BULGARI Il ceo Babin espone i fattori di successo 7
BRUNELLO CUCINELLI «Il mio umanesimo da un miliardo di euro» 10
RESHORING Accorciare le filiere si può e si deve 13
TRA WEB3 E NFT L'avventura virtuale muove i primi passi 32
BULGARI Il ceo Babin espone i fattori di successo 7
BRUNELLO CUCINELLI «Il mio umanesimo da un miliardo di euro» 10
RESHORING Accorciare le filiere si può e si deve 13
TRA WEB3 E NFT L'avventura virtuale muove i primi passi 32
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7 JEAN-CHRISTOPHE BABIN «Ecco come diventeremo i numeri uno del gioiello di lusso»
10 BRUNELLO CUCINELLI «Il mio umanesimo da un miliardo di euro»
13 I PERCORSI DELLE FORNITURE
«Siamo sempre più tesi verso la perfezione e l’unicità nel mondo dei gioielli», racconta il ceo Jean-Christophe Babin
A tu per tu con l'imprenditore umbro, che ha fatto dell'idea di capitalismo umanistico il suo mantra
Reshoring: tra rischi e opportunità l’occasione per un’azione concertata» 20 CAREERS
Prada: Guerra ceo del gruppo, D’Attis alla guida del brand 22 AFTERCARE IN PRIMO PIANO La repair economy diventa cool: aggiustare con creatività e tech 29 LA PAROLA AGLI UFFICI STUDI Farfetch in stato confusionale. Analisti perplessi sul modello di business
INNOVAZIONE 32 FRA CRITICITÀ E NUOVE OPPORTUNITÀ Prove tecniche di Metaverso: l’avventura nei mondi virtuali è (ancora) all’inizio 41 IL META-RECRUITING
Dai timori di ulteriori lockdown in Cina alla sostenibilità, le motivazioni per accorciare la supply chain
Dopo un anno di investimenti, la trimestrale in perdita e l'outlook al ribasso suscitano perplessità tra gli investitori
I veterani della moda innoveranno il Web3 Merchandising e colab sono i revenue driver 45 L’EVOLUZIONE DELLA VENDITA DIRETTA Quando il venditore è un influencer: il bello del social selling 52 DESIGNER TO WATCH Shamanic view MERCATI 57 BUYERS' SURVEY Investire nell'omnichannel tutelando lo store fisico: la doppia sfida dei retailer 69 INEDITI CONCEPT PER LE FIERE Saloni, festival, fashion week: mobilitando le community si crea value for money 74 NUOVE LICENZE VERSO IL CAMBIAMENTO Pal Zileri: scarpe e profumi per l’evoluzione lifestyle 76
DALL'AUTUNNO-INVERNO 2023 People of Shibuya diventa People: «Un renaming per non avere confini» 79 TENDENZE FALL-WINTER 2023/2024 Twin peaks 104
PIERRE-LOUIS MASCIA «Cerco il senso della bellezza e dell’eterno presente» 106 JAN-JAN VAN ESSCHE
Per molti marchi l'avventura nel Web3 è già partita. Ma siamo alle prime battute, in un universo ancora ricco di incognite
Lo smart working continua a ispirare i look, tra capi cocooning, linee essenziali, proposte atemporali e tanta fluidità
«Per me le barriere tra i generi non esistono. Quello che conta è suscitare emozioni»
Lana dal Sud America, lavorazione 100% Made in Italy. 21 Micron è il punto di arrivo di un lungo viaggio alla ricerca di una famiglia di tessuti di altissima qualità in grado di garantire le massime performance di ingualcibilità e resistenza.
Una strada in controtendenza dove una fibra volutamente non sottile, elastica e nervosa diventa la cifra stilistica di una nuova era, firmata Vitale Barberis Canonico, il lanificio con oltre 350 anni di storia.
Marc Sondermann m.sondermann@fashionmagazine.itCon la secca serie di rialzi dei tassi d’interesse compiuta da parte delle più importanti banche centrali, il quadro macroeconomico globale è in breve tempo cambiato in modo fondamentale. Da un’abbondanza di capitali senza precedenti stiamo velocemente passando a un regime di dilagante aridità sui mercati finanziari. Le prime ripercussioni si sono notate fin da subito sulle valutazioni borsistiche delle Big Tech in Silicon Valley. Soprattutto i modelli di business più invasivi della privacy, come Google e Meta, ormai in odore di saturazione, hanno subito tonfi fragorosi, ma anche Amazon e Tesla viaggiano ben sotto i precedenti massimi storici. Si salva per ora, eccezion fatta per Salesforce - che deve riprendersi da una bulimia di acquisizioni - il mercato del tech b2b, che rimane imprescindibile per accompagnare le aziende nella nuova era di interazioni mirate con i clienti, nonché di gestione oculata delle risorse. Si tratta di aziende dal cash flow continuativo oggi, mentre chi prospetta utili in un lontano futuro paga pesantemente dazio. Di conseguenza si sta restringendo vertiginosamente il settore del Venture Capital, con un volume delle operazioni mondiali dimezzato già nel 2022, se paragonato al perimetro del 2021.
E il bello, si fa per dire, deve ancora venire. Ma non finisce qui. Come è fisiologico che sia, si è aperta una corsa al credito bancario, dato per morente neanche tanto tempo fa. Per evitare crolli nelle proprie valutazioni in stile Klarna o Farfetch, numerose scale-up stanno cercando di spuntare prestiti a tassi certi, idealmente a cinque anni, per non esporre i loro investitori all’evaporazione immediata del valore di ciò che hanno acquisito in quote di capitale sociale solo pochi anni, se non mesi fa. È a questo
punto solo una questione di tempo, finché non toccherà in modo deciso anche a un settore in Europa molto più predominante del venture capital, quello del private equity, ultimamente assai avvezzo alle vacche grasse. Anche qui gli orizzonti di remunerazione si stanno comprimendo in modo spettacolare, con un’accelerazione ancora da compiere, vista la rincorsa della Bce sui tempi antesignani della Federal Reserve americana. Come già succede oltreoceano, i lidi dell’Ipo saranno inoltre per un certo periodo egualmente invalicabili. Verranno dunque vagliati minuziosamente i portafogli che questi veicoli si portano in pancia per decidere chi merita l’erogazione del salvifico credito, e chi no. Nel campo della moda la cernita è presto fatta. Chi si è posizionato sulla qualità, sia dei manufatti, sia del modello di business, può dormire sonni tranquilli. Lusso e filiera di qualità hanno il coltello dalla parte del manico e possono, con i dovuti accorgimenti, continuare la loro corsa verso l’alto. Decisamente più incerte le prospettive degli affaristi e dei bucanieri, di cui abbiamo visto ultimamente pullulare parecchio le scene. Chi sperava in rilanci rapidi di marchi ammaccati, magari del medio di gamma, con un’importante esposizione su mercati secondari o in declino (come quello domestico), dovrà dimostrare di avere le spalle larghe. E brillare per oculatezza. Altrimenti incombe il Game Over.
Direttore ResponsabileUn percorso teso verso la perfezione e l’unicità, quello di Bulgari, in cui il mondo dei gioielli si apre alle novità che arrivano dall’universo dei giovani e del digital. In questa intervista il ceo della griffe illustra i suoi progetti e rivela come il brand punti a tenere insieme passato e presente, tradizione e innovazione, rigorosamente nel segno del made in Italy
DI CARLA MERCURIO«Puntiamo sempre più al vertice delle piramide del lusso nel mondo dei gioielli, con una fedeltà senza compromessi al made in Italy e alla città di Roma, dove Bulgari è nata nel 1884». JeanChristophe Babin, ceo della griffe, racconta una storia di passione e di amore per il bello e il ben fatto che è quasi un’ossessione. Un pensiero costante in cui a fare da guida è la preservazione dell’eccellenza italiana nell’arte orafa e gemmologica, grazie all’alta gioielleria, realizzata nel laboratorio di Roma, e alle proposte più quotidiane prodotte a Valenza. Un obiettivo che è un atto di fede verso l’heritage della label, divenuto sempre più chiaro dopo il suo ingresso nelle fila di Lvmh nel 2011. In questa intervista l’executive svela i progetti della griffe, che sotto il suo segno racchiude anche gli orologi, la pelletteria, i profumi e l’hôtellerie, tenuti insieme dal filo dell’unicità. Un marchio che ha fatto dell’equilibrio tra l’esclusività e l’apertura alle nuove sfide del digital, della comunicazione e del mondo dei giovani una sfida importante.
Entro il 2024 raddoppierete le dimensioni del polo della gioielleria a Valenza: colpiscono case history come la vostra…
È una questione di vision a lungo termine, guidata dalla consapevolezza che il settore dei gioielli è e resterà al centro del lusso. Nel 2019, due anni e mezzo dopo l’apertura dello stabilimento, ci siamo accorti che lo sviluppo della domanda e della quota di mercato di Bulgari sul fronte dei gioielli ci avrebbe portati al massimo del potenziale nel 2021-2022. E quindi, in pie-
na pandemia, ci siamo messi in marcia verso la progettazione del nuovo polo, che aggiungerà circa 18mila metri quadri agli attuali 14mila, portandoci a diventare la manifattura più grande al mondo per i gioielli. Una sfida importante, che comporterà l’inserimento di 650 nuovi posti di lavoro oltre agli attuali 750, in un momento di carenza di manodopera qualificata. Per questo, accanto all’Accademia già esistente, rivolta a quanti già lavorano per Bulgari, creeremo in loco una scuola per gli aspiranti gioiellieri, in collaborazione con la scuola di design Tarì.
Quanto conta la sostenibilità in questo progetto?
Lo stabilimento già attivo a Valenza è certificato Leed Gold e andremo avanti per questa strada. Il progetto prevede impianti di geotermia e pannelli solari che ci consentiranno di essere autonomi al 50% dal punto di vista dell’energia, con l’altro 50% che arriverà da fonti rinnovabili. La manifattura sarà così alimentata al 100% da sole energie rinnovabili. Vogliamo essere all’avanguardia sul fronte della sostenibilità, oltre che per l’eccellenza artigianale, e ciò è testimoniato anche dal nuovo magazzino di orologi e gioielli di Dublino, anch’esso certificato Leed Gold.
Cosa significa made in Italy per Bulgari?
È il nostro fiore all’occhiello e siamo fieri di avere un ruolo assoluto in termini di preservazione dell’eccellenza italiana sull’arte orafa e gemmologica, grazie all’alta gioielleria, realizzata nel laboratorio di Roma, e alle proposte più quotidiane prodotte a Valenza.
«Con il nostro nuovo polo diventeremo la manifattura più grande al mondo con più di 1.400 artigiani specializzati»Jean-Christophe Babin, ceo di Bulgari. Secondo gli analisti la griffe in capo al gruppo Lvmh fatturava tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro pre-pandemia
Nelle foto, generazioni a confronto nella brand campaign Unexpected Wonders: Anne Hathaway e Zendaya indossano creazioni di alta gioielleria di Bulgari. L'advertisement ha visto protagoniste anche la cantate dei Blackpink Lalisa, detta Lisa, l’attrice cinese Shu Qi e l’attrice indiana Priyanka Chopra Jonas, ritratte dal fotografo Dan Jackson. Zendaya e Anne Hathaway sono protagoniste inoltre dello spot girato da Paolo Sorrentino, che ha lo stesso titolo
Perché dietro a un gioiello Bulgari i nostri clienti devono trovare bellezza e qualità, ma anche il sapore dell’Italia, che è parte del dna di Bulgari. Una scelta che vale anche per tutto il resto della nostra produzione (seta, pelletteria e profumi), a parte l’orologeria, che viene realizzata giocoforza in Svizzera.
Quali le linee più rappresentative del dna di Bulgari?
Oggi le più iconiche sono Serpenti, Diva's Dream e B.zero1. Tutte e tre sono molto legate alla storia e all’arte della Roma antica, in omaggio al dna del marchio. Serpenti e Diva's Dream hanno una certa verticalità, in quanto si prestano molto bene per creatività e forme anche all’alta gioielleria, che parte dai 100mila euro e arriva a varcare i 5 milioni e oltre; B.zero1 è posizionata su un target medio-alto (con un prezzo massimo di 40-50mila euro). Serpenti è trasversale a gioielli, orologi e borse, mentre Diva's Dream identifica anche orologi di successo. Ci sono poi altre etichette, come Fiorever o Bulgari Bulgari, che si posizionano su un target di prezzi più accessibile.
Quanto vale la gioielleria sul fatturato di Bulgari?
Nel 2011, anno dell’acquisizione da parte di Lvmh, questo settore valeva metà del fatturato. Oggi copre la maggior parte del giro di affari (secondo gli analisti l’80%, con la fascia luxury che da sola vale il 20%, n.d.r.). In questi anni, infatti, ci siamo focalizzati sul prodotto Bulgari per eccellenza, affiancato dall’orologio femminile, che rappresenta una sua estensione, mentre il resto si divide tra profumi, pelletteria e hôtellerie.
Qual è il vostro obiettivo a livello di prodotto?
Crescere nella categoria core per diventare il numero uno al mondo, spingendo sul vertice della piramide del lusso. Basti pensare che in un anno non facile come il 2022 le nostre vendite di gioielli luxury a partire dai 5060mila euro sono nettamente cresciute. Un upgrading che trascina anche le altre categorie, dove intravediamo grandi potenzialità.
Nel 2023 inaugurerete un nuovo Bulgari Hotel a Roma: come evolve il canale dell’hospitality?
1/2. La boutique storica di Bulgari in via Condotti a Roma e lo store di Parigi in place Vendôme. Nel 2024 è attesa l'ultimazione dei lavori di ampliamento del negozio di via Montenapoleone a Milano, che raggiungerà i 700 metri quadri rispetto ai precedenti 300. Intanto è attivo un temporary in via Gesù 3. Sempre entro il 2024 si prevede il completamento dei lavori di ampliamento del polo della gioielleria a Valenza: nella foto, un rendering
Abbiamo piantato bandierine importanti in città come Milano, Bali, Londra, Pechino, Dubai e Shanghai. Nel 2021 siamo approdati a Parigi e l’anno prossimo sarà la volta di Tokyo e Roma, seguite tra il 2025 e il 2026 da Miami, Maldive e Los Angeles. L’obiettivo è mantenere in tutti gli alberghi il tratto caratteristico di boutique hotel di grande lusso: sono luoghi che permettono un’immersione totale nel mondo Bulgari, ampliando all’ennesima potenza l’esperienza, che poi possiamo trasferire nelle boutique. Inoltre ci offrono una base di nuovi potenziali clienti per l’alta gioielleria.
Come vi avvicinate ai giovani e ai nuovi canali di comunicazione e vendita?
Grazie a linee dai prezzi più accessibili, come Bulgari Bulgari, ma anche agli entry price di B.zero1, riusciamo a intercettare un pubblico più giovane, che oggi ha la tendenza a comprare meno ma fa attenzione ad asset quali autenticità, sostenibilità, marca, etica. Un target che abbiamo puntato a coinvolgere con il film Inside The Dream, trasmesso su Prime Video in oltre 100 Paesi, su Tencent in Cina o Canal+ in Francia, che ha aperto al pubblico le porte del nostro mondo con un viaggio lungo il processo creativo e produttivo dei nostri preziosi. Nel cast brillano, tra gli altri, i nomi di due icone della GenZ come Zendaya e Lalisa, che ritroviamo protagoniste anche nelle campagne istituzionali Unexpected Wonders
A proposito di giovani, allo scorso VivaTech avete presentato il vostro concept di Metaverso e siete anche approdati sulla piattaforma social coreana Zepeto…
Sono azioni simili a quella intrapresa con Inside the Dream, che solo Bulgari ha avuto coraggio di promuovere nel mondo dell’high jewellery. Per i giovani non c’è confine tra divertimento e lusso: due sfere che possono convivere, come avviene nelle loro scelte di abbigliamento. In questo momento andiamo verso l’ultra qualità del Metaverso, perché il livello della visita virtuale, l’interattività tra un avatar e una collana di lusso devono essere coerenti in termini di sofisticazione. Dopo l’esordio a VivaTech puntiamo a lavorare su uno spazio virtuale molto più ampio, dove svolgere attività ed eventi in grado di catalizzare l’attenzione di milioni di persone.
Avete lanciato recentemente dei progetti tra il fisico e il virtuale con Aura e Polygon: quali i presupposti? Vendendo oggetti di altissima qualità e valore
la tracciabilità e l’autenticità dei materiali usati sono fondamentali, ma è importante anche raccontare dove e quando sono stati fabbricati e, se ci sono stati interventi sul prodotto, quali e quando. Una garanzia anche per chi vuole rivendere l’oggetto, in un momento di forte sviluppo del resale nel lusso. Grazie ad Aura abbiamo una blockchain classica che immagazzina queste informazioni, mentre Polygon consente un accesso facile, con un Qr code che mette in contatto permanente il cliente con l’attualità del prodotto. Emblematico l’esempio dell’orologio Octo Finissimo Ultra, che vive in maniera inscindibile con un Nft, garanzia di autenticità e unicità.
A che punto siete con l’e-commerce? Ha avuto una forte accelerazione con il Covid. Durante la pandemia abbiamo portato da sei a 20 i mercati dove abbiamo nostre piattaforme locali. L’anno prossimo queste ultime potranno essere accessibili anche da 80 Paesi che non dispongono di un proprio presidio. Al momento le vendite online valgono meno del 10% del fatturato, ma sono importanti in termini di omnicanalità. La presenza fisica resta fondamentale, visto che la parte di adattamento al corpo di un nostro prodotto è molto importante.
Quali i mercati che stanno performando meglio?
Il primo in assoluto nel 2022 è stata la Cina, seguita da Giappone, Usa e Unione Europea. Con il Covid abbiamo visto un riequi-
1. Non solo gioielli nell'universo di Bulgari, ma anche orologi, borse, accessori e hôtellerie. Nella foto, un’immagine della holiday campaign 2/3/4. Uno sguardo attento alla tradizione e all’heritage, ma anche curiosità per l’innovazione. Nelle foto, il primo gioiello Nft della maison, il digital twin dell’orologio Octo Finissimo Ultra e un’immagine della piattaforma di Metaverso presentata a Parigi allo scorso VivaTech
librio tra le varie aree, poiché la scomparsa del turismo ha fatto sì che dialogassimo più intimamente con la clientela locale. Questo ci ha consentito di rafforzare la resilienza dell’azienda nei confronti di crisi, pandemie o variazioni delle valute che hanno impatto sul business turistico.
Il marchio Bulgari è indissolubilmente legato alla città di Roma, dove è nato nel 1884 e che la maison mette al centro di importanti iniziative. Cosa avete in cantiere?
Tra gennaio e febbraio è prevista l'inaugurazione dell’area sacra di Largo Argentina, che finalmente sarà aperta al pubblico grazie a un lavoro di riqualificazione sostenuto dal nostro finanziamento. Un impegno che segue altri importanti investimenti, tra cui il restauro dei mosaici di Caracalla e della gradinata di piazza di Spagna. Intanto ci confrontiamo con il sindaco Gualtieri per altri progetti: l’obiettivo è puntare alla salvaguardia dell’arte delle epoche passate, ma tenendo ben presente anche quella contemporanea.
A proposito di arte contemporanea, da tempo avete un ruolo di promotori grazie al Bulgari Maxxi Prize, che riconosce il talento delle giovani generazioni di artisti…
Dopo l’ultimo evento di premiazione lo scorso ottobre, andremo avanti nei prossimi anni, puntando a calibrare le nostre scelte e strategie, per essere sempre in sintonia con l’evoluzione della società e delle tendenze.
«La speranza al posto della paura», «l’equilibrio tra profitto e dono», «le opere edificate per l’eternità»: a tu per tu con Brunello Cucinelli, l’imprenditore umbro che nel 2023, con largo anticipo sui tempi, porterà la sua azienda al traguardo del miliardo di euro di fatturato
DI ANGELA TOVAZZISi può essere imprenditori di successo, con un gruppo quotato in Borsa e in procinto di raggiungere il miliardo di euro di fatturato, e non essere schiavi del profitto? Si possono conciliare business ed etica, affari e filantropia? Per Brunello Cucinelli, 69 anni e un fiorente impero governato dal borgo medioevale di Solomeo - fabbrica operosa apparentemente mai lambita da attriti fra proprietà e lavoratori - l’idea di un capitalismo umanistico è sempre stata il faro delle scelte aziendali, nella convinzione kantiana che l’uomo deve essere il fine e mai il mezzo. Equilibrio è la parola più frequente nell'eloquio di questo capitano d’industria, diviso tra la passione per il cashmere e il pensiero degli antichi filosofi, che parla di «crescita garbata», «giusto profitto», «umana sostenibilità». Nell’intervista con il nostro giornale snocciola numeri, discute di vendite e mercati. Ma descrive anche il ruolo della tecnologia, della responsabilità sociale e morale delle imprese e delle opere che stanno sorgendo a Solomeo. Nel solco dei grandi mecenati del Rinascimento.
Il conflitto russo-ucraino imperversa da quasi un anno, c’è la crisi energetica, l’inflazione è alle stelle, ma lei è sempre ottimista sul futuro...
Io credo nella speranza. Una parola che non fa più parte del nostro modo di pensare. Viviamo sempre nella paura. Invece dobbiamo guardare indietro e ricordarci di come stavamo a marzo 2020, quando scoppiò la pandemia. Rispetto ad altri Paesi, l’Italia l’ha affrontata nel migliore dei modi. Il nostro stato sociale ci ha consentito di non licenziare
e preservare la realizzazione di manufatti, tanto che oggi possiamo contare su strutture produttive e commerciali a pieno regime, in grado di darci un importante vantaggio, soprattutto perché la domanda di beni esclusivi e di altissima artigianalità supera l’offerta.
In Italia la disoccupazione è al 7,8%, uno dei punti più bassi, e il Pil è di nuovo in crescita. Sono fiducioso che anche nel 2023 conquisteremo un altro piccolo vantaggio.
In ogni caso la sua azienda archivia un anno da record...
Dopo gli splendidi risultati dei primi nove mesi 2022, quelli di ottobre e novembre si sono dimostrati altrettanto belli, tanto da prevedere una chiusura dell’anno con una crescita dei ricavi intorno al +28%. Grazie alla raccolta ordini della prossima primaveraestate, possiamo guardare al 2023 come a un anno molto interessante, con una sana crescita intorno al +12%, un sano e giusto profitto, e il raggiungimento dell’importantissimo traguardo del miliardo di fatturato. Anche per il 2024 immaginiamo un aumento delle ven-
dite intorno al +10%, che crediamo ci permetterà di arrivare, in anticipo sui tempi, a quel raddoppio del fatturato programmato nel piano decennale 2019-2028.
Quali i mercati che faranno da driver? Oggi l’Europa copre il 40%, l’America il 35% e l’Asia il 25%, di cui la Cina il 13%. Guardiamo con fiducia e in modo equilibrato a tutti i mercati, che stanno premiando un lusso vero, più raffinato, con minore presenza di logo. E poi c’è un tema nuovo, sentito soprattutto dai giovani, che riguardo a un capo si fanno tante domande. Dove è fatto? Come è fatto? Ha il giusto prezzo? Può durare per sempre? C’è un forte cambio di prospettiva. Anche l’approccio ai canali distributivi resterà all’insegna dell’equilibrio, con circa il 40% di multibrand e il 60% di monobrand. Il ruolo del wholesale è fondamentale, perché credo sia il vero guardiano di un marchio: è il multimarca che ti conferma se il tuo prodotto è contemporaneo o se sta leggermente perdendo appetibilità. Anche in futuro resterà centrale
Sarà quindi orgoglioso di ricevere, a marzo, il Neiman Marcus Award, che in passato è andato a grandi come Coco Chanel e Christian Dior...
Neiman Marcus è uno dei più prestigiosi multimarca al mondo. È davvero un premio inaspettato, che mi fa estremo piacere, soprattutto perché penso che non sia solo una gratificazione attribuita alla nostra casa di moda, ma anche una conferma del grande apprezzamento che tutto il mondo nutre verso il valore dell’artigianato di elevatissima qualità, del made in Italy e, ne sono certo, anche verso il nostro modo di vivere e lavorare, che qui a Solomeo ci piace definire “in armonia con il Creato”.
Lei è sempre stato fautore di un capitalismo umanistico, che mette al centro l’uomo oltre al profitto e uno sviluppo sostenibile. I grandi gruppi, secondo lei, potrebbero fare di più su questo fronte? Sono convinto che, soprattutto negli ultimi cinque anni, ci sia stata una grande presa di coscienza su questi temi. È vero, io ho ab-
1. Un ritratto di Brunello Cucinelli. Nato nella campagna umbra e cresciuto in una famiglia di contadini, ha creato la sua casa di moda nel 1978, portandola in Borsa nel 2012 2. 3. L'eleganza contemporanea di Brunello Cucinelli per la SS 2023 4. Gli headquarters di Solomeo 4
perderemmo in umanità. Connessi sì, ma il giusto. Da noi in azienda alle 17.30, alla fine del lavoro, ci si disconnette e si fa altro.
La sostenibilità è un elemento cardine del vostro modello di business. Quali saranno le sfide dei prossimi anni? Avverto un’importante presa di coscienza sul valore della sostenibilità, intesa su più livelli. Riguardo a quella ambientale, tutti stanno facendo la propria parte. Ma c’è anche una sostenibilità economica, dove le domande da farsi sono: in che condizioni si lavora? Quante ore? Con quale retribuzione? E una sostenibilità culturale: la tua impresa cosa fa per il suo territorio e la sua gente? Ma anche spirituale, perché se lavori in un luogo migliore, dove ti trattano bene e al posto di un muro davanti hai una finestra con una bella vista, anche il tuo spirito sta meglio. Infine c’è una sostenibilità morale, che ti fa pagare le giuste tasse per il giusto servizio e collaborare con il tuo Stato per la sua crescita. Ecco, io credo che la grande sfida sia quella di ritrovare un’armonia tra profitto e dono.
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bracciato questa impostazione già 40 anni fa, quando ho iniziato, ma siamo nel flusso di un grande cambiamento. La pandemia ci ha aiutato a riflettere e a capire quanto dipendiamo dal creato. Per questo agli analisti dico sempre: non usate la parola “consumatori”. Meglio “utilizzatori”.
Siamo entrati in un’era ipertecnologica, con una forte accelerazione dell’online, dove si stanno affermando dimensioni totalmente virtuali come il Metaverso. La Brunello Cucinelli come affronta questa rivoluzione?
Credo che si stia andando verso un riequilibrio dopo i lockdown. Pur continuando a utilizzare l’e-commerce, le persone desiderano tornare alle relazioni del mondo fisico: magari prima guardano online, poi vanno a comprare in boutique, perché vogliono scambiare due chiacchere con il negoziante. La tecnologia è un dono del creato e ai miei dico sempre: comprate quella più avanzata. Basta che non vi rubi l’anima. Non possiamo pensare di restare sempre connessi, perché
Anche se le aziende di moda producono dei semplici vestiti, in quanto brand delineano orizzonti di valore, capaci di fare cultura e, sotto l’occhio vigile dei social, di attirare o allontanare potenziali clienti… Come la vede? In un mondo connesso, tu per essere credibile devi essere vero. Ci vuole un attimo a sapere tutto di te. Il telefonino è un grande moralizzatore: ti devi comportare bene. Per questo sono fiducioso andremo verso un mondo migliore. Le domande da farci sono: siamo convinti che il nostro profitto sia giusto o non sia un po’ troppo? Che la nostra sia una giusta crescita? Capirlo non è difficile: c’è una legge morale dentro di noi che lo stabilisce. È la nostra anima a indicarci la direzione.
Prima il restauro del borgo di Solomeo, diventato il suo quartier generale, poi una scuola di alto artigianato, un teatro, un vigneto con il primo vino e ora il progetto di una biblioteca universale che aspira a custodire fino a 500mila volumi. Le manca qualcosa da realizzare?
I sogni sono tanti, ma quello della biblioteca universale è un progetto impegnativo. L’immobile sarà pronto per il 2024 ma si tratta di un’iniziativa a mille anni perché, nel solco del pensiero dell’imperatore Adriano, stiamo costruendo un granaio per le future generazioni. Non mi interessa dedicarmi a cose dall’orizzonte limitato. Certo, la nostra fabbrica tra 20 o 30 anni dovrà essere rinnovata, ma la mia Solomeo tra 1.000 anni sarà qui. Voglio dedicarmi a opere che possano durare, che restino lì dove sono. Voglio edificare opere per l’eternità.
Come cambiano i percorsi delle forniture La parola a consulenti e addetti ai lavori
Dai timori di nuovi lockdown in Cina alla sostenibilità, le motivazioni per accorciare la supply chain non mancano. Il rientro delle produzioni in Italia resta però un’iniziativa a discrezione della singola impresa, al contrario di quanto avviene negli Usa
DI ELISABETTA FABBRICon la pandemia e le conseguenti criticità nella supply chain e nei trasporti si è tornati a parlare a più riprese di reshoring, la pratica di riportare un business, o parte di esso, nel Paese di origine. Ma non c’è traccia di statistiche recenti che diano un’idea del fenomeno, per quanto riguarda la filiera italiana della moda. Qualche indicazione si può ricavare dal report La manifattura al tempo della pandemia. La ripresa e le sue incognite, pubblicato circa un anno fa da Confindustria e curato dal suo centro studi con Re4it, un gruppo di lavoro che ha coinvolto le Università di Bologna, Bergamo, L’Aquila e il Politecnico di Milano. Si tratta comunque di dati preliminari, emersi da un questionario a cui avevano risposto 404 imprese del manifatturiero italiano nel
In Italia esistono ancora fornitori idonei alla manifattura, efficienti e in grado di abbattere i tempi di consegna
suo complesso. Il 75% di loro acquistava forniture da imprese estere alla data di chiusura del report e il 23% aveva realizzato un backshoring negli ultimi cinque anni ma, dentro questa quota, solo il 10% aveva riconfigurato la fornitura su base nazionale. Tessile e alimentare erano i settori che più avevano rilocalizzato in Italia i propri fornitori (quasi il 50% di questi comparti ave-
va modificato le scelte di offshoring) e alte concentrazioni emergevano anche nell’abbigliamento, nelle calzature, nei gioielli e negli articoli sportivi. Le principali motivazioni addotte dalle manifatture che avevano cambiato strategia erano il fatto che in Italia esistono ancora fornitori idonei e la possibilità di abbattere i tempi di consegna, a conferma che la fornitura nazionale è rimasta efficiente sul piano operativo.
