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Per sorridere
Prima di esaminare l’ottimo e coinvolgente pamphlet Sorridere, dell’autorevole Michele Smargiassi, pubblicato da Contrasto Books con il sottotitolo esplicativo La fotografia comica e quella ridicola, è doverosa una considerazione a monte, più che a valle, della combinazione affrontata e svolta: presto detto, il sorriso legato alla ripresa fotografica.
Almeno due sono i richiami da evocare. Per quanto ci sia sempre stata chiara la nozione, il primo lo riprendiamo da una sceneggiatura cinematografica che -a integrazione della propria vicenda principale (ma non unica)- ha saputo svolgere con piglio e competenza anche la trasversalità fotografica di proprio contorno. Il film è One Hour Photo, di Mark Romanek, del 2002, con il compianto Robin Williams nei panni del frustrato Seymour “Sy” Parrish, anonimo e oscuro addetto a un minilab di sviluppo e stampa di fotografie familiari, con tendenze psicotiche. Tra le sue tante rilevazioni a proposito del prodotto del suo lavoro, tutte di profilo alto, magari da tornare ad ascoltare, c’è quella secondo la quale la gente fotografa solo i momenti felici, e compone album (un tempo, componeva album) di ricordi sorridenti: «Quando guardiamo i nostri album fotografici, vediamo soltanto momenti felici; nessuno scatta fotografie dei momenti che vuole dimenticare», come se -attraverso l’insieme delle proprie istantanee- ciascuno lasci anche una indelebile traccia di se stesso... “io c’ero”, può pensare.
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In allungo su questo, non ignoriamo un momento “tecnologico” di qualche stagione fa, diciamo del Duemilaotto e dintorni, quando l’ubriacatura da potenzialità digitali a comoda portata, dopo decenni e decenni di fotografia “meccanica”, sostanziosamente vincolata a propri protocolli inamovibili, elevò il (terribile) sorriso in fotografia a soggetto determinante e guida. © Martin Parr / Magnum Photos / Contrasto
A una identificata serie di compatte digitali furono integrate funzioni relative, proprio, al sorriso: per esempio, scatto bloccato se il soggetto rimane serio/serioso; per altro esempio, funzioni automatiche di Face Detection e Smile Shutter combinate, per demandare alla macchina fotografica il momento idoneo per scattare durante una riunione conviviale; ancora, correzione automatica on-camera per riportare il sorriso sul volto di chi non sogghigna, come richiesto. Come anticipato, giusto tematiche di contorno all’argomento attuale del sorriso, in quanto tale.
Ovviamente, nulla di tutto questo è stato considerato dall’attento Michele Smargiassi (e ci sarebbe mancato altro), che sa andare diritto al punto, mantenendo intatte le promesse di partenza -ovvero, Sorridere. La fotografia comica e quella ridicola-, senza deviazioni inutili, che avrebbero potuto distrarre dal cammino intrapreso, e svolto con ammirevole destrezza e competenza.
Il suo pamphlet si svolge nella tradizione della (breve) pubblicazione, scritta con intento ironico e pungente, attraverso il quale l’autore prende posizione, in questo caso sull’intera nostra società, affrontando e svolgendo un tema di stretta attualità: «il rapporto tra la fotografia e il divertimento, oscillando tra immagini volutamente ironiche e immagini più semplicemente bizzarre» .
Nonostante il sostanzioso corpus di testi a introduzione e accertamento, sia chiaro che si tratta di una raccolta di immagini. I qualificati testi sono necessari per definire i confini della materia; ma quello che più conta davvero sono le fotografie prese in considerazione, ognuna delle quali opportunamente commentata. Nell’assimilazione di questa analisi, che consigliamo vivamente, soprattutto a coloro i quali si dispongono per approfondimenti sulla Fotografia senza alcuna preclusione in preconcetto, Parole e Immagini procedono di pari passo, come sarebbe sempre doveroso che fosse, quando e per quanto si osservano e valutano le fenomenologie discriminanti: questa attuale, tra le tante possibili. Il volume, agile in lettura, è introdotto dalla prefazione Smiling, del bravo Stefano Bartezzaghi, che dall’esterno del nostro (piccolo) mondo fotografico osserva, deduce e richiama; testuale l’incipit: «Mi stan-
no facendo una fotografia. Mi sforzo di sorridere. Continuo a sforzarmi, anche se il fatto stesso di doverlo fare mi innervosisce e anzi mi intristisce un po’».
Quindi, puntuali le rilevazioni, tra le quali, in estratto: «Nel suo Sorridere, Michele Smargiassi si dedica a entrambi i sorrisi [considerati nel periodo precedente]: quello richiesto dalla fotografia da fare e quello stimolato dalla fotografia mostrata». A questo punto, a onore e valore dell’intera edizione, se serve accontentare anche la società dello spettacolo (da e con Guy Debord), specifichiamo le credenziali di Stefano Bartezzaghi.
Figlio di Piero, celeberrimo enigmista (i suoi cruciverba sono una autentica sfida settimanale), e fratello di Alessandro, condirettore di La Settimana Enigmistica (pubblicata dal 1932; settimanale che vanta ben duecontocinque tentativi di imitazione, nel 1966), e Paolo, redattore di La Gazzetta dello Sport. Stefano Bartezzaghi si è laureato al Dams (Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo), presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, con una tesi in Semiotica, con relatore Umberto Eco.
