Bino S., Duval C., Bernerd F., Clinical and Biological Characterization of Skin Pigmentation Diversity and Its Consequences on UV Impact. Int J Mol Sci. 2018 Sep 8;

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CARAVAGGIO Introduzione al suo “enigma” (I parte) Rodolfo Papa

Figura 1. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura. Olio su tela (115x150 cm), 1593-1594, Pinacoteca Capitolina, Roma.

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a prima delle questioni da affrontare per inquadrare l’opera di Caravaggio è legata ai termini teorici dell’arte e al loro sviluppo, alla 9ine del XVI secolo. Giacché si parla spesso di un Caravaggio geniale, rivoluzionario e ribelle, bisognerà che si chiariscano i termini in questione per vedere se veramente è stato tutte queste cose e con quale modalità. Occorre cioè analizzare come nasce la leggenda dell’artista geniale ma sregolato, bravissimo e ribelle. All’origine di tutto, c’è una certa letteratura critica contemporanea allo stesso Caravaggio, che ha prodotto, in una interpretazione letterale e decontestualizzata, una serie in9inita di fraintendimenti. Primo tra tutti, Karel Van Mander (1548-1606), uno degli autori “classici” sulla cui testimonianza una certa critica fonda la

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leggenda di Caravaggio. Van Mander è letto come un testimone attendibile solo perché descrive alcuni tratti caratteriali che si ripeteranno identici nella letteratura posteriore. Nella sua opera Het Leven der Moderne oft dees-Tijtsce doorluchtighe Italiaenische Schilders (Alkmaer 1603) egli scrive: «Là c’è anche un Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose. Egli pure, come il Giuseppe già menzionato [Giuseppe Cesari D’Arpino], è faticosamente uscito dalla povertà mediante il lavoro assiduo, tutto afferrando e accettando con accorgimento e ardire, secondo fanno alcuni che non vo gl i o n o r i m a n e re s o t to p e r t i m i d e z z a e pusillanimità, bensì si spingono avanti franchi e senza vergogna e dappertutto cercano audacemente il loro vantaggio; il che se avviene in modo onorevole

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Delle Arti Rodolfo Papa, pittore, scultore, teorico, storico e 9ilosofo dell’arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Docente di Storia delle teorie estetiche presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant’Apollinare, Roma; il Master di II Livello di Arte e Architettura Sacra dell’Università Europea, Roma; l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; la Ponti9icia Università Urbaniana, Roma. È Accademico Ordinario della Ponti9icia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Presidente della Accademia Urbana delle Arti. Tra i suoi scritti si contano circa venti monogra9ie e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; …). Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San Pan9ilo, Sulmona; chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma …). e senza pregiudizio della cortesia, non è poi tanto da biasimare: la fortuna infatti spesso non si offre a noi; bisogna rovesciarla, stuzzicarla, tentarla. Questo Michelangelo dunque s’è già acquistato con le sue opere fama, onore e rinomanza. […] egli è uno che non tiene in gran conto le opere di alcun maestro; senza d’altronde lodare apertamente le sue proprie. Egli dice infatti che tutte le cose non sono altro che bagatelle, fanciullaggini o baggianate — chiunque le abbia dipinte — se esse non sono fatte dal vero, e che nulla vi può essere di buono o di meglio che seguire la natura. Perciò egli non traccia un solo tratto senza star dietro alla natura, e questa copia dipingendo. Questa non è d’altronde una cattiva strada per dipingere poi alla mèta; infatti dipingere su disegni, anche se essi ritraggono il vero, non è certamente la stessa cosa che avere il vero davanti a sé e seguir la natura nei diversi colori; però occorre che anzitutto il pittore sia così progredito in intendimento da saper distinguere e quindi scegliere il bellissimo dal bello. Ora egli è un misto di grano e pula; infatti non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al 9ianco e un servo di dietro, e gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe, cosicché è raro che lo si possa frequentare. Le quali cose non si addicono affatto alla nostra arte: infatti Marte e Minerva, non sono mai stati gli amici migliori; d’altra parte, per quanto riguarda il suo stile, questo è tale che piace molto ed è una maniera meravigliosamente adatta per essere seguita dai giovani pittori …».

Karel Van Mander costruisce il suo racconto denigratorio in maniera abile, poiché pone tra i suoi giudizi critici legati allo stile, che allora si diceva “maniera”, alcune note biogra9ico-morali come elemento rafforzativo del discorso teorico. In sostanza van Mander dice che lo stile, ovvero la “maniera” di Caravaggio, è di tipo naturalistico, cioè tutta tesa a ritrarre la natura (“seguire la natura”) senza tener in nessun conto il disegno; lo descrive

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come abile nel colorire, capace di fare cose meravigliose, ma incapace di saper operare un giudizio sui soggetti da ritrarre desunti dalla natura (“però occorre che anzitutto il pittore sia così progredito in intendimento da saper distinguere e quindi scegliere il bellissimo dal bello”). Van Mander è un artista di non grande qualità che aderisce pienamente ai dettami che nel corso del secondo Cinquecento si sono fatti strada in ambito manieristico. Egli ripone 9iducia non tanto nello studio della natura come fu, per esempio, per Leonardo da Vinci, ma piuttosto nel concetto dell’Idea portato avanti da artisti-teorici come Giovanni Paolo Lomazzo (1538-1600). Lomazzo, nel suo Trattato dell’arte della pittura (1584), afferma che la bellezza può sussistere senza l’ausilio della natura e viceversa: non è tanto la conformità alla natura che legittima il fare dell’artista, quanto piuttosto è lo stile dell’artista che legittima la sua opera. Analogamente propone anche un artista quale Giovan Battista Armenini (1530-1609) che, nel suo De’ veri precetti della pittura, (1587), sostiene una distinzione tra esatta imitazione e buon disegno. Questa distinzione, già messa in evidenza da Leon Battista Alberti nel Quattrocento, diviene per Armenini un discrimine che separa l’imitazione della natura dal buon disegno, tanto che è il disegno in sé, nella sua autonomia stilistica, a superare l’esatta imitazione della natura. Fino a giungere, in9ine, a Federico Zuccari (1542-1609), Reggente dell’Accademia di San Luca e contemporaneamente della Compagnia di San Giuseppe di Terra Santa dei Virtuosi al Pantheon (oggi Accademia Ponti9icia), che con il suo trattato L’Idea de’ scultori, pittori e architetti (1607), giunge a parlare di disegno interno presente nello spirito del pittore, che è il vero principio del processo creativo e sul cui modello il pittore esegue il disegno esterno su carta, tela o parete. L’arte, a suo avviso, non ha