«Si sa di alcune realtà del made in Italy che si stanno muovendo per riportare la produzione in Italia, ma non esistono numeri ufficiali - conferma Marenza Vinci, executive director EY-Parthenon (braccio di EY dedicato alla consulenza strategica globale), Fashion&Luxury practice Europe West -. Quello che notiamo è soprattutto la ricerca di nuove aree alternative alla Cina da cui rifornirsi». «C’è più movimento dalla Cina verso altri Paesi che dalla Cina verso l’Italia - ribadisce Riccardo Montagnino, business advisor di EY-Parthenon Fashion&Luxury practice -. Mentre gli Stati Uniti, motivati anche dall’aumento dei dazi, hanno deciso in modo organizzato di ridurre gli investimenti in produzioni cinesi, l’Italia sembra muoversi in modo non strutturato, a discrezione della
EY-PARTHENON C’è la ricerca di aree alternative alla Cina, più che un vero e proprio rientro delle produzioni in Italia
La moda si sta in parte allontanando dalla Cina che, a sua volta, sta facendo outsourcing
MONTAGNINO
EY-PARTHENON Nel giro di 4-10 anni il Corno d’Africa potrebbe diventare una nuova area di sourcing
singola impresa». «Nella manifattura leggera - sottolinea Montagnino - la Cina sta a sua volta facendo tanto outsourcing. Inoltre sta spostando parte delle produzioni per la moda da dove erano diffuse, come Shenzhen, nella parte Sud-orientale, o il Sud del Paese, per portarle in aree più interne, dalla vocazione agricola, per esempio Chongqing e Chengdu, nella provincia del Sichuan. Altri bacini di produzione sono la Cambogia, il Vietnam e il Corno d’Africa». Quest’ultima destinazione, in realtà, è sulla carta ma dovrebbe diventare ricettiva nel giro di quattro-dieci anni, dopo investimenti governativi per la realizzazione di impianti, uffici, dormitori e scali merci. «L’Africa sarà destinata a coprire la fascia bassa di mercato e merceologie come l’intimo: un prodotto di piccole dimensioni e compatto, per cui ha senso la spedizione dalla Cina al continente africano - specifica Montagnino -. Per i prodotti in pelle non ha molto senso. Nell’area gli spagnoli stanno iniziando con i cappotti. Il denim invece si sta orientando su Turchia, Bangladesh e Mauritius». A tutt’oggi risulta che l’alto di gamma realizza in Asia semilavorati, in seguito completati o rifiniti in Italia o in area Euro. Anche se la Cina in questo caso la fa ancora da
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padrona, in parte sta muovendo le lavorazioni verso Paesi limitrofi. La Repubblica Popolare si distingue per le lavorazioni in pelle. Magari il materiale è acquistato, tagliato e rifinito in Italia. Se le fasi di lavorazione hanno avuto luogo prevalentemente sul territorio italiano è consentito l’uso dell’indicazione “Made in Italy”. «Il ricamo è ancora appannaggio dell’India e ci sono aziende italiane che hanno rilevato delle fabbriche locali, per garantirsi lavorazioni di particolare pregio», aggiunge Marenza Vinci. Invece il Vietnam è da sempre un fornitore di capi tecnici e sportivi di qualità, grazie alla delocalizzazione dei marchi americani, già prima che si parlasse di guerra dei dazi. «Hanno costi di manodopera più bassi della Cina e modalità di lavoro più vicine a quelle occidentali - spiega Riccardo Montagnino -. Diverse aziende cinesi e italiane basate nella Repubblica Popolare stanno investendo nella produzione di sneaker, per contenere i costi ed esercitare un maggiore controllo della produzione. Le migliori sono made in Asia». Tentando di
In Italia, specie nell’accessorio e nel beauty, nascono nuovi poli per fare massa critica
completare la nuova mappa del sourcing si apprende pure che l’Est Europa non è più tanto interessante, a parte la Bulgaria, che però ha costi alti. La Tunisia sarebbe vicinissima all’Italia, facile da controllare e con un costo della manodopera basso, ma là è tutto da costruire e non ha materie prime, quindi resta un’opportunità ipotetica. «In Italia si nota, specie nell’accessorio e nel beauty, la nascita di poli per creare massa critica - osserva Vinci -. Il lusso sta creando delle eccellenze nei distretti ma ci sono anche aziende, non necessariamente della stessa area, che si stanno organizzando in conglomerati, diventando importanti partner per moda e lusso». Alcuni brand non del lusso hanno invece de-
Di anno in anno il Wto realizza la mappa dei maggiori esportatori di abbigliamento nel mondo (evidenziati in verde). Tra loro figura l’Italia, quarta nel ranking con 27,3 miliardi di dollari di export. Il maggiore esportatore è la Cina (176 miliardi di dollari), seguita dal Bangladesh (35,8 miliardi) e dal Vietnam (31,2 miliardi).
ciso di avvicinare le produzioni ai mercati di riferimento, per rispondere adeguatamente alla domanda locale».
«Un vero reshoring c’è nel lusso - ribatte Alberto Gregotti, presidente di Antia, l’associazione nazionale dei tecnici professionisti del sistema moda -. Gli imprenditori italiani si sono accorti che possono produrre meno guadagnando di più, a patto di alzare la qualità». «In realtà i veri produttori di made in Italy sono i francesi, che stanno comprando i laboratori italiani - dice provocatoriamente -. Il problema sono proprio i laboratori: dalla prossima stagione sarà complicato trovare un posto dove produrre, per soddisfare tutta la domanda vivace che c’è». «Inoltre manca un ricambio generazionale per la manodopera, tanto che le operaie albanesi e rumene adesso sono in Italia perché non si trovano cucitrici - aggiunge -. L’aumento della domanda di queste figure è stato determinato proprio dal rientro delle produzioni in Italia». Non è un caso che in settembre sia stata inaugurata a Novara una nuova sede dell’Istituto Secoli (nelle ex Officine Grafiche De Agostini) per formare esperti della prototipia. L’iniziativa coinvolge anche il Comune e alcune aziende presenti sul territorio con produzioni e logistica come Alexander McQueen, Gucci, Herno, In.Co. Industria Confezioni, Versace e Zamasport. «A ulteriore
Il rientro delle produzioni in Italia sta evidenziando la scarsità di laboratori e di manodopera specializzata
conferma del reshoring in atto - prosegue il presidente di Antia - ci sono realtà come il Gruppo Florence». Fondato nel 2020, presieduto da Francesco Trapani (ex numero uno di Bulgari) e guidato dal ceo Attila Kiss, il gruppo è arrivato ad aggregare una ventina di eccellenze della moda tra cui le più recenti Taccetti, produttore fiorentino di calzature femminili di alta gamma e la marchigiana Ideal Blue Manifatture, attiva nella lavorazione del denim. L’obiettivo della società - controllata da un consorzio guidato da Vam Investments, Fondo Italiano d’Investimento (partecipato da Cassa Depositi e Prestiti) e Italmobiliare - è attivare sinergie fra le aziende che entrano nel polo del manifatturiero made in Italy, preservandone allo stesso tempo le singole identità. «I fondi sembrano sempre più orientati al “compra e costruisci”, rispetto al “compra e specula” del passato - nota Gregotti -. Oggi serve più che mai l’ottica imprenditoriale anziché quella finanziaria, della rincorsa al dividendo». In questo momento, secondo il presidente di Antia, sono favorite le aziende italiane che hanno ancora al loro interno una componente industriale, «ma si devono comportare come le francesi, riconoscendo le nostre abilità anche in termini salariali, altrimenti si rischia di perdere tutto il know how». «Inoltre - aggiunge - credo che molti
marchi abbiano esagerato nel voler diventare anche retailer. Forse dovrebbero tornare a concentrarsi di più sul loro core business. L’Italia può realizzare prodotti di alto livello, mentre l’estero non ne è capace. Quando gli stilisti hanno spostato la produzione hanno abbassato la qualità».
Gianluca Tanzi, ex Brooks Brothers, da poco più di un anno ceo della divisione tessile della francese Chargeurs (Chargeurs Pcc Fashion Technologies e Chargeurs Luxury Materials) conferma il reshoring in corso anche per marchi europei dei segmenti premium/affordable luxury e fast fashion, che via via stanno avvicinando le produzioni dall’Asia. «Cina, Vietnam, India, Sri Lanka, Americhe: noi siamo attivi da sempre in varie aree geografiche, ma vantiamo una presenza importante in Europa e parte della produzione è ancora in
In un momento di mercato vivace per il lusso sono favorite le aziende che hanno mantenuto la componente industriale
Francia - racconta -. Dopo i lockdown abbiamo realizzato nuovi accordi per alcune tipologie di prodotto, per esempio in Turchia. L’obiettivo è ridurre i rischi derivanti da nuovi lockdown in Cina e far fronte al rischio Paese, nel caso alcune aree di approvvigionamento diventassero “calde”». Di fatto il gruppo francese, noto nel tessile per le interfodere e la lana merino premium Nativa, ha duplicato e talvolta triplicato alcune attività per ridurre i rischi dall’esposizione in Cina e ha riallocato i magazzini al di fuori del Grande Paese. «Non è stato un processo facile - ammette Tanzi -. Abbiamo cambiato sistema informatico, che include la possibilità di pianificare con l’Intelligenza
Artificiale, così da poter individuare velocemente diverse alternative, tenendo conto di fattori chiave come le tempistiche e i costi». «I prezzi delle produzioni europee e turche sono diversi da quelli asiatici - puntualizza -. Probabilmente l’anno prossimo si vedrà una incremento del 30% sui listini. Tutti i marchi che vogliono essere sostenibili, del resto, devono comprare in Europa: vedremo in futuro che evoluzioni ci saranno in proposito». E se la pesante politica zero Covid in Cina sta facendo sì che anche i megavendor di Hong Kong stiano spostando le produzioni di abbigliamento, per il tessile è più difficile. «L’Italia può rimanere e sviluppare un’area tessile importante, magari insieme a Spagna e Portogallo, ma necessita di capitali e di una politica industriale, che includa, per esempio, contributi a fondo perduto», dice il manager con un passato in Geox, Luxottica e Benetton. L’abbigliamento di lusso ha già come punto di riferimento l’Italia, mentre le produzioni di massa possono rivolgersi, a suo parere, all’Albania, con costi talvolta inferiori al Vietnam o all’Egitto. Il Nord Africa sarebbe già pronto a una produzione per i marchi medi, «ma mancano imprenditori che organizzino il business». E mentre ci si chiede se altri investitori vorranno replicare la piattaforma produttiva del Gruppo Florence, Tanzi vede più difficile che si possa ricreare in Italia il modello alla Li&Fung, il conglomerato asiatico che partito agli inizi del Novecento con l’export di porcellane e sete dalla Cina oggi gestisce una delle più estese reti globali di supply chain al mondo, conta circa 15mila addetti in oltre 230 uffici e centri di
1. Diadora ha riportato a Caerano San Marco (Tv) la produzione di alcune calzature sportive 2. L’India resta un fornitore di riferimento per alcune lavorazioni 2. Nel 2021 Benetton Group ha potenziato le basi produttive in Croazia, Serbia, Turchia e Italia
L’Italia può restare un’area tessile importante ma ha bisogno di capitali e di una politica industriale
distribuzione in 40 mercati diversi. «Il reshoring, ma anche il nearshoring, ossia lo spostamento delle produzioni in geografie a corto raggio, sono temi caldi da almeno cinque anni - dichiara Erika Andreetta, Emea Fashion & Luxury Leader e partner di PwC Italia - ma sono diventati scottanti nell’ultimo anno, viste la situazione geopolitica globale e le difficoltà di approvvigionamento in tutti i settori produttivi». «Le aziende - aggiunge Andreetta - si sono rese conto dell’importanza di avere una supply chain agile e flessibile, della necessità di migliorare la pianificazione e del tracciamento di ordini, stock e logistica. In settori come l’automotive e le tecnologie la situazione è fortemente critica, mentre per il tessile-moda più che di un’emergenza, si tratta dell’esigenza di essere all’altezza del proprio storytelling». L’esperta di PwC fa l’esempio di Benetton che, riavvicinando la produzione al bacino del Mediterraneo, ha ottenuto benefici in termini di velocità di risposta al mercato e di contenimento delle sovrapproduzioni. Ma c’è anche Diadora, la cui decisione di riportare in Italia alcuni processi produttivi risale al 2015, con l’obiettivo di investire sul valore dell’italianità e sui distretti d’eccellenza a rischio di scomparsa.
«Accorciando la supply chain - puntualizza Andreetta - Diadora ha anche migliorato l’efficienza e l’interscambio tra le diverse funzioni aziendali: la stretta collaborazione tra la produzione e il centro R&S ha reso l’efficienza e la velocità di aggiornamento di alcuni progetti incredibilmente rapide e fruttuose. Anche i consumatori hanno premiato l’impegno nel voler avvicinare i processi produttivi». «Se parliamo di tessile italiano - precisa - il reshoring spesso non è completo, dati gli alti costi di produzione nel nostro Paese, per cui sta avvenendo un avvicinamento dall’Asia a Paesi come Est Europa, Maghreb o Egitto, dal costo del lavoro più basso e con una logistica a corto raggio, con possibilità di trasporti su strada». Prato, il principale distretto tessile d’Europa, punta a rafforzare il suo rapporto con gli agglomerati tessili del Mediterraneo, per avviare una rete di sourcing alternativa all’area asiatica, come dimostra il progetto Tex-Med Alliances, di cui Confindustria Toscana Nord è partner. «Ci sono gruppi come Lvmh (vedi box accanto) e Prada che stanno facendo grandi investimenti in Italia
1. La marchigiana Ideal Blue è entrata di recente nel polo delle eccellenze del made in Italy del Gruppo Florence 2. Il tessile di Chargeurs sta incrementando la produzione in Europa e Turchia per far fronte a eventuali nuovi lockdown in Cina
per il sourcing, mentre l’alto di gamma vede un aumento della domanda - prosegue Erika Andreetta -. Alcune maison, come Chanel, hanno comprato i fornitori strategici durante il Covid, per sostenere e dare continuità alla domanda. Altri, vedi Gucci, hanno aiutato i fornitori con contratti di filiera. Probabilmente assisteremo a un nuovo ciclo di acquisizioni, mirate a categorie di prodotto e professionalità che interessano davvero. Potrebbe trattarsi, per esempio, della maglieria, che adesso sta crescendo ovunque». Si pensa che un progressivo orientamento a consumi più responsabili potrebbe incentivare la produzione in Italia. Stando a un recente sondaggio condotto da PwC, per le nuove generazioni accorciare la filiera per favorire il made in Italy e ridurre l’inquinamento dei trasporti rappresenta un aspetto fondamentale nel classificare un’azienda di moda come sostenibile. «Adesso servirebbe un’azione forte e concertata, per affrontare il tema del reshoring a livello di sistema - auspica Andreetta -. Ci abbiamo provato anni fa, coinvolgendo il Mise ai tempi in cui era guidato da Carlo Calenda, ma ci siamo arenati su temi di competenza europea che riguardavano la concorrenza sleale. Quello che stiamo affrontando ora è un problema di concorrenza a livello europeo e sarebbe il momento di riprendere i colloqui, ragionando anche con il resto d’Europa». «Tanto più - conclude - che si tratta di una filiera che sta costantemente crescendo»
DI ECCELLENZELa notizia non è stata confermata, ma nemmeno smentita: poco prima delle festività natalizie Chanel ha comprato il 60% della padovana FashionArt, specializzata nella confezione e nei trattamenti di denim di lusso (nella foto, una particolare tecnica di ricamo) e da circa 15 anni fornitrice della griffe parigina. Dal 1985 a oggi la maison è arrivata a contare in portafoglio 42 aziende fra case di métiers d’art e manifatture. FashionArt è la decima italiana in scuderia, insieme ai produttori di calzature Roveda, Gensi e Nillab Manifatture (Calzaturificio Ballin), al produttore di filati fantasia e tessuti Vimar 1991, alle realtà della pelletteria Mabi International e Renato Corti, alle concerie Samanta e Conceria Gaiera Giovanni e al produttore di maglieria Paima. A fare shopping in Italia prima che finisse l’anno è stato anche Lvmh, che ha rilevato il produttore di gioielli Pedemonte dal fondo Equinox. L’azienda con sedi a Valenza e Valmadonna, in provincia di Alessandria, ha all’attivo 350 artigiani ed è nata nel 2020 dalla fusione di diversi laboratori di produzione indipendenti. Pare inoltre che la controllata di Lvmh, Christian Dior, abbia messo le mani su ArtLab, azienda di Santa Croce sull’Arno (Pi), specializzata in stampa digitale e rifinitura a mano su pelle. In Toscana il colosso francese si sta muovendo su più fronti: ha stanziato 50 milioni di euro per uno stabilimento da 30mila metri quadrati dedicato a Fendi a Bagno a Ripoli e ha annunciato l’apertura di una sede produttiva per Givenchy In programma ha anche uno stabilimento per le borse Louis Vuitton a Pontassieve, oltre all’acquisizione della maggioranza della conceria Nuti Ivo, nel distretto di Santa Croce sull’Arno. Salendo in Veneto, recentemente Lvmh ha annunciato la creazione di un polo produttivo a Castelfranco da parte di Conceria Masoni, di cui possiede una quota di minoranza.
Nel 2022 il mercato globale del lusso raggiungerà i 1.400 miliardi di euro, in aumento del 21% rispetto al 2021, come stima l'Altagamma-Bain Worldwide Luxury Market Monitor 2022. I beni personali, che includono la voce abbigliamento e accessori, dovrebbero registrare un +22% a 353 miliardi. Nel 2023 questo segmento dovrebbe invece risultare fra 360 e 380 miliardi di euro, corrispondenti a un aumento sul 2022 tra il 2% e l’8%. L’incremento minore corrisponde a uno scenario “realistico”, dove una recessione colpirà i mercati maturi e ci sarà una lenta ripresa in Cina, con consumi sotto i livelli del 2021. Nello scenario migliore, il settore dovrebbe beneficiare della ripresa in Cina già nella prima metà del 2023 e del proseguimento della crescita positiva in Europa e Usa, dove la confidenza al consumo di lusso sarà solo marginalmente impattata da un potenziale scenario di recessione. Come puntualizzano
gli analisti, la possibile recessione sarà diversa da quella del 2008-2009. Il 2023 potrebbe essere dominato dall’iper-inflazione e dalle ricadute cross-industry su scala globale, mentre la precedente crisi fu finanziaria (innescata dai mercati del credito e delle azioni) e su scala internazionale, non globale. Stavolta il mercato del lusso avrebbe una base di consumatori più ampia e più concentrata e le aziende sarebbero più customer-centric, con a disposizione più punti di contatto con i loro clienti. L’Altagamma-Bain Monitor 2022 prevede per il 2030 che il valore del mercato dei beni personali di lusso arrivi a 540-580 miliardi di euro (ipotizzando un cagr 20222030 fra il 5% e il 7%). Fra otto anni il peso dei diversi canali dovrebbe cambiare a favore dell’e-commerce, che dovrebbe raggiungere il 32-34% delle vendite totali, dal 21% previsto per il 2022. Per i monomarca è stimata una quota del 30-32% del mercato (dal 34%). Gli outlet sono previsti in discesa all’8-10% (dal 12%), mentre gli specialty store dovrebbero calare al 10-12% (dal 15%). In contrazione anche i department store, dal 15% all’11-13%, mentre il peso del travel retail potrebbe salire dal 3% al 4-6%.
Il 15 dicembre il Lanvin Group - la divisione moda del colosso cinese Fosun International - ha debuttato alla Borsa di New York. La società che ha in portafoglio, oltre all'eponimo brand francese, anche realtà come Sergio Rossi, Caruso, Wolford e St. John Knits ha raccolto 150 milioni di dollari, molto meno dei 544 milioni preventivati in marzo. Il listing è avvenuto al prezzo di 10 dollari per azione, che valuta il gruppo 1,31 miliardi di dollari, ma nel primo giorno di scambi le azioni hanno chiuso a 7,63 dollari (-24%). Si è trattato, in particolare, di un Special purpose acquisition company (Spac) listing, cioé di un collocamento attraverso una società veicolo. Circa il 97% delle azioni della Spac creata da Primavera Capital sono state però riscattate: gli investitori hanno chiesto la restituzione del capitale, anziché rimanere a bordo per la fusione con Lanvin.
Estée Lauder è il nuovo proprietario della fashion house Tom Ford, di cui è partner dal 2005 per il beauty. Il colosso americano dei prodotti di bellezza è riuscito ad avere la meglio sul gruppo francese Kering, nonostante la minore esperienza in ambito moda e nonostante in questo periodo non brilli come performance di bilancio. Nel primo trimestre fiscale terminato il 30 settembre i ricavi di Estée Lauder sono scesi del 5% su base organica, a 3,93 miliardi di dollari. L'utile operativo rettificato è calato del 26% a cambi costanti e l'utile netto adjusted ha accusato un -24%. Per l'intero esercizio fiscale il management ipotizza un calo delle vendite del 6-8%, tenendo conto dell'impatto sfavorevole delle valute e degli accordi di licenza scaduti il 30 giugno 2022 per i marchi Donna
Karan New York, Dkny, Michael Kors, Tommy Hilfiger ed Ermenegildo Zegna. Nel nuovo deal la Tom Ford è stata valutata circa 2,8 miliardi di dollari. Estée Lauder, che prevede di raggiungere il miliardo di dollari di ricavi in pochi anni con Tom Ford Beauty, pagherà direttamente 2,3 miliardi. Altri 250 milioni deriveranno da un accordo con il produttore italiano di occhiali Marcolin, per la gestione perpetua dell'eyewear Tom Ford (di cui si occupa già dal 2005). Il Gruppo Zegna, dal 2006 licenziatario del menswear del brand, ha invece firmato un'intesa per la licenza a lungo termine della divisione moda di Tom Ford, che include il prêt-à-porter uomo e donna, gli accessori, l’underwear, la gioielleria, il childrenswear, i prodotti tessili e l’homewear. Il perfezionamento dell’acquisizione di Tom Ford da parte di Estée Lauder è previsto nella prima metà del 2023. Lo stilista texano manterrà la direzione creativa dopo il closing e fino alla fine del 2023.
Il 2022 della moda italiana (incluso tessile, pelle e pelletteria, bigiotteria e gioielli, occhiali e cosmesi) si chiuderà con un fatturato di 96,7 miliardi di euro, in aumento del 16% sul 2021. Lo si rileva dai Fashion Economic Trends della Camera Nazionale della Moda Italiana-Cnmi. A trainare le vendite è l’export, prospettato a 80,8 miliardi di euro (+19%). Limitatamente alla filiera dell'abbigliamento, pelle e calzature risultano particolarmente dinamici gli Stati Uniti (+54% nei primi nove mesi) e la Corea del Sud (+33%). La Francia è il maggiore buyer con 5,85 miliardi di importazioni (+24%). Gli acquisti da Cina e Giappone salgono rispettivamente del 19% e 18%. La Cnmi non azzarda previsioni per il 2023, «a causa dell'elevata incertezza sull'andamento delle principali variabili geopolitiche e geoeconomiche».
Con Guerra ceo del gruppo e D’Attis primo a.d. del brand, il passaggio di consegne tra Patrizio e Lorenzo Bertelli dovrebbe essere più fluido
Con il 2023 parte un nuovo assetto per il Gruppo Prada. Alla riunione del cda in programma per il 26 del mese Andrea Guerra (nella foto a sinistra) verrà proposto nel ruolo di amministratore delegato. Miuccia Prada resterà direttore creativo dei marchi Miu Miu e Prada (insieme a Raf Simons, in quest’ultimo caso) e consigliere di amministrazione. In occasione dell’Assemblea dei soci per l’approvazione del bilancio 2022 Patrizio Bertelli verrà proposto come presidente del board al posto di Paolo Zannoni, che avrà il ruolo di vicepresidente esecutivo e presidente di Prada Holding. «È un passaggio fondamentale che abbiamo deciso
di intraprendere, nel pieno della nostra attività, per poter contribuire maggiormente all’evoluzione del gruppo e per facilitare la transizione generazionale, avviando Lorenzo Bertelli ad assumere la leadership», commentano Miuccia Prada e Patrizio Bertelli. In azienda dal 2017, in questi anni Lorenzo Bertelli si è occupato di sostenibilità e, stando a quanto dichiarato dal padre allo scorso Capital Market Day, il passaggio del timone dovrebbe avvenire nell’arco di tre-cinque anni. Guerra dovrà portare avanti l’obiettivo di una crescita «sostenuta e sostenibile» dell’azienda che, stando ai risultati del primo semestre 2022, sta accelerando a un ritmo del 22% (1,9 miliardi i ricavi del periodo). Il manager lascia l’incarico di senior advisor di Lvmh, che ricopriva dalla scorsa primavera. Prima ancora, nel 2020, era stato chiamato da Bernard Arnault per guidare la divisione Hospitality Excellence del gruppo (che comprende Hotels Cheval Blanc e Belmond Hotels & Luxury Trains) per poi ampliare i compiti con la supervisione di Fendi, Loro Piana e Thélios Eyewear. Il periodo “francese” è stato preceduto dalla direzione di Eataly e dall’attività di consigliere strategico del governo Renzi,
In Vf Corporation è iniziata la ricerca del successore di Steve Rendle, che in dicembre si è dimesso da chairman, president e ceo, dopo sei anni al vertice e 25 nello staff del gruppo, che ha in portafoglio marchi come The North Face, Vans e Timberland. Intanto il ceo ad interim è Benno Dorer, lead independent director del board della società. Vf ha anche annunciato, in parallelo, la riduzione dei target annuali, a causa di una domanda dei consumatori più debole delle attese, specie in Nord America. I ricavi dovrebbero crescere del 3-4%, dal precedente 5-6% (a cambi costanti). L’anno prima erano saliti del 28% a 11,8 miliardi di dollari.
L’ascesa di Antoine Arnault: dopo Berluti e Loro Piana, è suo anche il vertice di Christian Dior Se
Antoine Arnault, secondogenito del presidente e ceo di Lvmh, Bernard Arnault, è stato nominato direttore generale di Christian Dior Se e vicepresidente del cda al posto di Sidney Toledano, che si è dimesso dopo 20 anni. Christian Dior Se è una società quotata in Borsa, che detiene la maggior parte delle quote della famiglia Arnault in Lvmh. La nuova nomina rientra nella trasformazione della holding familiare Agache in società in accomandita per azioni, che consentirà alla famiglia il controllo a lungo termine di Lvmh e di Christian Dior Se. Laureato in Economia, 45 anni, Antoine Arnault è il più noto dei figli di uno degli uomini più ricchi del mondo, Bernard Arnault, poiché ricopre le cariche di chief
per le politiche industriali e le relazioni con il mondo del business. Dal 2004 al 2014 Guerra ha guidato Luxottica, ma si era già fatto notare al vertice del colosso degli elettrodomestici Indesit. Viene invece dalla presidenza di Christian Dior Americas Gianfranco D’Attis (nella foto a destra), che dal 2 gennaio è chief executive officer del marchio Prada, un incarico creato ex novo per il nuovo percorso del gruppo. Laureato alla Graduate School of Business Administration di Zurigo, nel corso della sua carriera ha ricoperto posizioni manageriali di crescente responsabilità per marchi come Jaeger-LeCoultre, Chloé e Iwc Schaffhausen. A lui è affidata la responsabilità dello sviluppo strategico dei mercati del marchio Prada.
Matteo Franceschini è il nuovo ceo di Viktor&Rolf: dovrà portare la griffe olandese in capo al Gruppo Otb verso un’ulteriore fase di sviluppo. Il manager con oltre 20 anni di esperienza nel settore fashion riporta al ceo di Otb, Ubaldo Minelli, e conserva il ruolo di group licensing & collaborations director. Franceschini fa parte del polo del fashion, presieduto da Renzo Rosso, dall’ottobre 2021. In precedenza ha ricoperto incarichi in Europa e in Asia, tra i quali quello di licenses & business director di Dsquared2 (in licenza a Staff International, controllata da Otb) e direttore commerciale estero di Corneliani
executive officer del marchio Berluti, chairman di Loro Piana e direttore Immagine e Ambiente di Lvmh. La sua ascesa in famiglia sta alimentando le speculazioni su ulteriori evoluzioni, anche se non sembra che il padre, 73 anni, abbia intenzione di cedere i suoi incarichi nel gruppo del lusso, per lo meno nel breve periodo. Antoine e la sorella maggiore Delphine, 47 anni, sono figli del primo matrimonio di Bernard Arnault ed entrambi siedono nel consiglio di amministrazione del gruppo. Alexandre, 30 anni, è invece un dirigente di Tiffany & Co. e Frédéric, 27 anni, è ceo di Tag Heuer. Il più giovane, Jean, 24 anni, dirige il marketing e lo sviluppo dei prodotti per la divisione d’orologeria di Louis Vuitton
Da servizio a strumento di engagement duraturo Trova spazio nei negozi, è protagonista delle app
Da Bottega Veneta a Golden Goose, cresce il numero di aziende che offrono ai clienti servizi evoluti di riparazione pensati per prolungare il ciclo di vita dei prodotti. Intanto gli investitori continuano a finanziare startup impegnate nell'assistere aziende e consumatori Ma costi e logistica restano le barriere prinipali all'afferrmaziojne su larga scala della repair economy
DI ANDREA BIGOZZIC’è un’espressione che recentemente continua a saltare fuori più e più volte nelle conversazioni sulla moda e l’impegno alla circolarità: “repair economy”. Rispetto a concetti come il re-sell, la riparazione è sembrata a lungo una misura scomoda per le aziende del settore, forse perché, più di ogni altra pratica di durabilità dei capi, sfida la visione di lunga data secondo cui “più è sempre meglio”. Non è un caso che i marchi dell’alto di gamma l’hanno tradizionalmente offerta alla clientela, ma sempre come fosse un’operazione secondaria, tenuta quasi nascosta e mai mediaticamente sbandierata o commercialmente incentivata, anche perché è una pratica costosa e time-consuming. Ora la repair economy inizia a trovare spazio nei flagship store delle capitali della moda e a spuntare sui titoli dei giornali attraverso le interviste ai ceo. Anche i social hanno iniziato a presentare questo genere di servizi attraverso app realizzate dalle startup innovative con spiegazioni e tutorial che fanno
Oltre a potenziare la capacità tecnica, i brand del lusso stanno investendo per rendere l’aftercare cool, come già accaduto con il resale
appello alla Gen Z,. A spingere le aziende del lusso, ma anche di brand più democratici a cavalcare questo argomento, non sono solo le richieste di un segmento sempre più vasto di consumatori, più inclini a riparare anziché a buttare, ma anche la consapevolezza che in prospettiva si faranno sempre più insistenti le pressioni da parte delle autorità di regolamentazione e degli investitori nell’assicurarsi che gli aspetti di circolarità siano affrontati in modo non greenwashing. Ma come si traduce in pratica questa rivalutazione della repair economy? Principalmente nell’offerta da parte di brand della
moda e del lusso di servizi post-vendita, che non impatti troppo sui conti, ma che anzi creino valore. Uno degli esempi più evidenti di questi servizi è l’introduzione, all’interno di alcuni punti vendita, di un’area dedicata alla riparazione. Una funzionalità questa, che secondo la Circular Fashion Survey di PwC è in vetta alla classifica delle funzionalità ritenute più rilevanti da Millennials e GenZ. Uniqlo, per esempio, a fine 2022 ha portato anche nel flagship store di Milano (dopo quelli New York e Londra) il ReUniqlo Studio, uno spazio ad hoc dove clienti possono portare i capi che necessitano di ritocchi (i prezzi partono da 3 euro). Una strategia che sta seguendo, ma con una visione ancora più in grande, Golden Goose, che ha creato un format retail - già presente a Milano, Ney York e Londra e in piena fase di espansione - dove si riparano scarpe da ginnastica e abbigliamento (di tutti i marchi e non solo del proprio), grazie alla presenza nel punto vendita, di calzolai e sarti. «Era
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pensato come servizio, ma sta diventando un business», ripete il ceo del marchio Silvio Campara a chi gli chiede di raccontare l’esperienza del Forward Store. I dati che il brand veneto ha condiviso con Fashion sui primi feedback del progetto confermano a pieno le parole del manager: attualmente il 30% delle transaction del Forward Store di Milano provengono dai servizi offerti (calzoleria e sartoria), con l’attività repair, principalmente legata alle sneaker, in cima alle richieste dei clienti. Con alcuni casi record, citati dallo stesso ceo nelle interviste ai giornali: «Un cliente ha 69 paia di sneaker che sta portando ad accomodare a cicli di tre, spendendo centinaia di euro ogni volta e magari acquistando anche modelli nuovi». Anche altri marchi di spicco, come Louis Vuitton e Bottega Veneta, non solo stanno espandendo la loro capacità tecnica di offrire riparazioni, ma anche cercando di creare coolness intorno a questo servizio. Bottega Veneta ci prova con il Certificate of Craft, un programma di garanzia a vita, attivo da novembre, che si presenta come una carta fisica associata al numero di serie del singolo prodotto e offre un numero illimitato di interventi di ripristino. Con 500mila borse riparate ogni anno, 11 centri dedicati e 1.200 riparatori professionisti, l’arte della riparazione è un affare serio per Louis Vuitton, che annuncerà nuovi servizi entro il 2023 per potenziare e sviluppare la riparabilità dei prodotti. Intanto negli Usa i clienti del brand possono richiedere appuntamenti di riparazione online e chat video con un esperto. «In Mulberry gestiamo questo aspetto direttamente: attualmente lavorano 11 persone che eseguono circa 10mila riparazioni l’anno non legate a difetti del prodotto ma per l’uso, visto che l’età media di una borsa è 15 anni e ci piace l’idea di prolungare ulteriormente il ciclo di vita dei nostri articoli, tanto da renderli transgenerazionali», ha raccontato Thierry Andretta durante la Ceo Roundtable di Fashion, rias-
1. Farfetch fa parte della lista di brand partner di The Restory, startup specializzata nell’aftercare di lusso, che raddoppia i volumi anno su anno 2. Louis Vuitton dal 2023 potenzierà e svilupparà i servzi di riparabilità, intanto negli Usa è già possbile richiedere appuntamenti di riparazione online e chat video con un esperti 3. Da novembre Bottega Veneta ha lanciato un programma di garanzia a vita delle sue borse 4. Il brand di maglieria Nitto fornisce ad ogni acquirente un set self care che assicura al capo una vita più lunga
sumendo i numeri di successo del brand di pelletteria di cui è ceo nel campo delle riparazioni e aggiustamenti. Anche Kering si è impegnata a espandere e consentire un accesso più facile ai servizi di riparazione come parte della sua strategia di circolarità rilasciata a maggio 2021. La domanda presso il suo centro di riparazione specializzato di Shanghai è in crescita: nel corso del 2020 sono stati riparati 20mila articoli e il numero è in aumento. L'elenco di altri marchi che offre riparazioni continua a crescere rapidamente, da Patagonia a Barbour e Dr Martens a Christian Louboutin e Church's, a cui si è appena aggiunta la new entry Hugo Boss, che ha iniziato a offrire il servizio alcuni store selezionati in Germania, con la prospettiva di estenderlo presto ad altri mercati chiave.
