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LA VITE E IL SALICE, UNA STORIA DI LEGAMI

Tra gli antichi e i recenti paesaggi della viticoltura contadina

di Bianca Seardo

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Tralicci di vite con legature di rami di salice (© Cantina dei produttori Nebbiolo di Carema, foto di Rossano Morello).

I paesaggi della viticoltura contadina oggi sono sparsi, frammentati, confusi nelle maglie dell’urbanizzazione, a volte invisibili solo perché non riusciamo più a distinguerne i segni. Sono un patrimonio vivente perché non rappresentano solo un pezzo della nostra storia, ma anche un serbatoio di tecniche e conoscenze per un futuro concretamente più resiliente e sostenibile.

Sono paesaggi che attraversiamo tutti i giorni o quasi, di cui forse non ci domandiamo neppure l’origine. Alberi isolati nelle campagne che non sembrano avere un perché, versanti montani coperti da una fitta trama di pergolati pensili, pesche succulente che hanno perduto il proprio nome, palizzate di legni tesi verso il cielo a cui si sostengono possenti tronchi di vite: sono indizi che vanno ricuciti in una narrazione spesso interrotta.

Le forme del paesaggio vanno interrogate: scopriremmo persone, gesti, racconti, motivi, valori. Viaggeremo per il Piemonte, ma spesso partiremo dal Canavese: dove scrivo, coltivo e cammino fra antiche vigne.

Paesaggi a due velocità: le Langhe e...

I paesaggi piemontesi del vino oggi sono lo specchio di storie che intraprendono un viaggio a due velocità differenti a partire da metà Ottocento. Nel 1850 la nomina di Camillo Benso a Ministro dell’Agricoltura del Regno di Sardegna, con Carlo Alberto, agevola la strada alle pulsioni progressiste accese nella regione. In campo vitivinicolo, il vigneto piemontese va incontro a un epocale rinnovamento: nelle campagne i contratti mezzadrili lasciano il posto all’affittanza imprenditrice, primo segno di un’agricoltura capitalistica. La riforma generale delle tariffe doganali del commercio con l’estero sottrae il Piemonte a una economia principalmente volta all’autoconsumo, proiettandolo all’esportazione: si passa da 7.900 bottiglie esportate negli anni Quaranta a 200.000 nel 1860 (Bolloli, 2004).

Ma c’è di più. Sotto Camillo si afferma l’enologia moderna: in vigna si sperimentano nuove modalità di conduzione e propagazione delle viti, analisi chimiche dei terreni e studio delle concimazioni sono all’ordine del giorno, si introducono nuovi vitigni; in cantina la rivoluzione passa, fra le altre cose, dalla pulizia delle botti, alla pratica dei travasi, all’introduzione della bottiglia (la prima annata imbottigliata nella tenuta di Grinzane del Conte Cavour è del 1843). Il vino acquista qualità, può essere degustato anche dopo anni e commercializzato quindi su lunghe distanze.

Il cuore territoriale del rinnovamento sono Langhe, Roero e Monferrato che da quel momento si ritagliano una posizione dominante nel settore fino a diventare l’attuale motore dell’economia viticola piemontese e fulcro mondiale del turismo del vino, ruolo sancito dall’ascrizione alla Lista mondiale del Patrimonio dell’Umanità nel 2014. Dall’Ottocento a oggi, insieme alle modalità produttive, anche il paesaggio viticolo si trasforma all’insegna della specializzazione colturale: la viticoltura contadina diviene impresa, il vigneto si meccanizza e surclassa le altre colture, prende forma quel paesaggio “di colline ricoperte di vigneti a perdita d’occhio” conosciuto in tutto il mondo (UNESCO WHL, 2014).

Non si deve pensare tuttavia a un cambiamento repentino, bensì a un processo non lineare con resistenze e arresti, anche dovuti alla diffusione delle devastanti fitopatie (oidio, peronospora, fillossera)

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