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Delle Arti «Proprio di questa schola è il lumeggiar con lume unito che venghi d’alto senza re9lessi, come sarebbe in una stanza da una fenestra con le pariete colorite di negro, che così, havendo i chiari e l’ombre molto chiare e molto scure, vengono a dar rilievo alla pittura, ma però con modo non naturale, né fatto, né pensato da altro secolo o pittori più antichi, come Raffaello, Titiano, Correggio et altri. Questa schola in questo modo d’operare è molto osservante del vero, che sempre lo tien davanti mentre ch’opera; fa bene una 9igura sola, ma nella composizione dell’historia et esplicar affetto, pendendo questo d a l l ’ i m m a g i n a z i o n e n o n dall’osservazione della cosa, per ritrar il vero che tengon sempre avanti, non mi par che vi vagliano, essendo impossibil di mettere in una stanza Figura 2. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura. Olio su tela (99x131 cm), una moltitudine d’huomini che 1596-1597, Musée du Louvre, Parigi. rappresentin l’historia con quel lume d’una fenestra sola, et haver un che rida o pianga o faccia atto di camminare e stia fermo bisogno della matematica, sono suf9icienti le per lasciarsi copiare, e così poi le lor 9igure, ancorché immagini ideali innate dell’artista, i giudizi ben habbin forza, mancano di moto e d’affetti, di gratia, fondati e la buona pratica. Egli reintroduce il che sta in quell’atto d’operare come si dirà. E di concetto di inganno della pittura, e solo le immagini questa schuola non credo forsi che si sia visto cosa interne hanno un valore positivo: esse formano un con più gratia et affetto che quella zingara che dà la nuovo mondo, nuovi paradisi. buona ventura a quel giovinetto, mano del Proprio ri9lettendo sulle principali teorie “estetiche” Caravaggio, che possiede il signor Alessandro Vittrici, manieriste, si comprende come l’arte prodotta da gentiluomo qui di Roma, che, ancorché sia per questa Caravaggio non solo sia vista con ostilità ma, strada, nondimeno la zingaretta mostra la sua considerato il successo che incontra nella furbaria con un riso 9into nel levar l’anello al committenza colta e raf9inata di Roma, anche con giovanotto, et questo la sua semplicità et affetto di libidine verso la vaghezza della zingaretta che le dà la invidia. ventura et leva l’anello». Quando Van Mander descrive Caravaggio come un

artista incolto e inelegante nello stile e nei modi (“ora egli è un misto di grano e pula; infatti non si consacra di continuo allo studio”), egli non pone un giudizio critico sulla sua arte e neanche un giudizio morale sui suoi comportamenti, come oggi si potrebbe intendere. Il lettore del tempo informato della diatriba tra le due posizioni teoriche dell’arte coeva, “naturalista” e “manierista”, era invece capace d’intendere molto bene quello che Van Mander voleva dire: Caravaggio in quanto artista “naturalista”, praticherebbe un modo rozzo e incolto di fare arte, perché non tiene in nessun conto la bellezza del disegno in sé. Nella prima biogra9ia particolareggiata su Caravaggio — dopo quella breve e sommaria di Van Mander —, scritta dal medico senese Giulio Mancini, intorno al 1620, troviamo alcune considerazioni sulla tecnica e sullo stile del Merisi, che ancora rimandano alla questione teorica della sua pittura. Scrive Mancini:

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Mancini pone, dunque, in contrapposizione due termini: osservazione e immaginazione. Egli, infatti, afferma che il modo di procedere di Caravaggio — ovvero il suo metodo —, perseguendo la ricerca del vero attraverso la copia del modello nello studio, ottiene un risultato non naturale, in quanto la resa d e i m o t i d e l l ’ a n i m o n o n d i p e n d e r e b b e dall’osservazione della cosa, quanto piuttosto dall’immaginazione. In altre parole, Mancini rivendica il primato dell’immaginazione e della maestria del pittore, sul confronto con il modello reale in studio. Infatti, come massimo prodotto artistico di Caravaggio, cita una delle sue prime opere, La buona ventura, che è del periodo degli esordi, cioè del momento in cui Caravaggio è stilisticamente più vicino alle forme tardomanieriste. Questo giudizio è molto simile a quello espresso da monsignor Giovan Battista Agucchi (1570-1630), che rimprovera a Caravaggio di non perseguire una

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Delle Arti b e l l e z z a i d e a l e , m a d i i s p i ra r s i direttamente alla realtà, con il risultato di produrre una pittura non bella: «Caravaggio eccellentissimo nel colorire si dee comparare a Demetrio, perché ha lasciato indietro l’Idea di Bellezza, d i s p o s t o d i s e g u i r e d e l t u t t o l a similitudine».