Di fatto si tratta di una strategia doppiamente vantaggiosa per le aziende, in quanto consente loro non solo di aumentare la fe-
1. Da fine 2022 Uniqlo ha attivato anche nel negozio di Milano, il Re.Uniqlo Studio, spazio dedicato a chi preferisce aggiustare e non buttare i propri abiti
2. Mulberry gestisce direttamente il business delle riparazioni: ogni anno 11 specialisti eseguono 10mila interventi di ripristino.
3. Al Black Friday del 2022 Mykita anziché fare sconti e incentivare gli acquisti, ha chiuso il suo shop online e sostenuto il servizio post vendita Mycare, attivo tutto l'anno in store
deltà e il coinvolgimento dei consumatori, ma anche (e lo stanno capendo a seguito dopo il boom del resell) per mantenere i clienti nell'ecosistema del marchio più a lungo. Per Mykita fornire ai clienti migliori servizi post-vendita non cannibalizza le vendite di nuovi prodotti (principale preoccupazione per le aziende che devono registrare una crescita continua) ma anzi aiuta a convertire nuovi clienti, che sono disposti a spendere di più, quando sanno che il loro acquisto offre una serie di garanzie. Per questo il marchio di occhialeria in occasione dell’ultimo Black Friday ha sospeso l’attività globale di e-commerce, enfatizzando la possibilità di riparare anziché acquistare qualcosa di nuovo. «Volevamo far sapere ai nostri clienti, che siamo lì per loro - racconta Xenia Glutz von Blotzheim, Csr director del marchio di occhialeria - e che siamo consapevoli che le nostre montature e le nostre lenti non sono usa e getta, ma un investimento che possono indossare per molti anni e che quindi questo investimento ripagherà». «Per noi - prosegue la manager - offrire questo genere di assistenza è fondamentale e va al di là del numero di riparazioni effettuate. Siamo convinti che il consumo consapevole sia il futuro e speriamo che diventi il new normal». Ma per poter parlare di successo è necessario che la repair economy esca dalla nicchia (attualmente l’incidenza delle pratiche di circolarità in genere, secondo uno studio Ambrosetti sono confinate al 3,5% del
mercato) e diventi un fenomeno su larga scala, alla portata di tutti i brand e dei retailer, e non solo uno strumento di engagement in mano alle aziende del lusso, che possono sostenere gli alti costi logistici e di forza lavoro. Un asse portante che potrebbe trainare e democraticizzare il settore nei prossimi anni è quello delle startup tech, che sta portando alla nascita di numerose app specializzate nell’offrire servizi di riparazione direct to consumer e su cui negli ultimi mesi si stanno concentrando gli investemti di diversi venture capitale. É il caso The Restory, piattaforma B2C che conta anche collaborazioni B2B importanti con Selfridge's, Manolo Blahnik e Farfetch, che dal 2017 (anno di nascita) continua a raddoppiare il giro d’affari anno su anno e che a settembre è stata protagonista di un round di finanziamento di 4,5 milioni di sterline.
L’aftercare non è solo un servizio per i big brand da quando sono entrate nel sistema diverse startup direct to consumer, scelte anche per il B2B
I fondi hanno partecipato pochi mesi fa anche nell’aumento di capitale di Sojo, un'app direct to consumer (con diverse partnership B2B all’attivo, come quella con Ganni), che a Londra è diventata nota come la "Deliveroo delle riparazioni di abbigliamento" e che vede nella compagine azionaria diversi addetti ai lavori tra cui ex manager di Pangaia e Tom Ford. Mentre è in grande ascesa la piattaforma Toast che, durante la London Fashion Week, ha offerto un servizio di riparazione gratuito, realizzato in collaborazione con giovani e talentuosi artigiani. Ma nonostante le startup stiano dando una mano alla diffusione della “repair economy”, il vero ostacolo verso un futuro mainstreaming resta il fatto che non esiste un approccio “matematico” alla riparazione: i tempi sono variabili, spesso superiori alle aspettative del cliente, e talvolta gli interventi di aggiustamento comportano una “customizzazione” (ad esempio una micro toppa) che non rispecchia gli standard dei brand. C’è chi, come The Restory, sta provando a regolamentare l’arte della riparazione, mettendo a punto un protocollo che identifichi degli standard di servizio, chi invece, come il brand sostenibile Nitto, ha pensato bene di far leva sulla sensibilità del cliente e sul fai da te. Il marchio di maglieria fatta a mano, nato per avere il minor impatto possibile e la massima durabilità nel tempo, fornisce a ogni acquirente un set self care che assicura alla maglia una vita più lunga. «ll cliente che decide di sostenere il brand, attraverso l’utilizzo del kit, ne sostiene anche la durata - fanno notare i fondatori Giorgia Colleoni e Stefano Bucci -. Offrire uno strumento come questo non ha solo una valenza pratica, ma serve soprattutto a spiegare il valore che diamo alle maglie che realizziamo. Pensiamo che spiegare al cliente finale il motivo per cui vale davvero la pena riparare un capo sia un passaggio obbligato per indurlo a un acquisto consapevole».
Trasformare la cravatta in un accessorio con una forte identità e unicità:Vincenzo Ulturale è riuscito nell’impresa, partendo dal laboratorio sartoriale della sua famiglia a Napoli. Apprezzato nel mondo del gifting di alto livello ma non solo, il marchio Ulturale è pronto a fare di più, ampliando e diversificando l’offerta, sondando nuovi mercati e nuovi consumatori e sviluppando l’e-commerce, supportato dal pool di soci che lo affianca dal 2014.
Quella di Ulturale è una storia di passione e creatività tipicamente italiane, capace di risollevarsi più forte di prima dal periodo della pandemia grazie all’ingegno del fondatore, Vincenzo Ulturale, e alla lungimiranza dei soci che nel 2014 hanno deciso di affiancarlo, affascinati dalla storia del marchio e dalle sue potenzialità, molte delle quali tuttora da valorizzare. Tutto ha inizio nel 1948 a Napoli dal laboratorio dei genitori di Vincenzo, che come lui stesso racconta lo hanno cresciuto a pane e sartoria. «Già da piccolo mi sentivo a mio agio tra macchine da cucire e tavoli da taglio - racconta -. Era
un po’ la mia stanza dei giochi, che già dai 15 anni in poi è diventata qualcosa di più». Nasce da qui il suo amore per le cravatte, che la piccola azienda famigliare inizialmente produceva conto terzi per i migliori negozi napoletani e campani ma che con il tempo, grazie alle intuizioni di Vincenzo, si sono trasformate in un business unico nel suo genere partito ufficialmente nel 1985, quando è stata fondata la società Ulturale. Un marchio che ha seguito e sta seguendo una strada propria, senza fretta ma con la consapevolezza di voler distinguersi dagli altri, grazie non solo ai contenuti di qualità e manualità insiti in un prodotto 100%
made in Italy, tessuti compresi, ma anche alle intuizioni azzeccate di Vincenzo: dalla cravatta sette pieghe Tiè, che nasconde un minuscolo cornetto rosso, alla 00TIè con un taschino interno, fino al recente modello Vattinn’ con una mascherina incorporata, senza dimenticare Femmena, ultima creazione con cui Ulturale cavalca il genderless, adeguandosi ai tempi moderni che non vedono più distinti uomo e donna. Modelli in grado di rendere divertente e personalizzato un accessorio comunque ideale per le occasioni formali: un’alchimia che ha reso Ulturale leader nel settore gifting, dalle grandi aziende fino al Quirinale e alla
Presidenza del Consiglio. Uno degli elementi di forza del brand è la famiglia: «Le mie figlie mi affiancano nell’attività - racconta il fondatore -, portando una ventata di nuove idee a livello di grafica, modellistica e disegnature su misura». L’altro cardine sono i soci di Torrent, che detengono la maggioranza del marchio e ci credono profondamente. «L’incontro con Vincenzo - spiega il CEO di Ulturale, Tancredi Pasero - è avvenuto proprio in seguito alla curiosità che le sue cravatte, ricevute in regalo per una ricorrenza, hanno acceso. E quando una cosa riesce a emozionarti, vale la pena di approfondirla: basta assistere a un trunk show di Vincenzo, dedicato alla realizzazione delle sue cravatte, per restarne affascinati». «Abbiamo messo la nostra esperienza di imprenditori, attivi sia nelle risorse umane che nella gestione aziendale, per sviluppare il brand - prosegue Pasero - che prima del Covid era già avviato verso la quotazione all’Aim di Borsa Italiana. Superate le rapide della pandemia, siamo ripartiti con forza, basandoci su cinque linee di business: il corporate, che costituisce la parte prevalente del fatturato; il retail, che al momento si articola nei tre monomarca di Roma (in via Bocca di Leone 89), Napoli (in via Poerio 115) e Milano (inizialmente in via Bigli e ora, con una boutique più ampia, in via Borgospesso 23); il wholesale, che ha raggiunto quota 100 punti vendita; il già citato gifting; e, non ultimo, l’e-commerce, che da quattro anni a questa parte ci sta dando grandi
soddisfazioni, anche grazie a uno storytelling mirato e incisivo, in grado di conquistare anche fasce più giovani di consumatori». Il mondo Ulturale è in espansione su tutti i fronti a partire dal prodotto, «che non si limita più alle cravatte - interviene Vincenzo Ulturale - ma abbraccia i copricapi invernali in cashmere, i guanti uomo e donna con finiture di primo livello, le calzature “furlane” con i nostri disegni esclusivi, alcune proposte di maglieria e persino le cover dei cellulari». Alla voce distribuzione, l’Italia mantiene un ruolo centrale ma si stanno aprendo possibilità anche in Francia, con un focus sulla Costa Azzurra, Germania e Regno Unito, mentre il legame con Giappone e Corea è già saldo. «Stiamo pianificando uno sviluppo wholesale rivolto a una clientela sensibile
alla qualità e altospendente - anticipa Pasero - e non dimentichiamo l’obiettivo che ci eravamo posti in epoca pre-Covid, ossia lo sbarco sull’Aim. Un altro traguardo che ci poniamo è il ritorno a Pitti Uomo nel giugno prossimo anche per spingere l’estivo che, storicamente, per Ulturale è meno forte dell’invernale». Non si tratta di semplici sogni nel cassetto. Grazie alla sinergia tra l’esperienza e l’intraprendenza della famiglia fondatrice e la solidità dei soci, il 2022 si è chiuso all’insegna della crescita, recuperando quasi completamente i numeri prepandemia e gettando le basi per un futuro in cui sarà ancora più strategico qualcosa che Vincenzo Ulturale ha dimostrato di saper fare molto bene: sapersi reinventare, tenendo la qualità e un dna forte come punti fermi.
Un
Un 2022 denso di partnership, investimenti e nuove iniziative pensate per il luxury marketplace. Ma anche la trimestrale in perdita, la revisione al ribasso delle stime per tutto il 2022 e gli obiettivi di medio termine bocciati dalla Borsa. Gli investitori non sembrano convinti delle mutazioni della realtà fondata da José Neves
DI ELISABETTA FABBRIIl 2022 è stato un anno a dir poco frenetico per Farfetch, la società guidata e fondata nel 2007 dal 48enne portoghese José Neves, nota come “marketplace online di lusso”, anche se ormai la definizione sembra riduttiva, se non fuorviante. L’anno è partito con l’acquisizione della realtà americana del beauty Violet Grey, la partnership strategica con Neiman Marcus (incluso l’acquisto di una quota di minoranza del retailer di Dallas, per 200 milioni di dollari) e una partnership di lungo periodo che riguarda la controllata Ngg-New Guards Group. La holding italiana, a cui fanno capo marchi come Palm Angels, Marcelo Burlon, Opening Ceremony e che produce e distribuisce OffWhite (controllato da Lvmh), ha iniziato a seguire le vendite retail, e-commerce e wholesale di Reebok in Europa. L’accordo include la creazione di collaborazioni per prodotti premium di Reebok, da commercializzare in oltre 50 Paesi. Ma nel 2022 ci sono stati anche il lancio di Farfetch Beat (progetto di
Dall’inizio dell’anno il titolo ha perso l’88% del suo valore alla Borsa di New York
collaborazioni con avanguardie della moda e della cultura vendute solo su farfetch.com, che ha esordito con Opening Ceremony e Peter Do), il consenso ai pagamenti in criptovalute e l’acquisto di Wannaby, startup delle soluzioni virtual try on. In estate sono arrivati l’acquisizione del marketplace service provider Onport (ex-Jetty) e l’accordo commerciale con la Salvatore Ferragamo, per dare impulso all’e-commerce e all’innovazione omnichannel del marchio. La possibilità di pagare in criptovalute è stata estesa a 37 Paesi ed è partito il servizio mobile-based Fashion Concierge per i clienti big spender affezionati, alla ricerca del lusso più esclusivo. Da non scordare inoltre che è in attesa dell’ok delle autorità competenti l’accordo, dello scorso agosto, per l’acquisizione del 47,5% di Ynap-Yoox-Net-a-Porter, uno
dei business delle vendite online di Richemont. Il pacchetto comprende pure un’intesa che porterà la
svizzera (
le maison in portafoglio) e Ynap ad adottare le soluzioni e-commerce e le tecnologie per il retail di Farfetch Platform Solutions (lo stesso faranno Neiman Marcus e Ferragamo).
A fronte di questa iperattività, le azioni Farfetch hanno perso in Borsa l’88% del loro valore, in quasi un anno di scambi. Al momento di andare in stampa sono trattate a New York poco sopra i 4 dollari, prezzo che valorizza la società con sede a Londra 1,54 miliardi di dollari, mentre valeva 5,8 miliardi
,
alla quotazione a Wall Street nel 2018. Cosa ha provocato questa perdita di feeling con gli investitori? I risultati del terzo trimestre, annunciati in novembre, devono essere sembrati deboli, pur tenendo conto del dollaro forte, dello stop alle attività in Russia e degli impatti della politica zero Covid in Cina (due dei tre maggiori mercati, come risultava nel 2021). I ricavi trimestrali totali sono aumentati dell’1,9% a 593,4 milioni di dollari (+14,1% a valute invariate), mentre il gross merchandise value (gmv o valore complessivo della merce venduta online) ha registrato un calo del 4,9% a 967,4 milioni (+4,2% a cambi costanti). Nonostante il gross profit margin della società sia salito di 160 punti base rispetto al terzo trimestre 2021 (al 44,9%), l’ebitda rettificato è risultato negativo per 4,1 milioni di dollari (da +5,3 milioni) e il risultato operativo è passato da -105,7 a -218,5 milioni. La perdita netta è stata di 274,9 milioni, dai 769 milioni di utile del terzo trimestre 2021. Nel quarter sono proseguiti gli investimenti in tecnologie per il lungo periodo, hanno detto dall’azienda, per un ammontare pari al 12,5% dei ricavi rettificati (analogamente al terzo trimestre del 2021). Le previsioni per l’intero 2022, riviste al ribasso dopo la trimestrale, sono di un calo del 5-7% del gmv del business Digital Platform (che comprende siti come farfetch.com, brownsfashion.com, stadiumgoods.com e gli e-commerce dei
2021 2022 2021 2022
Ricavi 582.565 593.357 1.590.957 1.687.507
Profitti lordi 252.180 266.569 703.131 764.755
Perdita operativa (105.735 ) (218.482) (374.461) (546.972)
Profitti/utili ante-imposte 773.556 (274.738) 1.375.002 517.481
Profitti/utili netti 769.129 (274.902 ) 1.373.721 521.520
marchi in Ngg) rispetto all’anno precedente, e di un gmv stabile della Brand Platform (comprende i ricavi relativi a Ngg, esclusi quelli online e quelli nei negozi diretti). L’ebitda margin rettificato totale dovrebbe risultare tra il -3% e il -5%. «Il lusso - ha commentato il presidente e ceo José Neves - è un settore che ha dimostrato di essere resiliente e Farfetch sta per raddoppiare ampiamente le sue dimensioni in tre anni, nonostante una serie di eventi globali senza precedenti. In tutto questo, il focus è rimasto sulla nostra missione di essere la piattaforma globale per il lusso, allo stesso tempo cogliendo l’opportunità di ristrutturare radicalmente l’organizzazione e di snellire la base di costi».
Anche il Capital Markets Day del 2 dicembre, a New York, nel corso del quale il management ha indicato le previsioni 2023-2025, non ha entusiasmato: la Borsa quel giorno ha manifestato il suo dissenso, infliggendo al titolo un -35%. Secondo i vertici dell’azienda, nel 2023 il gmv dovrebbe raggiungere i 4,9 miliardi di dollari: il 20-22% in più rispetto al gmv atteso per la fine del 2022. L’ebitda margin rettificato è ipotizzato passare da negativo all’1-3%. Questo grazie a un migliora-
Nel 2025 il gmv totale è stimato a 10 miliardi di dollari e l’ebit margin è previsto al 10%
mento nel gross profit e nel margine di contribuzione, oltre a una maggiore efficienza a livello di costi operativi, per una cifra di 85 milioni di dollari. A fronte di ciò, però, sono stati preventivati 170 milioni di dollari di costi «a supporto delle nuove partnership». Nel 2025 il grande salto: il gmv dovrebbe quasi raddoppiare a 10 miliardi, mentre l’ebitda margin adjusted dovrebbe salire dall’1-3% al 10%. Il gruppo ha anche annunciato un nuovo sistema di reporting dei risultati: non più in base ai canali (Digital Platform, InStore, Brand Platform e Fulfilment), bensì in base a quattro business unit (vedi slide nella pagina seguente). La prima è Marketplaces,
che include il business third-party (dove il gruppo è un intermediario tra il proprietario della merce e il consumatore) di farfetch.com e stadiumgoods.com, al momento in Digital Platform, e quello first-party (dove Farfetch è proprietario dei beni) di Browns Fashion, Stadium Goods, Violet Grey e del resaler Luxclusif, che finora risultano nei segmenti Digital Platform e In-Store. La seconda unit è Platform Solutions che include i servizi di Farfetch Platform Solutions, Onport e CuriosityChina, che supporta il lusso nell’engagement di consumatori cinesi, grazie al digital (ora nel segmento Digital Platform). Le altre due sono Brand Platform, con le attività di Ngg (adesso suddivise fra Digital Platform, Brand Platform e In-Store) e Fulfilment Uno dei nodi, nei piani a medio termine dell’azienda, è la ventilata riapertura della Cina, come emerge da The Motley Fool, noto sito americano di informazione e consulenza finanziaria. «La Cina è parte fondamentale della tesi di crescita di Farfetch - spiegano gli analisti -. Al Capital Markets Day è stato spesso indicato il mercato cinese come punto di inflessione necessario alla crescita. L’azienda prevede che la Cina rappresenterà il 40% del mercato globale dei beni di lusso entro il 2030, quando il settore varrà 240 miliardi di dollari. La Repubblica Popolare è diventata la seconda area di mercato di Farfetch, il che significa che la sua chiusura per la pandemia è stata particolarmente dura per la società». «Novembre - puntualizzano gli esperti - è stato il mese peggiore degli ultimi due anni e mezzo per il commercio cinese, a causa della debolezza della domanda globale e interna». Va anche considerato che Stati Uniti e resto del mondo potrebbero entrare in recessione l’anno prossimo e l’allentamento delle restrizioni cinesi sui viaggi e sul commercio potrebbe essere «troppo poco e troppo tardi» per la ripresa di Farfetch.
«Il titolo è sceso del 35% nella seduta di presentazione e del 49% fra l’1 e il 13 dicembre: stando al mercato, su Farfetch prevale lo scetticismo», sostiene Gabriel Debach, analista della piattaforma di social trading eToro. «L’incremento del gmv del 20-22% atteso per il 2023, connesso anche ai proventi legati
alle partnership con Reebok, Neiman Marcus e Salvatore Ferragamo è una percentuale forse un po’ troppo positiva ma non impossibile - aggiunge -. L’obiettivo più importante e difficile è forse l’ebitda margin rettificato fra l’1% e il 3%: una crescita che tiene conto di un 10% di risparmi sui costi, soprattutto grazie a minori spese per la generazione della domanda, a un aumento dell’efficienza e alla focalizzazione su una crescita più redditizia». Quanto agli obiettivi del 2025, quando la unit Platform Solutions dovrebbe generare il maggiore gmv ed ebitda margin (vedi slide nella pagina seguente), secondo Debach diventerà centrale l’apporto di Ynap.
«Il target dei 10 miliardi di gmv per il 2025 suggerisce l’ipotesi di una crescita annuale dell’8-10%, in linea con le aspettative del mercato e con un cagr di lungo termine di circa il 20%», dicono gli analisti di Credit Suisse, che hanno un rating “outperform” (“farà meglio del mercato”) per il titolo Farfetch, con obiettivo di prezzo di 17 dollari. La società è sulla buona strada per il raddoppio del gmv nei prossimi anni, a loro avviso, perché i recenti accordi con Neiman Marcus, Reebok, Salvatore Ferragamo e Richemont inizieranno a dare i loro frutti. Altri aspetti rilevanti sono i continui investimenti nei clienti high intent e private, che mostrano una velocità di acquisto 17 volte superiore alla media e il ridimensionamento della «rampa firstparty», per dare priorità al recupero del margine lordo. «Ci aspettiamo che gli investitori continuino ad adottare un approccio più o meno attendista - affermano gli esperti dell’i-
stituto elvetico - dato che l’obiettivo dei 10 miliardi di dollari rappresenta un salto significativo dai livelli attuali». «Farfetch - sottolinea il team dell’equity research di Goldman Sachs - ha evidenziato uno spostamento dell’attenzione verso la redditività, dopo i risultati del primo semestre 2022 di agosto: la società ha ridotto le spese per la generazione della domanda del 17% nel terzo trimestre e continua ad attuare la riorganizzazione aziendale annunciata nel secondo quarter che include tagli all’organico (si parla di un -15% nel 2022, ndr)». Gli esperti della banca d’affari americana, che non hanno un rating su Farfetch, fanno notare che l’obiettivo dei 10 miliardi di dollari di gmv nel medio termine supera il consensus elaborato da Visible Alpha, pari a 7,8 miliardi (la media degli analisti prevede un gmv di 10,7 miliardi nel 2027). Tali elaborazioni seguono le modalità di rendicontazione dell’azienda attuali, mentre non c’è alcun consensus sulla base della nuova struttura anticipata al Capital Markets Day, che necessiterà di un periodo di transizione di due-tre anni. In merito alla redditività, la società punta a un ebitda margin rettificato del 10% nel 2025, contro il 9,5% di Visible Alpha. «Riteniamo che la reazione del titolo ai nuovi obiettivi a medio termine sia dovuta al mix di gmv», dicono gli analisti, riferendosi al fatto che un +8-10% annuale atteso per il marketplace è, probabilmente, sotto le aspettative.
«Farfetch è diventato principalmente un licenziatario - scrivono in un corposo report gli analisti di Bernstein, guidati da Luca Solca
1. Un look Palm Angels, marchio nella scuderia di Ngg, gruppo controllato di Farfetch dal 2019
2. Un sandalo Salvatore Ferragamo: il marchio ha siglato una partnership commerciale con Farfetch lo scorso agosto 3. Ngg ha iniziato a occuparsi della distribuzione in Europa di Reebok, nel 2021 passato da Adidas ad Authentic Brands Group 4. Nel 2022 Farfertch ha lanciato il servizio mobile-based Fashion Concierge per tutti i suoi Private Client
-. La nuova Brand Platform, da cui deriverà la maggior parte della crescita dei ricavi di Farfetch (circa 900 milioni di dollari tra il 2021 e il 2025), è essenzialmente un’attività di licenza per Off-White e Reebok. Il rischio principale è che il marchio Off-White si sgonfi, dopo la tragica scomparsa del fondatore Virgil Abloh, mentre i minimi garantiti di royalty a Lvmh restano. Inoltre, l’accordo di licenza con Reebok sembra piuttosto costoso (circa 374 milioni di dollari di royalty stimate in 11 anni) rispetto al track record del marchio». Secondo gli analisti di Bernstein, la
società ha anche dimostrato che il suo marketplace crescerà meno del mercato (6-7%, rispetto a una crescita “mid teens”). In altre parole, «il “core business” non è un buon business, nonostante Farfetch sia il campione del mondo del settore». «Riteniamo che questa sia la delusione più cocente per gli investitori che hanno creduto nella visione di “Uber della distribuzione del lusso” presentata all’Ipo - spiegano gli esperti -. La quadratura del cerchio tra una crescita del gmv più rapida della media del mercato e la possibilità di fare soldi si sta rivelando impossibile nel mondo dei multimarca digital e della moda. Il motivo è che i mega-brand
preferiranno la formula brand.com, mentre gli altri marchi vorranno essere presenti su quante più piattaforme possibili. In tal caso, la soluzione per una crescita più rapida della media è solo quella di proporre sconti ai clienti». Un altro aspetto che non convince è l’attività di Farfetch Platform Solutions, che nel 2025 dovrebbe rappresentare il 10% dei ricavi totali, nonostante gli investimenti significativi per garantirsi gli accordi con Neiman Marcus e Richemont. «È improbabile che muova l’ago della bilancia - dicono gli esperti -. Potrebbe essere costosa, mettendo a rischio l’obiettivo di ebitda. L’accordo con Harrods è l’unico di rilievo, senza un esborso significativo da parte di Farfetch. È chiaro che un numero maggiore di marchi firmerà accordi con Farfetch Platform Solutions in futuro, ma è improbabile che siano significativi: potrebbero portare con sé una quantità significativa di complessità e richiedere molti aggiustamenti ad hoc, mettendo a repentaglio la guidance del 20% per l’anno fiscale 2025 e del 50% per l’ebitda margin a lungo termine». «Gli investitori con una con una visione a lungo termine - proseguono - devono integrare il rischio di “continuità aziendale”, vista la continua perdita di liquidità. Il rischio di potenziale bancarotta va, tuttavia, mitigato con la prospettiva di una eventuale acquisizione da parte di Alibaba». Bernstein ha mantenuto un rating “market perform” sul titolo, ma ha tagliato il prezzo obiettivo da 13 a 6 dollari. Colpa del Capital Markets Day, che ha «trasformato il principe in ranocchio».
Gli investitori sono delusi perché il marketplace, core business del gruppo, crescerà meno del mercatoFonte: Farfetch (sulla base del nuovo sistema di reporting, non più per canali ma per business unit)
Nella foto, un momento dell’evento di Dolce&Gabbana alla prima edizione della Metaverse Fashion Week tenutasi nel 2022.
La kermesse digitale torna in scena nuovamente, dal 28 al 31 marzo prossimi, in chiusura di fashion month e con molte novità
Fra criticità, nuove chance e investimenti Moda e lusso allargano gli orizzonti
Terre immaginarie, gaming, social: per molti marchi della moda l’avventura nel Web3 è già partita. Ma siamo tuttora alle prime battute, in uno scenario che apre alle aziende le porte di un universo potenzialmente sconfinato e tuttavia più che mai ricco di incognite e difficoltà legate al processo di ingaggio, al controllo dei dati, all’iter creativo e all’interoperabilità
DI CARLA MERCURIOIl Metaverso è davvero il nuovo Eldorado di cui molti favoleggiano? Risposte certe non ne esistono: ci troviamo tuttora in una terra di mezzo in cui c’è voglia di sondare il terreno, ma anche grande attenzione nell’affrontare investimenti onerosi. Un mood su cui pesano lo scoppio della bolla legata alle criptovalute e i risultati deludenti dei big del tech, Zuckerberg in primis, che con Meta era partito lancia in resta alla conquista delle virtual land. A detta di molti esperti le prospettive sembrano essere smisurate. Secondo quanto riferisce Stefano Galassi, co-founder & open innovation director di Limitless Innovation e advisory board member del Metaverse Fashion Council, associazione nata lo scorso anno a Los Angeles, non ci sono dubbi: «Si tratta di un fenomeno che per il momento è un hype, ma che sarà la normalità di domani - afferma -. Siamo di fronte a una nuova rivoluzione, come era stato per
Internet e poi per i social media. Il Metaverso sarà un luogo dove viaggiare, informarsi, educarsi, condividere emozioni, ma avrà un ruolo importante anche dal punto di vista del business, dove le tecnologie consentiranno di rivoluzionare i processi tradizionali grazie all’intelligenza artificiale, alla realtà virtuale e alla blockchain. Aspetti che «diventeranno essenziali all’interno della value chain del fashion, per dare supporto all’efficienza, alla creatività e alla vendita, in un’ottica di sostenibilità». Prospettive allettanti per il mondo della moda. Non a caso l’elenco dei marchi
che in quest’ultimo anno e mezzo si sono messi in gioco nel Web3 è lunghissimo: big come Gucci, Balenciaga, Tommy Hilfiger, Nike, Adidas, Ralph Lauren, Dolce&Gabbana, Balmain e perfino un brand della gioielleria luxury come Bulgari Investimenti che hanno portato novità emblematiche anche all’interno degli organigrammi aziendali: Lvmh per esempio ha creato il ruolo di head of crypto and metaverse, Gucci ha affidato a Robert Triefus la carica di ceo di Vault and Metaverse Ventures e Otb ha lanciato la divisione BvxBrave Virtual Xperience, dedicata ai progetti nel mondo virtuale (vedi box). Una lista di case history che si arricchisce di giorno in giorno e che sembra dare ragione alle previsioni degli istituti di ricerca. Bain&Company stima che nel 2030 le vendite nel metaverso assorbiranno tra il 5% e il 10% del valore dell’intero mercato dei beni personali di lus-
è la quota del mercato del lusso che le vendite nel Metaverso dovrebbero assorbire entro il 2030
1. Lo store di Tommy Hilfiger su Roblox, progettato in colab con i creator della piattaforma. Su quest’ultima lo scorso settembre la label ha organizzato un evento virtuale in parallelo con lo show di New York 2. La piattaforma Vault di Gucci, universo dalle molte sfaccettature, messaggero della presenza della griffe nel Metaverso
STEFANO ROSSO1 2
so. Un segmento che, già nel 2025, dovrebbe attestarsi tra i 360 e i 380 miliardi di euro. Secondo Ey, il 25% dei consumatori trascorrerà almeno un’ora al giorno nel Metaverso entro il 2026, anno in cui sono previste 88 milioni di spedizioni di dispositivi Vr e Ar. Argomenti convincenti per gli imprenditori: come rivela un sondaggio di Accenture, il 71% delle imprese interpellate ritiene che il Metaverso avrà un impatto positivo sul proprio business. Ma siamo ancora solo agli inizi. Come chiarisce Alessio Petracchi, omnichannel client director dell’agenzia interattiva digitale Mirror, che ha realizzato progetti per realtà come Bulgari, Golden Goose e Pinko, «c’è un enorme proliferare di piattaforme caratterizzate da tecnologie diverse che impediscono una fruizione trasversale agli utenti, in una fase in cui lo scoppio della bolla delle criptovalute, legate alla blockchain e agli Nft, ha portato in primo piano l’esigenza di una regolamentazione». Petracchi è convinto che «nel giro delle prossime stagioni assisteremo a una contrazione fisiologica del numero dei player, anche grazie a fusioni e acquisizioni, che lascerà sul mercato le realtà
Nelle vesti del suo avatar, Stefano Rosso ci racconta le sfide di Otb nei mondi virtuali, in seguito alla nascita di Bvx-Brave Virtual Xperience, la divisione del gruppo di cui è ceo, focalizzata sullo sviluppo di progetti per il Web3
A un anno circa dal lancio di Bvx-Brave Virtual Xperience, la nuova divisione del gruppo Otb focalizzata sullo sviluppo di progetti per il Web3, il ceo Stefano Rosso racconta delle iniziative messe in campo. «Si tratta di entrare in contatto con una nuova fetta di mercato e con potenziali clienti spesso lontani dal mondo della moda, alla ricerca di esperienze immersive», spiega. Ma un semplice Nft non basta.
