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AUMENTI

AUMENTI

BISOGNA FARE MASSA CRITICA

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RINCARI STRAORDINARI E DECISI IN CORSA METTONO IN SOFFERENZA IL MECCANISMO DELLE NEGOZIAZIONI. MA I CONSORZI DELLA DISTRIBUZIONE REAGISCONO E SCOPRONO LA NECESSITÀ DI COORDINARSI

DI ALBERTO GEROSA

Covid-19. Crisi dei container. Incetta di commodity e risorse strategiche da parte della Cina. Braccio di ferro politico tra Ue e la Russia, padrona del gas. Tutto questo ha innescato un meccanismo a cascata di aumenti, che si riflettono su conti, bollette e, non da ultimo, listini prezzi applicati dai fornitori. Le cifre di questo cahier de doléances si riassumono nel rincaro di materie prime come la cellulosa (aumentata del 70% rispetto a fine 2020), l’alluminio (più caro del 50%, 2.700 dollari alla tonnellata), il rame ormai vicino ai massimi storici, la ferrite e il petrolio. Una delle conseguenze è stata l’impennata del Pet da 750 a 1.400 euro alla tonnellata (+84%), mentre il sempre più adottato Pet riciclato è cresciuto del 66%, ossia da 1.200 a 2mila euro alla tonnellata; circostanze che hanno spinto l’associazione

di categoria Mineracqua a chiedere l’aumento dei prezzi delle bottiglie d’acqua. Certo, i facili allarmismi fanno gioco solo al giornalismo di sensazione, quindi - teniamo a precisarlo - malgrado l’improbo biennio appena trascorso, non tutti i listini delle aziende di produzione sono aumentati. Tuttavia, i rincari registrati sono innegabilmente molti: “Opero nel sistema del largo consumo dal 1979 - spiega Antonio Faralla, direttore del consorzio Horeca Italiana –, da allora non si erano mai visti fornitori che si presentano con aumenti di 10-14 punti; finora in questo settore ci si trovava a parlare di 2-3 punti”. Ciò che poi rischia seriamente di far saltare il banco - ossia fuor di metafora il meccanismo delle negoziazioni - è la tempistica estremamente compressa con cui i rincari sono stati presentati. “L’aumento dei listini in un sistema industriale distributivo si fa una volta l’anno, definendolo normalmente verso la fine dell’esercizio commerciale e applicandolo nei primi 2-3 mesi dell’esercizio successivo - aggiunge lo stesso Faralla - Nel 2021 per la prima volta ci siamo trovati di fronte ad aziende che a ottobre hanno già fatto un primo balzello, per poi addirittura correggerlo con un secondo balzello a fine anno, con un’applicazione immediata per quasi tutte le aziende”. Quella dei consorzi diventa quindi una vera e propria corsa contro il tempo, finalizzata a raggiungere il maggior numero di derive possibili, abbassando quei 14 punti delle 23 unità in grado di dare la classica boccata d’ossigeno alla tenuta del sistema. L’anomala inflazione dei prezzi impone a tutti i professionisti della distribuzione la necessità di elaborare strategie di alto profilo: sul

fronte della Gdo, per esempio, Esselunga ha dichiarato deflazione e sta conducendo un braccio di ferro con tutti i suoi ANTONIO fornitori per fermare gli FARALLA aumenti di listino. Ma che non tutti abbiano il potere contrattuale di Esselunga, è frase degna di La Palisse. Il consorzio Beverage Network/Sipro può contare sull’ampio perimetro consentito dal suo particolare stato giuridico per proporsi come punto di mediazione e negoziazione importante per tutta l’industria del beverage: “Siamo una società consortile con marcata delega negoziale - puntualizza Pietro Flaccadori, direttore BN e coordinatore Sipro - il che ci consente di interfacciarci con le multinazionali e portare i listini a condizioni che impattino il meno possibile. La nostra negoziazione non riguarda l’aspetto commerciale né il contratto, ma punta all’armonizzazione di tutto il sistema, con le conseguenze che questo ovviamente ha sulla contrattualistica. Troviamo degli atterraggi; la complicazione però oggi è data dal disallineamento tra le varie industrie nelle proposte degli

PIETRO FLACCADORI GIACOMO GROSSI

aumenti - con picchi parossistici nella categoria delle bollicine italiane, mentre in passato l’inflazione era sistematicamente allineata. Questo dipende dall’instabilità nel mondo delle materie prime, dei trasporti, della logistica e, ovviamente, dell’energia”. Punto di riferimento, abbiamo detto. Eppure, l’azione dei consorzi manca di coordinamento, su questo concordano un po’ tutti: “Non c’è un dialogo tra i consorzi sul come trasferire gli aumenti sul mercato e assumere un atteggiamento unitario rispetto ai prezzi - osserva Giacomo Grossi, responsabile del consorzio Rasna - Di conseguenza subiamo i rincari dalle grandi aziende e dalle multinazionali, da cui proviene l’80% del fatturato. I nostri associati tenderanno a rigirare per quanto possibile questi aumenti sullo Stato (ma i rincari genereranno probabilmente più problemi che il credito); è inoltre prevedibile che in un quadro più generale le imprese appartenenti ai vari consorzi aumenteranno i loro prezzi, pur non potendolo fare nella stessa misura applicata dai fornitori. In prospettiva questo si tradurrà in una minore marginalità, dove il grado di organizzazione, la qualità della logistica e la capitalizzazione delle singole aziende saranno fondamentali per consentire loro di affrontare questo nuovo cambiamento che investe l’intero settore”.

NEL MONDO DELLA DISTRIBUZIONE HORECA SI AVVERTE IL BISOGNO DI UN’ENTITÀ IN GRADO DI FARE SQUADRA

BISOGNA FARE SQUADRA

Nel mondo della distribuzione Horeca si avverte il bisogno di un’entità in grado di “fare cartello”, come sottolinea Antonio Faralla: “Un limite di questo canale è che fa fatica a ragionare sia con il sistema industriale sia con la grande distribuzione. L’industria oltre ai suoi sindacati dispone di un organismo come Centromarca, dove ci si incontra e, di fatto, si decidono le politiche trasversali sulle marche. Poi, a seconda del potere contrattuale e dell’inflazione interna, il risultato finale sarà diverso. Sarebbe auspicabile anche nel nostro canale un organismo simile, in cui almeno le centrali dei diversi consorzi possano confrontarsi non sotto l’aspetto sindacale, ma anche sotto quello commerciale”. Sono insomma necessarie delle sinergie. E se è universalmente risaputo che l’unione fa la forza, quella auspicata dal direttore di Horeca Italiana non è semplicisticamente relativa ai fatturati, ma alla capacità di referenziare i fornitori. “Una volta il nostro competitor era il cash & carry, per esempio Metro - precisa ancora Faralla - Oggi il competitor si chiama Amazon, azienda che ha 2,5 milioni di referenze contro le 100mila referenze mie. Significa che io ho 25 volte in meno il potere di Amazon se considero il numero di referenze trattate, ma un miliardo di volte in meno rispetto a un’insegna il cui mercato è mondiale. È chiaro che il mio mercato non è mondiale, allora devo per forza andare a far sinergie con altre insegne”. Sarà questa l’unica massa critica in grado di tenere testa al mercato di domani e alle future impennate dei listini.

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