Il giudizio di monsignor Agucchi nel suo Trattato d’arte (1607c.), ripropone, per certi versi, un ideale di bellezza molto simile a quello raccontato da Raffaello al suo amico e ammiratore Baldassar Castiglione, nella famosissima lettera del 1514: «[…] le dico che per dipingere una bella mi bisogneria veder più belle, con questa Figura 3. Giuseppe Cesari detto Cavalier d’Arpino, Diana e Atteone. Olio su tavola, conditione, che V. S. Si trovasse meco a far 1603, Musée du Louvre, Parigi. scelta del meglio. Ma essendo carestia de buoni giudicii e di belle donne, io mi servo «Michelangelo dunque s’è già acquistato con le sue di certa Iddea che mi viene nella mente». opere fama, onore e rinomanza. Ha fatto una storia per San Lorenzo in Damaso accanto a quella di L’idea di bellezza, che si afferma nei trattati Giuseppino (Giuseppe Cesari d’Arpino), della quale manieristi, appare quasi di tipo eclettico, ovvero s’è parlato nella Vita di questi. In essa ha messo un nano o mostro che guardando verso la storia di composita, come si può evincere dalla descrizione Giuseppe tira fuori la lingua, come se così volesse del “quadro ideale” offerta da Lomazzo nel capitolo beffeggiarla: perché egli è uno che non tiene in gran XVII suo trattato Idea del Tempio della Pittura conto le opere di alcun maestro; senza d’altronde pubblicato nel 1590. Tale dipinto ideale è costituito lodare apertamente le sue proprie. Egli dice infatti da due parti: nella prima è raf9igurato un Adamo, che tutte le cose non sono altro che bagatelle, disegnato da Michelangelo e dipinto da Tiziano, fanciullaggini o baggianate — chiunque le abbia costruito secondo le proporzioni di Raffaello; nella dipinte — se esse non sono fatte dal vero, e che nulla seconda è rappresentata una Eva, disegnata da vi può essere di buono o di meglio che seguire la Raffaello e dipinta da Correggio. natura. Perciò egli non traccia un solo tratto senza Nella visione teorica proposta da monsignor Agucchi, star dietro alla natura, e questa copia dipingendo».

Caravaggio appare privo di qualunque tensione alla bellezza ideale, quindi a una propria “maniera”, e si dedica alla parte per Agucchi meno nobile dell’arte pittorica, quella cioè che ricerca la “similitudine” ovvero l’imitazione della natura, coltivando solamente una parvenza di bellezza determinata dal colore. Questi giudizi saranno ripetuti identici nel corso del tempo, da quegli artisti o conoscitori d’arte che aderiscono incondizionatamente alle istanze manieriste. Le considerazioni proposte da Van Mander e da monsignor Agucchi divengono un vero e proprio cliché, una sorta di topos letterario detrattorio, che si ripete uguale. Ad esempio, Agucchi propone un paragone tra la pittura di Caravaggio e l’imitazione della natura dello scultore ellenistico Demetrio, che puntualmente verrà riproposto identico dall’abate Giovan Pietro Bellori nel suo trattato biogra9ico-teorico Le Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, pubblicato a Roma nel 1672. O ancora nel testo di Van Mander si legge:

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Q u e s to s te s s o ra c c o n to v i e n e r i p ro p o s to , leggermente deformato, dal pittore tedesco Joachim von Sandrart (1609-1688), che scrive la biogra9ia di Caravaggio nel suo trattato Accademia Nobilissimae Artis Pictoriae (1683). Sandrart, infatti, scrive: «Benché egli, per l’eccellenza della sua arte, fosse ritenuto degno di grande onore e fosse lodato da molti, tuttavia era assai dif9icile avere rapporti con lui, non soltanto perché non teneva in alcuna considerazione le opere degli altri maestri [benché poi egli non magni9icasse pubblicamente le proprie], ma anche perché era molto litigioso e strambo, e spesso cercava lite. Spinto da questa sua cattiva abitudine, si mise in urto anche con il pittore Giuseppe d’Arpino, che allora era al massimo della fama ed era tenuto in grande considerazione per la sua arte, per la sua cortesia e per la sua grande ricchezza. Il nostro pittore non si limitò ad attaccarlo con acri satire, ma per lo scherno di lui, avendo il predetto Giuseppe dipinto una certa scena a San

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Delle Arti Lorenzo, egli vi aggiunse un gigante nudo che tirava fuori la lingua in segno di scherno verso l’opera di Giuseppe d’Arpino».

Lo scontro tra Caravaggio e il Cavalier d’Arpino viene riportato q u a s i s e n z a v a r i a z i o n i , rispondendo alle necessità di un topos letterario: da una parte il maestro anziano nobile, gentile d ’ a n i m o , b e n e d u c a t o e ricchissimo, dall’altra parte l’artista giovane, irriguardoso, maleducato ed oltraggioso, che s b e f f e g g i a l ’ a u t o r i t à c h e rappresenta la “bella maniera”, c o n s b e r l e f 9 i d e g n i d i u n a m a s c h e r a d e l l a c o m m e d i a d e l l ’ a r t e , p e r e s e m p i o u n Arlecchino o un Pulcinella. E visto che molte altre volte nelle biogra9ie successive viene citato lo scontro tra il Cavalier d’Arpino e il Merisi, si può proprio dire che sia divenuto un racconto mitico, capace di rappresentare il con9litto Figura 4. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Vocazione di San Matteo. 1599-1610, Cappella e la divergenza tra coloro che Contarelli, Chiesa di S. Luigi dei Francesi, Roma. “perseguono la maniera” e quelli che “seguono la natura”. In questo racconto mitico, il umiliazioni subite nello scontro personale trent’anni cavalier d’Arpino è 9igura del nobile rappresentante prima. O ancora, sulla corrispondenza dello stile del “Disegno” dell’Idea, mentre Caravaggio è il artistico e la stravaganza e trasandatezza dell’uomo, manigoldo che contadinescamente cerca di farla in a riprova di una eccentricità funesta, che svaluta barba a tutti, scimmiottando la natura. l’esito stilistico del nostro, si può leggere come Leggendo ciò che scrive nelle Vite de’ pittori.. (1642), ennesimo esempio la biogra9ia di Caravaggio nelle un altro biografo detrattore del Merisi, il pittore Vite del Bellori. Procedendo da una visione teorica Giovanni Baglione (1566-1643) suo rivale e acerrimo opposta a quella di Caravaggio e dell’ambiente da lui nemico, si comprende ancora meglio la questione 9in frequentato, e da un generale disprezzo per la pittura qui delineata: dal naturale, egli così descrive le abitudini di Caravaggio: «Michelangnolo Americi fu huomo Satirico, et altiero; ed usciva talora a dir male di tutti li pittori passati, e presenti per insigni che si fussero; poiché a lui parea d’haver solo con le sue opere avanzati tuti gli altri della sua professione. Anzi presso alcuni si stima, haver esso rovinata la pittura, poiché molti giovani ad esempio di lui si danno ad imitare una testa del naturale, e non studiando ne’ fondamenti del disegno, e della profondità dell’arte, solamente del colorito appagansi; onde non sanno metter due 9igure insieme, né tessere istoria veruna, per non comprendere la bontà di sì nobil arte».

