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Sull’immagine
Tano D’Amico (1942) è un fotogiornalista che ha vissuto in prima persona i movimenti giovanili che si sono alternati e susseguiti dalla fine degli anni Sessanta, fino a consegnare alla Storia almeno due immagini iconiche: il poliziotto in borghese, con pistola, durante gli scontri in cui fu uccisa Giorgiana Masi, a Roma, il 12 maggio 1977, e la ragazza mascherata che fronteggia i carabinieri, a Roma, nello stesso 1977.
Oggi, con la pubblicazione di sue considerazioni specifiche riunite sotto il titolo Fotografia e destino, in ulteriore definizione di Appunti sull’immagine, si aggrega al ristretto ambito di fotografi qualificati a parlare/scrivere sull’immagine, i suoi significati e le sue trasversalità sociali. Come già rilevato in altre occasioni, ribadiamo confermandolo: non è necessariamente richiesto che i fotografi si esprimano a parole; già lo hanno fatto con le immagini. Però, quando e per quanto queste Parole sono pertinenti e opportune, ovvero arricchiscono l’animo e la mente, siamo loro grati: considerazioni sulla Fotografia tutta, magari anche a partire dalla propria esperienza e visione personale.
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In incipit/dedica al suo Fotografia e destino. Appunti sull’immagine, Tano D’Amico pone una domanda, che certamente ha già preso in considerazione. Non è retorica, e richiede risposta da ognuno di noi: «Può l’immagine amare così tanto la vita da cambiare il destino?», invita. E subito approfondisce, in forma di introduzione alle considerazioni e riflessioni che, poi, riferisce a una identificata quantità (e qualità) di proprie fotografie.
Testuale: «L’immagine può fondersi con la realtà? Può modificare la realtà? Non dopo, ma prima di essere realizzata - perché, lo sappiamo tutti, che poi, una volta resa pubblica, l’immagine influisce sulla realtà. È di questo che abbiamo vissuto, cineasti, fotografi di movimenti... E il punto è: mentre viene fatta, l’immagine può fondersi con la realtà e cambiarne il percorso? Anche per poco, intendo, anche solo negli attimi in cui l’immagine trova la sua forma, negli attimi in cui occhio e obiettivo sono puntati sulla realtà. Può l’immagine mischiarsi con la vita? Non dopo, ma mentre la si fa, istante per istante? Un attimo di immagine per ogni attimo di vita. Può l’immagine aggiungere qualcosa alla vita? Può aiutarla? Può opporsi alla morte? L’immagine può amare così tanto la vita da cambiarne il destino?».
Quindi, si incammina verso (sue) risposte, scandite al ritmo di trentasei passi, ognuno accompagnato da una sua fotografia per certi versi introduttiva, piuttosto che esplicativa.
Una scrittura sciolta e diretta alleggerisce la lettura, allontanando da sé ogni complicanza lessicale superflua, oltre che inutile. Da cui, ne consegue un discorso che si insinua subito, non soltanto presto, nell’animo di coloro i quali hanno l’intelligenza di avvicinare tutti questi concetti, nella certezza di quanto tanto possono depositare nel cuore e nella mente di ognuno.
In citazione da quanto tanto annotato da Tano D’Amico.
«La disposizione nello spazio delle persone ritratte nelle immagini belle -quelle che durano, che ci prendono in cuore e l’attenzione, e tessono la nostra memoria- ricorda le leggi dell’Universo. Ricorda quello che Leonardo scriveva della disposizione delle foglie sugli alberi» (da Equilibri).
Fotografia e destino. Appunti sull’immagine, di Tano D’Amico; Mimesis Edizioni, 2020; 104 pagine 13,5x20,2cm; 10,00 euro.
«La cultura determina quali sono i ruoli, e lo fa dal punto di vista del più forte. Ci spinge a distinguerci, a distanziarci dal più debole, dallo sprovveduto» (da Punti di vista).
«Quando si mette in discussione un regime, l’ho già detto, per prima cosa si deve cambiare lo sguardo; prima di tutto deve cambiare l’immagine. L’immagine nuova irrompe dagli strappi della storia» (da L’immagine perduta).
«Ciò che nessuno cerca è l’immagine della nostra anima, quella fatta della materia dell’anima. Intessuta di memoria e ricordi. Quella che è la sostanza stessa dei movimenti che vivono attraverso l’immagine. Movimenti, astratti come le immagini. Imprendibili come le immagini» (da Immagine viva).
«Da giovane, mi davo io le regole per fare una buona fotografia. Il fuoco sulle pupille, l’attenzione sui volti, sulle espressioni, sulla forma delle persone, sullo spazio che occupano nel contesto. Aspettare. Aspettare che tutto si componga. Che, in un certo senso, tutto si fonda insieme» (da La buona fotografia).
«Dietro la bellezza formale degli scatti di celebrati maestri occidentali si nasconde il tentativo continuo, incessante, di far sentire “gli altri” come intrusi nella storia, che è occidentale per definizione» (da Fotografia e società).
«Due parole ancora sulle macchine fotografiche. Quelle che si usavano ai miei tempi erano progettate, inventate, disegnate in funzione delle giornate piene di sangue della Repubblica di Weimar. Si combatteva per le immagini. E insorti e repressori ne avevano una diversa concezione. A quel tempo, il genere umano combatteva per possedere, per non perdere l’idea stessa di immagine. Alcuni non la volevano perdere, non volevano smarrirla. Altri volevano strapparla, ucciderla, cancellarla per sempre» (da Macchine fotografiche).
A questo punto, per concludere dopo questa campionatura dai testi in riflessione, contenuta quanto significativa, se avete idea di poter fare a meno di questi Appunti sull’immagine, che Tano D’Amico ha raccolto in Fotografia e destino, beati voi. Siete già più che ricchi. Noi ne abbiamo sentito il bisogno.
E, ora, stiamo meglio. ■ ■