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Frank Horvat
Per la scomparsa di Frank Horvat, uno dei fotografi più significativi del secondo Novecento, mancato a novantadue anni, lo scorso ventuno ottobre, molte rievocazioni italiane hanno sottolineato il suo essere, per l’appunto, “italiano”, come pure recita Wikipedia. In effetti, anagraficamente, Frank Horvat è nato a Opatija, spesso (e a sproposito) italianizzata in Abbazia, attualmente città litoranea della Croazia, che nel 1928 di suoi natali (ventotto aprile) apparteneva al territorio italiano.
Di famiglia ebraica dell’Europa Centrale (suo padre Karl era un medico ungherese, sua madre Adele una psichiatra di Vienna), ha effettivamente vissuto in Italia, come certificato anche dalla tessera di riconoscimento dell’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, per il corso di Pittura dell’anno scolastico 1947-1948, dei suoi diciannove-venti anni. Però, nei tempi giovanili di formazione culturale, ha soggiornato a lungo in Svizzera (dove la sua famiglia si stabilì nel 1939, lui undicenne, a Lugano), Pakistan, India, Inghilterra e negli Stati Uniti, prima di fermarsi definitivamente a Parigi, dal 1955.
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Per cui, luogo e tempo di nascita a parte, la sua educazione creativa è stata quantomeno poliglotta; se poi vogliamo dirla tutta, la sua fotografia (successiva) non ha avuto alcun punto di contatto con quello che possiamo identificare come cammino italiano all’espressività, anche soltanto fotografica.
Ciò detto e precisato, allarghiamo questo concetto anche verso la personalità fotografica di Tina Modotti (Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti; 18961942), nata sì a Udine, ma formatasi in altra cultura artistica e fotografica che non quella italiana. Per cui, anche per Tina Modotti siamo prudenti quando e per quanto si tratta di “nazionalizzarla”, riconoscendole soprattutto criteri di giudizio e termini di raffronto culturale nel fervido clima del Centro America (Messico) dei primi decenni del Novecento.
Quindi, nel ricordo attuale di Frank Horvat, siamo concordi con coloro che ne hanno certificato l’appartenenza alla fotografia di moda, che ha influenzato con invenzioni formali e di contenuto che si sono estese per quattro decenni, dagli anni Cinquanta agli Ottanta del Novecento. Che poi sia stato anche eccelso fotogiornalista, ritrattista e altro ancora (fotografo di paesaggio, natura e scultura) è sicuramente meno fondante: alla Storia, non soltanto della Fotografia, Frank Horvat consegna soprattutto la sua straordinaria Moda (con significative puntate verso un intelligente fotogiornalismo).
Scandendo i tempi e modi della sua fotografia, si è soliti cadenzare sulla successione dei decenni, ognuno dei quali stabilisce termini propri e tessere che vanno a confluire nel medesimo tragitto espressivo ed esistenziale.
Negli anni Cinquanta, è considerato fondamentale l’incontro con Henri Cartier-Bresson (già Henri Cartier-Bresson), che gli avrebbe consigliato di sostituire la sua Rolleiflex biottica (più probabilmente, una Rolleicord) con una Leica: pensiero più volte ribadito dallo stesso HCB, che era solito affermare che -data la postura di e in ripresa fotografica- con la Rolleiflex si fotografava con la pancia, più che con la mente.
Da cui, con Leica, la prima esperienza fotogiornalistica originaria di Frank
Horvat, estesasi su un viaggio di due anni in Asia: e successive pubblicazioni su autorevoli e prestigiose testate del tempo, del calibro di Life, Réalités, Match, Picture Post, Die Woche e Revue. Ancora: una di queste sue Per quanto siamo consa- immagini è stata inclusa da pevoli che la personalità Edward Steichen nella sua fotografica di Frank Hor- famosa esposizione Family vat, mancato lo scorso of Man, al Museum of Moventuno ottobre, a novantadue anni, sia equadern Art (MoMA), di New York, dal 24 gennaio all’8 maggio 1955, e successiva veicolaziomente distribuita su di- ne nel mondo. versi indirizzi professio- Tra parentesi, ma neppure nali, sopra i quali si affer- poi tanto tra parentesi, promano il fotogiornalismo prio in quei primi anni Cine la moda, nel nostro quanta del Novecento, per cuore, lo abbiamo sem- certi e tanti versi, la fotografia pre considerato tra i più professionale ha modificato significativi fotografi di il proprio cammino espresmoda del secondo No- sivo dipendente dalla mevecento. In particolare, siamo personalmente diazione degli strumenti. In particolare, come molti fotografi della sua generazione, legati e vicini a questa Frank Horvat finalizzò la magsua interpretazione di giore praticità del trentacinscarpe, realizzata a Pa- que millimetri, in confronto rigi, con la Torre Eiffel al medio e grande formato, sullo sfondo, nel 1974. e la disponibilità di obiettivi di diverse lunghezze focali. Nello specifico, trasferendosi da Londra a Parigi, nel 1955, rilevò come e quanto il clima cittadino fosse diverso dal con-
nivente romanticismo della “fotografia umanista”. Da cui, con un teleobiettivo, ha inquadrato con avvicinamenti visivi che non sarebbero stati alla portata della focale “normale” (tanto amata e solo frequentata, per esempio, da Henri Cartier-Bresson, e non soltanto da lui). Nel 1957, questo progetto fu pubblicato in un numero monografico del mensile svizzero Camera, da poco guidato dall’autorevole Romeo Martinez (1911Vogue (Londra), Harper’s Bazaar (New York) e altre riviste di prima grandezza.