La critica alla pittura di Caravaggio si fa invettiva feroce, rivelando non solo la chiara volontà di denigrare e di sbeffeggiare la teoria naturalista alla quale Caravaggio aderisce innovandola, ma anche il sapore acre della vendetta per pareggiare le

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«Non lascieremo di annotare li modi stessi nel portamento e vestir suo, usando egli drappi e velluti nobili per adornarsi; ma quando poi si era messo un habito, mai lo tralasciava, 9inché non gli cadeva in cenci. Era negligentissimo nel pulirsi; mangiò molti anni sopra la tela di un ritratto, servendosene per tovaglio mattina e sera».

Certamente alcuni di questi tratti sono veri, ma occorre leggerli nel contesto per poterli interpretare non come gesti di un pazzo, ma come scelte di vita. Intorno all’opera di Caravaggio, sembra dunque addensarsi il confronto e addirittura lo scontro tra “bella maniera” e “imitazione della natura”. Entrambi i contendenti sostengono una “parte” della verità.

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RINASCERE NEL SACRO, GESTAZIONE DI UN’OPERA La cappella dell’Immacolata Concezione nella Chiesa di San Giovanni Maria Vianney a Falsomiele (Palermo) Irene Luzio*

Figura 1. Chiesa di S. Giovanni Maria Vianney, Palermo, quartiere Falsomiele. Particolare del nartece rivestito di cocciopesto e della statua del Santo Curato d’Ars di Giuseppe Di Caro. Foto di Guido Santoro.

I

l caso “San Giovanni Maria Vianney”, nel panorama dell’architettura sacra più recente, è del tutto singolare [1]. Sperimentazione e originalità accedono al sacro talamo della tradizione. Il sovrannaturale si china sul mondo naturale. Il simbolo informa la materia. Ne va nascendo un corpo caldo, radioso, pulsante di energia vitale e al tempo stesso ricco e funzionale in ogni sua parte — sulle orme di Gaudí — capace di

rispecchiare la fede, la personalità e la storia degli uomini che l’hanno concepito. Il sacerdote, la comunità parrocchiale e le maestranze — in gran parte locali — sono ancora nel pieno del travaglio: grazie alla pia sollecitazione dei fedeli, la cappella dell’Immacolata Concezione è sul punto di vedere la luce. Si può già riconoscere, addossato alla Miancata sinistra della chiesa, un ambiente longilineo, coperto da una volta a sezione

*Università degli Studi di Palermo.

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Figura 2. Luca Crivello e Alessandra La Diega, dal cartone alla sinopia. Foto di Guido Santoro.

Figura 3. Luca Crivello, spolvero e ritocco della sinopia del terzo affresco. Foto di Guido Santoro.

parabolica e rivestito alla base delle pareti di onice dai toni caldi e terrosi, che gli conferisce un aspetto raccolto, da grotta delle apparizioni. La stretta parete frontale è occupata quasi interamente da un ripiano; s u d i e s s o , p o s a c o n g r a z i a u n a s t a t u a dell’Immacolata (Figure 6 e 7) — che contribuisce ad alimentare nei parrocchiani una fervida

devozione mariana — la quale spicca contro un ovale marmoreo di un blu molto intenso (azul macaubas) circondato da una raggiera di stucco che verrà rivestita di mosaico vitreo, per rendere la sorgente luminosa che La circondava nell’apparizione a Guadalupe. Lungo la parete laterale, come in processione verso la statua, si schiudono tre alte

Figura 4. Bartolo Mallia lavora al controsoffitto. Foto di Guido Santoro.

Figura 5. Fina Rossi colloca il mosaico di vetro. Foto di Guido Santoro.

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Cultura

Figura 6. Cappella dell’Immacolata Concezione allo stato attuale. Foto di Andrea Rera.

nicchie, che il giovane pittore Luca Crivello ha ricevuto l’onore e l’onere di affrescare. Non è per caso che la commissione sia stata afMidata proprio a lui, né è solo per la sua brillante tesi sull’attualizzazione della metodologia dell’affresco, con l’introduzione del supporto alleggerito (derivato dalle tecniche di restauro; permette di ridurre i costi e di non incappare in iter burocratici kaMkiani). La prima delle ragioni è che Luca Crivello non è un “artista”. O, meglio, è proprio un vero artista nella misura in cui essere artista signiMica non essere interessato ad inseguire la novità e la stravaganza, ad improntare le opere sul proprio ego, ad ergersi su un piedistallo e accattivare critici, giornalisti e ricchissimi acquirenti. Ha tentato, durante il primo biennio dell’Accademia, di sperimentare un’estetica che mediasse tra Migurazione ed astrazione per far gola al mercato… ma non era quella la sua vocazione. Luca Crivello è un pittore-artigiano, un interprete, e la tesi gli ha aperto le porte di un settore di nicchia in cui la domanda esiste ancora: la — o meglio, certa — committenza ecclesiastica. Produrre un’opera sacra, infatti, non è da tutti. Richiede la viva volontà di mettersi a servizio, umiltà nell’ascoltare le verità di fede da rappresentare, disponibilità a carpirne il valore e il signiMicato, per poterla poi rendere con efMicacia; e umiltà anche nel confronto con la committenza e con una tradizione artistica e iconograMica plurisecolare. Richiede un eccezionale talento per la Migurazione e la sensibilità per