Che strada avete intrapreso con la divisione Bvx-Brave Virtual Xperience? Mettere sul mercato Nft o digital twin ad oggi può risultare fine a se stesso. Ecco perché con il lancio della prima collezione di non fungible token per il brand Diesel, D:Verse (nella foto), abbiamo voluto creare un intero “ecosistema”, un mix tra reale e virtuale che include esperienze dal vivo, come la partecipazione esclusiva a una sfilata del brand e l’accesso a Nft in edizione limitata, oltre alla possibilità di partecipare al processo di design di un prodotto. D:Verse ha, in un certo senso, segnato l’inizio di un nuovo viaggio del marchio, in cui virtuale e reale sono interconnessi tra
di loro. Oggi siamo concentrati principalmente sugli aspetti più concreti, quindi Nft e progetti phygital, ma la realizzazione di esperienze legate al gaming e al Metaverso è sicuramente di nostro interesse.
Cosa rappresenta per voi il Metaverso? Secondo me il Web3 è una grande opportunità per i brand di avvicinarsi a potenziali nuovi clienti con un approccio diretto, molto più autentico e con possibilità creative infinite. La diffusione del Metaverso porterà ad allontanarsi dalle norme e convenzioni estetiche che conosciamo oggi, lasciando spazio alla creatività e alla sperimentazione in modo esponenziale. E io non vedo l’ora.
Quali sono a vostro avviso gli aspetti dell’universo virtuale che si riveleranno davvero vincenti?
Quando vivevo negli Stati Uniti mi sono avvicinato al mondo del gaming con la creazione della società D-Cave. Questo mi ha permesso di esplorare in prima persona nuove logiche e dinamiche e di intuire l’evoluzione del settore che, a mio avviso, sarà accompagnata da tre fattori principali: integrazione tra realtà e virtuale, diffusione di device di ultima generazione e processi digitalizzati. Di fatto, saranno soprattutto i device e gli applicativi come occhiali e wallet digitali a spingere la diffusione del Web3 nel quotidiano, cambiando completamente la nostra esperienza di acquisto e le nostre abitudini. Un altro aspetto fondamentale che farà da collante nel Metaverso sono le community, caratterizzate da un forte senso di appartenenza e dalla volontà di essere i veri protagonisti del processo e non solo i destinatari di un progetto, iniziativa o prodotto.
«La nostra epopea nel Web3 è partita con gli Nft di Diesel. Ora siamo pronti per nuove sfide»
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più serie». Per il momento, come sottolinea Marco Ruffa, digital transformation director di Pinko, «il Metaverso in senso stretto non esiste ma al contempo esiste, perché già troviamo degli ingredienti che, una volta miscelati nella giusta ricetta, ci porteranno a costruire un nuovo modo di collaborare, creare, consumare e vivere». Gli ingredienti, infatti, sono davvero tanti e tali da richiedere una bussola per orientarsi in un universo del Web3 in cui al momento è possibile riconoscere tre grandi galassie: gaming, Metaversi basati sulla blockchain e piattaforme di social media. Un ecosistema attivo grazie ad asset tecnologici come criptovalute, Nft, oculus, realtà virtuale e aumentata, intelligenza artificiale e 3D. Le piattaforme di gaming, in particolare, che già potevano contare su una base molto ampia di utenti, sono state e continuano a essere un terreno di sfida importante per i brand della moda, che vi hanno piantato le loro bandierine creando esperienze di gioco in cui è possibile customizzare i gamer acquistando capi di abbigliamento, accessori, articoli griffati o semplicemente fare esperienze del marchio. Solo per citare alcuni esempi, sono nati su Roblox spazi virtuali come la Gucci Town, il Tommy Play di Tommy Hilfiger o il PlayChange di Benetton; su Fortnite Ralph Lauren ha lanciato la sua prima capsule digital, mentre Versace, Fila, Napapijri e Gcds hanno investito sul videogioco Need for Speed Unbound, uscito lo scorso dicembre. Nuova sfida in assoluto per i fashion brand sono stati i meta-
Le aziende puntano a legare mondo reale e sfera digitale nel segno dell’experience. Nella foto 1. il drop natalizio in versione Nft della collezione Timecapsule di Prada 2. La MetaLoveBag di Pinko, protagonista di un allestimento nei flagship di New York e Milano 3. La capsule di abbigliamento e accessori realizzata da Ralph Lauren per Fortnite, che ha previsto anche il lancio di una capsule di abbigliamento fisico
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mondi legati alla blockchain come Decentraland, The Sandbox, Spatial, Otherside: destinazioni dove è possibile acquistare lotti di terreno per costruire un proprio presidio, che sia un negozio o altro, organizzare eventi, proporre esperienze di gioco e vendere o scambiare Nft. Universi in cui si può replicare l’esperienza e le dinamiche della vita reale, avvalendosi di valute specifiche come la Mana di Decentraland. Significativo l’esempio di Philipp Plein, che nel 2022 ha investito 1,4 milioni di dollari per accaparrarsi un terreno su Decentraland, piattaforma su cui sempre nel 2022 ha debuttato la prima Metaverse Fashion Week, con protagonisti nomi come Dolce&Gabbana, Tommy Hilfiger, Etro, Hogan e lo stesso Philipp
è il numero di spedizioni di dispositivi di Vr e Ar previste per il 2026
Plein. Un evento che torna in scena nel 2023, dal 28 al 31 marzo, progettato in partnership con Unxd. Emblematica anche la case history di Gucci: il brand ha costruito su The Sandbox la propria entità separata Vault, che si è estesa in molteplici direzioni all’interno del Metaverso. Negli spazi del Web3 ci sono come si diceva anche i social media. Indirizzi basati sulla realtà virtuale come Horizons World di Meta o sulla AR come Snapchat, che conta liaison con nomi come Valentino, Prada o Dior o ancora la coreana Zepeto, dove è possibile creare una versione digitale di se stessi con cui interagire insieme ai propri amici. Una realtà scelta da un nome di spicco come Bulgari, che qui ha aperto un
BOLLA
Dopo lo scoppio della bolla legata alle criptovalute, il volume di vendite relativo agli Nft è crollato: si parla di un calo del 60% nel terzo trimestre del 2022, secondo la piattaforma di monitoraggio DappRadar. Ma l’industria della moda non ha perso la fiducia nei “non fungible token” su cui continua a investire, come dimostrano le scommesse di marchi come Prada con la sua Timecapsule, Gcds con i Digital Collectibles, Diesel con i non fungible token D:Verse o ancora Pinko con le MetaLoveBag. Un approccio che lega mondo virtuale e fisico nel segno delle esperienze e che per alcuni è un modo per avventurarsi nel Web3 senza dover affrontare investimenti avventurosi sulle virtual land. Si veda la case history di Pinko, che ha debuttato con la sua prima collezione di Nft dedicata alle Love Bags. Un esordio all’insegna dell’omnicanalità, che ha visto le MetaLoveBag protagoniste anche di un allestimento nei flagship di Spring street a New York e via Montenapoleone a Milano. Come racconta Alessio Petracchi dell’agenzia interattiva digitale Mirror, a cui Pinko si è affidata per il progetto, «in un momento in cui i metamondi esistenti sono ancora rigidamente separati tra loro, tali da impedire una fruizione trasversale agli utenti e da spingere i brand a operare delle scelte, consigliamo di usare le tecnologie del Metaverso, come la Vr, il 3D e la blockchain, per creare un proprio mondo svincolato dalle piattaforme». All’universo digital di Pinko «è possibile accedere dal browser per entrare in una casa che appartiene solo al brand, che siamo liberi di ampliare quando e come vogliamo e che ci consente di avere il controllo dei dati». Secondo Laura Pan, lecturer di international management presso la Sda Bocconi School of Management, gli Nft stanno lentamente evolvendo nella loro funzione. «L’era dei non fungible token da collezionare - dice - esisterà ancora, ma nella moda e nel lusso virerà verso l’esperienza che un marchio può fornire. Serviranno come dispositivi indossabili da usare nel Metaverso oppure torneranno allo scopo per cui sono nati, ossia come un certificato di proprietà e di autenticità o una prova di frequenza o di appartenenza, tipo tessera associativa, che apre le porte a un luogo o a una comunità». Si vedano ad esempio gli Nft della Timecapsule lanciata da Prada, che consentono ai possessori di accedere a eventi esclusivi, ma anche i DGFamily Box di Dolce&Gabbana, che permettono di fruire di servizi particolari e di avere libero ingresso a eventi speciali.
suo mondo virtuale, comprensivo del pop up store Bulgari Sunset in Jeju e di un caffè, entrambi esistenti nella metropoli coreana. A quanto pare non tutti questi mondi sono dei nuovi Eldorado. Come spiega Laura Pan, lecturer di international management presso la Sda Bocconi School of Management, «la più grande barriera che i marchi della moda e del lusso devono affrontare è la capacità di incoraggiare i propri clienti all’incontro nelle land del Metaverso. Questo è il motivo per cui molti sono passati dall’introduzione di nuovi progetti sulle terre del Metaverso alla collaborazione con le società di gaming, che vantano già volumi elevatissimi di utenti giornalieri». Per Fortnite si parla di 80 milioni di navigatori attivi mensilmente, mentre Roblox ne conta addirittura 200 milioni. Numeri ben diversi rispetto a quelli riportati da Dcl-Metrics (strumento di analisi costruito dagli utenti di Decentraland), secondo cui gli utenti attivi sulla piattaforma lo scorso mese di ottobre sarebbero stati circa 7mila al giorno (pochi per una realtà valutata 1,3 miliardi di dollari), o in confronto con quelli indicati in un tweet di The Sandbox, che nello stesso mese ne ha contati 39mila giornalieri. Né entusiasmano le cifre di Horizons World di Meta che, si legge su Ansa, conterebbe oggi 200mila utenti attivi: una cifra che ha portato la società ad abbassare il target previsto da 500mila a 280 mila utilizzatori entro fine anno. Un mare dalle acque non proprio calme in cui spicca l’isola felice di Zepeto, dove si parla di oltre 340 milioni di utenti dal lancio nell’agosto 2018, di cui 15-20 milioni attivi ogni mese, concentrati in Corea del Sud, Giappone e Cina, tra cui molti a loro volta creatori di contenuti. A vincere su tutto è l’experience, imprescindibile per creare valore, costruendo percorsi coerenti, completi e coinvolgenti, senza necessariamente legarsi alle piattaforme virtuali. Come ha fatto Nike dando vita a .Swoosh, una destinazione con un proprio dominio, che assicura una navigazione sicura. Uno spazio concepito come un luogo inclusivo per la community del brand, dove conoscere novità, collezionare asset digitali e aiutare a co-creare prodotti virtuali interattivi. Un per-
corso che porterà al lancio nel 2023 della prima collezione modellata sulle interazioni con i membri, i quali avranno la possibilità di co-creare prodotti virtuali, ottenendo parte delle royalty. Per chi non desidera avventurarsi nei metamondi delle piattaforme le opzioni sono comunque tante e si basano sulla tecnologia legata al Metaverso, tra Nft (vedi box), Ar, Vr o mixed reality. Recente l’esempio di Balmain, che alla Miami Art Week ha proposto un’installazione tra il virtuale e il
1. L’installazione nel segno della virtual reality proposta da Hogan nella boutique di via Montenapoleone durante la Milano Design Week
2. Lo store virtuale PlayChange di Benetton su Roblox, progettato in chiave di omnicanalità, per amplificare l’esperienza di shopping fisica 3. La piattaforma .Swoosh lanciata da Nike 4. L’experience immersiva proposta da Balmain alla scorsa Miami Art Week
reale, ricreando la casa vacanze di Pierre Balmain sull’Isola d’Elba, costruita a fine anni Cinquanta, e portando i propri ospiti all’interno della casa grazie a visori per la realtà virtuale. Un’esperienza che si lega anche al lancio di Nft, in vendita su MintNft.com Non è facile, insomma, orientarsi nei meandri del Metaverso. Secondo Antonio Patrissi, chief digital officer di Benetton Group, che ha scelto di approcciare il Metaverso su Roblox, in prospettiva si riveleranno vincenti aspetti come «l’advergaming, la realtà aumentata per favorire l’omnicanalità nei negozi, l’utilizzo del Web3 come mezzo di comunicazione digitale e gli Nft, ma con una selezione di prodotti ingaggianti per il tipo di
piattaforma». Per i brand, aggiunge Marco Ruffa di Pinko, sarà importante in prospettiva «“perdere” il controllo end2end dell’esperienza, affidandosi sempre più, in modo collaborativo, alla community dei creator e alle loro capacità di costruire esperienze di vero interesse per il pubblico». Per i consumatori non sarà più solo questione di comprare, vendere e collezionare oggetti o di vestire i propri avatar, ma sempre più di co-creare i propri asset digitali. Emblematico l’esempio di Nike con la sua .Swoosh, un’evoluzione che richiede un cambio di approccio da parte delle aziende. Significativi i dati emersi da un’indagine di Roblox su 1.000 utenti della GenZ negli Usa, da cui emerge che solo nel 2022 oltre 11,5 milioni di creator (numero 200 volte superiore a quello degli stilisti fisici attivi negli Usa) hanno progettato oltre 62 milioni di pezzi su Roblox. Tra questi naturalmente non solo marchi Metaverse-native. Altra sfida sarà superare la frammentazione attuale dei metamondi, nel segno dell’interoperabilità. «Ciò significa - precisa Laura Pan - che gli utenti non dovranno scegliere su quale Metaverso spendere il loro tempo e denaro, ma potranno usare lo stesso avatar per navigare ovunque». Significativa la case history di Ready Player Me, piattaforma per la creazione di avatar utilizzabili in più mondi diversi, che ha catalizzato gli investimenti di big come Tommy Hilfiger e L’Oréal. Quest’ultimo ha realizzato con la realtà cross-game cinque stili per il make up e per i capelli dei brand Maybelline New York e L’Oréal Professionnel da applicare agli avatar, utilizzabili su oltre 4mila piattaforme e app in tutto il mondo. Una sfida, quella dell’interoperabilità, che la Metaverse Fashion Week ha deciso di cogliere alla sua seconda edizione: oltre a Decentraland, infatti, i designer potranno anche apparire nei Metaversi di Spatial e Over
25%
è la quota di consumatori che entro il 2026 trascorrerà almeno un’ora al giorno nel Metaverso
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Il marchio è nel pieno di un rinnovamento che, basandosi sulla qualità e la raffinatezza di sempre, esplora nuovi modi di interpretare lo stile, all’insegna di una “Evolving Elegance” che parte dal prodotto e coinvolge le strategie distributive e di comunicazione. In quest’ottica si inserisce la scelta di presentare la collezione FW 23/24 durante Milano Moda Uomo, con un grande evento a Palazzo Mezzanotte.
«Se si cambia interiormente, non si deve continuare a vivere con gli stessi oggetti»: questa frase di Anaïs Nin rispecchia e sintetizza le nuove strategie di Lardini, che forte di un made in Italy costruito in 45 anni di attività investe sul cambiamento, ispirandosi al concetto di Evolving Elegance che coinvolge, ma non sconvolge, tutti le scelte del marchio in fatto di prodotto, comunicazione e distribuzione. Un segnale forte è la scelta di presentare la collezione uomo FW 23/24 durante la Milano Fashion Week di gennaio, in una sede d’eccezione come Palazzo Mezzanotte, dove sarà allestita una presentazione-evento per un migliaio e più di addetti ai lavori. «Una cassa di risonanza importante - commenta il Brand Developer Pietro Di Matteo - per comunicare il nostro impegno in un rinnovamento che già ci sta dando ottimi risultati. Evolving Elegance non significa intaccare l’identità di un brand che si basa su un dna forte e trova il capospalla come fulcro, né tantomeno sconfinare in territori che non ci riguardano: intorno al gusto, al saper fare, alla qualità made in Italy e alla raffinatezza che appartengono a Lardini e ne hanno decretato il successo costruiamo il futuro, alimentato dalla linfa creativa che ci contraddistingue da sempre e adesso è ancora più forte». La collezione maschile FW 23/24, articolata in tre linee, è frutto di questa tensione verso il contemporaneo. New tailoring è il leitmotiv di Lardini
Attitude, dove la sartoria assume un twist vagamente hard, in cui confluiscono rimandi ai gruppi rock e punk degli anni SettantaOttanta e accenti genderless. Le silhouette sono smilze e le figure verticalizzate, per giacche spencer dalle proporzioni corte e svelte (capi-simbolo di questa tendenza), cappotti di derivazione militare con revers a contrasto, pantaloni dal profilo scarno. Massima l’attenzione sia ai materiali - dai sablé di viscosa e lana agli jacquard 3D, fino alle ecopellicce in mohair e lana - che ai dettagli: per esempio, i pin delle tribù punk sono smaltati o rivestiti in raso. Essenzialità, cosmopolitismo e contaminazioni tra i
mondi urban e sportivo definiscono Lardini Lab, che stringe l’obiettivo sul concetto di MonoTone: mantelli, pantaloni, giacche e perfino calzature tutti nello stesso colore (la scelta è tra panna, grigio, blu, nero e verde militare) in tessuti confortevoli e scattanti come la saglia di flanella, la flanella stretch e il panno. In questo caso il capo simbolo è la shirt jacket, leggera e calda al tempo stesso, ma c’è molto altro: i giubbotti con cappuccio, i pant corti, i cappotti dall’allure rilassata e la maglieria costruita a capo integrale. Rilegge infine i classici la Lardini Collection, che reinterpreta l’heritage attraverso materiali esclusivi, pettinati e
dalla superficie levigata, come le lane ritorte a quattro capi, mentre il mowear in cotone e lana conferisce ai modelli morbidezze tridimensionali. In primo piano il fascino evergreen dell’abito anche per eventi e cerimonie, come il coordinato tutto candido, il focus sulla perfetta vestibilità (un esempio è la giacca Kosmo) e un dialogo aperto con la modernità, che emerge dall’assenza di taschini nei blazer, dagli jacquard “scolpiti” per texture bouclé apparentemente ideate per guardaroba femminili e dalla rilettura del denim. Capo simbolo il coat oversize morbido e destrutturato, che affianca i cappotti lunghi, snelli e con chiusura a doppiopetto. Una collezione che ha tanto da dire alla clientela consolidata e a quella nuova, fatta anche di giovani e giovanissimi: «In quest’ottica - riprende Pietro Di Matteocontinua con la FW 23/24 la collaborazione con l’artista freestyle Terzini, per una capsule che ha avuto riscontri oltre le aspettative. Il primo passo per future colab con altri talent». L’impegno sul prodotto va di pari passo con quello sulla distribuzione, articolata in oltre 680 multimarca, shop in shop nei principali department store internazionali e cinque monomarca, tra cui quelli di Milano e Tokyo. «Anche su questo
fronte - spiega il manager - le parole chiave sono qualità e selezione, con un profilo ancora più alto dei nostri partner». Centrale il ruolo dell’Italia e, all’estero, del Giappone, dove gli shop in shop sono cinque e sono previsti nuovi opening, parte di un più ampio piano retail. Crescono l’Europa, soprattutto al Nord e nel Benelux, e in Asia la Corea del Sud. Anche l’e-commerce è in fermento: «Su piattaforme come Mr Porter, Mytheresa e recentemente Matchesfashion lo stile Lardini è molto apprezzato, così come su quelle di tanti clienti multimarca. Nel 2019 abbiamo lanciato la nostra vendita online, affidandoci per la gestione a partner
esterni, ma quattro mesi fa l’abbiamo internalizzata, con evidenti vantaggi per il servizio ai clienti sia B2B che B2C», precisa Alessio Lardini, ultima generazione della famiglia fondatrice i cui capistipite, i fratelli Andrea, Luigi, Lorena e Annarita Lardini, sono rispettivamente ceo, direttore creativo, responsabile finanziaria e amministrativa e responsabile qualità. Sempre della nuova generazione della famiglia fa parte Brenna Lardini, a capo della comunicazione: «Anche in questo caso siamo in progress - affermacome dimostra il grande evento che stiamo preparando a Milano. Ai canali tradizionali affianchiamo i social, a partire da Instagram, dove raccontiamo la nostra storia e il nostro mondo con la consulenza di HFarm: il prodotto, i dettagli, la cura dei tessuti, i negozi, i servizi fotografici, i testimonial ma anche gli angoli più suggestivi di Filottrano nelle Marche. Il luogo dove abbiamo le radici, una parte essenziale della nostra narrazione».
Top executive che lasciano i loro ruoli in Lvmh, Otb e Tommy Hilfiger calamitati nelle startup attive nell’ambito di Nft, blockchain e Metaverso. Un fenomeno che sta diventando un trend per due motivi: primo, perché i professionisti del fashion hanno capito in anticipo le potenzialità delle reti decentralizzate e ne vogliono far parte; secondo, perché il Metaverso deve imparare le strategie di branding e merchandising della moda per diventare un mondo animato dal commercio
DI ANDREA BIGOZZIQuando a fine 2020 Ian Rogers ha lasciato la sua (comoda) poltrona di chief digital officier di Lvmh per mettersi a lavorare nel mondo delle criptovalute è sembrato agli addetti ai lavori un cambiamento di carriera non solo radicale ma forse anche un po’ sconsiderato, proprio come lo era stato nel 2015 la decisione dello stesso Rogers di lasciare Apple, entrando a far parte del più grande conglomerato del lusso nel mondo. Ma a distanza di due anni sembra che il mondo del Web3, per quanto caotico - in quanto concetto ancora in parte sfocato, comprendendo realtà aumentata, virtuale, Nft, Metaverso, criptovalute e blockchain, staccato dal potere delle grandi aziende della Silicon Valley - sia visto come un’opportunità per un numero crescente di veterani del settore moda, lusso e lifestyle. Numerosi manager stanno lasciando posti sicuri da
Chi lavora nel fashion ha conosciuto figure chiave del Web3 prima dei colleghi di altri settori, creando i presupposti dei giri di poltorne
Ralph Lauren, Tommy Hilfiger, Otb e altri per mettersi a lavorare al servizio delle realtà della nuova generazione di tecnologie informatiche. Uno di questi è Davide Matteazzi: ex global merchandising director di Diesel con alle spalle esperienze anche per brand come Ck Jeans e Wrangler, ha voltato le spalle al mondo della moda per lavorare in Kryptomon, una startup fondata ad Amsterdam da due italiani (Umberto Canessa Cherchi e Bartolomeo De Vitis), che ha creato un videogioco play-to-
earn basato sulla blockchain e ispirato all’universo iconico di Pokemon e Tamagotchi «Un anno fa - racconta Matteazzi - ho sentito l’esigenza di sperimentare, uscire dalla mia comfort zone ed esplorare il mercato: ho scelto di indirizzarmi nel settore del Web3 perché è questo il mondo, insieme forse alla sostenibilità e all’health, dove si intravedono gli sviluppi più eccitanti e innovativi». «Entrando in contatto con Metaverso e Nft - prosegue - mi sono reso conto che ci sono moltissime opportunità per profili come il mio, legato al merchandising, al design e allo sviluppo prodotto. La mia esperienza in Kryptomon lo dimostra: stiamo sviluppando progetti di merchandising (virtuale, ma anche fisico), eventi phygital, oltre a numerose partnership e colab con aziende di diversi settori». Casi come quelli di Matteazzi e del trend setter Ian Rogers (che nel
suo ruolo di chief experience officer del produttore di criptowallet Ledger assicura di avere contatti praticamente quotidiani con i marchi del lusso di Lvmh e Kering per lo sviluppo di capsule e limited edition) sembrano non essere isolati: un anno fa Stefano Rosso, figlio di Renzo, è passato alla guida di Bvx-Brave Virtual Xperience, la newco che si occupa dello sviluppo di progetti e contenuti destinati al mondo virtuale per i brand del gruppo di famiglia. C’è poi l’architetto Dan O’Kelly, che ha lasciato dopo 24 anni il gruppo Pvh (dove ricopriva il ruolo di executive vice president e si occupava di tutti gli aspetti creativi legati agli uffici, alle showroom e ai negozi di Tommy Hilfiger e Calvin Klein) per diventare un Web3, Metaverse and Nft Education strategist attraverso una sua società. Carriera in proprio anche per l’ex chief digital officer e chief content officer di Ralph Lauren (e prima ancora di Burberry) Alice Delahunt, che ha deciso di tuffarsi nel Web3 con il lancio di Syk, una piattaforma B2B e B2C che consentirà agli utenti di curare, commerciare e possedere capi di abbigliamento e accessori digitali. Il fenomeno di migrazione dai big brand della moda verso le startup del Web3 appare peraltro destinato a continuare - anzi ad aumentare - specie dalla seconda metà del 2023, quando saranno superati i timori per la recessione e per la crisi delle criptovalute e dei prezzi Nft, che a fine 2022 hanno messo un freno all’attività di meta-recruiting. Gli attuali giri di poltrone non suscitano la perplessità degli esperti “nerd” di criptovalute, blockchain e cybersicurity, che trovano questi passaggi non solo comprensibili, ma persino strategici. «In questo momento - è la visione di Francesco Bernabei, ceo e direttore creativo di
Mono-grid su come si sta muovendo il mercatosono in molti a cercare opportunità di lavoro nel mondo Web3, soprattutto tra gli esperti del digitale, vittime dei tagli di occupazionali attuati dalle Big Tech. Nel caso dei professionisti della moda la situazione è diversa. Non siamo infatti di fronte a licenziamenti di massa ma a scelte volontarie, prese da singoli individui: oggi chi lascia un posto sicuro nel fashion system per approdare nel Web3 lo fa perché è convinto di vivere uno di quei momenti di trasformazione che capitano ogni 20 anni e che premiano chi è in grado di comprendere il cambiamento prima degli altri». Secondo il co-fondatore della creative company italiana, scelta per esperienze interattive, realtà aumentata e virtuale, 3D e installazioni da aziende come Gucci, Prada, Fendi e Valentino, non è un caso che a capire il potenziale del mondo Web3 prima di altri, e a tentare di approfittarne, sia proprio chi arriva da aziende di moda e lifestyle. «Questo settore - evidenzia - è stato tra i primi ad aver investito nel Metaverso e per questo chi ci lavora ha avuto la fortuna di essere esposto a questo genere di innovazione in anticipo rispetto a molti colleghi di altri ambiti, oltre ad apprendere tecniche di collaborazione
«Il Web3 avrà un impatto tangibile sul mondo del lavoro dalla fine del 2023, quando superati i timori di recessione entrerà nella fase matura».
organizzativa prima che diventassero di uso comune. Una grandissima opportunità di formazione, ma anche di networking per la fashion community, che ha potuto conoscere le figure chiave del Web3 e rivolgersi direttamente a loro quando si è trattato di candidarsi per intraprendere nuove carriere». Alla base di questo trend migratorio non c’è solo una questione di timing o la voglia di sperimentare in nuove aree di business da parte di singoli professionisti: c’è, soprattutto, un legame intrinseco tra Web3 e moda, che va al di là della quantità di progetti sviluppati insieme e che fa sì che le compagnie basate sulla tecnologia blockchian guardino ai veterani del fashion system come potenziali revenue driver da inserire nei loro team. «La vicinanza tra questi due mondi - è il punto di vista di Jacopo Fracassi, ricercatore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger e dell’Osservatorio Metaverso & Realtà Aumentata del Politecnico di Milano - risiede nel fatto che le startup Web3 puntano a rendere i loro prodotti, principalmente gli Nft, iconici e riconoscibili, proprio come accade per le aziende di moda con i propri capi brandizzati. Non c’è differenza tra “digitale” e “fisico”. In questa intensa attività di branding intrapresa dalle realtà Web3 molte professionalità richieste sono comuni al settore moda». «Il percorso verso la popolarità per un Nft - prosegue il ricercatore - assomiglia parecchio a quello seguito da uno stilista. Basti pensare all’utilizzo delle celebrities: nel Metaverso come nel mondo reale è necessario avere il supporto delle più popolari per ottenere risultati importanti. Yuga Labs ha fatturato miliardi con la collezione Nft di Bored Ape Yacht Club, ma se star del calibro di Madonna o Justin Bieber non avessero condiviso le loro scimmiette annoiate tutto questo non sarebbe probabilmente stato possibile. Per questo è naturale che un’azienda Web3 guardi alle skill dei fashion
expert per promuovere i propri prodotti e servizi». Per strutturarsi e uscire dalla nicchia della definizione di startup, sognando magari un futuro da azienda unicorno, le realtà che lavorano su Metaverso e Nft non hanno quindi bisogno di assicurarsi esclusivamente i migliori sviluppatori di software, ingegneri e informatici: figure che sono state necessarie nella prima fase, quella della creazione della realtà virtuale dove si muovono gli avatar, ma ora che è arrivato il momento di dare vita a un mondo dettagliato c’è bisogno di architetti, designer, venditori e tanti altri profili professionali. «Il mio compito di chief merchandising and marketplace office all’interno di un videogioco come Kryptomon - testimonia Davide Matteazzi - è costruire una struttura di merchandising innovativa e creare un brand forte, attraverso partnership e collaborazioni. Nel 2023 esploreremo collaboration con aziende del food& beverage e del fashion». In cantiere c’è anche il lancio di una linea di merchandising fisica, «quindi direi che di fatto non ci sono grandi diversità tra lavorare per un brand del denim e un videogioco che sfrutta le criptovalute, tranne una: nel mondo del Web3 il cliente è davvero al centro di tutto». «Non mi sono mai sentito così connesso a una comunità - prosegue il manager- come da quando lavoro per Kryptomon, dove i membri della community vengono regolarmente coinvolti nelle fasi cruciali di new realase del videogioco e talvolta, qualcuno di loro è stato assunto in azienda». L’esigenza di costruire - nel senso più pratico del termine - il Metaversodeve per forza passare dall’impiego di una gran quantità di persone, impegnate in ogni tipo di incarico.
«Non si tratta solo di professioni nuove, alcune delle quali ancora non esistono, nate con il Metaverso - fa notare Bernabei - . Molti sono mestieri “tradizionali”, necessari a rendere questo spazio appealing: figure come i social media manager continueranno a svolgere le loro attività solo che lo faranno lavorando con piattaforme nuove, più Metaverse oriented, ma questo è solo un esempio. In questo nuovo mondo sono necessari tutti i tipi di designer: da chi si occupa di modellazione 3D, fino a esperti di grafica e fashion virtual design». In sintesi, il Web3 avrà bisogno di una nuova economia del lavoro e, di fatto, ne sta costruendo da
Dare impulso al Metaverso è possibile solo con lavori creativi e legati al prodotto: architetti, designer, merchandiser e venditori
zero una tutta sua: un’evoluzione che porterà diversi veterani del fashion system a passare alle aziende impegnate in questa tecnologia innovativa per sostenerne e portare avanti la crescita. Per queste figure pronte a fare il grande salto, e con forti esperienze acquisite alle spella, si profila anche un ritorno economico? «Tradizionalmente - conferma Eugenio Somaini, director di We Hunt, brand di W-Executive che fa capo a W-Group, specializzato nella ricerca e selezione di professionisti che ricoprono un ruolo di middle management - chi entra in azienda per apportare innovazione viene premiato con una retri-
«Chi ha sperimento il cambio di carriera non ha dubbi: sono tanti i punti di contatto tra fashion e crypto, ma la vera community è nella blockchain».
buzione che è mediamente il 20% più alta rispetto agli standard». Tutto ancora da stabilire è chi, all’interno delle interactive company, avrà poi il compito di coordinare queste figure in arrivo dal mondo di sfilate, showroom e negozi. «Probabilmente - riflette Somaini - riporteranno a un chief marketing officer, che dovrà acquisire specificità in più, a cominciare dalla conoscenza della community. Quando il Metaverso sarà realtà non si porrà come alternativa alle esperienze fisiche, dallo shopping in negozio o attraverso l’e-commerce, ma come uno strumento per amplificare questi canali». L’ultima domanda da farsi è quando il Metaverso inizierà ad avere un impatto tangibile sul mercato del lavoro, impiegando una gran quantità di persone impegnate in ogni tipo di incarico. Per Somaini potrebbero volerci ancora almeno cinque anni, ma tutto dipenderà dalla voglia di investire. Bernabei indica un orizzonte più ravvicinato: «Con la crisi delle criptovalute - conclude - siamo piombati in un picco di disillusione, che però avrà durata limitata e che segue la grande euforia di un anno fa. Penso anche che nella seconda parte del 2023 si entrerà già nella fase matura e si inizierà a ottenere una crescita reale di criptovalute e Nft. Allora sì che dovremo aspettarci il vero cambiamento nel mondo di lavoro e, di conseguenza, futuri giri di poltrone».