Dopo l’introduzione, sale in cattedra l’autore Michele Smargiassi, che scompone il suo passo nelle due direzioni, due sezioni, che già Stefano Bartezzaghi ha conclamato: «quella richiesta dalla fotografia da fare e quella stimolato dalla fotografia mostrata». I due consistenti contenitori sono, a propria volta, classificati da testi preventivi; rispettivamente: Breve storia del foto sorriso / Say cheese! e Lapsus fotografici. Immediatamente seguìti da quattro e sette capitoli tematici ampiamente illustrati e ben commentati dall’autore Michele Smargiassi, fotografia per fotografia.
Una delizia!
Per esempio, arriviamo alla posa da annegato-suicida, di Hippolyte Bayard, che la commentò in relazione al fatto che l’ufficialità della politica francese l’avesse ignorato, pur essendo stato tra i più attenti pionieri della natura che si fa di sé medesima pittrice, per la quale aveva inventato sia un processo autopositivo (come il dagherrotipo di Louis Jacques Mandé Daguerre, sia un sistema con negativo per successive stampe positive in quantità (come il disegno fotogenico, poi calotipo, dell’inglese William Henry Fox Talbot): l’autoritratto fotografico nasce con un falso, considerato che nessun suicida può fotografare la propria salma.
Con Michele Smargiassi, in avvio di Lapsus fotografici: «Inventore di un procedimento fotografico originale che “gli è valso grandi onori, ma neanche un © Elliott Erwitt / Magnum Photos / Contrasto
centesimo”, il positivo diretto su carta, il signor Hippolyte Bayard si annegò nella Senna. Poi resuscitò e si fece un autoritratto pieno di rimprovero New York, 1974 (fotogra- per gli irriconoscenti. Quanti fia di Elliott Erwitt). primati in questa fotografia, datata 18 ottobre 1840: il pri(pagina Torre di accanto) Pisa, 1980 (fomo nudo (maschile), ma soprattutto il primo falso fotografico dichiarato e beffardo. tografia di Martin Parr). Grazie, monsieur Bayard, per aver dimostrato che, sapendo Sorridere. La fotografia mentire, la fotografia possiecomica e quella ridicola, de anche il dono dell’ironia». di Michele Smargiassi; [Comunque, ecco il testo Contrasto Books, 2020; 80 illustrazioni; 112 pagidi Hippolyte Bayard: «Il cadavere della persona che qui vedete è quello di Monsieur ne 15x21cm; 22,90 euro Bayard, inventore del proce(in copertina: Bratsk, Si- dimento di cui avete visto, o beria, 1967; fotografia di di cui vedrete, gli straordinari Elliott Erwitt). risultati. Che io sappia, erano circa tre anni che questo ingegnoso e instancabile ricercatore si adoperava per perfezionare la sua invenzione. L’Accademia, il Re e tutti coloro che hanno visto le sue fotografie che egli trovava imperfette, le hanno ammirate come voi ora le ammirate. Ciò gli ha fatto molto onore ma non gli è fruttato un soldo. Il governo, che aveva dato troppo a Monsieur Daguerre, ha detto di non poter far niente per Monsieur Bayard e il poveretto si è annegato per la disperazione. Oh! Umana incostanza! È stato all’obitorio per diversi giorni, e nessuno è venuto a riconoscerlo o a reclamarlo. Signore e signori, passate avanti, per non offendervi l’olfatto, avrete infatti notato che il viso e le mani di questo signore cominciano a decomporsi»].
Quindi, ci sarebbe poco da ridere, ma! Il partigiano francese Georges Blind, fucilato a Belfort, nell’ottobre 1944 (© Collezione Casagrande / Adoc-Photos / Contrasto), dal primo delle due sostanziose sezioni del libro, quello del sorriso richiesto dalla fotografia da fare: «All’alba di un giorno di ottobre 1944, il pompiere Georges Blind, membro della Resistenza francese, fu condotto a piedi dalla caserma della prigione tedesca al luogo dell’esecuzione, il fossato del castello di Belfort. Lo misero, curiosamente, con le spalle non al muro, ma a uno spigolo del bastione. Rifiutò la benda. Un attimo prima dell’ordine di fuoco, Blind sorrise ai suoi assassini». [E se io muoio da partigiano / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e se io muoio da partigiano / tu mi devi seppellir. // E seppellire lassù in montagna / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e seppellire lassù in montagna / sotto l’ombra di un bel fior. // E le genti che passeranno / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e le genti che passeranno / mi diranno o che bel fior. // E questo è il fiore del partigiano / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e questo è il fiore del partigiano / morto per la libertà].
Chiusura con le note ufficiali di presentazione del libro. «Chi ha stabilito la convenzione sociale del sorriso in fotografia? È sempre stato così, oppure c’è stato un tempo in cui sorridere in fotografia era sconveniente? Si può ridere solo nell’immagine oppure anche con l’immagine? Michele Smargiassi risponde a queste e tante altre domande con una prosa divertente e leggera, ricca di aneddoti ed esempi inaspettati, scegliendo, per questa avvincente storia della fotografia umoristica, numerose immagini più o meno celebri. Nadar, Elliott Erwitt, Martin Parr, Vivian Maier, fotografie storiche, leggendarie, celeberrime, scatti rubati, studiati o casuali... Sorridere diventa la prima storia della fotografia capace di farci ridere».
Con Enzo Jannacci, in E l’era tardi, del 1964: «Mi surridi, lu nanca on vers». Io sorrido, lui neanche un cenno. ■ ■