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Il lungo addio
/ MERCATI / IL LUNGO ADDIO
INNOVAZIONE TECNOLOGICA E DANNI COLLATERALI
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di Giulio Forti
L’innovazione è la vitamina della ricerca e dei progetti che aprono a nuove soluzioni; d’altro canto è anche un veleno per chi non ha strumenti per innovare. Alle origini della fotografia, il gioco era puramente chimico, perché la camera obscura era roba vecchia. Scoperto come fissare l’immagine, la sfida è sulla meccanica.
L’esempio più netto della fotografia è l’arrivo, nel 1925, della Leica, che fa cadere le fotocamere più antiquate nel dimenticatoio. Nel secondo dopoguerra, mentre si riciclano le vecchie macchine medio formato a soffietto e le 35mm a telemetro, iniziano a fiorire le reflex, a cominciare dall’italiana Rectaflex, che appare alla Fiera Campionaria di Milano, nel 1947. La reflex 35mm esploderà negli anni Settanta con almeno quaranta marchi sul mercato. Dopo lo specchio reflex a ritorno immediato, è la volta dell’esposizione automatica, delle funzioni elettroniche e dell’autofocus.
Fino a metà anni Settanta, per molti, la novità consisteva nel ritoccare gli stessi modelli. Pochi riescono a migliorare, altri scompaiono, come Edixa, Miranda, Topcon, Voigtländer e Zeiss Ikon, il caso più clamoroso. Nonostante la sua forza, tra il 1965 e il 1970, le vendite di Contarex e Contaflex crollano con una perdita di oltre venti milioni di marchi. Tanto che le condizioni delle altre case tedesche furono così preoccupanti da far temere la cancellazione della Photokina 1970.
Zeiss Ikon aveva sempre imposto i suoi modelli al mercato, ma non si era accorta che sul mercato crescevano le reflex giapponesi di marca e le Chinon e Cosina con i più svariati marchi, per non parlare delle Praktica dalla Germania Est. Nel 1972, Zeiss Ikon annuncia il grande addio, ma in segreto fa scattare l’accordo con Yashica, per produrre la Contax RTS in Giappone.
Nel 2000, Yashica-Kyocera aveva annunciato la Contax N Digital, la prima con sensore
In un settore industriale contano il numero uno, il due e il tre. Il quattro dovrebbe cambiare mestiere: Olympus (fotografia) è al quinto posto.
Il secondo grande colpo dell’innovazione è quello dell’autofocus, tecnologia che a metà anni Ottanta cancella almeno una dozzina di reflex, tra queste Konica, Mamiya, Rollei, Praktica, Petri. Scompaiono le Fujifilm, che torneranno digitali, ma su corpo Nikon. Nel 1985, Minolta lancia la 7000, la prima reflex autofocus integrale, che diventa la fotocamera più venduta nel mondo. La brutta notizia è che Honeywell le fa causa per violazione del brevetto Visitronic. Minolta perde, e paga centoventisette milioni di dollari (127), una stangata che rallenterà i progetti per il digitale. Olympus, dopo due modelli senza speranze, nel 1989, segue le orme di Ricoh e ripiega su una reflex autofocus zoom ibrida di Chinon, modello che promuove come la fotocamera del futuro.
Il digitale si avvicina. Nel 1991, Kodak assembla la DCS-100 professionale su corpo Nikon F3, ma occorre un trolley per trasportare circuiti digitali, cavi e batterie. La prima digitale commerciale, invece, è la Nikon D1, del 1999, seguìta dalla Canon EOS-1D. full frame; fa colpo, ma il fornitore Philips vende la divisione e tutto si ferma. Allora, presenta le Contax N analogiche; ma l’anno dopo chiude i battenti, senza salutare. Kodak vende grandi quantità di compatte digitali prodotte da Flextronic, ma ci perde cinquanta dollari al pezzo. Allo stesso tempo, la pellicola crolla del venti percento l’anno e, nel 2003, la casa gialla inizia a demolire vecchi edifici del gigantesco Kodak Park. L’anno dopo, chiude uffici e laboratori, licenziando venticinquemila (25.000!) dipendenti in mezzo mondo.
Sorprende la fusione di Konica con Minolta, nel 2003. La holding produce con profitto minilab e macchine da ufficio, ma le fotocamere sono in perdita. Per rilanciare il marchio congiunto chiamano Sony, per sviluppare il digitale che porta alla Konica Minolta 7D, nel 2005. Non sorprende che -l’anno dopo- Sony abbia rilevato la divisione. Anche Pentax fa fatica con il digitale. Cerca un compratore. Samsung, con la quale aveva stretto accordi, è interessata, ma l’operazione non era politicamente accettabile. Viene salvata da Hoya Corporation (vetro ottico), che presenta grandi piani per il futuro per il rilancio a Dubai, ma poi la cede a Ricoh per centoventiquattro milioni di dollari, quasi gratis.
Nel 2011, un po’ tutti se la cavano bene, alcuni benone. L’industria ha venduto cento milioni di compatte, quasi sedici milioni di reflex digitali (15,7) e tre milioni di mirrorless. Solo Olympus vede il fatturato dimezzato a 1,2 miliardi di dollari in cinque anni. Come non bastasse, in ottobre, appena nominato amministratore delegato, Michael Woodford scopre nei conti un buco da 1,5 miliardi di dollari. Il board è reticente a chiarire la vicenda. Il ficcanaso Woodford è licenziato (con quindici milioni di dollari), ma sette dirigenti invece sono arrestati.
Lo smartphone non è innovazione, ma un dispositivo straniero che ha avvelenato l’industria della fotografia. Come il pifferaio magico, ha attirato grandi masse con rapidità: fotografa, elabora, archivia e invia immagini gratis... che vuoi di più? Nel 2019, la domanda di compatte crolla a sette milioni. Le reflex digitali con le mirroless, raggiungono gli 8,4 milioni di unità, quanto dieci anni prima, ma allora era un’altra vita.
Ed ecco l’addio più recente. Il fatturato dell’anno fiscale 2019-2020 della divisione foto di Olympus precipita a quarantotto miliardi di yen (quattrocentocinquanta milioni di dollari). L’impresa non ha più senso e lascia la fotografia nelle mani di Japan Industrial Partners Inc, specializzata nel rilanciare aziende in crisi.
Si dice che in un settore industriale contano il numero uno, il due e il tre. Del quattro si dice che dovrebbe cambiare mestiere: Olympus (fotografia) è al quinto posto. ■ ■