I nuovi posti di lavoro generati dal Metaverso entro due anni Un trend in crescita, favorito in Italia anche dai 40 miliardi di euro previsti dal Pnrr
Fondato nel 1857 ad Alessandria, Borsalino ha saputo conquistare il mondo. Gli ultimi anni sono stati all’insegna di un rilancio a tutto tondo che ha coinvolto la distribuzione, il prodotto e la comunicazione, ma senza scalfire l’essenza di un marchio associato alla manualità, al legame con il territorio e a una qualità inimitabile.
Si dice Borsalino e si pensa ad Humphrey Bogart in Casablanca, a Jean-Paul Belmondo e Alain Delon nella pellicola intitolata appunto Borsalino, a Johnny Depp che il suo Borsalino lo porta con una fascia colorata a coprire la fronte, oppure a Pharrell Williams, che invece lo abbina ad outfit coloratissimi. L’elenco potrebbe continuare, perché dal 1857, quando Giuseppe Borsalino fondò il suo laboratorio di cappelli in feltro a oggi, il marchio made in Alessandria è diventato un’icona. Oggi Borsalino è al centro di una strategia di rilancio sviluppata su più fronti: distribuzione, comunicazione e, non ultimo, stile, con la nomina di Jacopo Politi come head of style a partire dalla collezione FW 23/24. Politi debutta nel nuovo ruolo a Pitti Uomo di gennaio, forte di esperienze in Chanel, Vuitton, Fendi, Saint Laurent, Balmain, Balenciaga e la stessa Borsalino, dove ha lavorato dal 2009 al 2012. «È l’uomo giusto per proiettare nel futuro un DNA forte come il nostro, andando a conquistare ulteriori segmenti di mercato - spiega il direttore generale Mauro Baglietto -. La sua nomina è una delle scelte strategiche che abbiamo fatto con ottimi risultati, a partire dalla distribuzione, non più concentrata solo sul canale delle cappellerie ma estesa ai migliori negozi di abbigliamento». Se il wholesale è presidiato attraverso 600 punti vendita nel mondo, alla voce retail - sinonimo di una quindicina di monomarca, integrati dalla presenza in tre outlet - è recente la presentazione dell’innovativo concept di “interior design” nella nuova boutique del complesso di Hines Spiga 26 a Milano, che si aggiunge alla storica vetrina in Galleria Vittorio Emanuele II. «Il nostro piano di sviluppo retail prosegue su più fronti. Abbiamo inaugurato un nuovo punto vendita a Monte-Carlo e un temporary-store a Bal Harbour, Miami in Florida, strategico per avanzare sul mercato americano, prioritario per la nostra espansione insieme all’Asia Pacifico e alla Cina Mainland. Un discorso a parte merita il travel-retail che cresce con l’apertura di un punto vendita a Linate e due a Fiumicino. Abbiamo inoltre sviluppato
un ‘resort concept’ - precisa Baglietto – che ha esordito a Nammos Village-Mykonos e recentemente alle Maldive”. In Italia, a Marina di Pietrasanta, è stato aperto a giugno il Panama Beach by Borsalino, una struttura esclusiva dove immergersi nel lifestyle legato al brand, la prima di una serie. «Borsalino non è un prodotto, ma uno stile di vita - ribadisce Baglietto - che si alimenta anche di collaborazioni con brand come Valentino, Ami Paris by Alexandre Mattiussi, Vilebrequin e Yohji Yamamoto, cui ne seguiranno altre, senza contare l’accordo triennale con la Millemiglia, uno dei simboli dell’eccellenza italiana». Sempre più importanti sono il segmento femminile, che riguarda il 40% delle vendite, ma in realtà è più forte visto che tante donne amano indossare i Borsalino da uomo, e le collezioni in tessuto che ampliano l’offerta del brand con modelli molto amati dalle nuove generazioni come baseball-cap e bucket. A tutto ciò si aggiunge l’accordo di licenza per i soft-accessories a marchio Borsalino. Grande fermento, dunque, che si è tradotto in un raddoppio di fatturato nel 2021 e in un incremento a doppia cifra quest’anno per l’azienda nell’orbita di Haeres Equita, che oltre a Mauro Baglietto vede come figure
Direttivo. Merito anche della notorietà di Borsalino sui canali digitali, dal portale borsalino.com, oggetto di un restyling durante la pandemia, fino ai social e alle vendite online, quest’ultimo veicolato sia sul sito che sulle piattaforme più qualificate, in primis Farfetch e MyTheresa. Del resto, il brand è l’ideale per uno storytelling d’impatto, grazie a prodotti iconici, come il Fedora per l’inverno e il Panama per l’estate, che ancora oggi sono frutto di una lunga lavorazione: ci vogliono due mesi e 52 passaggi a mano per realizzare un Borsalino. «Utilizziamo ancora i macchinari di fine Ottocento - afferma il direttore generale - e lavoriamo dalla materia prima al prodotto finito con lo stesso ‘savoirfaire’ di allora, affidandoci alle nostre preziose maestranze». Non si conosce mai abbastanza della lunga storia di Borsalino, ma a questo penserà un Museo: messo a punto in collaborazione con il Comune di Alessandria, sarà inaugurato in aprile nella città che tuttora rappresenta il fulcro di un brand che dal Piemonte ha conquistato il mondo.
Quella che una volta si chiamava vendita porta a porta oggi si chiama social selling: un canale che da analogico è diventato digital-first, grazie alla resilienza delle aziende, che hanno saputo trasformare il proprio business model, e a un esercito di consulenti beauty, diventate delle vere e proprie influencer. Si chiamano Avon,Younique,Yves Rocher e con la loro popolarità sui social stanno dando filo da torcere sia ai retailer, che ai marketplace online
DI ANGELA TOVAZZILe opportunità nascono dalle difficoltà. Dopo l’esperienza della pandemia non potrebbe esserci affermazione più vera. Ma con un distinguo: chi masticava un po’ di digitale nella primavera 2020 ha avuto vita un po’ più facile. A differenza delle aziende analogiche per costituzione e vocazione, per le quali il confinamento sociale e l’annichilimento della dimensione fisica hanno costituito un vero choc. Qui parliamo (soprattutto) di queste: imprese del beauty che hanno costruito il loro core business intorno alla vendita diretta. Ossia attraverso incontri faceto-face oppure party con parenti, amici e conoscenti durante i quali venivano presentati e fatti provare i prodotti della casa, con la possibilità di ordinarli sul momento e riceverli al proprio domicilio attraverso la “mattatrice” di questi raduni casalinghi, la cosiddetta consulente di bellezza. Non una mera venditrice, ma un’amica, una persona fidata, insomma una mediatrice e un’ambasciatrice del marchio. Un tipo di esperienza che la pandemia ha azzerato, mettendo di fronte a tali aziende un enorme punto di domanda, capace però di produrre tanto un drastico,
quanto imponente, reset. «Per questa tipologia di realtà il lockdown ha rappresentato una seconda, feroce crisi, perché già nel prepandemia, con lo spostamento delle vendite sull’e-commerce, avevano cominciato a soffrire - commenta Gian Andrea Positano, responsabile Centro Studi e Cultura d’Impresa di Cosmetica Italia -. Di fronte allo stop forzato si sono sapute però riorganizzare, cambiando di fatto il loro business model. Adesso stanno recuperando il terreno perso durante il biennio 2018-2020 e, anzi, sono al centro di una significativa accelerazione». Basta citare la case history di Avon, marchio nell’orbita di Natura & Co. e con una lunghissima storia alle spalle, visto che è nato a fine 800 del secolo scorso su iniziativa di un venditore di bibbie porta a porta, che
Dai party in casa alle live sui social: la pandemia ha dato il là alla digitalizzazione dei marchi specializzati nella vendita diretta
Nell'immagine di Younique, una consulente di bellezza con i "ferri del mestiere" alle prese con una diretta in live streaming sui social
ebbe l’intuizione di accompagnare il sacro manoscritto con un campioncino di profumo. Un brand costruito sulle relazioni umane che, prima di imbattersi nel Covid, aveva poca dimestichezza con il digitale, potendo contare su un esercito di consulenti di bellezza (oggi sono 5 milioni in 55 mercati, di cui 65mila in Italia), capaci di arrivare alle consumatrici attraverso rendez-vous fisici in cui mettere in scena la liturgia del brand, con la sua filosofia, i suoi prodotti, i suoi servizi. Una cerimonia prima di intrattenimento che di vendita, giocoforza freddata dalla pandemia. «Ci hanno salvato le Zoom callracconta Alessandro Mirandola, general manager di Avon Italia -. Di fatto, dopo lo smarrimento iniziale, per Avon è iniziato un importante processo di digitalizzazione, con la migrazione del business sull’online». È nata una app destinata alle consulenti, battezzata Avon On, che ha reso possibile la gestione virtuale delle attività, dalla comuni-
1. Uno dei best seller di Younique, la palette 10 Addiction 2. 3. Una consulente Avon mentre utilizza la nuova app Avon On e uno dei prodotti clou del marchio, che nel 2021, secondo Global Data, è stato il più venduto al mondo per le fragranze
cazione con la community alla formazione. E molte collaboratrici ci hanno messo la faccia, lanciandosi in video live-streaming sui social, da Facebook a Instagram fino a TikTok, e presentando tutorial attraverso cui mostrare e testare in diretta creme e lozioni ed eseguire (svelandone anche i segreti) perfetti make-up. Attività che durante la pandemia avevano in primis lo scopo di intrattenere, senza finalità di vendita toutcourt, ma che oggi rappresentano il volano del sell out, il cuore del social selling. «Per molte consulenti lo sviluppo di nuove skill non è stato facile - precisa Mirandola - ma oggi il 59% di loro usa la app per gestire tutte le operazioni e, soprattutto le più giovani, sono molto attive sui social con le loro pagine ufficiali, coerenti naturalmente con l’immagine del marchio». Un lavoro, quello delle beauty expert, modulabile nei tempi e nei modi, come passatempo per arrotondare o professione a tempo pieno, e che può generare importanti guadagni, soprattutto quando la consulente riesce a tessere un’ampia rete di collaboratrici che operano sotto la sua guida, alimentando quella struttura piramidale che va sotto il nome di network marketing, fondamento della vendita diretta. Grazie alle loro competenze e al loro modo personale nel porsi sui social, molte ambasciatrici riescono a bucare la Rete e a diventare delle micro-influencer, con una fan base di utenti che seguono ogni diretta, pronte a elargire like e a commentare (per lo più in bene, ma qualche volta anche in male), a chiedere delucidazioni e consigli personalizzati. E ovviamente a comprare, atterrando
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«Consulenza, risultato, esperienza: questi i plus del social selling, sia online che offline»»
sulla pagina e-commerce di riferimento. I prodotti “in vetrina” sono gli stessi per tutte le collaboratrici, ma a cambiare è il filtro, ovvero lo stile di presentazione e di engagement, in sintonia con la personalità di ognuna. «Alle nostre consulenti consigliamo sempre di essere se stesse, di non fingere, di mostrarsi per come sono veramente, perché è il modo più efficace per entrare in relazione con le persone», interviene Elena Ciraulo, market sales manager Italy di Younique, società nativa digitale lanciata nello Utah nel 2012 su iniziativa dei fratelli Derek Maxfield e Melanie Huscroft e arrivata in Italia nel 2017, che sin da subito ha sposato il modello della vendita diretta, ma in versione social. Protagoniste dei video tutorial, soprattutto su Facebook, oltre che su Instagram, Youtube e TikTok sono venditrici
eterogenee per età, provenienza e cultura, che dialogano con la community mostrando sul web la loro beauty routine oppure le tecniche di trucco e offrendo, a chi la desidera, una consulenza personalizzata. Un format che sta funzionando, visto che «pur rimanendo un'azienda di nicchia, in Italia Younique sta crescendo a doppia cifra, con un +30% di ricavi a novembre 2022 rispetto all’anno precedente», oltre a espandersi in Europa, dopo essere approdata in 17 mercati. «Accanto alle nostre collaboratrici - aggiunge Ciraulo - i punti di forza del marchio sono anche il prodotto, non low cost ma di alta gamma, e la formazione sulle linee, a disposizione di tutte le consulenti, anche quelle che aprono un account non per guardagnare ma per un uso personale». A disposizione del pubblico c’è inoltre un e-store Younique dove poter fare shopping senza intermediari, anche se al check-out il sistema chiede sempre di associare l’acquisto (non con un criterio territoriale, ma in base alla preferenza) a una consulente di bellezza. Del resto di vendita diretta si tratta, non di un classico ecommerce. Un concept con alcuni aspetti distintivi rispetto al retail fisico e online, come spiega Roberta Alberton, esperta di social selling e con una carriera in diverse aziende del settore: «Il valore aggiunto di questa modalità di vendita si può sintetizzare in tre parole, ossia consulenza, risultato, esperienza». Come osserva la manager, quando una potenziale consumatrice si rivolge a una venditrice a domicilio, sia attraverso i social che vis-à-vis, in cambio riceve consigli ad personam, dal corretto utilizzo dei prodotti a soluzioni specifiche per particolari problemi di pelle. Un valore aggiunto che non sempre si ottiene nei negozi brick and mortar e ancora meno sui marketplace digitali, dove lo shopping è un’operazione più asettica. Alberton parla anche di “risultato”, inteso non come performance, ma
come qualità dell’interazione: «Facciamo l’esempio del make-up - spiega -. Quando un’esperta di bellezza comincia la live appare il più delle volte struccata, al naturale, in modo da mostrare via via il wow effect di fondotinta, ombretti e rossetti. È un risultato vero, verificabile. Quando invece si compra a scatola chiusa in altri canali la resa la si realizza solo alla fine, dopo l’acquisto». E infine, last but not least, la cosiddetta shopping experience: «Lo sappiamo - commenta -. Oggi le persone non vogliono solo comprare qualcosa, ma provare un’esperienza. È questa la marcia in più del social selling». Ma attenzione: «I social non sono nati per vendere, bensì come contenitore di intrattenimento e informazione, dove le persone vanno per informarsi, divertirsi, condividere». Ergo, pensare di riuscire ad “adescare” le internaute sul proprio profilo per riuscire a vendere è tanto pretenzioso, quanto irrealistico. «La vendita - dice Alberton - deve rappresentare sempre l’ultimo step di un processo di networking, in cui grazie alla mia attività e al modo personale di presentarmi attiro l’interesse di chi si imbatte nella mia pagina. Tutto inizia dalla fiducia». Ma ora che l’emergenza pandemica è più o meno finita e che le persone sono tornate a comprare in profumeria e farmacia, ci sarà un impatto su questo canale di vendita? Il futuro sarà omnichannel, anche nel social selling: «Reale e virtuale si alimentano l’un l’altro - conclude Roberta Alberton -. Se è vero che la consulente attiva solo in modalità fisica perde molte opportunità, è vero anche il contrario, per chi lavora esclusivamente sul web. Le due dimensioni devono compenetrarsi: l’ideale è utilizzare i social e parallelamente coltivare una comunità offline».
Presente in Italia dal 1984, il marchio ha continuato a conquistare posizioni, grazie a un doppio canale: il retail e il social selling, che oggi nel nostro Paese rappresenta l'80% del fatturato
È il lontano 1959 quando Monsieur Yves Rocher , nella soffitta della casa di famiglia del villaggio di La Gacilly, in Bretagna, sperimenta nuove formule di “Cosmétique Végétale” per rivoluzionare il mondo beauty tradizionale, a favore di una bellezza in sintonia con la natura. Da allora quell’idea pionieristica ha messo le basi per lo sviluppo di un fiorente impero, che oggi vanta un giro d’affari globale pari a 2,4 miliardi di euro (nel 2021) e una presenza internazionale. Anche in Italia. Dal 1984 il marchio è attivo nel nostro Paese attraverso una rete di monomarca e la cosiddetta “vendita diretta”, che oggi - sulla spinta della digital revolution - si è trasformata nel più moderno social selling. Carlo Bertolatti, ge neral manager Yves Rocher Italia, ci racconta come il nostro mercato abbia saputo sfruttare la potenza della Rete durante la pandemia, riuscendo a trasformarla nel driver del social selling per tutto il gruppo.
Il gruppo è francese, ma l’Italia gioca un ruolo di primo piano in Yves Rocher... Esatto. Siamo il secondo Paese per fatturato, con ricavi che nel 2021 sono arrivati a 230 milioni di euro, dai 38 milioni del 2010, e siamo in cima alla lista sul fronte del social selling tra i vari mercati del gruppo, prima di Messico, Portogallo e Thailandia. Un canale che rappresenta l’80% del nostro giro d’affari.
Una formula che ha preso piede soprattutto con la pandemia...
Prima del Covid poche venditrici avevano dimestichezza con i social, ma da quegli esperimenti di successo l’azienda ha saputo costruire un suo modello coerente e uniforme, pur lasciando grande spazio alla creatività delle venditrici. Oggi in Italia sono circa 200mila le consulenti di bellezza, 370 le responsabili di zona, 6mila le capogruppo e 8 i direttori generali, con una presenza capillare su tutto il territorio nazionale.
Che profilo hanno le vostre esperte di bellezza?
Nessun profilo specifico. C’è chi diventa consulente solo per avere accesso agli sconti del marchio, in quanto fan dei nostri
prodotti beauty, chi vuole arrotondare e lavora part-time e chi invece ne fa una vera professione, con guadagni significativi e una formazione costante a 360 gradi fornita dall’azienda. Inoltre c'’è chi è portata per le live e chi invece predilige ancora il format “tradizionale", in modalità fisica
L’80% del giro d’affari di Yves Rocher in Italia è dato dal social selling. E il restante 20%?
Dal retail. Yves Rocher ha una solida presenza nel canale monomarca con 112 negozi, di cui una trentina in franchising. Dal 2015 in poi abbiamo accelerato con le aperture, una decina ogni anno, e fatto un grande lavoro di marca, insistendo sulla coerenza, a livello di prodotto, immagine e prezzo, dei due principali canali di vendita.
L’e-commerce che ruolo occupa nelle strategie del gruppo?
Abbiamo un e-shop, che per noi è soprattutto una membership. Da luglio scorso qualsiasi utente può andare sul sito e fare shopping, ma dopo la prima interazione Yves Rocher mette subito a disposizione l’expertise delle sue consulenti, in modo che l’acquisto sia su misura dell’acquirente e personalizzato. Questa esperienza online rappresenta un servizio aggiuntivo, che affianca ma non sostituisce, il prezioso lavoro delle nostre esperte di bellezza.
Lo shopping sarà però sempre più omnicanale...
Dopo il Covid il cliente è ancora più esigente sul fronte dei prodotti e dell’esperienza. La fascia di chi compra online si è allargata. Al tempo stesso molte persone sono tornate nel negozio fisico. Ne consegue che è fondamentale avere una strategia unica. In futuro l’osmosi tra i vari canali sarà ancora più marcata.
Prossime sfide?
Quella del 2025. Fra tre anni il gruppo Yves Rocher punta a diventare BCorp. Per noi è un traguardo importante, dopo essere diventati società Benefit nel 2021. Il rispetto della natura e dell’ambiente è sempre stato il nostro faro, sin dal 1959.
Fondato nel 2007 da Luigi Zacco, il gruppo ha costruito il suo successo nella Sicilia orientale con le due insegne Spot e BonK, entrambe in crescita, cui si aggiunge una rete di negozi in affiliazione. Parole d’ordine forte identità, servizio, esperienza e qualità dell’offerta.
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Una visione imprenditoriale solida e al tempo stesso dinamica, capace di anticipare i trend di mercato, contraddistingue il Gruppo Zacco. I numeri parlano da soli: questa realtà operante nella Sicilia orientale, fondata nel 2007 da Luigi Zacco e che dà lavoro a 200 persone, può contare su più di 50 negozi con una superficie di vendita complessiva di 18.000 metri quadri, dove vengono commercializzati 400 marchi nazionali e internazionali, per un totale di oltre 1 milione di capi venduti ogni anno. Due le aree di business: il retail, con le insegne Spot e BonK e una rete di negozi in affiliazione con altre insegne, e l’ospitalità tramite Keys of Sicily, sinonimo di case vacanze e ville a Modica, Marina di Modica e dintorni.
Spot: un concept evocativo, ora anche online Forte l’identità dei nove punti vendita Spot, cui se ne aggiungeranno due nella prossima primavera, a Catania e a Gela (Caltanissetta), quest’ultimo su una superficie di oltre 1.500 metri quadri. Spot si distingue grazie a un concept evocativo e dallo stile urban, dove l’acquisto di abbigliamento, calzature e accessori per
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uomo, donna e bambino fa parte di una shopping experience immersiva, studiata in base ai concetti di community, inclusività e appartenenza. Il servizio offerto e la qualità dei prodotti venduti sono due facce della stessa medaglia e, non a caso, negli ultimi anni la clientela è aumentata in modo esponenziale. Il 2022 ha segnato per Spot l’ingresso nell’omnicanalità, con un sito di e-commerce che effettua spedizioni in Italia e nel mondo, applicando all’online la ricetta di successo creata da Luigi Zacco fin dalle origini: affidabilità, ricerca, capacità di pensare in grande ma senza mai perdere di vista il fattore umano.
1. Luigi Zacco, fondatore nel 2007 del Gruppo Zacco
2. L’esterno di BonK, un vero concept store prima che un contenitore di moda
3. La sartoria a vista all’interno di BonK
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. L’nterno di Bonk
5. Un immagine di Spot: l’insegna è entrata da poco anche nel canale online
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BonK: molto più di un negozio Ha l’eleganza delle boutique più esclusive e lo stile fresco ed eterogeneo di un concept store: benvenuti da BonK, spazio dedicato alla moda e al fashion, dove scoprire le ultime tendenze ma anche lasciarsi coccolare da uno shopping su misura. Aperto nel febbraio 2019 a Modica, con i suoi ambienti ampi e luminosi, estesi su oltre 2mila metri quadri, BonK è un concept store più che un contenitore di moda, grazie a un format moderno e innovativo. In primo piano le collezioni e le novità di oltre 150 brand uomo e donna, italiani e internazionali, attenti all’artigianalità, alla qualità e al consumo eco-friendly: un crocevia di stili, dal casual all’elegante, dalla cerimonia al partywear più glamour, sul filo conduttore dell’eccellenza e della ricerca. Lontano dallo shopping frenetico, superficiale e compulsivo, BonK è studiato per far vivere alle persone un’esperienza d’acquisto coinvolgente e personalizzata. Di giorno la sua cornice elegante e i reparti studiati con cura valorizzano i prodotti, mettendoli in primo piano in nome di una customer experience unica e intuitiva. La sera BonK si trasforma in un palcoscenico esclusivo dedicato a mostre, performance, presentazioni di libri e jam session, aprendosi al territorio. Due versioni di uno stesso mondo, che ruota costantemente intorno al cliente e alle sue esigenze, avvalendosi di uno staff preparato e attento ai dettagli, pronto a dispensare consigli e a far scoprire le diverse anime dello store. Una particolarità e un punto d’orgoglio è la sartoria a vista: si trova nel cuore di BonK ed è sempre a disposizione per rispondere alle esigenze dei singoli clienti, rendendo ogni capo unico, ricercato e inimitabile.
Scatta l’intesa tra uno dei lanifici più antichi del mondo e un nuovo marchio di abbigliamento femminile. Con i suoi oltre 350 anni di storia alle spalle, Vitale Barberis Canonico punta su Vi to Vi, giovane brand disegnato da Maria Vittoria Lazzarini Merloni, che ha realizzato una capsule per la FW 23/24 utilizzando i tessuti dell’azienda biellese: dalla classica flanella cardata a un tessuto armaturato che ricorda il corduroy francese, con costa alternata tra larga e sottile, fino alla stoffa da giacca mouliné fantasia. «Di Vi to Vi apprezzo soprattutto la cura dei dettagli e il modo di concepire da un punto di vista femminile il tipico blazer maschile, grazie al talento e alla visione della stilista», dice Francesco Barberis Canonico. «L’idea di realizzare un brand partendo appunto dal blazer, capo associato all’uomo - aggiunge Maria Vittoria Lazzarini Merloni (nella foto in alto con Barberis Canonico) - nasce dalla volontà di creare qualcosa di forte. La giacca rivela immediatamente chi sei. Il nostro è un incontro tra due realtà made in Italy, che hanno in comune i valori dell’impresa familiare. In Vbc ho respirato heritage e dedizione alla ricerca della perfezione, un patrimonio di esperienza che arricchisce le mie creazioni». Non è la prima volta che il lanificio sostiene gli emergenti: da anni, sotto l’hashtag #VBCTalents, svolge formazione nelle scuole e ospita nell’impianto di Pratrivero studenti e futuri designer. I capi, presentati in anteprima durante la Milano Fashion Week di febbraio con una serata evento nella showroom di Vitale Barberis Canonico, saranno in vendita online sul sito vitovi.it nell’autunno-inverno 23/24. (a.b.)
In memoria di Wanda Ferragamo, scomparsa nel 2018, è nata la Wanda Ferragamo Scholarship, ideata dalla famiglia e dal presidente Leonardo Ferragamo. «Mia madre - dice l’imprenditore - ha tracciato il suo lungo cammino consapevole che una via di successo si costruisce con l’aiuto di tutti, il lavoro di squadra, obiettivi comuni e con l’inclusività. A lei stavano a cuore la sua famiglia, l’azienda, i dipendenti e i giovani. Siamo orgogliosi di avere istituito la Wanda Ferragamo Scolarship nel suo ricordo e a suo nome». L’iniziativa, rivolta ai figli dei dipendenti del gruppo in tutto il mondo, mette a disposizione tre borse di studio annuali, dedicate a ragazzi e ragazze che abbiano conseguito un titolo di studio universitario ottenendo risultati eccellenti. I premiati sono Francesco Sveldezza, Lorenzo Stefanelli e Sara Posati (a.b.)
I designer contemporanei cercano risposte per se stessi e i loro brand, sondando le emozioni che incontrano e riversandole in collezioni che si rivelano vibranti, colorate e fitte di geometrie. Un viaggio che sfocia nella ricchezza di nuovo sapere. Anche noi, come loro, riscopriamo il piacere di vestirci, respirando le atmosfere di luoghi lontani
DI ALBERTO CORRADOSatoshi Kuwata, artefice del brand Setchu, ha viaggiato a lungo in Giappone e nel mondo, costruendo un know how unico su molte tradizioni diverse. Lui stesso è l’incarnazione perfetta della filosofia di stile del suo marchio, che fonde concetti giapponesi con elementi occidentali. Ispirandosi a oggetti classici, Satoshi crea capi semplici ma funzionali attraverso l’infusione di un'etica del design in prodotti di moda e lifestyle, essenziali nella loro stessa natura. Gli archetipi del guardaroba maschile vengono reinterpretati con tecniche ispirate all’origami e al kimono, secondo le regole sartoriali. Tutta la produzione è realizzata da fabbriche di beni di lusso in Italia e in parte in Giappone.
Il progetto di Lieke Pansters, designer e weaving artist olandese, è frutto di una riflessione: Lieke alza lo sguardo e si chiede se i ritmi della comunicazione e della catena produttiva cui ci siamo adattati non siano, paradossalmente, diventati anacronistici. La sua risposta è un lavoro di ricerca alle origini dei processi creativi, seguendo una tecnica di tessitura tubolare e deformabile, quasi senza cuciture. Tecnica che non prevede né tagli, né sprechi di tessuti. Il materiale scelto è la lana, che viene prima tessuta su telaio. In seguito i capi vengono immersi in acqua calda bollente e infeltriti, per ottenere inaspettati effetti sulla superficie.
Constance Ponti, founder del brand Object Particolare Milano, cresce tra Parigi e Milano, città nelle quali approfondisce la sua passione per l’arte e la moda. Grazie a questa vocazione artistica diventa attrice, regista e nel frattempo crea il marchio. Con questo progetto si pone come obiettivo quello di creare borse con un ottimo rapporto qualità-prezzo. Nascono così collezioni che derivano sempre da una fonte artistica: simile a un’opera d’arte, ogni borsa è unica, così come la persona che la sceglie.
Unica nel suo genere e con una giuria d’eccezione, la manifestazione premia le eccellenze delle fashion school italiane, anche grazie a un Main Partner come YKK Italia, in prima linea nell’innovazione e nel supporto alla creatività.
Sostenere i giovani e alimentare le loro potenzialità è una priorità per Camera Nazionale della Moda Italiana, che, non a caso, ha voluto aprire l’ultima edizione della Milano Fashion Week Women’s Collection con la sfilata-evento finale dell’ottava edizione di Milano Moda Graduate, manifestazione dedicata alle eccellenze delle scuole di moda italiane, presentata dalla cantante, attrice e creator Loretta Grace e ospitata all’ADI Design Museum. A valutare le creazioni dei giovanissimi stilisti una giuria di eccezione, presieduta da Renzo Rosso, di cui facevano parte imprenditori, buyer, designer, talent scout, titolari di showroom e giornalisti: Paola Alvear, Giuseppe Angiolini, Giampietro Baudo, Lorenzo Bertelli, Gianluca Cantaro, Carlo Capasa, Massimo Ferretti, George Fountas, Tyler French, Riccardo
Grassi, Jodi Kahn, Stefano Martinetto, Gigliola Maule, Suzy Menkes, Laura Milani, Angela Missoni, Federica Montelli, Luca Moscon, Tomoya Nakahata, Kerry Olsen, Giacomo Piazza, Stefano Roncato, Alessandro Sartori, Sara Sozzani Maino, Marco Vianello e Yoshimasa Hoshiba. Questa ottava edizione, che ha visto Sofia Masciotta dell’Accademia di Costume & Moda ricevere il Camera Nazionale della Moda Italiana Fashion Award, ha avuto ancora una volta YKK Italia come Main Partner, con una sezione interamente dedicata vinta da Gaia Invernizzi dello Ied-Istituto Europeo di Design. Gaia ha avuto la meglio tra dieci allievi delle fashion school italiane, cui è stato chiesto di creare un outfit speciale focalizzato sull’utilizzo degli accessori da chiusura, core business di YKK. A consegnarle il YKK Prize, consistente in una somma di
denaro e una fornitura di prodotti YKK per un anno, il presidente di YKK Italia, Tomoya Nakahata. Un modo concreto per ribadire il forte legame tra la grande realtà giapponese e il made in Italy, con una mission condivisa: investire su una creatività che si tramanda attraverso le generazioni, come del resto è successo a YKK nei suoi quasi 90 anni di storia all’insegna dell’innovazione continua. Una menzione speciale da parte di Vogue Italia è andata a Nicola Cesaro, dell’Università Iuav di Venezia, cui Vogue.it dedicherà un editoriale esclusivo. Milano Moda Graduate rappresenta un progetto unico, in cui trovano spazio tutte le professionalità del fashion system e che garantisce ai ragazzi un percorso di mentoring. Per la quinta volta, infatti, Camera Nazionale della Moda Italiana offre agli studenti un “percorso educational”, costituito da workshop e consulenze specifiche su vari temi. Diversi gli appuntamenti che si sono svolti e in programma, a proposito di sostenibilità, tecniche di produzione, trend e mercati internazionali, comunicazione digitale. Tra i mentor ancora YKK Italia in pole position, insieme a TikTok, Mattori Studio, Ratti, Colombo Gruppo Industrie Tessili e Showroom Guffanti.