Nei primi anni Sessanta, tra il 1962 e il 1963, si registra un convinto ritorno al fotogiornalismo, nella concretezza di un lungo viaggio attorno al mondo per la rivista tedesca Revue; al quale fanno seguito sperimentazioni con il cinema e il video.
Per un disturbo a un occhio, negli anni Ottanta, Frank Horvat deve accome processo creativo, più che come tecnica. Da qui l’idea di “parlare in negozio” con alcuni colleghi fotografi che ammiravo. La cosa più difficile è stata mettere quei dischi su carta, che nella mia analogia equivaleva a modificare e stampare. / Negli anni successivi, il mio problema agli occhi è stato trattato e la mia vista è stata sufficientemente ripristinata da permettermi di tornare alla macchina fotografica».
FOTOgraphia Archivio
1990), che traghettò la nobile testata verso un panorama internazionale.
Nello stesso 1957, e ancora con linguaggio “formale” da trentacinque millimetri (Leica), Frank Horvat sposta il proprio interesse verso la fotografia di moda, esordendo con il mensile francese Jardin des Modes (pubblicato fino al 1997). L’innovazione tecnica, in un ambito precedentemente affrontato e svolto con attrezzature fotografiche più onerose e statiche, fu ben accolta dagli stilisti del prêt-à-porter (ready-to-wear / pronto da indossare: novità per quei tempi... lontani), che apprezzarono l’ambientazione nella vita quotidiana, per le strade, delle proprie creazioni, così vive e reali rispetto la staticità della sala di posa su fondo neutro, piuttosto che colorato.
È da queste interpretazioni originarie che possiamo datare la moda “per strada”, che è stata linguaggio espressivo per molte stagioni a seguire, con interpreti in tutti i paesi del mondo occidentale: due citazioni fondamentali, sopra tutte, per lo statunitense Richard Avedon (1923-2004) e l’italiano Federico Garolla (1925-2012).
Da questo esordio, Frank Horvat ricevette incarichi di moda da Elle (Parigi), cantonare la fotografia. In “sostituzione”, realizza interviste con fotografi di spicco del panorama internazionale, che a fine decennio riunisce in libro, oggi recuperabile soltanto sul mercato bibliografico d’antiquariato: Entre vues; Éditions Nathan Images, 1990; 300 pagine 17x23cm. Quattordici interviste preziose, in francese: Édouard Boubat, Helmut Newton, Sarah Moon, Josef Koudelka, Mario Giacomelli, Eva Rubinstein, Jeanloup Sieff, Marc Riboud, Don McCullin, Robert Doisneau, Hiroshi Hamaya, Takeji Iwamiya, Javier Vallhonrat e Joel Peter Witkin [le traduzioni in italiano di queste interviste sono pubblicate sul sito del fotografo messinese Marco Crupi (www.marco crupi.it), autorevole Ambassador Panasonic].
Testuale dall’introduzione all’affascinante volume, che traccia una genesi della quale tenere conto: «Tra il 1983 e il 1987, ho avuto seri problemi alla vista. Questo mi ha dato l’idea di “fotografare con le mie orecchie”, cioè esplorare la realtà con un taperecorder, in qualche modo come avevo fatto con una macchina fotografica. / Ho deciso che il mio primo soggetto sarebbe stato la fotografia stessa,
Registrato un ulteriore cambiamento radicale, che dagli anni Novanta porta Frank Horvat ad esprimersi anche Al pari di tanti altri fo- con la post produzione digitale, che è tografi, seppure senza quasi vicenda contemporanea (circa) l’intensità di Lee Frie- e compone i tratti di un cammino per dlander, Frank Horvat ha fortemente frequentanti versi autonomo, da considerare addirittura a sé, è doveroso concludere il ricordo con la rievocazione dell’impotato l’autoritratto... allo nente retrospettiva Frank Horvat. Storia specchio (per esempio, di un fotografo, allestita nelle prestigioa un mercatino londine- se e autorevoli sale dei Musei Reali Tose, nel 1955). rino - Sale Chiablese, dal ventotto febbraio al dieci giugno Duemiladiciotto (con titolo tanto vicino al precedente Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo, al Palazzo Reale di Milano, nell’estate Duemilatredici). Curata dallo stesso autore, la rassegna torinese ha delineato e definito una chiave interpretativa del suo lavoro, frutto di una carriera lunga Frank Horvat: Entres vues; settant’anni. Accanto alle sue Éditions Nathan Images, opere di fotogiornalismo e 1990; 300 pagine 17x23cm. fotografia di moda e altro ancora (duecentodieci), è stata presentata una parte della sua collezione privata. Trentuno immagini selezionate, che rappresentano in misura iconica la Storia della Fotografia: testimonianza viva dell’impegno di Frank Horvat, che non si è esaurito in alcuna autoreferenzialità. E non è certo poco! ■ ■