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conciliare in uno stesso soggetto realismo e idealità, perché il corpo sia un riMlesso dell’anima, abbastanza sublime da manifestarne l’intima natura e abbastanza naturale da rendere spontanea e immediata la relazione con l’osservatore. Un simile pittore — com’è Luca Crivello — può rendere visibile l’Invisibile. La sMida — nel caso della nostra cappella — è rendere visibile l’Immacolata Concezione. Rendere la perfetta purezza dell’anima della Vergine, mai intaccata neppure dal peccato originale, neppure quando ancora si formava nel grembo della madre, S. Anna. È una sMida tutto sommato più semplice, ai giorni nostri, di quanto non lo sia stata per secoli: il processo di chiariMicazione teologica e iconograMica si è deMinitivamente concluso intorno alla metà dell’Ottocento. Il principale modello iconograMico, ormai canonico, è quello della “novella Eva”: è stato elaborato tra XVI e XVIII secolo — anche se si rilevano signiMicative anticipazioni sul tema, nella produzione d’oltralpe [2] — ed applica alla Vergine alcuni attributi della donna dell’Apocalisse, con la mediazione di alcuni passi della Genesi: gravida (Ap 12 e Gen 37, 9-10), vestita — o circondata — di sole e la luna sotto i piedi (Ap 12), uno dei quali schiaccia la testa del serpente — che talvolta avvolge tra le spire il globo terraqueo — (Gen 3,15), sul capo una corona di dodici stelle (Ap 12 e Gen 37, 9-10). Il ventre gravido rimanda all’Immacolata Concezione

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Figura 7. Statua dell’Immacolata Concezione. Foto di Andrea Rera.

come segno del praevisis meritis, perché la grazia salviMica Le fu applicata preventivamente per rendere possibile l’Incarnazione del Verbo. La corona di stelle rinvia al conseguente titolo di Madre della Chiesa (in quanto questa è Corpo Mistico del Figlio, simboleggiato dalle 12 stelle-tribù di Israele). Il

manto di sole rappresenta Cristo, il Sol Iustitiae (Malachia 3,20), che avvolge la Madre come segno di giustiMicazione preventiva (praevisis meritis). La luna sotto i piedi, invece, che cresce-decresce, signiMica il dominio perfetto della Vergine sulla sua corruttibile condizione umana. InMine il serpente a cui schiaccia il

Figura 8. Apparizione della Madonna a Guadalupe, bozzetti di Luca Crivello.

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Figura 9. In alto e a sinistra. Simulacro argenteo di Palermo (1647) e patto di sangue del 1624, bozzetti di Luca Crivello.

capo (come, del resto, anche il dragone di Ap 12) rimanda a Satana e alla vittoria — in Cristo — che Le fu concessa sul peccato. Questa iconograMia la si ritrova — in parte — nella statua argentea dell’Immacolata di Palermo (1647) e nell’immagine della sacra tilma di Guadalupe (1531): due dei soggetti che Luca Crivello sta affrescando per la cappella. Il terzo soggetto è la Madonna di Lourdes (1858). Questa apparizione ha determinato il secondo modello canonico per rappresentare l’Immacolata, che riassume alcuni attributi riscontrabili già in iconograMie precedenti, come l’atteggiamento orante e la bicromia bianco-azzurro delle vesti (che signiMicano, rispettivamente, la purezza e l’elezione divina di Maria); altri elementi — come il rosario, la grotta, le rose — sono speciMici dell’apparizione di Lourdes. I soggetti delle tre lunette laterali si succedono in ordine cronologico, dalla più antica alla più recente, verso la statua. Lo scopo è creare delle Minestre sul Cielo, rendere presente e vicina la Vergine Immacolata attraverso delle immagini che elevino i fedeli a contemplarne il mistero e ad invocarne la protezione con amore e Miducia; ma anche rappresentare i momenti più signiMicativi, nella storia della Chiesa e nella storia di Palermo, del lungo e

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complesso percorso che ha portato all’emanazione e chiariMicazione del dogma. I tre soggetti — è il caso di ribadirlo — sono l’apparizione a Guadalupe (1531), il voto di sangue stretto dal Senato Palermitano a difesa dell’onore dell’Immacolata (1624) e l’apparizione a Lourdes (1858). I primi bozzetti di Luca Crivello rappresentavano soltanto la Madonna — rispettivamente nella tilma, la statua argentea di Palermo e nella grotta — su un piano ravvicinato, per rendere l’effetto di un’apparizione sotto gli occhi dei fedeli. Il confronto con la committenza ha portato ad una revisione dell’idea originale e ad una resa più narrativa e storica, introducendo altri personaggi — come l’indio Juan Diego, il cardinale e il popolo palermitano, la pastorella provenzale Bernadette — ed esplicitando il contesto spaziale. La prima lunetta (Figura 8) vedrà, nell’angolo inferiore sinistro, Juan Diego: di tre quarti, inginocchiato sul suolo sterile e nell’atto di raccogliere le rose nella tilma, volge lo sguardo rapito verso la Migura della Vergine, sulla destra. Lei è rappresentata come nell’immagine acheropita: in piedi, con le mani giunte in preghiera e lo sguardo volto verso il basso, coperta da un manto di stelle e circondata da una raggiera luminosa; la luna, sotto i suoi piedi, sorretta da un angioletto.

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Figura 10. Apparizione della Madonna di Lourdes, bozzetti di Luca Crivello.

La seconda lunetta (Figura 9), invece, vedrà centrale la statua dell’Immacolata, patrona dell’arcidiocesi di Palermo dal 1624 in virtù del voto, da parte del popolo per mezzo del Senato, di proteggerne l’onore Mino allo spargimento di sangue (imperversava ancora la lotta tra maculisti ed immaculisti): lucente nel suo corpo argentato, la corona che sovrasta l’ovale perfetto del volto, le mani giunte in preghiera e il piede che sottomette il capo del serpente. A destra, il card. Giannettino Doria, arcivescovo di Palermo, rivestito dei paramenti, in contemplazione; all’angolo destro si nota un teschio che rimanda all’ultima grande pestilenza che investì la città, in quello stesso secolo, e al miracolo di Santa Rosalia (la più celebre patrona di Palermo) che la fece cessare. A sinistra, il popolo stesso, che con fervida devozione si fa incontro alla statua; dal caotico sovrapporsi di masse corporee, atteggiate in pose quasi barocche, emerge lo stendardo della Confraternita del Porto e Riporto, della Chiesa di San Francesco d’Assisi di Palermo. L’ultima lunetta (Figura 10) vedrà inMine, sul margine sinistro, Bernardette: inginocchiata sul suolo roccioso, avvolta nel suo povero abito da pastorella provenzale, le mani al petto in adorazione e gli occhi socchiusi come in atto di abbandono. Sulla destra, ma in posizione quasi centrale, la Migura della Vergine: la luce che cala dall’alto, l’elegante classicismo della posa a chiasmo — con la lieve torsione del collo a sinistra, del busto a destra — un