CAMERA NAZIONALE DELLA MODA ITALIANA for CARLOTTA CIVOLANI CARLO CAPASA, TOMOYA NAKAHATA, MASSIMO FERRETTI SOFIA MASCIOTTA, RENZO ROSSO YUNJIA GUO LAURA FINIZIO FRANCESCA BARBERIO MATTEO CALANDRINI GAIA INVERNIZZI GLORIA CHIRIVÌ FILIPPO BENDANTI SHUANG SONG CRISTINA STURNIOLO TOMOYA NAKAHATA, GAIA INVERNIZZIMenswear sotto la lente
Il punto sul sell out della FW 22/23
Si chiude un periodo in cui, al netto della holiday season, vince uno stile più orientato allo sportswear che al formale e, a livello di vendite, si riscontra nel 75% dei casi una tenuta o una crescita. Sul budget per la FW 23/24 pesa tuttavia il timore di incognite in un mercato poco decifrabile. L'online è visto sia come arma per espandere il business, sia come terra di frontiera dove urgono regole più chiare
DI ALESSANDRA BIGOTTAUna stagione dall’andamento non omogeneo, la FW 22/23, secondo gli oltre 40 dettaglianti che hanno partecipato al nostro sondaggio. Infatti, se per il 40% il sell out è cresciuto rispetto a un anno fa (con punte anche del +25%), il 35% denota una stabilità ma un non trascurabile 25% segnala un calo, a volte persino del 15%, forse anche per il caldo che si è protratto ben oltre gli inizi di novembre, incidendo negativamente sulle vendite dei capispalla più pesanti. Ma c’è un altro fattore da tenere in considera-
zione, ossia la tempistica sempre più scollata tra online e offline. Come fanno notare alcuni interpellati, a inizio dicembre per chi è molto esposto sull’e-commerce il quadro è già chiaro, visto che soprattutto sul web gli sconti iniziano ben prima del Black Friday e quest’ultimo dà spesso una bella impennata alle vendite. Invece chi si affida prevalentemente al fisico spesso resiste alla tentazione dei prezzi ribassati del “venerdì nero” - nel caso del nostro sondaggio si parla di un 64% di intervistati - confidando, non senza timo-
Di Melissa Dixon, Direttrice, Content Marketing, BigCommerce
In qualità di piattaforma e-commerce leader nel settore, BigCommerce ha potuto osservare direttamente i cambiamenti nel comportamento dei consumatori e il loro impatto sull’industria della moda e sull’ecommerce in generale. Tra una pandemia in continua evoluzione, una catena di approvvigionamento in difficoltà e una serie di progressi tecnologici, i rivenditori hanno dimostrato un’incredibile capacità di recupero, affrontando le sfide uniche degli ultimi anni con grazia e stile.
Nella prima metà del 2022, i rivenditori BigCommerce nel campo della moda e dell’abbigliamento in tutto il mondo hanno registrato un aumento del 3% in termini di valore lordo della merce (GMV), rispetto al primo semestre del 2021. Nonostante la tendenza al rialzo, il GMV complessivo dei rivenditori BigCommerce di qualsiasi settore nel mondo ha registrato una crescita del 6% anno su anno (YoY). Questo suggerisce un ritardo dell’industria della moda, nell’ambito dell’intero panorama e-commerce.
In particolare, durante la prima metà del 2022 sembra che siano i rivenditori di moda in Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA) quelli più in difficoltà, con una diminuzione del 15% in termini di GMV e del 23% in termini di ordini totali tra il primo e il secondo trimestre.
Tra gli aspetti positivi, tuttavia, il fatto che il valore medio per ordine (AOV) per i rivenditori di moda dell’area EMEA è cresciuto del 10% YoY tra il primo semestre del 2021 e il primo semestre del 2022.
Il calo in termini di GMV registrato dal settore della moda nell’area EMEA può essere riconducibile a vari fattori, prima tra tutti l’inflazione. Bloomberg riferisce che molti acquirenti europei stanno attualmente cercando di ridurre le spese, affidandosi più frequentemente a sconti e marchi meno costosi. Altra considerazione è che il mercato si sta semplicemente riadattando dopo l’esplosione senza precedenti dell’e-commerce nel corso della pandemia, e molti utenti stanno tornando ai negozi fisici per i propri acquisti nel settore dell’abbigliamento.
Indipendentemente dal motivo dietro alle attuali tensioni nel mercato, è essenziale che i rivenditori di moda proseguano con le proprie strategie di acquisizione e fidelizzazione dei clienti. Abbiamo quindi intervistato i rivenditori BigCommerce del settore, per sapere cosa ne pensano, e abbiamo combinato le informazioni da loro fornite con i nostri dati proprietari per offrire ai lettori strategie comprovate e consigli pratici.
Come sempre, l’obiettivo di BigCommerce è quello di aiutare le imprese grandi e piccole. Speriamo quindi che questi approfondimenti possano contribuire al successo futuro dei rivenditori di moda nell’e-commerce.
Non dovrebbe sorprendere che l’industria della moda e dell’abbigliamento sia considerata una trend setter, sia sulle passerelle che online. Guardando al passato, ecco alcune tendenze e-commerce importanti che stanno plasmando questo settore così dinamico.
In un recente sondaggio inviato ai rivenditori BigCommerce, il 44% dei partecipanti dichiara come priorità l’ottimizzazione dell’esperienza del cliente tramite una presenza omnicanale, un’assistenza clienti potenziata e un servizio di spedizione migliorato. Il 20%, invece, ha menzionato specificatamente la vendita omnicanale. L’8% dei partecipanti ha inoltre affermato che la soluzione Acquista e ritira in negozio ha giocato un ruolo fondamentale per la propria attività nel 2021.
Il social commerce è un’altra parte essenziale di qualsiasi strategia omnicanale. L’evoluzione è stata graduale, ma chiara a chiunque trascorra il proprio tempo sui social media. L’attrito relativo alla vendita e all’acquisto tramite canali come Instagram e TikTok è tutt’altro che scomparso.
È interessante notare che il 48% dei partecipanti al sondaggio ha citato i social media o il social commerce come la tendenza di acquisto o la tecnologia con il maggiore impatto sulla propria attività in generale nel 2021.
I dati dei rivenditori BigCommerce confermano questa tendenza. I rivenditori di moda che vendono su Instagram hanno registrato un aumento del 741% YoY nel numero totale di ordini, nel primo trimestre del 2022, rispetto al primo trimestre del 2021.
Qual è il futuro del social commerce? I rivenditori e i consumatori stanno già godendo dei vantaggi di questa tendenza di acquisto in tempo reale emergente. Se vuoi semplificare la scoperta e l’acquisto dei tuoi prodotti, Instagram, Facebook e TikTok sono la strada giusta.
Scopri di più sulle piattaforme social, sui marketplace e sui motori di ricerca principali nell’area EMEA, e su come connetterti, nella nostra Guida all’omnicanalità.
Basta guardare Google Trends per scoprire che i consumatori stanno dando la priorità alla sostenibilità. Infatti, i dati di ricerca mostrano che l’interesse mondiale per il termine “prodotti sostenibili” è aumentato, negli ultimi cinque anni.
In un recente sondaggio inviato a oltre 4.000 acquirenti online negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, in Italia e in Australia, e commissionato da BigCommerce a Profitwell, i partecipanti hanno affermato che la sostenibilità è molto importante (32%) o abbastanza importante (52%) quando si tratta di prendere una decisione di acquisto.
I CONSUMATORI VOGLIONO ACQUISTARE DAI MARCHI CHE HANNO A CUORE LA SOSTENIBILITÀ.
La Generazione Z ha ancora più a cuore il tema: solo l’8,5% dei partecipanti appartenenti a questo gruppo si è infatti dichiarato indifferente alla sostenibilità, contro il 27% della categoria Baby Boomer.
Tenendo a mente questi dati, i marchi di moda odierni dovranno investire nella sostenibilità e mettere in evidenza i propri sforzi tramite il proprio sito e-commerce e le proprie strategie di marketing, se vogliono attrarre i consumatori e convertirli in clienti, specie se si rivolgono ai più giovani.
Leggi il nostro Report sui consumatori globali: tendenze di acquisto attuali e future per ottenere un approfondimento sulle tendenze comportamentali che potrebbero avere un impatto sul tuo business.
Altro fattore cruciale per le aziende nel 2021 si rivela, secondo i rispondenti al sondaggio (con l’esclusione delle risposte non categorizzate), l’offerta di “metodi di pagamento multipli”. Questo include opzioni come “Acquista ora, paga in seguito” (BNPL), le criptovalute e i portafogli digitali.
Vale la pena notare che il 25% dei partecipanti dichiara che la flessibilità nei pagamenti si è rivelata l’elemento di maggior impatto per la propria azienda. E considerato l’aumento dei consumatori che utilizzano metodi di pagamento alternativi, questa risposta ha decisamente senso. Nel sondaggio di BigCommerce condotto in collaborazione con PayPal nel 2021 e inviato ai consumatori di Stati Uniti, Regno Unito e Australia, il 35,2% dei consumatori aveva evidenziato i portafogli digitali come metodo di pagamento preferito per gli acquisti online. La percentuale aumenta ulteriormente per gli acquirenti del Regno Unito (45,8%).
PayPal ha inoltre scoperto che PayPal Pay Later aiuta a incrementare le vendite e il coinvolgimento per i rivenditori nel settore della moda: per i commercianti di moda, cosmetici e gioielli negli Stati Uniti, in Francia, in Germania e nel Regno Unito c’è stato un aumento del 62% delle transazioni e del 57% di TPV.1
Inoltre, in un sondaggio globale più recente condotto da BigCommerce quest’anno, alla domanda “Quale metodo di pagamento hai utilizzato per gli acquisti online” il 16% dei partecipanti ha menzionato la soluzione “Acquista ora, paga in seguito”. Coloro che dichiaravano di averla utilizzata erano per lo più residenti negli Stati Uniti (36%), nel Regno Unito (26%) e in Australia (30%). È interessante notare che i consumatori in Italia e Francia hanno menzionato questa modalità con molta meno frequenza.
Il risultato è chiaro: offrire ai potenziali acquirenti più opzioni di pagamento influenza positivamente le vendite al dettaglio nel campo dell’e-commerce.
Offrendo Paga in 3 rate di PayPal, aiuterai i clienti ad acquistare ciò di cui hanno bisogno, quando ne hanno bisogno. Possono semplicemente acquistare ora e pagare dopo senza interessi o tariffe di ritardo.
Inoltre, i banner promozionali di Paga in 3 rate hanno una funzione smart che calcola il costo del prodotto selezionato e presenta le opzioni di rateizzazione al cliente mentre consulta i prodotti in vendita. Aggiungere i banner di Paga in 3 rate ti aiuterà a migliorare la fidelizzazione, i tassi di conversione e il valore medio degli ordini.
I consumatori cercano modi intelligenti e flessibili di pagare, aiuta ad aumentare le conversioni con Paga in 3 rate.
Le tecnologie emergenti promettono di portare i maggiori vantaggi proprio all’industria della moda. Ormai, esiste la possibilità di offrire agli utenti l’opportunità di scegliere il giusto prodotto dal comfort del proprio divano, e di garantire loro un’esperienza di pagamento fluida.
Alcune aree pronte per fare il passo successivo sono l’esperienza dell’utente (UX), la realtà aumentata (AR), le esperienze di acquisto nel metaverso e l’intelligenza artificiale (AI).
La reattività nei confronti del modo in cui i clienti interagiscono con i negozi di moda è essenziale per crescere e mantenersi competitivi.
BigCommerce ha parlato con il marchio di moda Natori sull’importanza di mantenere la rotta nel viaggio del front-end, se l’obiettivo è quello di offrire un’esperienza ottimizzata per l’utente.
L’azienda ha citato la propria collaborazione con il partner di BigCommerce Groove Commerce come elemento chiave del proprio successo.
“I nostri utenti scoprono il nostro marchio e utilizzano i nostri prodotti prevalentemente tramite il nostro sito web. Il team di Groove è stato decisivo, poiché ci ha permesso di creare un’esperienza di alto livello che ci aiuterà a connetterci digitalmente con i consumatori. Siamo davvero orgogliosi di poter presentare al cliente l’assortimento più ampio di prodotti a marchio Natori ovunque nel mondo.”
Per raggiungere questo obiettivo è stato necessario trovare l’equilibrio perfetto tra forma e funzionalità. Ethan Giffin, fondatore e CEO di Groove, spiega: “Per un marchio come Natori, il design e la funzionalità del sito hanno lo stesso peso. Il nostro obiettivo è stato dare vita al marchio creando un’esperienza di acquisto che combinasse in modo efficace le migliori pratiche di merchandising con la storia unica di Natori.
Ethan Giffin, fondatore
“IL NUOVO SITO WEB IMMERGE L’ACQUIRENTE IN UN’ESPERIENZA STIMOLANTE DA UN PUNTO DI VISTA ESTETICO, CONSENTENDOGLI AL CONTEMPO DI SCOPRIRE E SCORRERE I PRODOTTI IN MODO RAPIDO E NATURALE.”
e CEO di Groove
Mark Howes, Vicepresidente, Settore Vendite EMEA per BigCommerce, lo spiega in questo modo:
Il segreto di un’esperienza utente solida risiede in parte nell’agilità. E l’headless commerce, o la separazione tra il front-end e il backend di un negozio, offre ai rivenditori proprio questo.
“I sistemi tradizionali hanno funzionato bene per anni, ma la tecnologia e il panorama dei clienti si sono evoluti rapidamente. Le aziende devono adottare un nuovo approccio alla gestione dei contenuti. Ed è qui che entra in gioco l’headless commerce.
“L’headless commerce è incentrato sulla capacità di adattare velocemente l’offerta e di fornire ai clienti la possibilità di interagire col marchio nel modo che preferiscono.”
E per dissipare ogni dubbio su quali dovrebbero essere le priorità di un marchio di moda che desidera offrire un’esperienza flessibile all’utente, Howes afferma:
Ascolta il nostro podcast “What Headless Commerce Really Means for Your Business” per scoprire di più sul potenziale dell’headless.
Si prevede che il mercato della realtà aumentata raggiungerà 78 miliardi di dollari entro il 2028. In questa previsione, l’adozione dell’AR da parte di negozi fisici e digitali che desiderano migliorare l’esperienza di acquisto gioca un ruolo fondamentale. Visualizzare vari modelli e colori di un capo o di un accessorio senza doverli provare singolarmente sembrava, fino a pochi anni fa, pura fantascienza. Ora, invece, è destinato a definire l’esperienza di acquisto digitale dei consumatori più esigenti.
Allo stesso modo, la possibilità di interagire con la rappresentazione tridimensionale e ad alta definizione di un prodotto in tempo reale regalerà agli acquirenti quel pizzico di sicurezza in più che serve per ultimare un acquisto. Gli utenti vogliono poter esaminare dal vivo i prodotti, prima di comprare. Ora potranno farlo dai propri dispositivi mobili e con i propri visori per la realtà aumentata.
BigCommerce ha intervistato Marc Uible, VP della divisione Marketing and Alliances di ThreeKit’s configuratore di prodotti a realtà aumentata, per il Make It Big Podcast per conoscere la sua opinione su come e perché i rivenditori di moda dovrebbero adottare questa tendenza. Questo il consiglio di Marc:
“
CIÒ CHE CONSIGLIAMO AI NOSTRI CLIENTI
È DI PROVARE. INIZIARE DA UN SOLO PRODOTTO. SPERIMENTARE. L’ROI È ASSICURATO, PERCHÉ GLI UTENTI AMANO
QUESTO TIPO DI ESPERIENZA… A QUEL PUNTO, PROVA IN MANO, SARÀ PIÙ FACILE ESTENDERLA A PIÙ PRODOTTI.”
Consigliamo quindi di iniziare in piccolo testando alcuni prodotti, per scoprire cos’è che davvero coinvolge il tuo pubblico, prima di investire troppo tempo e risorse nell’AR.
In generale, si tratta di un’opportunità per provare nuove tecnologie con le quali ancora non si ha esperienza.
Il metaverso è una rete di realtà virtuale che offre esperienze sociali e di acquisto in tempo reale e che ha dominato le notizie nel campo della tecnologia dell’ultimo anno. Sapevi, però, che il metaverso ha promesso di cambiare per sempre la nostra esistenza coniugando la nostra insaziabile fame di informazioni con la capacità di viverle in modo tattile e coinvolgente?
Tornando al nostro sondaggio, abbiamo scoperto che il numero di consumatori disposti a fare acquisti nel metaverso è più o meno uguale a quello di coloro che non ne vogliono sapere (rispettivamente, il 46 e il 52%). Abbiamo inoltre potuto notare che i consumatori in Australia sono quelli più ben disposti (52%), mentre quelli in Francia i più diffidenti (35%).
Quindi, sebbene il metaverso abbia il potenziale per trasformarsi e cambiare, è ancora troppo immaturo, allo stato attuale. Allo stesso tempo, però, marchi come Nike or Nike, Hermes e Gucci hanno già espresso il proprio interesse, investendo in NFT (Non-Fungible Tokens) per generare coinvolgimento nel futuro del metaverso nel campo del retail.
BigCommerce ormai osserva questa tendenza da qualche tempo. Ci sono vari modi in cui l’intelligenza artificiale può avere un impatto sull’e-commerce.
Nella maggior parte dei casi, essa genera flussi di lavoro ottimizzati e automatizzati per il rivenditore e un’esperienza fluida per il cliente.
I commercianti che cercano un modo per limitare il numero di resi, ad esempio, hanno iniziato a implementare soluzioni di intelligenza artificiale per ridurre l’impatto sui profitti.
Per i rivenditori di moda interessati a utilizzare l’AI nel 2022, il nostro partner Bloomreach ha sviluppato una guida dettagliata.
Abbiamo esaminato le ultime tendenze nel campo dell’e-commerce e discusso delle tecnologie che plasmeranno l’esperienza dei clienti in futuro. Ma in che modo i marchi di moda stanno mettendo in pratica tutto questo? Diamo uno sguardo a questi brand BigCommerce per scoprirlo.
ESEMPI REALI DI MARCHI LEADER NEL SETTORE DELLA MODA E DELL’ABBIGLIAMENTO Di Shelley Kilpatrick, Manager, Content Marketing, BigCommerceDEI CLIENTI.
Il marchio italiano La Perla, che produce lingerie, abbigliamento da notte e costumi da bagno di lusso, è stato creato da Ada Masotti, donna di talento che aprì il suo primo atelier di corsetti nel 1954. Da allora, l’azienda è diventata leader globale nel mercato della moda di lusso, combinando decennio dopo decennio design e creatività per innovare, adattandosi continuamente alle necessità, alle taglie e ai gusti dei propri clienti.
Non sorprende quindi che, quando il marchio è stato rilanciato con BigCommerce nel 2020, si sia servito di partner multipli per creare un’esperienza di alta qualità per i clienti nei propri negozi online. Ne è un esempio significativo Like Digital & Partners
L’agenzia è riuscita a completare l’intero re-platforming tramite tecnologie MACH (microservizi, API-first, cloudnative e headless), che l’hanno aiutata a creare una strategia commerciale omnicanale mobile-first e userfocused a lungo termine in Europa, Medio Oriente, Stati Uniti e Asia.
Un altro esempio che dimostra come La Perla sia in grado di creare esperienze online all’avanguardia è il suo Fitting
Lab. Seguendo delle istruzioni dettagliate, complete di immagini e brevi filmati, i clienti possono trovare il modello adatto a loro. Il camerino virtuale non solo aiuta i clienti a trovare il capo che cercano, ma risparmia all’azienda un gran numero di resi.
Like Digital & Partners non è l’unico partner cui La Perla ha deciso di affidarsi. In effetti, la società si è servita di vari collaboratori tecnologici e app chiamati a integrarsi con la piattaforma di BigCommerce:
\ Attraqt per migliorare la navigazione e i filtri
\ Shogun per costruire pagine dei contenuti creative
\ Klarna per offrire piani di pagamento alternativi
\ Quantum Metric per analizzare le metriche con lo scopo di ottimizzare costantemente il design del prodotto
\ Flashtalking, Google Remarketing, Pinterest, Facebook e Rakuten per pubblicizzare i propri prodotti e vendere su più canali
\ Global-e per espandersi a livello internazionale e creare esperienze di e-commerce localizzate
MODA E E-COMMERCE: TUTTE LE SFACCETTATURE DELLA VENDITA ONLINE DI OGGI E DI DOMANIJosie Natori, fondatrice e CEO della Natori Company, ha letteralmente costruito il proprio impero dal nulla, iniziando a disegnare la propria linea di lingerie seduta sul pavimento di casa oltre 40 anni fa.
Suo figlio, Ken Natori, si è unito all’azienda di famiglia nel 2007, iniziando dal basso e lavorando sodo fino a guadagnarsi la nomina di presidente. Sotto la sua direzione, la società ha costruito un’attività D2C florida, con l’ecommerce a far da guida.
Le vendite online iniziarono nel 2008, e dopo otto anni Ken Natori realizzò che se voleva avere la possibilità di scalare a piacimento, avrebbe avuto bisogno di una piattaforma che offrisse maggiori funzionalità pronte.
“Il team Natori dedicato all’e-commerce è piuttosto piccolo. Per questo, avevamo bisogno di una piattaforma che ci consentisse di mantenere il sito in modo facile ed efficiente. E BigCommerce ci ha decisamente aiutati in tal senso”, racconta Mariah Hager, Ecommerce and Social Media Manager presso The Natori Company.
Come spiegato nelle pagine precedenti, il brand ha sfruttato la versatilità della piattaforma per concentrarsi sulla propria esperienza del front-end. Ha ottenuto il massimo dalle varie app disponibili per restare in contatto con i clienti su tutti i canali.
“L’accesso alle API aperte di BigCommerce, il suo mercato di app, che offre partner e soluzioni pronte a soddisfare quasi tutte le esigenze, la nostra funzionalità di script manager e, sicuramente, l’espansione omnicanale , sono elementi che rendono la piattaforma una risorsa importante per il successo di Natori”, ha dichiarato Colin Talbot, Ecommerce and Digital Marketing Specialist per The Natori Company.
“
Guardando al futuro, Natori si sta concentrando sulla fedeltà al marchio, tenendo attentamente d’occhio le innovazioni che andranno a servire i suoi clienti:
CERCHIAMO SEMPRE DI INNOVARE E
FACCIAMO DEL NOSTRO MEGLIO PER RESTARE COMPETITIVI. [...] PREFERIAMO
LIMITARCI NELLA CRESCITA, IN MODO
DA OFFRIRE UN SERVIZIO PIÙ COERENTE
E ASSICURARCI DI MANTENERE LA FEDELTÀ AL MARCHIO, PIUTTOSTO CHE
ESPANDERCI A DISMISURA SOLO PER IL GUSTO DI FARLO.”
Ken Natori, Presidente di The Natori Company
Leggi la storia completa.A SERVIRE LE TUE AMBIZIONI.
Il marchio olandese di lifestyle e abbigliamento maschile A Fish Named Fred punta tutto sulla creatività e sul distinguersi. Attivo online da tempo, il marchio cercava un nuovo inizio, ma prima aveva bisogno di soluzioni scalabili e a prova di futuro, che soprattutto potessero essere ottimizzate e sviluppate in modo indipendente.
Questa necessità ha portato il brand a rivolgersi all’agenzia digitale Thesio per una consulenza strategica. Il suggerimento di Thesio è stato quello di optare per l’architettura Open SaaS di BigCommerce, perché avrebbe dato al marchio la flessibilità necessaria per espandersi e innovare. In combinazione con ChannelEngine, questa viene utilizzata per collegare l’ERP Reflecta al sito web su BigCommerce.
In futuro, con BigCommerce il marchio potrà espandersi più facilmente in più marketplace o canali di vendita in nuovi paesi, e approfittare di tutte le future nuove tendenze nel campo dell’e-commerce.
“
E, come affermato da Rob Schalker di A Fish Named Fred,
IN QUALITÀ DI MARCHIO DECISAMENTE SINGOLARE NEL MONDO DELLA MODA, ABBIAMO SPESSO ESIGENZE SPECIFICHE E SIAMO SEMPRE ALLA RICERCA DI NUOVI MODI PER METTERE LA NOSTRA ATTIVITÀ IN LUCE IN MODO ORIGINALE E SPESSO DIVERSO. DI RECENTE ABBIAMO OSSERVATO CHE LA COLLABORAZIONE CON THESIO E BIGCOMMERCE PORTA IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA INNOVAZIONE E ACCESSIBILITÀ.”
Di Océane Deslandes, Content Marketing Manager EMEA, BigCommerce
Dopo aver fatto il punto sui dati raccolti da BigCommerce e sul “sentiment” dei commercianti, possiamo affermare con certezza che i rivenditori di moda e abbigliamento stanno sfruttando bene le tendenze che si stanno manifestando nel commercio digitale al dettaglio.
Il social commerce e la vendita omnicanale restano un punto focale per l’industria della moda, e la user experience e l’offerta di metodi di pagamento flessibili sono cruciali per soddisfare le necessità dei consumatori nel 2022.
Guardando al futuro, osserviamo che l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata e il metaverso rappresentano la prossima grande sfida per i rivenditori che desiderano restare al passo coi tempi.
Meghan Stabler, Senior Vice President of Global Product Marketing per BigCommerce, riesce già a vedere oltre le tendenze tecnologiche descritte sopra:
“
PER DISTINGUERSI DAVVERO DALLA MASSA E
MANTENERSI RILEVANTI, È NECESSARIO RESTARE
AL PASSO CON LE ULTIME FUNZIONALITÀ E RIMANERE AGILI. FRANCAMENTE, LE NUOVE TENDENZE (AR, IA) SI TRASFORMERANNO
UN NUMERO SEMPRE MAGGIORE DI RIVENDITORI DECIDERÀ DI ADOTTARLE PER ATTRARRE E CONVERTIRE GLI UTENTI IN ACQUIRENTI OVUNQUE SI TROVINO.”
Il panorama e-commerce è in costante evoluzione, e la prossima, fantastica nuova tendenza è sempre dietro l’angolo. Rimanere agile è però certamente la strategia migliore per i rivenditori di moda e abbigliamento che desiderano capitalizzare su tutto ciò che verrà.
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Nel tempo, PayPal ha ampliato e diversificato il proprio network che opera su due fronti collegando aziende e consumatori in oltre 200 mercati a livello globale. Una rete bilaterale unica, che si basa su un rapporto di fiducia: i 429 milioni di consumatori attivi che utilizzano PayPal in tutto il mondo sono più propensi a effettuare transazioni su siti di vendita al dettaglio che offrano PayPal come opzione di pagamento.
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ri a causa dei saldi così anticipati, negli esiti della holiday season. A proposito del Black Friday, chi ha applicato sconti su dice soddisfatto o denota una stabilità. Solo il 2% segnala un calo sul 2021. A livello di capi e accessori maschili best seller, la pandemia ha segnato uno spartiacque: è chiaro che l'abitudine alla comodità non si perde tanto facilmente. Così la pole position spetta alle sneaker (segnalate da più parti quelle di Autry, marchio d’impronta vintage fondato in Texas nel 1982, la cui maggioranza è stata acquisita nel 2021 da Made in Italy Fund), seguite da pullover e cardigan, pantaloni, capispalla sportivi e, a una certa distanza, da giacche e completi eleganti ma easy. Vince uno stile formale rivisitato in chiave dégagé, che ha la meglio sullo sportswear e il contemporary. Il troppo classico non scalda il cuore dei consumatori e supera solo lo streetwear, indicato da un’esigua percentuale (2%). Lo scontrino medio, nella stragrande maggioranza dei casi (68%), oscilla tra i 500 e i 1.000 euro e nel 32% è sotto i 500 euro, visto anche che i best seller sono spesso accessori e capi singoli, a discapito dei total look. Tornando a parlare della dicotomia tra online e offline, il grosso delle vendite spetta ancora al canale fisico (62%), ma va detto che un quarto dei retailer intende investire di più in omnicanalità.
Pochi (4%) quelli che puntano a esperienze immersive e phygital in store e ancora meno (3%) coloro che stanno ampliando l’offerta in un’ottica lifestyle. Meglio potenziare la qualità dell’offerta (38%) e fare più ricerca di marchi (25%). A questo proposito fioccano le segnalazioni: a parte Jacquemus, che si impone a mani basse tra i cosiddetti brand emergenti o comunque fuori dalla cer-
Un quarto dei retailer intende potenziare l'omnicanalità, al secondo posto negli investimenti dopo la qualità dell'offerta e il talent scouting
chia dei soliti noti, vengono citati tra gli altri Rier (fondato nel 2019 a Parigi ma ispirato alla terra di origine del fondatore Andreas Steiner, il Sud Tirolo), Rakkì (che rilegge in chiave moderna un look alla Steve McQueen o Marlon Brando), l’eco-brand Sease, il luxury denim di Nine in the Morning e Casablanca: un marchio, quest’ultimo, creato nel 2018 da Charaf Tajer, nella cerchia di Virgil Abloh. Brand studiati per dare una ventata di freschezza ai guardaroba strapieni di consumatori aperti alle novità in
fatto di stile, ma ancora abbastanza tradizionali al momento di concludere l’acquisto, come evidenzia quel 55% del panel che alla domanda sui nuovi metodi di pagamento preferisce non rispondere o segnalare un certo timore da parte della clientela a sperimentare strade alternative. Nessuno nomina per esempio le criptovalute, mentre si nota un certo movimento intorno al Buy Now Pay Later (25%), il che dimostra che anche nell’alto di gamma questa formula sta facendo proseliti. Il 20% indica il Pay-By-Link, il link di pagamento sicuro inviato al cliente. I “vecchi” contanti non tramontano, anzi: il 70% degli interpellati ammette che se il provvedimento dell'innalzamento del tetto ai contanti da 1.000 a 5mila euro passasse, il sell out ne beneficerebbe. Al momento di andare in stampa sembra probabile che questa ipotesi diventerà realtà, anche se l'articolo 69 della manovra, che contemplava sia questo innalzamento che la norma sul tetto al pos per i pagamenti fino a 60 euro (poi ritirata), sarebbe stato interamente stralciato per un errore tecnico. Quanto al budget sulla FW 23/24, si avverte molta cautela: dopo la doccia fredda di inizio 2022 - quando i negozianti avevano acquistato la merce nel clima di ritrovata fiducia post pandemia, pagando poi il pegno della nuova incertezza dettata
dal conflitto russo-ucraino -, stavolta una percentuale complessiva dell’86% è orientata alla stabilità (62%) o alla riduzione del budget (24%). Solo il 14% si lascia guidare dall’ottimismo. In generale, i dettaglianti si sentono nel mezzo di un «mondo di dicotomie e controsensi», dove ai brand chiedono trasparenza e cooperazione. «Marchi e negozi sono due facce della stessa medaglia - ribadisce Giulio Felloni, titolare di Felloni a Fer-
rara e presidente nazionale di Federazione Moda Italia-Confcommercio -. Le boutique rappresentano un elemento di stabilità, sicurezza e cultura per i luoghi in cui si trovano, quindi tuttora una leva non indifferente per i brand. Da noi i clienti non guardano il prezzo ma il valore del prodotto, il made in Italy, sempre più i contenuti etici dei capi. Sono attratti dalle belle vetrine, che magari danno loro spunti anche per gli acquisti online, e da punti vendita che vivono anche di eventi e interazioni con la città. Si cresce
«Se si cresce, si deve farlo tutti insieme»: questo l'appello rivolto dai dettaglianti ai fashion brand
Nell'era dei big data, i negozianti chiedono ai marchi di non perdere di vista le loro esigenze locali
solo se lo si fa tutti insieme». «Se mi avessero detto cinque anni fa che ci sarebbero state le svendite a fine novembre, rovinando così il sell out di dicembre, il mese più importante dell'anno, non ci avrei creduto», afferma Didi Corbetta di Valtellini a Rovato. Qualcuno non usa mezzi termini: «Puntiamo su un prodotto di qualità, che non può essere svenduto e svilito con parallelo, Black Friday e scontistiche esagerate. I listini? Vanno prefissati fino al 31 dicembre». Si chiede di non far ricadere sull’anello a valle della catena i rincari dei prezzi, ottimizzare la rotazione dei magazzini, condividere gli investimenti sulla formazione degli addetti in store e non limitarsi ai big data per capire le reali necessità, a volte molto “locali”, dei punti vendita. L'auspicio di tutti? Che i marchi trattino il negoziante con la stessa attenzione con cui lui tratta la propria clientela.
