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PER TUTTO L'ORO DEL PIEMONTE

A caccia di pepite con i cercatori d'oro di ieri e di oggi

di Davide Mana

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Secondo Samuel Johnson, i complimenti sinceri sono, come l’oro e i diamanti, preziosi per la loro scarsità.

E la scarsità è certamente uno dei motivi per cui l’oro — l’elemento 79 della Tabella Periodica — è considerato un metallo prezioso da oltre seimila anni: un pendente di oro a 24 carati, ritrovato a Varna, in Bulgaria, nel 2015, e risalente al 4.300 a.C., è il più antico esempio di uso di questo metallo in gioielleria. Si calcola che se tutto l’oro del mondo venisse fuso in un unico lingotto, questo sarebbe un cubo da 20 metri di lato.

La scarsità dell’oro fa anche sì che esso sia infinitamente riutilizzabile — gli oggetti d’oro si fondono e si trasformano, ed è probabile che l’anello o il bracciale che oggi indossiamo contenga oro che nei secoli passati è stato un diverso gioiello, o una moneta, forse nello scrigno di un pirata o nel corredo funebre di un faraone.

Il metallo più amato

Ma la scarsità da sola non basta: il platino è più raro dell’oro, ma meno popolare. Come l’oro, il platino non è soggetto a corrosione, ma a differenza dell’oro, che fonde a poco più di 1000°C, il platino è più difficile da estrarre, è più difficile da lavorare e fonde a 1768°C. L’oro è un ottimo conduttore elettrico e un eccellente riflettore di radiazioni infrarosse, caratteristiche che ne fanno un importante materiale per le moderne tecnologie (dalla circuitistica elettronica alla creazione di telescopi astronomici). Ed è estremamente duttile e malleabile: trenta grammi d’oro possono essere martellati fino a farne un foglio di cinque metri di lato. L’oro è anche di un bel colore giallo-dorato, a differenza di ogni altro metallo nella tavola periodica con la sola eccezione del rame. Nel suo stato naturale, l’oro non si trova puro, ma è associato all’argento e la percentuale di argento nella lega incide sull’intensità del colore del minerale. Per uso industriale e in gioielleria, l’oro viene invece addizionato con argento, rame, platino o palladio, a seconda degli usi.

Raro, facile da estrarre e da lavorare, bello a vedersi, l’oro è stato per millenni la valuta ideale, il bene rifugio, il materiale col quale creare artefatti meravigliosi. E non solo. L’oro è anche un autentico oggetto del desiderio, capace di scatenare l’avidità e la follia nelle persone più apparentemente equilibrate. Hernan Cortes, l’uomo che conquistò il Messico e contribuì a rifornire le casse della corona spagnola con i tesori dell’impero Azteco, sosteneva che l’oro fosse l’unica cura per una malattia dell’anima che affliggeva gli spagnoli. Una malattia che condusse molti contemporanei di Cortes a sacrificare la propria vita – e prima ancora, forse, la propria sanità mentale – per la ricerca del mitico El Dorado: una intera città fatta d’oro. Una ricerca, quella dell’El Dorado, cara ai narratori di storie d’avventura (ricordiamo qui solo Aguirre, Furore di Dio di Werner Herzog, del 1972) e che avrebbe continuato a mietere vittime nei secoli successivi, fino alla metà del XX secolo.

Dove si trova l'oro?

Se depredare antiche civiltà e saccheggiare i tesori altrui è una pratica consolidata da parte di molti di coloro che sono stati colti da quella “malattia dell’anima” descritta da Cortes, è tuttavia innegabile che il modo più semplice e meno rischioso per accumulare oro resta quello di trovare e sfruttare un giacimento naturale.

Esistono in natura due tipi principali di giacimenti auriferi: le vene (lodes, in inglese) e i giacimenti sedimentari (placer). Le vene aurifere si formano a partire dalla circolazione di fluidi idrotermali all’interno delle rocce. L’acqua super-riscaldata si insinua in fratture delle rocce e, raffreddandosi, deposita i minerali che a temperature maggiori erano disciolti in essa. Le acque super-riscaldate possono avere diverse origini, legate all’attività tettonica della crosta terrestre:

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