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DA NOVARA AL MONDO

I reportages fotografici di Alessandro Faraggiana tra Suk e Samoiedi

di Silvana Bartoli

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Quando gli europei avranno portato a termine le loro conquiste, quando avranno creato i tribunali e le tasse, quando infine un popolo di gente bella, fiera, libera e coraggiosa, domata dalle leggi e dalla fame, dovrà abbandonare la lancia ereditata dai suoi padri per la zappa, strumento dei servi della gleba, e il suo paese, perduto l’aspetto selvaggio ma pittoresco, sarà coperto dalla monotona vernice che la civiltà stende sulle regioni occupate, quei popoli vivranno più felici? Oppure la civiltà europea servirà solo a procurare aurei profitti alla razza che l’ha elaborata e imposta?

Così Alessandro Faraggiana chiude la relazione sul viaggio tra i Suk e i Turkana. L’ha scritta per la Società Geografica Italiana, della quale faceva parte e che era particolarmente interessata ai suoi percorsi, soprattutto a quelli in Centro-Africa o nelle Regioni Polari.

Siamo nel primo decennio del Novecento. Alessandro, che ha frequentato l’Accademia militare di Torino, è ufficiale di artiglieria e ha già compiuto altri viaggi: Tunisia, Egitto, Eritrea, India, per citarne alcuni. Nel 1906 pensa all’Africa Orientale, poi nel 1909 si orienterà verso la Nuova Zemlja, sempre in cerca di popolazioni “primitive” e luoghi poco noti. Sono appunto questi i viaggi apprezzati e incoraggiati dalla Società Geografica che non manca di sottolineare il “notevole contributo di conoscenze” che verrà dalle relazioni pubblicate sul Bollettino o dalle conferenze con proiezioni nell’Aula Magna del Collegio Romano.

Alla scoperta dei Grandi Laghi africani

Alessandro intende, a scopo di studio e di caccia, come sempre a sue spese, dirigersi verso il British East Protectorate — noto anche come Africa orientale britannica, un'area nella zona dei Grandi Laghi africani che occupava all'incirca lo stesso terreno dell'attuale Kenya: dall'Oceano Indiano nell'entroterra fino al confine con l'Uganda a ovest. Prima ancora che arrivi il permesso del Ministero della guerra dal quale dipende, la Società Geografica Italiana gli scrive indicandogli esattamente l’itinerario da seguire: da Mombasa in treno fino a Nakuro, poi con una carovana arriverà al lago Rodolfo e infine al lago Stefania.

Se per Alessandro era un viaggio d’istruzione e sport, la Società Geografica Italiana si riprometteva di trarne informazioni: su territori quasi del tutto sconosciuti e soprattutto sui cambiamenti prodotti presso la popolazione indigena a seguito della costruzione della ferrovia che da Mombasa arrivava al lago Vittoria. Interessavano poi le quote di livello dei laghi Rodolfo e Stefania, essendovi discrepanze tra i dati forni- ti dagli esploratori. Ma Faraggiana doveva anche osservare le tribù che avrebbe incontrato: la loro organizzazione sociale, gli aspetti morali e materiali del vivere. Per questo la Società Geografica Italiana invitava a fare largo uso della fotografia come mezzo di documentazione antropologico.

Nessun’altra richiesta poteva essere più gradita a chi, nel parco della propria villa di Meina, aveva visto costruire un laboratorio fotografico col quale i genitori, Caterina e Raffaello Faraggiana, esprimevano la passione per la nuova arte. Una passione che coinvolse gradualmente tutta la famiglia, a giudicare dal numero di album rimasti e dalle attrezzature conservate nel laboratorio.

La famiglia Faraggiana, tra nobiltà e filantropia

Arrivati a Novara nel 1821, nobili di Sarzana e già ricchi imprenditori liguri, i Faraggiana avevano ricevuto un’eredità strabiliante dallo zio, Giovan Maria De Albertis, con la quale avevano acquistato la villa Du-

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