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ginocchio lievemente avanzato ma nascosto dalle ampie vesti; i piedi nudi sMiorano le rose. La gentile serenità dei volti, la morbidezza delle pose e l’abbondanza dei panneggi sono i tratti distintivi della mano di Crivello. La resa cromatica non è ancora deMinita, ma si può indovinare da alcuni elementi già deMiniti della terza lunetta, ch’è in corso di realizzazione: benché di norma il Crivello adoperi tonalità soffuse e pastellate, la vivacità del contesto architettonico ha richiesto per questi affreschi delle tonalità più calde e cariche. Ci sono ancora dei margini per la sua crescita artistica, è indubbio, ma anche questo fa di Luca Crivello una giovane promessa. La cappella dell’Immacolata — e tutta la chiesa di S Giovanni Maria Vianney — permettono di sperare che sia ancora possibile coniugare tradizione e novità, bellezza della forma materiale e verità dei signiMicati spirituali, nella creazione di un’opera d’arte che sia realmente sacra.

Note 1. Luzio I., Rinascere nel Sacro: storia di una chiesa e di una periferia: Falsomiele. Theriaké, anno IV n. 33, pp. 22-32. http://www.agifarag.it/437987920 2. http://www.lapartebuona.it/la-bibbia-nellarte-e-nellacultura/evoluzione-iconograMica-dellimmacolataconcezione-un-contributo-di-micaela-soranzo/

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LA LEBBRA Storia di una delle più antiche malattie Giusi Sanci*

L

a lebbra, conosciuta come morbo di Hansen, è una delle malattie più antiche note nella storia umana. È stata endemica in Europa :ino :ino al XVI secolo, e continua ad essere diffusa ancora oggi in molte parti del mondo. Capire in che modo abbia potuto radicarsi e diffondersi può aiutarci ad identi:icare i meccanismi che permettono ancora oggi di contagiare migliaia di persone ogni anno in tutto il mondo. Analizzando circa novanta scheletri umani risalenti ad un periodo compreso tra il IV e il XIV secolo, e provenienti da diversi Paesi europei, i ricercatori sono riusciti ad evidenziare dieci nuovi genomi batterici medioevali, ovvero una varietà di ceppi di Mycobacterium leprae, che corrisponde a quasi tutti quelli attualmente conosciuti, oggi diffusi in Asia, in America Latina e nel continente Africano. A certi:icare l'ampia diffusione della malattia in tutta l'Europa medioevale, lo studio ha rivelato inoltre la presenza di genomi batterici diversi anche in scheletri provenienti dallo stesso contesto cimiteriale. Questi nuovi dati infatti suggeriscono che già nell'antichità la lebbra doveva essere diffusa in tutta l'Asia e l’Europa, e che potrebbe avere avuto origine nell'Eurasia occidentale. Dal lavoro di analisi degli scheletri è stato anche possibile identi:icare il più antico genoma di Mycobacterium leprae :inora sequenziato e risalente al V secolo. Conosciuta :in dai tempi antichi e descritta nella Sacra Bibbia, si manifestò con carattere epidemico a focolai nell'Alto Medioevo. La malattia continuò a manifestarsi nei secoli successivi, ed è stata legata sempre alla povertà e a c o n d i z i o n i igienico-sanitarie precarie. Colpisce la p e l l e e i n e r v i periferici e se non viene trattata può r i v e l a r s i m o l t o pericolosa e causare d i s a b i l i t à permanenti. La lebbra è una malattia infettiva Figura 1. Lebbroso con campanella. Manoscritto sec. XIV cronica causata da

u n b a t t e r i o , i l M y c o b a c t e r i u m leprae, simile al bacillo che causa la tubercolosi . Ad identi:icarlo nel 1874, fu un medico norvegese, Gerhard H e n r i k H a n s e n A r m a n u e r (1841-1912) e in suo onore, viene a n c h e chiamato bacillo di Hansen. Se non adeguatamente trattata può causare disabilità permanenti, in quanto il batterio colpisce i nervi periferici degli arti superiori, inferiori e dell’apparato oculare (neuriti, anestesia, paralisi). Si manifesta in individui sensibili, ossia nelle persone che, per la loro speci:icità genetica e immunologica, non sono in grado di controllare ed eliminare l’infezione dopo il contatto con il batterio. La trasmissione avviene principalmente attraverso le vie aeree superiori, da persona a persona, attraverso la convivialità con pazienti infettivi non trattati. Il periodo di incubazione va dai due ai sette anni. Sembra che la malattia esistesse in Oriente dai tempi antichi. Nel secondo millennio prima di Cristo, tracce di lebbra possono essere trovate nei corpi esumati in Cina e nelle mummie dell’antico Egitto. Nel Levitico del Vecchio Testamento esiste una dettagliata descrizione dei sintomi. La malattia è anche segnalata in età romana imperiale come dimostrato da Aulo Cornelio Celso nel suo trattato De Medicina. La lebbra, per i suoi caratteri di malattia ributtante, appariva come malattia carica di mistero con origine soprannaturale. La malattia ricopriva il corpo di piaghe, attutiva la sensibilità, alterava la :isionomia del volto e mutilava gli arti. A partire dal VI secolo dopo Cristo, la malattia aveva fatto certamente la sua comparsa nell’Europa occidentale. A partire dal X secolo vari autori tentarono una classi:icazione ed una interpretazione della malattia, e nel XII secolo, alla vigilia delle crociate, l'Occidente fu devastato da questa epidemia, che venne considerata una

