Paul Verhoeven

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Antonio Pettierre e Fabio Zanello

Fiore di carne (1973) di Davide Magnisi Credevo fosse interessante fare qualcosa di stravagante e mostrare che ci possa davvero essere molto divertimento nel sesso. Che non ci deve sempre essere amore. Stavo cercando di esprimere la pienezza del sesso. Stavo cercando di liberare… me stesso, probabilmente o, almeno, gli spettatori, da qualsiasi senso di colpa possa suscitare divertirsi a letto. Con chiunque. Paul Verhoeven Fiore di carne è stato un fenomeno che in tempi come i nostri fatichiamo a capire e che solo nella spregiudicatezza del cinema degli anni ’70, e nella libertaria Olanda, si può ben contestualizzare. All’epoca della sua uscita al cinema, fu visto da più di un quarto della popolazione olandese; candidato all’Oscar per il miglior film straniero, è diventato il più grande incasso della storia nazionale fino ai giorni nostri. Non solo: un sondaggio proposto nel 1999 lo ha votato il film del secolo nella storia olandese. La locandina presentava Fiore di carne come “un incrocio tra Love Story e Ultimo tango a Parigi”. A dominarlo sono, esplicitamente, Eros e Thanatos, lo spirito maligno degli istinti della carne, nel godimento e nella sofferenza, una sorta di Ronde all’olandese, un girotondo erotico punteggiato da fantasie mortuarie. I ripetuti nudi e la libertina sfrontatezza dei protagonisti sono diventati l’autoritratto della controcultura di una nazione e di una città in particolare, Amsterdam, negli anni ’70, una fotografia della liberazione sessuale di quegli anni. Fiore di carne è tratto dall’omonimo romanzo (“Turks Fruit” nell’originale, tradotto in Italia con “Olga la rossa”) di Jan Walkers, pub-

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