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Il cinema di Paul Verhoeven
Gli strani amori di quelle signore (1971) di Roberto Lasagna L’opera prima di un cineasta tante volte si scopre rivelativa e nel caso di Verhoeven il primo lungometraggio non fa eccezione. Gli strani amori di quelle signore (1971) si affida a collaboratori che diverranno abituali (su tutti, il fotografo Jan De Bont) per imprimere dinamismo a una commedia già auto-ironica tratta dal romanzo di Albert Mol (autore che appare in carne e ossa nel cameo di un potenziale marito per l’amica della protagonista, dai modi arroganti e aristocratici, sdegnata per l’origine popolare della sua possibile consorte). Verhoeven definisce innanzitutto l’atmosfera surreale identificando una palazzina olandese in cui vivono le due protagoniste, Greet, prostituta dallo spiccato senso artistico, e la sua vicina e collega Nell, che cerca l’amore romantico nella scorribanda di clienti pronti a mettere in scena passivamente le proprie fantasie sessuali. Il sarcasmo disseminato lungo tutto il film è coniugato con un ritmo concitato, mentre la tensione verso l’eccesso è qui in embrione, pronta a caratterizzare le opere successive in quella dinamica fatta di accelerazioni e improvvise esplosioni. L’anarchica imprevedibilità di Spetters e di molto cinema di Verhoeven ha dunque la sua matrice originaria in questa commedia ricca di gag, in cui il salotto delle prostitute strizza l’occhio al cinema slapstick prima ancora che alla lanterna magica in chiave voyeuristica (il voyerismo sarà piuttosto oggetto delle attenzioni dissacranti di Kitty Tippel). La forma del film, in ogni caso, appare sbilanciata, sconquassata dai colpi della compulsività comica e sessuale. La critica avrebbe talvolta frettolosamente bollato l’esordio del cineasta olandese come una commedia pecoreccia, priva del sanguigno pathos delle migliori prove successive. Ma la critica talvolta non vede o non vuol vedere, soprattutto quando sarà più chiaro il disegno dell’autore attraverso le opere a venire.
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