*Farmacista

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punizione divina. Il contatto con la cute dei malati veniva evitato in quanto il contagio era considerato molto probabile. Inizialmente la separazione dal mondo dei sani avvenne per adunate spontanee, per raduni di lebbrosi che si aggregavano per spontanea solidarietà. Successivamente essi vennero espulsi dalla comunità, banditi dalla società e con:inati con la forza. Ai lebbrosi veniva data una tunica ed una campanella che doveva avvertire della loro presenza quando per motivi eccezionali venivano fatti uscire dai lebbrosari. Nel 580 la prima casa di segregazione per lebbrosi fu aperta a Châlous. Il Re Longobardo Rothari ordinò che i lebbrosi venissero espulsi dalla comunità. Pipino il Breve, Re dei Franchi, decretò che la lebbra fosse considerata motivo di divorzio. L’aspetto delle vittime era spaventevole. In assenza di rimedi per la malattia non vi erano alternative rispetto alla segregazione di questi disgraziati in case per incurabili, chiamati poi Lazzaretti, forse in ossequio al culto che voleva come protettore dei lebbrosi il Lazzaro risuscitato dal Sepolcro (Giovanni, 11,1-44) o il Lazzaro coperto di piaghe leccate dai cani (Luca, 16,19-21). Nel tredicesimo secolo sembra vi fossero 19.000 luoghi di segregazione per lebbrosi in Europa, la maggior parte dei quali ubicati fuori le mura della città. Il re franco Luigi VIII (1187-1226) istituì 2000 luoghi di segregazione gestiti da medici, pie donne e religiosi. La decisione di con:inare i lebbrosi in luoghi segregati o in isole tentava di conciliare le istanze di carità cristiana di non abbandonare i fratelli colpiti dalla malattia, con le esigenze di sanità pubblica e di ordine pubblico della collettività, privilegiando queste ultime. L’assistenza ai lebbrosi veniva concepita come opera di carità e dovere cristiano da parte di religiosi e laici. Tra questi Santa Elisabetta, canonizzata nel 1235, quattro anni dopo la sua morte. Figlia del re Andrea II di Ungheria, si dedicò :in dalla prima giovinezza a opere di carità a favore dei poveri e dei malati di lebbra. Per questo fu venerata come Santa protettrice dei lebbrosi. L’assistenza ai lebbrosi da parte degli uomini di fede e del clero religioso si ispirava all’insegnamento di Cristo ed alla sua dedizione per l’umanità sofferente e malata. Nel corso dei secoli vi furono religiosi che dedicarono la propria vita all’assistenza e alla cura dei lebbrosi. Tra i più noti Raoul Follereau ed il beato Giovanni Beyzym. Va precisato che, a chi sul piano sanitario si occupava attivamente di questa patologia, veniva riconosciuta una sorta di specializzazione, oltre che un ruolo sociale particolare. Non si trattava di una posizione di preminenza nell’ambito medicoscienti:ico, quanto piuttosto dell’inserimento, con la creazione dei lazzaretti, nell’apparato che esercitava forme forti di controllo sociale della malattia. A parere di Foucault i lazzaretti furono visti come il

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Figura 2. Dieci lebbrosi. Mosaici del Duomo di Monreale (PA).

male minore in quanto luoghi di segregazione sociale e reclusione. Da questo punto di vista vorremmo ricordare che se già nel 549 il Concilio di Orléans stabiliva che ciascun vescovo dovesse occuparsi dei lebbrosi della sua diocesi, e nel 583 il Concilio di Lione interdiceva la libera circolazione dei lebbrosi fra la popolazione sana, a distanza di sessanta anni, l’Editto di Rotari ordinava di riunire tutti i lebbrosi del Regno Longobardo con lo scopo di isolarli. In questo editto si prescriveva anche la rottura del :idanzamento, nell’eventualità che uno dei due promessi fosse colpito dal contagio. Nel 757, con i Capitolari di Pipino, si andò oltre: si autorizzava la dissoluzione del matrimonio in caso di lebbra di uno dei coniugi. Nel 789 Carlo Magno, con un editto, disponeva l’espulsione di tutti i lebbrosi dai centri abitati. In seguito nei secoli XIII e XIV la questione divenne ancora più ideologica. Si diffuse massicciamente il pregiudizio che questa malattia fosse associata alla devianza, pertanto chi ne era colpito andava escluso, socialmente, in luoghi protetti: i lazzaretti. Questi luoghi avevano un loro santo protettore: S. Lazzaro. La sua immagine campeggiava sulla porta d’ingresso, pertanto l’eponimo lazzaretto deriva da tale protezione. In osservanza alla teoria miasmatica, dovevano essere collocati a qualche chilometro dalla città, sotto-vento, in modo che le brezze, s p e c i a l m e n t e n e l l e s t a g i o n i e s t i v e , n o n convogliassero i miasmi e gli ef:luvi, sprigionati dal morbo, verso la città. Come è ovvio questi

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Figura 3. Affresco del monastero di Visoki Decani, sec. XIV. Peć, Kosovo.

provvedimenti rispondevano più all’esigenza di proteggere dal contagio, che all’obiettivo d’investigare il morbo per curarlo. La lebbra era considerata una malattia incurabile anche dalla scienza uf:iciale. Nel caso della lebbra, il sapere del medico era scarso, la conoscenza dei sintomi modesta, le diagnosi relativamente af:idabili. I medici per secoli non visitarono i lebbrosari, li frequentarono solo a partire dal XIV secolo, quando, essendo diminuito sensibilmente il numero dei lebbrosi, vi si concentrarono altri malati, più o meno contagiosi. Le pochissime misure sanitarie adottate erano di tipo igienico-pro:ilattico. Inoltre, essendo opinione comune credere all’ereditarietà della malattia ed alla trasmissione sessuale, il contagio era visto come l’esito e la punizione, come la conseguenza di una trasgressione sessuale, pertanto le misure prescritte erano indirizzate anche a reprimere la sessualità. In sintesi, per quanto riguarda la lebbra, il sapere del medico restava un puro strumento di controllo sociale, inoltre la sua esperienza clinica era molto modesta in quanto non f re q u e n t ava i l a z z a re t t i c h e r i m a n eva n o , sostanzialmente, luoghi di reclusione e non di cura.