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Trento - Chirico Messina - Clan Upstairs Milano - Colognese Montebelluna (Tv) - Cupertino Fasano (Br) - Deflorio dal 1948 Noicattaro (Ba) - Divo Santa Maria a Monte e Pontedera (Pi) - Felloni Ferrara - Filippo Marchesani Cupello (Ch) - Galiano Napoli e Sorrento (Na) - Giglio Palermo - Giordano Boutique Pompei (Na) - L’Incontro Uomo Modena - L’Uomo Biella - La Boutique di Adani Modena - Mantovani San Giovanni Valdarno (Ar) - Marcos Mondovì (Cn) - Marinotti Cortina d’Ampezzo (Bl) - Michele Inzerillo Palermo - Modes Milano, Portofino (Ge), Forte dei Marmi (Lu), Porto Cervo (Ss), Forte Village-Santa Margherita di Pula (Ca), Cagliari, Trapani, Favignana (Tp), St. Moritz, Parigi - Moras Boutique Intimiano (Co) - Nida Caserta - Noha (Brindisi) - Nugnes Trani (Bt) - Paolo Pessina Monza - Papillon Corigliano Calabro (Cs) - Peter Ci Como - Pizzolante Trani (Bt)
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Nato nel 1872, il gruppo leader mondiale nei servizi industriali su misura e nelle soluzioni integrate ad alto valore aggiunto batte i competitor anche quando si parla di interfodere: un settore presidiato da Chargeurs PCC attraverso prodotti frutto di tecnologie avanzate, eco-friendly e unici nel loro genere, distribuiti in 90 Paesi, con il plus di un servizio tempestivo, capillare e personalizzato.
Al traguardo dei 150 anni nel 2022, il gruppo Chargeurs non ha bisogno di presentazioni nel tessile-abbigliamento, in quanto leader mondiale nei servizi industriali su misura, attivo in mercati di nicchia con soluzioni integrate ad alto valore aggiunto per i clienti B2B e B2C ed emblema di dinamismo e avanguardia imprenditoriale. Il suo fiore all’occhiello nelle tecnologie per la moda è Chargeurs PCC, a sua volta in una posizione di leadership assoluta per quanto riguarda le interfodere, che altro non sono se non l’anima dei capi, dallo sportswear al prêt-à-porter, fino alla haute couture. Le interfodere di Chargeurs PCC, realtà guidata dal 2022 da Gianluca Tanzi, rendono gli indumenti longevi, migliorando il tessuto e conferendo struttura all’interno. Danno inoltre loro una forma, mantenendone o migliorandone la sensazione alla mano, rinforzandoli, riducendo le pieghe e ottimizzando la manipolazione e la cucitura. Con sette stabilimenti e più di 30 uffici e centri di distribuzione in tutto il mondo, Chargeurs PCC serve oltre 90 Paesi in tutti i principali continenti: poter contare su uffici in più fusi orari significa essere
disponibili H24 e sette giorni su sette, una garanzia in più per i 1.600 marchi e i 7mila clienti che scelgono le interfodere di Chargeurs PCC. Questo è solo un tassello di un impegno molto più ampio sul fronte della ricerca e del servizio: definire fabbriche gli stabilimenti di Chargeurs PCC sarebbe riduttivo, perché si tratta di laboratori di innovazione, da cui escono risposte avanzate a problemi complessi e prodotti rivoluzionari, all’altezza delle richieste di clienti ambiziosi, pronti a chiedere sempre di più. Insieme a loro vengono testate e sviluppate soluzioni su misura, in nome di un servizio che ormai da decenni punta alla massima personalizzazione. Un capitolo a parte, sempre più importante, merita l’attenzione all’ambiente: prendersi cura del pianeta attraverso l’intera supply chain è una priorità per Chargeurs PCC, come dimostra la gamma Sustainable 360°tm che rappresenta l’impegno a tutto tondo dell’azienda per la responsabilità sociale d’impresa (Csr), con la consapevolezza che ottenere i prodotti migliori parta dalla cura delle persone: fare del bene agli esseri umani significa fare del bene al mondo ed è per questo che Chargeurs PCC
sta riducendo sistematicamente la propria impronta di carbonio e gli sprechi, operando in tutti i territori presidiati secondo i più elevati standard ambientali. Oltre l’80% dei prodotti di Chargeurs PCC è classificato come Oeko-Tex Classe 1 e un altro punto fermo è la certificazione Global Recycled Standard (Grs). La società fa inoltre parte di Better Cotton Initiatives (Bci) e Cotton Leads, a supporto del cotone sostenibile negli Usa. Ma c’è molto altro da dire sulle proposte di Chargeurs PCC, a partire dalla Fusion Line, sinonimo di nuovi materiali che riescono a dare anche agli abiti sartoriali il comfort di una tuta da ginnastica, unendo estetica e comfort. Quanto alle interfodere a maglia di Lainière Paris-Made in France, realizzate nella storica fabbrica Lainière de Picardie nel Nord Ovest della Francia, sono pensate per la haute couture maschile e femminile, mentre Bertero è l’anima della giacca: questa realtà, nata nel 1907 a Vinovo in Italia, rappresenta da un secolo l’eccellenza della produzione di tele. La giacca da abito è uno degli articoli sartoriali più complessi al mondo e fondamentali sono i componenti interni: tele, pettorali, tessuti in crine naturale,
feltri pettorali, sottocolli e interfodere termoadesive danno forma e struttura alle giacche. Grazie a un’ampia scelta di soluzioni per gli abiti, gli esperti di Chargeurs PCC sono in grado di offrire ai clienti, ovunque si trovino, prodotti e servizi Bertero, dalla spallina alla tela intera. Di Chargeurs PCC fa parte DHJ, rinomato specialista nelle fodere per camicie, in materiali che vanno dal cotone standard monostrato non fusibile, ai complessi assemblaggi in poli-cotone. Anche in questo caso, grazie a una rete globale, i prodotti e servizi di DHJ coprono tutto il mondo. Tornando a parlare del pianeta, impossibile non citare una novità, la ZeroWater Rainbow Collection in maglia sostenibile ultraleggera, perfetta per le richieste di couturier e marchi del lusso, che utilizzando tessuti delicati e trasparenti richiedono interfodere fluide e morbide: la ZeroWater Rainbow Collection è fatta per loro e si avvale di un rivoluzionario processo proprietario di tintura che non utilizza acqua, visto che prevede la tintura del materiale adesivo utilizzato nelle interfodere piuttosto che nel tessuto stesso. Seguendo invece le procedure tradizionali, che utilizzano un’enorme quantità d’acqua, si danneggia l’ecosistema: basti pensare che, secondo le Nazioni Unite, la tintura tessile produce il 20% di tutte le acque reflue, rendendo la moda la seconda fonte di inquinamento idrico globale. Inizialmente disponibile in 15 colori, oltre al bianco, al bianco sporco e al nero, la ZeroWater Rainbow Collection sta espandendo la propria gamma cromatica. Chargeurs PCC va oltre le interfodere: sotto il suo ombrello si trovano componenti sartoriali, nastri adesivi, padding, nastri sigillanti per rendere i capi stagni, film per loghi, sneaker & more, nastri NS Gripper per biancheria intima, elastici per indumenti sportivi e altro ancora. Tutti sul filo conduttore di qualità, ricerca, tecnologia, innovazione continua e, non ultima, un’ottica planet friendly. Merita attenzione nel portfolio del gruppo Nativa, marchio che garantisce qualità e tracciabilità delle fibre dall’allevamento - dove la pecora è accudita e tosata - al capo della marca alla moda. Da citare anche Senfa Technologies: leader nelle tecnologie di rivestimento, conferisce alle basi tessili plus specifici, legati per esempio all’occultazione della luce sui pannelli, alla diffusione uniforme dei suoni e al filtraggio delle onde Gsm o Wifi. Chargeurs presenterà la sua collezione, tra gli altri appuntamenti, anche a Milano Unica nel Padiglione 16.
Negli spazi dell’ex seminario in zona San Babiila a Milano apre il nuovo multibrand uomo e donna che «sarà sempre diverso e vivo», assicurano i due fondatori
1. Antonia Giacinti e Maurizio Purificato, fondatori e titolari di Antonia 2. Le otto vetrine del nuovo negozio Antonia, con ingresso da via Sant’Andrea all’interno del progetto Portrait Milano 1 2
partire da dicembre
Un’occasione imperdibile per il commercio cittadino e che il retail multimarca di lusso non poteva certo farsi sfuggire. Sono stati Antonia Giacinti e Maurizio Purificato a prendere per primi l’iniziativa, legandosi dal 2017 al progetto della famiglia Ferragamo, che dopo anni di lavori ha portato alla riapertura, dopo oltre 20 anni, dell’ex seminario arcivescovile in zona San Babila, diventato ora Portrait Milano: un nuovo hotel del gruppo Lungarno Collection, ma anche una nuova meta di shopping, visto che gli spazi intorno al cortile, già ribattezzato “piazza del Quadrilatero”, ospitano i due nuovi e spettacolari negozi di Antonia, uno di circa 500 metri quadrati, dedicato alla donna, e l’altro, di circa 250 metri quadrati, tutto al maschile, per un totale di otto vetrine e con accesso diretto da via Sant’Andrea. «È un progetto a cui abbiamo lavorato per anni, anche durante il Covid, e ci entusiasma molto - dicono Giacinti e Pu-
rificato - in quanto unico nel suo genere». Per i due imprenditori era fondamentale differenziare questo punto vendita da quello storico di via Cusani. «In comune le due door hanno soltanto l’architetto, Vincenzo De Cotiis - spiega Giacinti - perché i brand selezionati sono in larga parte differenti». L’elemento di differenziazione maggiore è la presenza in via Sant’Andrea di corner dedicati ai singoli brand, che ruoteranno ogni due o tre mesi. Solo quello di Amina Muaddi è previsto che duri per almeno due anni: «Non volevamo farci scappare l’occasione di essere i primi al mondo a proporre uno spazio monomarca del brand». Alla base dell’offerta commerciale ci saranno anche le limited edition realizzate in esclusiva per Antonia. «È un aspetto importante del nostro concept - conferma Purificato, responsabile della selezione menswear - e che ci tiene tutti molto impegnati. Le colab riguarderanno principalmente i brand della nostra selezione presenti con una loro boutique nel Quadrilatero: ora che siamo così vicini, non possiamo proporre in vetrina gli stessi prodotti». (an.bi.)
«Pensavamo sarebbe stato un anno drammatico e invece il 2022, con un fatturato di quasi 800 milioni di euro, si è avvicinato al nostro record storico segnato nel 2019, con lo store di Milano che da solo contribuisce alla metà delle vendite». Pierluigi Cocchini, ceo di Rinascente, è soddisfatto dei risultati raggiunti dal gruppo, che guida dal 2017 ma che è già proiettato in avanti, convinto che il meglio debba arrivare. «Per il 2023 siamo ottimisti - prosegue -. Abbiamo messo a budget una crescita a doppia cifra, che ci avvicinerà al traguardo del miliardo di ricavi, assolutamente alla nostra portata e probabile già nel 2024». La moda avrà un ruolo centrale nel raggiungimento dei target e non a caso Rinascente lancierà numerosi progetti “fashion” nel 2023». Il più importante riguarderà lo store di Firenze: «Durante l’edizione di giugno ci sarà un mega evento in due serate, una più istituzionale e l’altra con un forte coinvolgimento della città», anticipa Cocchini. Tra gli appuntamenti clou dei prossimi mesi il ceo ricorda l’inaugurazione ufficiale di Roma Fiume, prevista a ottobre 2023 dopo un restyling “a rotazione” durato due anni (an.bi.)
L’inaugurazione dei nuovi uffici in corso Genova 7, proprio di fronte all’iconico store, rappresenta l’ennesimo step nel piano di evoluzione che Biffi Boutique ha intrapreso negli ultimi anni. Il luxury multibrand di Milano si è impegnato nel 2021 nel restyling dello store Banner in via Sant’Andrea e nell’acquisizione di una nuova location, battezzata Spazio Banner, attigua allo store del Quadrilatero e adibita a spazio eventi. A ruota sono seguiti, a inizio 2022, i lavori di riprogettazione di Biffi B-Contemporary, a cui ha fatto seguito l’inaugurazione dei nuovi headquarters. Negli uffici, realizzati all’interno di un open space di oltre 400 metri quadri progettato da Nori Studio, il multimarca ha deciso di concentrare un team di oltre 30 persone, impegnato nelle attività legate a digitale, commerciale e marketing. «La scelta dell’indirizzo non è casuale - afferma Tiziano Cereda, amministratore delegato di Biffi Boutique commentando il nuovo investimento dell’azienda -. Corso Genova rappresenta il luogo dove è nato e cresciuto il nostro brand e l’identità di Biffi è profondamente legata a questa zona della città». Nel 2023 sono già in cantiere nuovi investimenti e progetti che riguarderanno l’e-commerce del gruppo italiano. (an.bi.)
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Format phygital, contaminazioni tra B2B e B2C, fashiontainment e networking. Tendenze che stanno spazzando via il vecchio concetto di manifestazione di moda, per lasciare spazio a una nuova era che mette alla prova tutti, dagli eventi storici a quelli nati negli ultimi anni. Con un obiettivo: garantire ai marchi coinvolti il miglior rapporto possibile tra costi e benefici
DI ALESSANDRA BIGOTTA E ANDREA BIGOZZIFin dal suo esordio il motto dell’About You Fashion Week è stato Exclusive for Everyone, mescolando streetwear, lifestyle, divertimento e glamour
«Dopo molte conversazioni nel corso delle ultime settimane, siamo pronti a riposizionarci includendo l’ultimo partecipante della catena, il consumatore finale». Parole, queste, pronunciate non nell’attualità, come si potrebbe pensare, ma dieci anni fa da KarlHeinz Müller, fondatore del salone tedesco Bread & Butter, di cui gli addetti ai lavori ancora ricordano la parabola. Prima osannato per il suo modo alternativo e pionieristico di fare fiera, poi in difficoltà anche in seguito a cambi troppo repentini di location e di strategie (nel 2014 Müller aveva fatto marcia indietro, tornando al format B2B) e infine caduto nel baratro del fallimento. Dal 2015, quando Zalando ha rilevato il brand, Bread & Butter ha continuato il suo percorso fino al 2019, quando è stato congelato dal nuovo proprietario perché troppo legato alla sola città di Berlino. Nel frattempo tutto è cambiato, con un’accelerata negli ultimi anni: tra social, live selling, see now buy now,
omnicanalità e nuove sfide del Metaverso, i consumatori, le aziende e anche le rassegne hanno dovuto mettersi in discussione e, come accade dopo qualunque evento epocale, sono germogliate - o meglio, si sono rafforzate - iniziative fuori dal coro anche grazie
Eventi moda e lifestyle possono far convivere B2B e B2C senza perdere credibilità, ma serve una regia forte
al potere del phygital. Nessuna competizione diretta con corazzate come Pitti Uomo o i saloni degli accessori e del prêt-à-porter di Rho-Pero, ma eventi B2C come Plug-Mi, Sneakerness o la About You Fashion Week hanno ottenuto un successo che si è ripercosso positivamente sui brand coinvolti. Non saloni ma happening, con la moda
giù dalla turris eburnea, co-protagonista insieme a musica e intrattenimento per creare engagement e movimentare il sell out. «Fin dall’inizio, nel 2019 all’interno della Berlin Fashion Week, il motto della About You Fashion Week è stato Exclusive for Everyone, mescolando streetwear, lifestyle, divertimento e glamour», spiega Julian Jansen, director of content di About You, realtà che non nasce dall’organizzazione di fiere o simili ma è sinonimo di una piattaforma di vendita online con 45 milioni di utenti attivi. Semplice e al tempo stesso complessa l’idea di base: «Realizzare fashion show accessibili agli amanti della moda e al consumatore finale, per farli diventare parte attiva del mondo solitamente esclusivo delle fashion week». A colpi di musica, balli, big brand in passerella e interazioni social, questo format itinerante nella sua recente tappa durante la settimana della moda milanese (dove hanno sfilato tra gli altri Hugo, Puma, G-Star Raw e Adi-
das by Stella McCartney) ha raggiunto un’elevatissima audience globale, quantificabile in 2,1 miliardi di contatti sui media su print, canali digitali, TV e social. Oltre 600 tra vip, content creator, insider della fashion industry e appassionati del settore hanno affollato la location in zona Farini, dando una bella impennata al sell out dei marchi coinvolti, sulla piattaforma e oltre. «Non ci fermiamo qui - anticipa Jansen -. Forti del nostro fashiontainment, toccheremo altre città nevralgiche nel 2023». Quanto a Sneakerness, tutto è partito nel 2008 a Berna da alcuni amici interessati a un settore specifico, le sneaker, tra cui il co-ceo Matthijs van der Meulen, country manager dei mercati olandese, tedesco, italiano e belga. «Spinti da passione e curiosità - racconta van der Meulen - non sapevamo fin dove avremmo potuto arrivare, ma già il primo evento a Berna era stato sopra le aspettative, puntando sull’experience per tutti: brand, clienti e una community che è andata crescendo». Dopo 15 anni, oltre 60 date e circa 50mila visitatori «ci sentiamo ancora un sell-trade event - sottolinea il co-ceo - dove le experience si sono moltiplicate fra tornei di basket e breakdance, mostre ed esposizioni artistiche ma il cuore restano i brand, sempre più motivati a creare connessioni con il cliente finale anche grazie a un modo alternativo di interpretare l’offline, ricevendo tra l’altro utili feedback sui propri prodotti». Dopo Milano a ottobre, il tour di Sneakerness continuerà l’anno prossimo a Zurigo, Amsterdam, Parigi, Colonia, Londra, ancora Milano, Rotterdam e Budapest. «In parallelo - conclude Matthjis van der Meulen - grazie anche al focus del nostro co-ceo Sergio Muster su tecnologia, blockchain, Web3 e Metaverso stiamo gettando le basi della nostra Sneakerness Genesis». Una svolta in chia-
Virtuali o fisiche non importa, le fiere devono essere un luogo che collega la community al settore di riferimento
1. All’ultima edizione di Plug-Mi erano presenti 50 brand e quasi 90 eventi live 2. La format di Vivatech si basa sul mix tra stand ingaggianti, workshop e super ospiti 3. Sneakerness è un sell-trade event itinerante che dura ormai da 15 anni 4. e 5. Anche due mostri sacri del settore, come la fashion week di Milano e White. sono nel pieno di una riflessione sul futuro del modello fieristico fra tecnologia e stile 1 3 2
ve omnichannel, per un’iniziativa nata nel mondo fisico, che si baserà su una più forte connessione tra la community, i marchi e i negozi, utilizzando strumenti digitali come la collectID technology, che garantisce l’autenticità dei prodotti, e il nuovo programma fedeltà Wear-To-Earn.
Tutta italiana la case history di Plug-Mi, il festival che celebra la urban culture, ideato e promosso da Fandango Club Creators, realtà che fa capo a Campus Fandango Club, in società con Micam Milano per lo sviluppo del format e con il contributo di Assocalzaturifici: partito nel 2019, all’edizione di settembre al Superstudio Più ha
triplicato il numero di presenze rispetto agli esordi, con oltre 50 marchi, una novantina di eventi live e attività, quasi 390mila contenuti social realizzati e più di 23 milioni di account raggiunti nell’arco di due giorni. Secondo Domenico Romano, ceo di Fandango Club Creators, Plug-Mi non ha eguali in Italia e ancora non ha espresso tutte le sue potenzialità. Chiare le sue ambizioni: «Questo è un primo passo verso l’obiettivo di candidare Milano a capitale europea dello streetwear». «Ai nostri espositori - dice Romano - diamo la massima libertà di interpretazione del proprio spazio, giocando la carta della novità di prodotto o del servizio più innovativo, in ogni caso della creatività. Un punto di forza per Plug-Mi sta nell’essere un happening multibrand: «Un’azienda entra a farne parte perché vuole incrementare la propria visibilità e da sola non riuscirebbe ad attrarre la stessa quantità di pubblico. Scatta anche la possibilità di confrontarsi con i competitor e magari vincere sfide inaspettate con realtà più grandi e più forti».
Romano estende le sue riflessioni alle rassegne di moda in generale. «Restare legati a modi di pensare già collaudati, senza osare qualcosa di più, è deleterio - osserva -. Partecipare a una fiera ha un prezzo e davanti a certi budget bisogna farsi una domanda sul rapporto costi-benefici. Avere uno stand di medie dimensioni e mostrare collezioni che arriveranno in negozio un anno dopo non basta più: occorre approfittare di determina-
ti contenitori, specie se altamente mediatici, per presentare progetti in anteprima, pronti per essere lanciati sul mercato. Questo vuol dire contaminare un salone con logiche B2C, ma del resto la moda è il primo settore a favorire le contaminazioni. I grandi saloni, oltre a fare scouting di nomi sconosciuti, devono sempre puntare in alto e avere i leader del proprio settore, quelli che condizionano il mercato». Il ceo di Fandango Club Creators è convinto che «se esiste una regia chiara, certe manifestazioni possono far convivere l’anima B2B e B2C, senza peraltro perdere in credibilità».
Un approccio che Pitti Immagine sta adottando ma senza forzare la mano e per ora senza un cambio di passo deciso per quanto riguarda il suo salone ammiraglio, Pitti Uomo, non paragonabile per numeri, target, dna e contenuti ai progetti citati finora, ma a sua volta alle prese con i radicali cambiamenti dettati dal post pandemia. «È innegabile che, quando si parla di moda e lifestyle, la soglia tra B2B e B2C è sempre meno netta - ammette Agostino Poletto, direttore generale dell’ente fiorentino - e non a caso tutte le nostre manifestazioni nate negli ultimi 20 anni (da Fragranze e Taste. In
Il ritorno di Gucci, dopo un’assenza di tre anni, la partecipazione in forze di stilisti inglesi, che hanno scoperto un’attrazione fatale per l’Italia, la resilienza (ma senza exploit) del modello co-ed e il superamento del format digital. Sono queste le novità più in vista della settimana della moda maschile di Milano (13-17 gennaio), che prevede un programma di 21 sfilate, 31 presentazioni, quattro contenuti digitali e 11 eventi, per un totale di 72 appuntamenti. Complice la collocazione in calendario (primo show del primo giorno), sarà praticamente impossibile per gli addetti ai lavori non trasformare nell’hot topic della manifestazione lo show di Gucci, che dovrà fornire alcune importanti indicazioni al mercato su come il brand di Kering stia immaginando il nuovo corso dopo l’uscita imprevista di Alessandro Michele Al centro dell’attenzione anche la sfilata di Prada, vista la rivoluzione manageriale che sta vivendo l’azienda con l’arrivo di ben due nuovi ceo: Andrea Guerra (gruppo) e Gianfranco D’Attis (Prada brand). Anche la rivalità tra capitali della moda promette di dare argomenti di discussione, con le quotazioni della fashion week di Parigi in salita (grazie anche al ritorno di Saint Laurent), mentre è in picchiata Londra, che per la FW 23/24 prevede un unico appuntamento a febbraio, con molti designer locali spinti a sfilare altrove - come Charles Jeffrey Loverboy (nella foto in alto) e JW Anderson, che hanno optato per la piazza di Milano - e Martin Rose che invece è special guest di Pitti Uomo. Nonostante il calendario resti formalmente spalmato su cinque giorni, la manifestazione milanese
si chiude di fatto con lo show di Zegna, in programma lunedì 16 gennaio, mentre la giornata del 17 è priva di eventi fisici e proporrà quattro show digitali. Tutti i grandi nomi sono presenti: unico assente è Versace, che sfilerà co-ed a Los Angeles il 10 marzo. Una formula, quella del co-ed, che a Milano resiste ancora, senza però toccare le cime che ci si sarebbe aspettati. Nel programa, infatti, sono sette gli show che presentano insieme collezioni uomo e donna, meno rispetto al 2019 ma di più rispetto alla scorsa edizione di giugno. Le presentazioni (Add, Tagliatore e Valstar sono tra le new entry di questo format) non rappresentano più l’unica alternativa alla sfilata: il calendario mostra un numero sempre crescente di eventi in cui convivono aspetti B2B (le presentazioni dei capi) e B2C (party con intrattenimento). Questa è la formula scelta da Colmar - che compie 100 anni nel 2023 - per presentare la collezione Colmar Revolution, e da Lardini, protagonista di un happening a Palazzo Mezzanotte.
viaggio con le diversità del gusto, alle più recenti Testo. Come si diventa un libro, e-P Summit. Shaping the Digital Future of Fashion e, al via in febbraio, Danza in Fiera) comprendono una dimensione professionale collegata a una aperta al pubblico». «Per saloni come Pitti Uomo e Pitti Bimbo - chiarisce - potrebbero anche esserci aperture parziali e diversamente modulate in questo senso, ma dipenderà dall’evoluzione generale del loro contesto distributivo e del retail di riferimento. Un contesto che l’ecommerce e la progressiva digitalizzazione
stanno rivoluzionando in forme difficili da prevedere». «L’ottica con cui abbiamo messo a punto questi due saloni - spiega Poletto - è comunque quella di manifestazioni per addetti ai lavori che tengono sempre a mente il mondo del consumo finale e della cultura della moda. Anche il coinvolgimento della città negli eventi è da leggersi in questo senso». Pitti Uomo, come fa notare il d.g. di Pitti Immagine, «va verso un’idea sempre più plurale, estesa, trasversale, non lineare ed eclettica del comparto» e non sorprende quindi l’esordio della sezione Pittipets alla Polveriera, con una quindicina di brand dedicati ai migliori amici dell’uomo (e ai loro padroni), in un layout disegnato da Ilaria Marelli: «Un settore, quello dei pet, che sta destando sempre più interesse da parte di griffe, designer, buyer dei grandi department store e negozi di tendenza. Perché non considerar-
Il tradizionale impianto a standcollezioni non basta: necessario un palinsensto di eventi e workshop
1. Talento eclettico e columnist del Financial Times, Luke Edward Hall (noto anche per la collaborazione con Ginori) presenta a Pitti il brand Chateau Orlando con un’installazione. 2. I “Pitti People” fanno parte dell’iconografia del salone 2 1
lo?», precisa Poletto. La piattaforma Pitti Connect è l’altra faccia della medaglia per Pitti: non una semplice vetrina digitale, «ma uno spazio che supera e integra l’esperienza dei nostri saloni, creando nuove connessioni e occasioni di business e generando insight e intuizioni intelligenti».
Da questo mosaico di testimonianze emerge che alla fine non è tanto importante lo spazio fisico o digitale in cui si sceglie di muoversi, ma la capacità di essere un luogo di confronto e una rete per collegare l’intera community che ruota intorno a un settore. Il mondo della tecnologia ha insegnato tanto in questi ultimi anni: basti pensare a VivaTech, il grande rendezvous parigino che chiama
Essere “open” è il futuro, ma serve un mix tra esclusività e inclusività, experience emozionale e business
a raccolta i leader in fatto di innovazioneda Zuckerberg a Tim Cook, passando per Bernard Arnault, patron di Lvmh che di VivaTech è socio fondatore - e le startup più interessanti, presentandosi come «il punto di incontro mondiale delle menti più brillanti, dei talenti e dei prodotti», fatto di stand ingaggianti, workshop ed eventi dove esplorare non più la moda ma il fashion-tech, non più la bellezza ma il beauty-tech e così via. Fanno riflettere le parole di Julie Ranty, ceo di VivaTech, durante l’edizione 2022: «Penso che il futuro degli eventi sia ibrido - ha detto -. Quando vedo il desiderio di partecipare a VivaTech di persona, penso che gli eventi fisici abbiano ancora un futuro luminoso davanti a sé perché, ancora di più alla fine di
questa crisi, tutti noi abbiamo voglia di stare insieme, riconnetterci e affrontare uniti nuove sfide». Ognuno a suo modo: per esempio Massimiliano Bizzi, artefice del salone milanese White che in anticipo sui tempi aveva lanciato il progetto B2C White Street Market, lo ha trasformato in Wsm-White Sustainable Milano, un format che comprende conferenze e incontri complementari al salone tout court, «per creare nel pubblico una maggiore consapevolezza nell’acquisto, raccontando la collezione non solo come prodotto finito, ma con l’intero processo che c’è dietro». Intanto Bizzi non ha messo nel cassetto il sogno, coltivato da tempo, di replicare alla settimana della moda le atmosfere elettrizzanti e “democratiche” della design week. Ma anche in questo caso bisogna fare massa critica ed essere davvero aperti alle contaminazioni: «Solo da una forte sinergia fra tutti gli operatori può scaturire il fuorisalone della moda», ribadisce Bizzi, grande sperimentatore di format pionieristici anche per la manifestazione in sé, al punto che ormai è pronto a esportare la “formula White” all’estero. «Il futuro va verso un’apertura al mondo e quindi ripensarsi è una necessità - conclude Carlo Capasa, presidente di Camera Moda -. La democratizzazione delle sfilate è già in atto e così l’equilibrio tra eventi esclusivi e inclusivi, brand giovani e nomi storici. E poi funzionano idee e appuntamenti da portare avanti sui 12 mesi e da sviluppare su quattro cardini: giovani talenti, sostenibilità, diversity e digitale. Anche per la settimana della moda uomo di gennaio, che non dispone dei budget importanti della donna, abbiamo in scaletta più eventi e party, che nella maggior parte dei casi vanno oltre l’intrattenimento, con prodotti da vedere in anteprima e networking da fare».
Dal 10 gennaio la Fortezza da Basso di Firenze diventa l’epicentro di un vero e proprio Pitti Month, con la regia di Pitti Immagine. Il primo appuntamento è appunto dal 10 al 13, con l’edizione numero 103 di Pitti Uomo, la manifestazione di riferimento per la moda maschile e il lifestyle, che presenta circa 760 marchi (dato aggiornato a novembre 2022), di cui il 40% dall’estero. Tra le novità il ritorno della sezione I Go Out sull’abbigliamento outdoor di ricerca, i debutti di Pittipets, con proposte per i migliori amici dell’uomo e i loro padroni, e di the Sign con oggetti e complementi d’arredo innovativi, mentre l’area S|Style dà voce alla moda eco-responsabile. Guest designer la stilista di origini anglo-giamaicane Martine Rose, protagonista di un evento il 12 gennaio, ma già l’11 c’è un appuntamento da non perdere con il Designer Project Jan-Jan Van Essche. Dal 18 al 20 gennaio sale alla ribalta Pitti Bimbo, che schiera 250 marchi di cui la stragrande maggioranza (il 70%) da oltreconfine, con la moda al centro ma importanti contaminazioni con il lifestyle, come accade nella sezione Pitti Bimbo Editorials a cura della stylist Maria Giulia Pieroni. A chiudere il cerchio Pitti Filati, dal 25 al 27 gennaio, che dà visibilità a un centinaio di brand delle più qualificate filature italiane e internazionali. Fulcro della rassegna lo Spazio Ricerca, curato da Angelo Figus e Nicola Miller, stavolta intitolato Alphabet e dedicato al potere della scrittura, con il foglio bianco come punto di partenza per la creatività e la progettualità. Accompagnati dal leitmotiv Pittiway!, emblema di una ripartenza che chiede di prendere direzioni definite in un contesto complesso, i saloni organizzati da Pitti Immagine hanno una controparte digitale nella piattaforma Pitti Connect e sono sostenuti dal governo e da Agenzia Ice, con UniCredit in veste di main partner.
Il casual riguarda ormai il 65% delle vendite del brand, tornato ai livelli pre-Covid nel 2022 e che prevede un 2023 in crescita
«Il mondo casual ha preso sempre più piede nell’equilibrio delle nostre collezioni, arrivando a toccare il 65% delle vendite». Di questo dato è molto soddisfatto Leo Scordo, perché testimonia come la trasformazione in chiave lifestyle immaginata dal manager per Pal Zileri, brand di cui è ceo, non riguarda più solo l’offerta di prodotto, ma è stata accolta anche dal consumatore finale. «Lo vediamo distintamente dai dati del sell out dei nostri negozi diretti e dell’e-commerce - afferma -. Le proposte più informali rappresentano ormai la netta maggioranza. A livello di tipologia di prodotto, il capospalla resta il nostro best seller e genera circa il 30% delle vendite. Ma si tratta di un capospalla attualizzato come la Varsity Jacket, su cui stiamo puntando molto, o la Oyster jacket, il capo multifunzione che ci ha dato grandi soddisfazioni nelle ultime stagioni e che dall’autunno-inverno 2023/2024 farà parte, nella versione con interno staccabile, della nostra collezione permanente». Il processo di “casualizzazione” di Pal Zileri ha toccato anche la nuova collezione di calzature, affidata per la prima volta in licenza. «Storicamente - ricorda il ceo - potevamo contare su alcuni modelli di scarpe a completamento dei look, ma con il nuovo corso abbiamo sentito l’esigenza
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di affidarci a un produttore seriocome Gal.men, capace di offrire una gamma di prodotto ampia - tra sneaker, slip-on, stringate -, capace di interpretare al meglio la nuova anima lifestyle del brand». Il 2023 sarà anche l’anno per un’altra novità a livello merceologico, il lancio delle fragranze. «Era previsto in primavera, ma slitterà probabilmente in autunno a causa dei ritardi della supply chain nel settore packaging», fa il punto Scordo, impegnato anche nell’espansione del network retail dopo le recenti inaugurazioni (in partnership) di Doha e Ginevra. Un’iperattività che si rispecchia anche nei numeri: il 2022 si è chiuso, come da previsione, con il pieno recupero del fatturato, tornato ai livelli pre-Covid. «Le previsioni per il 2023 - conclude il manager - sono di crescita: la campagna vendita della SS23 si è chiusa con un +20% e anche gli ordini delle precollezioni invernali sono in salita».(an.bi.)
