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Editoriale

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Mirko Orlando

Mirko Orlando

Tempo ne abbiamo a disposizione... ormai; anche per pensare al Tempo. Vediamola e diciamola anche così, in effetto collaterale: non lo abbiamo cercato, per quanto potessimo sentirne il bisogno, ma ci è stato “elargito” dalla successione di pandemie che hanno imposto per legge ritmi esistenziali misurati e pacati. In momenti successivi, ma conseguenti, ci è stato imposto di cancellare ogni abitudine di vita quotidiana acquisita e frequentata fino a ieri l’altro, per seguirne di nuove, che hanno limitato al minimo strettamente indispensabile frequentazioni e socialità che ormai facciamo quasi difficoltà a ricordare: soprattutto, ci è stato chiesto (e imposto) di muoverci il meno possibile da casa, di non accostarci a nessuno, di sostituire tutto quanto è stato “prima”, con un “adesso” circoscritto alle pareti domestiche, con propri annessi e connessi (dall’intrattenimento televisivo alla crescita esponenziale di social in Rete, magari anche alla lettura di buoni libri, lasciati sempre da parte per un “domani” che è sempre stato più ipotetico e consolatorio che realistico). Eccoci qui, quindi, a fare i nostri conti con il Tempo nuovo e attuale: da affrontare con punti di vista inconsueti e singolari... persino anomali. Ma! Per quanto potremmo anche sposare teorie astrofisiche relative alla concezione del Tempo, che si vorrebbe relativo, che si intenderebbe con scorrimento non necessariamente lineare, sempre in avanti, rimaniamo con i piedi per terra, in compagnia della nostra ipotesi di Tempo. In questo senso, in percorso individuale, che da decenni ci impegna con la Fotografia, qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi, accettiamo la sua relatività. Così che stiamo per conteggiare una consecuzione stretta di cinquantenari personali, che si affacceranno alla ribalta il prossimo Duemilaventuno. Ci facciamo accompagnare dalla soggettività e parzialità di qualsivoglia visione e interpretazione individuale. Conti alla mano: nel Millenovecentosettantuno di nostro avvicinamento alla Fotografia, pensavamo all’esperienza dei grandi settimanali illustrati come a qualcosa di antico. Per esempio, retoguardavamo a Life come a qualcosa indietro, indietro, indietro nel Tempo: con rispetto storico, alla luce dei nostri maldestri vent’anni, trentacinque anni, conteggiati dal 1936 di origine, ci sembravano tanti. Nel frattempo, altri cinquanta ne sono passati, e oggi -raggiunti i settant’anni, quasi- misuriamo le nostre esperienze professionali originarie come qualcosa di confortevolmente recente. Ovvero, la parzialità del Tempo è edificata su e con se stessi e la propria età. Da cui, circoscrivendo magari alla sola Fotografia, dove possiamo / potremmo collocare piani di contatto tra generazioni diverse, oggi coabitanti? Che valori possono ancora avere la Storia e l’Esperienza, se oggigiorno tutto si consuma in fretta e furia, senza alcun

Tempo di riflessione? Ancora, il significato del Tempo che definisce il linguaggio/lessico della Fotografia conferma un senso di Memoria? Ancora, ancora: come considerare la Tecnologia, anche solo quella applicata alla Fotografia, che trasforma in realtà antichi sogni? Non c’è Tempo individuale che tenga: indipendentemente da incidenti di percorso momentanei e passeggeri, la frequentazione della Fotografia appartiene a quelle fonti che alimentano la Vita e l’evoluzione dell’Esistenza. Maurizio Rebuzzini

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