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Per contrastare la lebbra oltre alle misure segregative, coercitive, si puntava sulla :iamma viva, bruciando le suppellettili ed i vestiti dei malati, sulla ventilazione degli ambienti e sulle misure di pulizia radicale. A partire dall’XI secolo, i lebbrosi divennero un grosso problema di sicurezza sociale, in rapporto alle crociate e con lo sviluppo delle città mercantili. Non era infrequente che gruppi di lebbrosi si unissero in bande, vivendo alla macchia nei boschi, rapinando e saccheggiando pellegrini e mercanti. Con la scusa della lebbra si innescarono altre persecuzioni che attendevano un motivo apparente per diffondersi. Gli ebrei furono vittime di discriminazioni a più riprese, specialmente in Spagna, in Francia ed in Germania. In alcuni casi si trattò di linciaggi della folla, in altri di veri e propri progrom voluti dal potere politico e religioso. A scatenare l’ostilità contro gli ebrei, oltre l’accusa di diffondere il contagio — gli ebrei erano di frequente dediti ad attività lucrose tramite l’acquisto e la vendita di oggetti provenienti da persone colpite dalla malattia — aveva un ruolo l’invidia sociale per le ricchezze che avevano accumulato, con pratiche :inanziarie prossime, non raramente, allo

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strozzinaggio ed all’usura. Anche altre minoranze furono oggetto di persecuzione, in particolare ricordiamo i mori in Spagna, i nomadi in Francia e Germania. La lebbra conserverà in Europa, :ino alla :ine della sua endemia nel XVI e XVII secolo, la carica simbolico-esemplare di malattia dell’anima, che nella corruzione del corpo trova la sua più vistosa manifestazione esteriore. Maligno nella costituzione :isica come in quelle psichica, il lebbroso andava sorvegliato e separato dagli altri. Egli era contagioso ed incurabile. La lebbra cominciò a regredire nel XIV secolo, e gli studiosi di epidemiologia attribuiscono tale fenomeno all'arrivo della "morte nera” cioè la peste del Trecento, portata da un agente patogeno più aggressivo, che uccidendo milioni di persone in Europa svuotò anche i lebbrosari. Negli ultimi decenni si è veri:icata una riduzione del numero dei casi, in relazione al trattamento polichemioterapico dei malati ed ai programmi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Grandi progressi sono stati realizzati negli ultimi decenni attraverso la terapia con dapsone, rifampicina e clofazimina, ed attraverso il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza e di individuazione dei nuovi casi. La malattia è ancora strettamente correlata alla povertà. Dal 1981 la malattia è curabile grazie ad un t r a t t a m e n t o s p e c i : i c o s t a n d a r d , d e : i n i t o dall’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS), chiamato polichemioterapia — PCT (associazione di tre farmaci). Dopo l’inizio del trattamento, la persona non è più contagiosa e di conseguenza non è necessario l’isolamento. La lebbra è ancora oggi un problema sanitario importante in vari Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, dove persistono condizioni socio economiche precarie che favoriscono la trasmissione della malattia. Chiaramente, da quando si dispongono farmaci ef:icaci, la strategia principale per il controllo della malattia si basa sulla diagnosi precoce e il trattamento, ma nella storia della lebbra un punto è chiaro: il controllo della malattia, con effetti duraturi, richiede un miglioramento socio-economico della popolazione. A causa delle dif:icoltà di accesso e alla scarsa qualità dei servizi di trattamento, la diagnosi spesso avviene tardivamente, e spesso la persona colpita si presenta con disabilità :isiche irreversibili. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo vi sono più di tre milioni di persone con disabilità gravi causate dalla malattia che richiedono cure quotidiane. Le disabilità, oltre a determinare un importante carico sanitario a lungo termine, tendono a perpetuare il preconcetto e lo stigma e molte persone, dopo il trattamento, permangono isolate, segregate, senza lavoro e senza possibilità di reinserimento sociale. In Italia ogni

Theriaké

anno sono diagnosticate da 6 a 9 persone con la malattia. Si tratta di italiani che hanno soggiornato all’estero in paesi con lebbra endemica e/o in migranti provenienti da tali paesi. Dal punto di vista normativo, il controllo della malattia nel nostro Paese si basa principalmente sulla Legge n. 31 del 24 gennaio 1986 e sulle direttive nazionali approvate dalla Conferenza StatoRegioni, emanate dai ministeri competenti e apparse sulla Gazzetta Uf:iciale: DPR del 21 settembre 1994, che ha istituito quattro Centri di Riferimento nazionale per la conferma diagnostica e il trattamento della malattia: Genova, Gioia del Colle (Bari), Messina e Cagliari.

Bibliografia e sitografia 1. DHARMENDRA, Leprosy in ancient Indian medicine. Int J Lepr. 1947 Oct-Dec;15(4):424-30. PMID: 18919929. 2. Hulse E.V., The nature of biblical “leprosy” and the use of alternative medical terms in modern translations of the Bible. The Palestine Exploration Quarterly. 1975;107:87– 105. 3. Boldsen J.L., Epidemiological approach to the paleopathological diagnosis of leprosy. American Journal of Physical Anthropology. 2001;115(4):380–7. 4. Boldsen J.L., Leprosy in Medieval Denmark—Osteological and epidemiological analyses. Anthropologischer Anzeiger. 2009:407–25. 5. Nerlich A.G., Zink A.R., Past Leprae. In: Raoult D., Drancourt M. (eds) Paleomicrobiology. Past human infections. Springer-Verlag, Berlin. 2005:99–123. 6. Boldsen J.L., Mollerup L., Outside St. Jørgen, leprosy in the medieval Danish city of Odense. American journal of physical anthropology. 2006;130(3):344–51. 7. Schuenemann V.J., Singh P., Mendum T.A., Krause-Kyora B., Jager G., Bos K.I., et al., Genome-wide comparison of medieval and modern Mycobacterium leprae. Science. 2013;341(6142):179–83. Epub 2013/06/15. 8. Conoscere la lebbra per eliminarla: www.aifo.it 9. Oliveira, C.M. et al., L'evoluzione della cura del paziente con lebbra: lebbrosari alla terapia multidrug. Rivista scienti:ica multidisciplinare di nucleo di conoscenza. Agosto 2016, Anno 1. Vol. 6, pp. 68-80. ISSN:0959-2448 10. Sabbatani S., Exursus sull'organizzazione dell'assistenza in tempi di pestilenza. Le infezioni in medicina, n.4, 216-221, 2003.

Anno IV n. 35 – Settembre – Ottobre 2021

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