Fresco dei festeggiamenti per i 70 anni, celebrati nell’estate dello scorso anno, Roy Roger’s è pronto ad affrontare una stagione nel segno della crescita, dopo un 2022 positivo, che ha visto il fatturato crescere fino a 25 milioni. I capi FW23-24 del marchio di denim riscoprono lo stile outdoor degli anni ‘70 e ‘80 con la capsule collection Denim Touch for Outdoor Life, composta da 20 pezzi dal dna decisamente vintage e che rimandano agli anni d’oro di Roy Roger’s, famoso per essere il primo jeans italiano. A completare la capsule una scarpa nata in collaborazione con il brand Haani, in cui materiali rib-stop imbottiti si combinano sapientemente con tessuti tecnici, creando una calzatura adatta sia per l’outdoor che per l’indoor. (an.bi.)
Più che un semplice accordo di licenza, l’intenzione di riprogettare la linea di abbigliamento uomo, ma anche la donna. È questa la strategia dietro la scelta di Bikkembergs di puntare per le collezioni di ready-to-wear su Factory, azienda di Fucecchio (Firenze) molto nota nel settore per aver prodotto Neil Barrett nei suoi anni d’oro. Il nuovo progetto debutta con la stagione autunno-inverno 2023/2024 e mira a riportare il marchio al suo posizionamento originale: una linea premium di urban sportwear, protagonista a Pitti Uomo. A Firenze Bikkembergs torna dopo un’assenza di qualche stagione per presentare anche le altre nuove licenze, già entrate a far parte del mondo del brand, con Calzaturificio Rodolfo Zengarini (scarpe) e Principe (borse). «Grazie al know how dei nuovi partner possiamo essere più ambiziosi e puntare a espandere ulteriormente la collezione. Questo ci rende ottimisti nel raggiungimento in futuro di target importanti. Non vedo l’ora di portare il nuovo progetto a Pitti Uomo, per mostrarne il grande potenziale ai clienti», ha commentato il general manager Dario Predonzan, che vuole rendere la partecipazione al salone un’occasione per far immergere buyer e partner nell’universo Bikkembergs: oltre a presentare le licenze, lo stand di Firenze ricrea infatti il nuovo concept store, ideato per le prossime aperture di negozi monobrand. (an.bi.)
Un nuovo nome più globale, che non impatta sullo spirito della collezione, incentrata sull’innovazione, e partnership di prodotto con Thermore, Primaloft e Loro Piana
People of Shibuya cambia nome. Dall’autunno-inverno 2023 si chiamerà semplicemente People e la novità coincide con la partecipazione a Pitti Uomo 103, dove il brand presenta una collezione caratterizzata dall’utilizzo di tessuti innovativi (Thermore, Primaloft, Goretex e la lana tecnica di Loro Piana). È lo stesso co-fondatore e coo Angelo Loffredo ( a spiegare le ragioni di un renaming che, assicura, non coglierà di sorpresa né gli 850 clienti wholesale nel mondo, né i consumatori: «Sarà che va di moda accorciare tutto, ma partner e clienti ci chiamavano già People, quindi la nostra scelta non porta alcun stravolgimento».
Però la parola Shibuya raccontava molto dello stile del brand...
Siamo partiti avendo una visione italiana ed europea d’ispirazione Japan, che per sei anni ci ha connotati. Oggi però la nostra visione si allarga al mondo, dagli Usa all’Asia. “Shibuya” (riferimento all’incrocio di Tokyo più trafficato del pianeta, ndr), che era stato un plus, in un mondo dove non esistono più barriere e si va sempre più verso l’inclusione e la multietnicità,
si trasforma in un limite. Da qui la scelta di trasformare il brand in “People”, parola globale con cui venivamo già identificati.
Il focus sulla sostenibilità resta?
Da diverse stagioni stiamo lavorando in questa direzione, senza dimenticare che la vera sostenibilità si ottiene evitando gli sprechi e soprattutto realizzando capi duraturi. People è nato sette anni fa con un capo 4 season, da usare tutto l’anno in ogni situazione e con ogni clima: questo dimostra che la tutela del pianeta è da sempere un valore fondamentale per noi.
Come avete chiuso il 2022 ?
Nonostante guerre e pandemie, People cresce a doppia cifra di stagione in stagione, segno che il prodotto risponde alle esigenze del consumatore.
Quali sono i mercati su cui puntare? Il core business resta tra Italia ed Europa, rispettivamente con 400 e 350 clienti, ma ci sono Paesi, come la Russia e il Canada, dove stanno nascendo nuove opportunità. (an.bi.)
Jeckerson, il marchio iconico dei “pantaloni con le toppe”, sarà annoverato tra i grandi ritorni del 2023. Il brand – dal nome inglese, ma italianissimo per storia e dna, visto che è stato creato nel 1995 da Carlo e Alessandro Chionna - dal 2021 è di proprietà di Mittel, società finanziaria nella cui compagine è presente Franco Stocchi, co-fondatore di Jeckerson insieme ai fratelli Chionna. Per presentarsi nuovamente al mercato, dopo anni di blackout, Jeckerson ha deciso di partecipare a Pitti Uomo, dove presenterà la collezione autunno-inverno 2023/2024 (nella foto, un’anticipazione) insieme al nuovo business plan, che punta a un forte aumento del fatturato e dei margini reddituali.
Digitalizzazione e casualizzazione saranno due parole chiave per Digel nel 2023. Come spiega Cristobal Felipe Machhaus (nella foto), director International Sales del marchio tedesco di menswear, alla presenza in 3mila multimarca nel mondo e in 20 monomarca tra Francia, Austria, Polonia e la madrepatria si associano investimenti crescenti nel digitale, «con una maggiore presenza in selezionati marketplace e il potenziamento del sito di e-commerce - afferma - ma anche nella logistica aziendale, implementando la tecnologia Rfid applicata ai capi, e nella comunicazione social». L’attenzione al canale fisico resta comunque molto alta e uno degli ultimi progetti portati a termine è l’intesa con Rinascente per allestire pop up nel department store italiano. La casualizzazione è tangibile nelle proposte per la FW 23/24, presenti a Pitti Uomo: «Puntiamo sull’innovazione applicata al formalwear, che si traduce nei nuovi capispalla, nelle giacche e in un outerwear “cosy and warm”». Digel stima di chiudere il 2022 a 100 milioni di euro di ricavi, +40% sul 2021 e con la prospettiva per il 2023 di superare i numeri del 2019, che era a quota 120 milioni. «Merito anche di un mercato chiave come l’Italia - precisa Machhaus -. Un Paese dove contiamo su partnership spesso ultradecennali, “matrimoni” fatti di amore reciproco e di confronti costruttivi». «Digel non è il classico brand internazionale distribuito con una showroom a Milano - conclude -. Ci affidiamo a un forte network di agenti e offriamo il più grande magazzino Nos (Never Out of Stock) d’Europa: i clienti scelgono tra oltre 100 soluzioni Mix & Match, potendo combinare una giacca in una taglia e un pantalone in un’altra. Questi abiti sono riassortibili in tre giorni, il che permette ai retailer di non avere grandi stock: per loro comprare 10 completi e venderne 100 attraverso continui riordini è decisamente meglio che acquistarne 100 senza sapere se si venderanno!». (a.b.)
L.B.M. 1911
Il desiderio ritrovato di prendersi cura di sé si traduce in un desiderio di libertà riscoprendo l'abbigliamento informale, con l’idea che anche i capi più formali devono assorbire la stessa casualità. Un gioco per riscoprire il lusso del tempo libero.
La natura è protagonista di collezioni capaci di raccontare una storia che parla di evoluzione ed esplorazione, dove l’uomo sperimenta il piacere di ritrovarsi e riconoscersi, fuori dai soliti perimetri.
FW 2023-2024
I confini per questa azienda sono globali, ma lo stile, da sempre è sotto il grande cappello del Made In Italy. Un piccolo particolare come la cerniera, che diventa un dettaglio importante per la capacità funzionale di un capo.
La continua ricerca, l’innovazione e il knowhow sono parte integrante di questo brand, che trae ispirazione dai colori della natura per creare capi dedicati a un uomo dinamico.
Un prodotto che si estende in varie categorie del vestire, dall'outerwear agli accessori. La sua forza è la reputazione, legata alla qualità e durata dei prodotti. Un'altra licenza come fiore all’occhiello di WP Lavori in Corso.
L’unione tra stile raffinato e tradizione estetica contemporanea è l’espressione di un brand che privilegia il benessere rispetto all’apparire. Un modo di essere e un lifestyle fatti di alta qualità e autenticità.
Camicia a quadri in cotone e tencel, bottoni in madreperla Australiana diventa un vero must per l’esploratore autentico, che ricerca la nuova eleganza wild.
Una calzatura che risponde all’esigenza di raffinatezza tipica degli intenditori, fatta di pochi elementi, abbinati tra loro con maestria: flessibilità, resistenza e impermeabilità.
La classica maglieria si rinnova e viene reinterpretata in chiave moderna con nuovi filati, come il leggero misto lana di alpaca e mohair e speciali lavorazioni come il merinos brushed.
Il velluto tagliato, unito, operato e il suede destrutturato sono tra i materiali più amati dai designer, qui presentati in sette suggestioni diverse, come passepartout del nuovo guardaroba maschile.
Il guardaroba tipico italiano guarda al buon gusto della tradizione, arricchendosi di codici contemporanei. Le cromie dei paesaggi italiani diventano effetti caleidoscopici negli abbinamenti audaci di colore e nella scelta di tessuti.
La nuova collezione PE 2024 Ready-to-Wear dei tessuti Sensitive® Fabrics by Eurojersey si intitola Soul ed è declinata in quattro temi: Poetry, dai toni naturali; BoHo-Made, dal sapore esotico decorativo; Elsewhere, contaminazione tra colore e geometrie; e Fluid Treasure, dedicato all'energia sottomarina.
L’heritage del marchio riecheggia anche nei pezzi dal look più rilassato, come i morbidi cardigan slouchy, abbinati a pantaloni flare. Capi eclettici, adatti a esaltare l’individualità di un uomo attento al glamour.
Dal 1935 la moda maschile italiana non ha più potuto rinunciare alla presenza di questo marchio. Per il prossimo inverno il brand propone modelli rivisitati dell’iconico Valstarino, con zip in evidenza che ricordano le vecchie giacche delle divise prebelliche dei piloti americani.
La parola chiave è anticonformismo: un termine che oggi diventa quasi obbligatorio, per poter esprimere il comun denominatore che unisce il lusso al casual sofisticato.
Un tributo all’artigianato italiano, che passa attraverso le texture e i pellami, ma anche a ricami e intrecci, per un impatto che scaturisce da una grande seduzione visiva.
Un inno alla comodità e alla morbidezza, per un prodotto in cui convivono tradizione e capacità innovativa, garanzie di un made in Italy manifatturiero unico e inimitabile.
La mission di molte aziende è proteggere le risorse naturali e creare prodotti sostenibili, utilizzando materiali riciclati a basso impatto, per risparmiare acqua e ridurre le emissioni di CO2. Un pollice verde per il nostro pianeta.
Unico nel suo genere è il materiale Viridis®, nato da un poliuretano di origine vegetale derivante dal mais e dal grano, che sostituisce la pelle animale.
Il filo conduttore di tutto è la qualità: dalle materie prime al processo di lavorazione, fino ai capi di abbigliamento. Il fulcro è la storia di una famiglia con alle spalle almeno due secoli di vita.
La ricercatezza dei tagli si sposa con la preziosità delle fibre, sempre più nobili: si va dai bomber reversibili in cashmere e tessuto tecnico lana-seta, ai maglioni in cashmere e in pura lana.
Il manifesto di questo brand è un linguaggio fatto di sapienza e green commitment, che si traduce sull’utilizzo di materiali naturali come tannini, estratti dalle piante delle castagne, mimosa e quebracho, per realizzare un prodotto consapevole, dalla suola verde.
Una collezione di maglieria circolare indispensabile per la stagione fredda, fatta con lana 100% riciclata e riciclabile, completamente tracciabile lungo tutta la catena produttiva.
Il design supporta obiettivi di sostenibilità, impegnandosi a un impatto positivo sull’ambiente a partire dalla produzione.
Le collezioni sono green, all’insegna del comfort e dalle linee essenziali.
Un riferimento da oltre 100 anni nell'eccellenza della produzione di tele che continuano a essere il riferimento per i marchi più esigenti del mondo.
Uno stile ispirato all’escursionismo, ma pensato per la città. E un movimento estetico che mescola la funzionalità con gli statement pieces.
Un design senza tempo per un bomber in nylon con texture trapuntata e chiusura frontale con cerniera. Essenziale è la pratica tasca sul dietro che può contenere il capo stesso, in nome della massima funzionalità.
Il modello nella foto, con cappuccio, è realizzato in tessuto ripstop 2 layer dotato di membrana impermeabile e traspirante 5.000/5.000, imbottito in piumino d’anatra 90/10. L’eccellenza nella protezione.
L'espressione dell’incontro tra arte e creatività. Il piumino nasce come “tela bianca” e grazie alla stampa diretta sul capo finito prende vita un progetto caratterizzato dall’unicità.
Quarant’anni di padronanza della produzione e distribuzione di outerwear, per un brand destinato a chi è sempre in movimento e con il motore sempre acceso.
Una congiunzione perfetta ra le origini e la tradizione, dove la grinta dei colori di derivazione naturale sottolinea l’importanza dei tessuti e delle loro combinazioni.
Protagonista di questa collezione è la setain versione slowsilk (seta finissima) silk Buttefly (seta Tussah naturale), Fairsilk (seta e cashmere) e, non ultima, Silk Sea Island (cotone e seta).
Un capo frutto dell'alta tecnologia, che va incontro a tutte le esigenze quotidiane, per affrontare vento, piogge e qualunque condizione climatica.
Un tessuto che si presta a qualsiasi innovazione per trasformarsi in pantaloni e camicie, emblemi di un guardaroba democratico.
Il mondo del denim esprime il suo massimo virtuosismo creativo con gli innumerevoli dettagli del capo: dal filo alle salpe, dai bottoni ai rivetti. Si tratta di un denim che viene coltivato usando tecniche tradizionali a basso consumo d’acqua.
Il brand gioca con le sfumature dei toni invernali, puntando sul bianco e sul grigio, che richiamano montagne dalle cime innevate.
La filosofia di questo marchio si basa sulle “3R”: Recycle, Reuse, Reduce, come principio di sostenibilità e di una nuova vestibilità, decisamente slim rispetto all’originale.
presentata a Pitti 103, il prossimo gennaio, è composta da 20 pezzi dal DNA decisamente vintage. Una collezione da indossare quotidianamente, arricchita da gilet reversibili con un lato in denim trattato e uno rib-stop.
La coppia di influencer Anna e Dmytro Kanyuk hanno creato insieme a Dora Zecchini una special capsule pensata per i globetrotter che amano allo stesso tempo il movimento e la coolness.
Must have della collezione è il modello Seoul, realizzato con un trattamento ecosostenibile e personalizzato da rotture e micro rotture create a mano, per conferire un carattere particolare al tessuto.
Heritage e innovazione sono il nuovo focus di questo denim brand interamente prodotto in Italia, che spazia dalle modellature skinny a forme più regolari, ma anche morbide e dal fondo ampio.
Geometrie astratte prendono forma nei capispalla, nelle camicie e nella maglieria, per scandire in modo evidente quel mix di evergreen e tocchi audaci che conquista
Un design in cui convergono forma e funzionalità in un’ottica fashion. Senza mai dimenticare la qualità, intesa come capacità di mantenere nel tempo alti standard anche di comfort, grazie all’isolamento termico e alla resistenza all’umidità.
L’artigianalità di Dior si fonde in uno stile futuristico e urbano, con un forte richiamo al viaggio, per un uomo che ama e riconosce la sartorialità e i suoi dettagli.
Penta clothing è un brand made in Italy la cui particolarità è un taschino a forma di pentagono rovesciato, presentato in diverse fantasie e dal motto “Lux-You”. Vale a dire, ognuno splende di luce propria, quando si sente felice
Il brand canadese presenta al Pitti103 una collezione all’insegna di modularità, stratificazione e multifunzionalità, per restare sempre performanti di fronte a condizioni climatiche in mutamento continuo.
Un know how unico, supportato dalle moderne tecnologie, che sta alla base di filati pregiati e unici che assicurano un alto livello qualitativo, in risposta all'imperativo di esistere per durare.
Il fascino discreto di una camicia bianca, che può essere staccata a metà e ricomposta con un pezzo di una altra camicia, per creare interpretazioni più audaci. Questa la filosofia della startup di Jessica De Cata.
Il forte legame con il mondo dell’arte e la ricerca estetica caratterizza da sempre il lavoro dei fratelli Ghignone, trasformando ogni pezzo in un’opera. Un ponte tra il concetto classico di raffinatezza e il fascino di ciò che è vecchio, dedicato a un uomo dallo spirito gipsy.
Creatività ed esperienza sono le parole chiave per rivalutare il rapporto tra industria creativa e industria manifatturiera. Il sistema moda si basa sempre più su un rapporto intimo con il consumatore, radicato nel processo di generazione di valore del prodotto. I must have del guardaroba maschile, in diverse varianti tessili e di colore, si alternano a pezzi più tecnici che vanno alla scoperta di nuovi tagli e volumi.
Ben tornato il desiderio di vestirsi esplorando liberamente soluzioni di outift progettati all’insegna della confort-abilità e di un immediato senso di fascino moderno. Capi essenziali, linee fluide, forme rassicuranti ci traghettano in un neo-basic concept atemporale.
Un guardaroba pensato come fusione tra la necessità di una silhouette più personale e le esigenze di tutti i giorni. In un nuovo gioco di situazioni e impegni chi sta in smart working veste come chi sta fuori, ma sempre con capi multifunzione e multietà. Una nuova tendenza ragionata, dove a un bel cappotto si può abbinare una tuta, o sotto una giacca indossare una felpa. Quello che conta è essere comodi e al caldo.
Classe, sofisticatezza e relax sono i cardini di un luogo dello stile dove l’uomo si sente profondamente a proprio agio, come nelle atmosfere di un Jazz Club degli anni ’60. Protagonisti i colori, in una palette raffinata che accarezza i toni dell’inverno, mentre i materiali esprimono una qualità italiana senza compromessi.
Essere non semplici stockisti, ma broker in grado di riposizionare gli stock dei migliori brand, valorizzandoli al massimo: già dal 2003, anno della fondazione, Spazio Romanelli ha imboccato una strada precisa, che ne ha decretato il successo. La crescita continua, con l’ampliamento dello showroom milanese e il debutto in corso Vercelli dell’insegna B2C -Off Price Anna Bess-.
Mai come oggi la gestione ottimale degli stock è diventata di vitale importanza nei piani di business e nelle programmazioni aziendali: una tendenza che nel 2003, è stata colta al volo da Emilio Romanelli, cinquantenne milanese che partendo da zero ha fondato Spazio Romanelli, una realtà in anticipo sui tempi in termini di gestione B2B, diventata in breve il punto di riferimento per i più qualificati marchi italiani ed esteri, che affidano a Spazio Romanelli le proprie rimanenze perché sanno che verranno vendute nell’ottica di una distribuzione responsabile ed efficace. Al momento Spazio Romanelli gestisce oltre 60 brand che vende in Italia e nel mondo soprattutto grazie alla piattaforma web romanellib2b.com e, con uno staff di 10 persone in costante crescita,
è in una fase di grande dinamismo per il player milanese. Infatti lo showroom di via Sismondi 48 è stato recentemente ampliato, arrivando a 1.400 metri quadri tra spazio espositivo e logistica, così da ospitare più merce e più marchi, offrendo una “wholesale shopping experience” simile a quelle che si vivono nei fashion mall più all’avanguardia. Sta avendo ottimi riscontri anche un nuovo progetto in ottica B2C: il suo nome è Off Price e si tratta di un outlet multimarca di 250 metri quadri, in un distretto chiave dello shopping sotto la Madonnina (via Belfiore 7 - zona corso Vercelli), all’interno del quale si possono trovare le proposte dei migliori brand internazionali in un’ambientazione a metà tra lo stile industriale e il metro-chic. Il punto vendita, nato in collaborazione con Anna Bess (insegna presente sulla scena
milanese con quattro store da oltre 30 anni), ospita prodotti di qualità a prezzi iper-concorrenziali, con un risparmio effettivo dal 30% al 60%. Questo concept di outlet boutique, esportabile ovunque, è a disposizione di chiunque volesse aprirlo in franchising, mantenendo lo stesso stile e gli stessi assortimenti, con la merce fornita a prezzi di ingrosso. L’unica cosa di cui il franchisee dovrà occuparsi sarà il mark up, insieme alle strategie di marketing. Il futuro è all’insegna del raggiungimento di nuove aree cruciali per il mercato degli stock e di un’ottica sempre più omnichannel, adeguando le strutture e i servizi a esigenze e richieste radicalmente mutate dopo la pandemia. Il tutto con l’approccio imprenditoriale di sempre: «non siamo stockisti ma broker - sottolinea Emilio Romanelli -. Riposizioniamo gli stock dei migliori brand, che in questo modo vengono valorizzati al meglio. Forti di anni di esperienza nel programmato, abbiamo dato vita a un mercato che, in passato, era appunto gestito solo da stockisti. Siamo e saremo pionieri, avendo creato ex novo un segmento che prima non esisteva».
Riutilizzare materiali e forme per costruire capi capaci di liberare l'uomo dai riti di un'immagine che lo imprigiona in un ruolo: né formali, né street, perché anche un completo giacca e pantaloni può raccontare lo stile che vediamo per le strade delle nostre città.
Lo stile puro e rigoroso che negli anni ’80 ha accomunato elementi orientali e occidentali è fonte di ispirazione per creare nuove collezioni che diventano virali tra le nuove generazioni. Tornano le silhouette monocromatiche, ricche di sovrapposizioni e volumi importanti, facili da indossare per trasformare la propria personalità.
CSM è un’associazione autonoma, libera, apolitica ed indipendente.
CSM è dedicata a tutti gli showroom multibrand di Milano più rappresentativi del fashion e con una forte vocazione internazionale.
CSM ha tra i suoi obiettivi fondamentali l’esigenza, resa ancor più forte dalla recente situazione congiunturale, di fare squadra.
CSM ha concretizzato, grazie alla collaborazione con Confartigianato Moda, importanti attività durante le Fashion Week di Milano: ARTISANAL EVOLUTION + CSM MEETS SUSTAINABILITY APP WAOOO + VIAMADEINITALY CAMERA
Il freddo e il silenzio ci raccontano la simbologia caratteristica del Nord Europa ma anche uno stile affascinante, fatto da capispalla avvolgenti, maglioni in lana pesante, pantaloni e capi in felpa. Minimale e pulito ma con dettagli inaspettati, lo stile nordico è oggi fonte di ispirazione per creare capi dai volumi over che si alleggeriscono nelle pesantezze, conferendo a chi li indossa comfort e calore.
Forte del sodalizio con la storica stamperia serica Achille Pinto di Como, la moda di Pierre-Louis Mascia cresce di stagione in stagione, grazie a un’estetica sperimentale dove colori, geometrie e pattern di diversa estrazione fluiscono in un vibrante collage di stampe. E dopo aver trovato casa in via Verri a Milano, amplia gli orizzonti, facendo tappa anche al Pitti di gennaio
DI ANGELA TOVAZZIÈ il 2007 quando Pierre-Louis Mascia, designer di Tolosa con un passato da illustratore, incontra i fratelli Uliassi, alla guida della stamperia serica Achille Pinto, attiva sin dal 1933. Inizia una felice collaborazione, che porta l'azienda di Como ad acquisire la maggioranza del brand nel 2018 e ad accompagnarlo nel suo percorso di sviluppo. Crescono così le collezioni, cresce la visibilità internazionale (grazie a 400 multimarca, tra cui Le Bon Marché Banner, Biffi e Bergdorf Goodman), cresce il giro d'affari, nel 2022 arrivato a 7 milioni di euro, in aumento del 50% sul 2021.
Nonostante il momento di mercato molto incerto, il suo brand sta andando
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PUBBLICITÀ
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molto bene... Quali sono state le mosse vincenti?
Innanzitutto la costanza e poi penso che per diversi anni abbiamo seminato con generosità. Adottando non una strategia di marketing, ma di cuore.
Ha fondato il suo marchio quando ha incontrato i fratelli Uliassi. Una sorta di incontro karmico, no?
Un marchio non può funzionare senza l'alleato giusto per la produzione, oppure senza un buon creativo. Lavoriamo in totale sinergia. I risultati migliori vengono da una profonda conoscenza tecnica, unita a una mente aperta.
Lei è conosciuto per il suo talento nel mescolare pattern e fantasie e per una moda senza tempo. Cosa punta a esprimere?
Sara Cinchetti (s.cinchetti@fashionmagazine.it)
Valentina Capra (v.capra@fashionmagazine.it)
AMMINISTRAZIONE
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Il senso della bellezza e dell'éternel présent. Non mi interessa piacere a tutti. Il viaggio di un creativo consiste nell’andare a cercare se stesso, non gli altri. Nel momento in cui trova se stesso, allora può condividere il suo mondo con l'esterno.
La collezione è iniziata con alcune sciarpe, poi si sono aggiunti abbigliamento uomo e donna e una linea per la casa. Prossimo step? Creare un universo. In futuro ci potrebbero essere la cosmetica o il profumo.
Al Pitti di gennaio presenta uno special project: può anticiparci qualcosa?
Il progetto ruota attorno al concetto di “Philocalie”, un termine che significa “amore per ciò che è bello”, nel senso che, nella cultura greca, il bello si fonde con il vero e il buono. Saremo presenti con alcune installazioni, che dialogano con l’estetica dell’edificio che ci ospita, Palazzo Antinori.
Ha deciso di aprire il suo primo monomarca non a Parigi ma a Milano, inaugurando una boutique che sembra un cabinet de curiosité: chi sono i suoi clienti?
Lo spazio vuole essere un invito a scoprire l’universo Pierre-Louis Mascia. A varcare la soglia del nostro negozio sono tutte le persone curiose e ricettive.
Prossimi progetti?
Apriremo un monomarca a Portofino questa primavera e, naturalmente, siamo alla costante ricerca di idee chiare per realizzare delle belle creazioni.
C’è un altro sogno nel futuro di Pierre-Louis Mascia? Cercare l’armonia: per me, per il marchio e per il mondo.
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Lontano dalle ribalte internazionali, il designer di Anversa ha saputo costruire una sua estetica molto personale, in cui parole come fluidità, patrimonio culturale, artigianato e "human collective" sono le fondamenta. Una storia che ora racconta a Pitti Uomo, dove è Designer Project
DI CARLA MERCURIONata nel 2010, la sua collezione sfila per la prima volta in assoluto a Pitti Uomo. Perché ha scelto questa fiera?
In realtà è andata al contrario, siamo stati invitati dall'organizzazione di Pitti Uomo. C’era già stato un contatto in passato, quando gli organizzatori hanno visitato la nostra showroom e ci hanno invitato ad alcuni eventi. Ora ci è sembrato il momento giusto per realizzare il progetto e siamo grati per l'opportunità che ci è stata data.
Cosa si aspetta dalla kermesse fiorentina? Sappiamo che ci porterà più visibilità e una piattaforma più ampia per raggiungere nuove persone. Avremo l'occasione di mostrare la filosofia della collezione e di raccontare la nostra storia. Porteremo sotto i riflettori il nostro Project#11 per la stagione Fall/Winter 2023, che getterà uno sguardo sui nostri archivi con un nuovo punto di vista. Il nostro è un percorso continuo di apertura, umanità condivisa, una visione del futuro radicata nella storia.
Quali sono le sue principali fonti di ispirazione?
Preferisco vedere le persone semplicemente come persone, a prescindere dal genere. Molti dei capi che innescano la mia ispirazione sono genderless. La forma e la costruzione di un kimono, ad esempio: le varianti maschile e femminile sono quasi le stesse per quanto riguarda modello e costruzione. C'è così tanto che abbiamo in comune e i vestiti che realizzo si concentrano maggiormente su questo. Anche quando usiamo elementi del classico guardaroba maschile, le proposte sono indirizzate a chiunque ne riceva un’emozione.
l'esperienza della sfilata?
Forse sì. Prima non l'abbiamo mai considerata una parte essenziale del nostro storytelling. Ma ora, dopo aver realizzato cinque film insieme al regista Ramy Moharam Fouad durante la pandemia e aver preparato questo evento a Pitti Uomo, nascono spunti per altri modi di presentare. Ma deve essere l’idea giusta al momento giusto. Molto probabilmente sceglieremo Parigi, dove presentiamo la nostra collezione durante la settimana della moda uomo da più di dieci anni.
Com’è evoluta la collezione nel tempo e dove la produce?
La collezione è cresciuta lentamente ma costantemente. La filosofia non è cambiata molto, ma i vestiti sì. Ho perfezionato il modo di esprimere la mia idea senza inserire troppo del mio ego artistico, con l’obiettivo di migliorare i capi e l'esperienza di chi li indossa. La collezione è prodotta in Europa, principalmente in Belgio ma anche in Polonia, Romania e Ungheria. Lavoriamo in modo indipendente da 12 anni e al momento vendiamo le nostre proposte in 40 negozi in 13 Paesi.
Ho visto che ha disegnato i costumi per l'opera Alceste. È la sua prima esperienza in questo campo?
No, non era la prima volta. Dal 2016 ho avuto la fortunata opportunità di collaborare con il coreografo Sidi Larbi Cherkaoui su sei delle sue creazioni, tra opera, danza contemporanea e balletto. È sempre bello poter intraprendere questi viaggi creativi.
Un ritratto di Jan-Jan Van Essche (in alto) e un outfit della sua collezione (sopra). Lo stilista, nato ad Anversa, si è laureato nel 2003 alla Royal Academy of Fine Arts della città, dove ha il suo studio di design. Ora pensa ad ampliare la collezione con nuove merceologie
Lo “human collective”, i diversi patrimoni culturali e la vasta conoscenza che c’è dietro l'artigianato tradizionale sono le principali fonti di ispirazione. Quando si viaggia si vedono le cose più chiaramente, poiché si ha una visione meno contestualizzata delle cose, per cui l'ispirazione arriva facilmente. Ma negli ultimi anni, quando viaggiare non era così facile, mi sono ispirato anche a ciò che mi circondava. Abbiamo la fortuna di avere casa, negozio e studio molto vicini tra loro, in una zona molto vivace e variegata. Il quartiere, con tutti i suoi abitanti, è un terreno molto fertile per un designer come me.
Cosa significano le parole genderless e fluidity per il tuo brand?
E-commerce e sostenibilità: a che punto siete con questi temi?
Abbiamo il nostro negozio Atelier Solarshop ad Anversa, dove le vendite online si sono rivelate importanti quanto lo store fisico. Ma l’e-commerce non è il modo più semplice di presentare i nostri capi, poiché molti dettagli rimangono invisibili fino a quando non si indossano. Per quanto riguarda la sostenibilità affrontiamo questo tema cercando di lavorare nel modo più umano possibile, impiegando solo fibre naturali, cercando di realizzare abiti che possano durare, utilizzando il più possibile coloranti naturali, trattando le persone con cui lavoriamo in modo equo e non producendo più del necessario.
«Per me le barriere tra i generi non esistono. Quello che conta è suscitare emozioni»PEOPLE Jan-Jan Van Essche Stilista