9 minute read
Ancora icone
di Antonio Bordoni
Tempo fa, avviammo una ricerca mirata a concetti di espressività. In particolare, richiamammo apparecchi fotografici fuori dimensione, XL e oltre, a partire dall’originaria Mammoth, di George R. Lawrence, del 1900, certamente la macchina fotografica più grande mai costruita. Il suo costo industriale di cinquemila dollari rappresenta una somma enorme, per quel tempo, nell’ordine di un paio di milioni di euro odierni!
Advertisement
In valori tecnici, la Mammoth pesava seicentotrentatré chili, raggiungeva il tiraggio tra obiettivo di ripresa e lastra in esposizione di sei metri abbondanti (6,1m, per l’esattezza), tanto che servivano quindici uomini per gestirla: per scattare su lastra di vetro sensibilizzata di 1,37x2,44m (4,5x8 piedi), custodita in châssis di duecentoventisette chili. Servì a fotografare un treno della Chicago & Alton Railway, con un tempo di posa di due minuti e mezzo; si ipotizzano soltanto tre scatti, per copie a contatto presentate all’Exposition Universelle, di Parigi, dove venne loro assegnato il Grand Prize per l’eccellenza fotografica.
In quella nostra lontana escursione, forza del Caso (ma ognuno si disegna il proprio), tra le tante ricerche correlate agli apparecchi fotografici giganteschi, il Destino ci fece incontrare il fotografo californiano Tim Mantoani (www.manto ani.com). La concomitanza fu generata e determinata dal suo progetto Behind Photographs (Dietro le fotografie), svolto e realizzato in polaroid 50x60cm.
Incontro casuale (?), ma entusiasmante; addirittura, folgorante. Fummo affascinati da una certa coincidenza di presente e passato dell’espressione visiva, nel formalismo dello scatto fotografico.
Se qualcuno volesse pensare che si tratta di qualcosa di già visto, non abbia remore... è vero. Infatti, in Fotografia, da cent’ottanta anni a questa parte, assistiamo spesso/sempre a ritorni e ricorsi espressivi; per non parlare poi della Vita e dell’Arte. Del resto, il margine di invenzione pura è talmente esiguo, da non consentire molte varianti. Per cui, e a conseguenza, ciò che conta non è l’originalità a tutti i costi, ma la capacità di interpretare e svolgere un progetto. Anzitutto, conta perché svolgerlo, quindi, in proseguimento, come trattarlo ai fini della comunicazione visiva, con tutti i parametri del proprio lessico. E ci riferiamo ai contenuti, che vanno ben oltre la forma a tutti apparente. (continua a pag 25) Pubblicato in raffinata monografia, il progetto Behind Photographs, del californiano Tim Mantoani, si eleva sopra tante altre serie di ritratti di fotografi, molte delle quali si sono perse in una modestia fine a se stessa. Fantastica qualità di ritratti polaroid 50x60cm di fotografi: ognuno rappresentato con una propria immagine simbolo, il più delle volte iconica della Storia (anche solo del costume). A un tempo discosto e abile regista, l’autore sintonizza la propria personalità con la stessa Storia (della Fotografia). Già visto? Ma vogliamo scherzare...
La monografia Behind Photographs. Archiving Photographics Legends, del californiano Tim Mantoani, è stata pubblicata nell’autunno 2011 da Channel Photographics, editore d’arte di San Francisco, Stati Uniti. È disponibile in edizione standard e in confezione box, a tiratura limitata e numerata: 208 pagine 28x36cm (11x14 pollici... anche grande formato fotografico).
(al centro) Con Nick Út (Huỳnh Công Út; 1951) con Vietnam Napalm Girl (Phan Thị Kim Phúc; 8 giugno 1972).
C O M U N Q U E IPERFORMATO
Storia ormai (tra)passata? Fino al grande formato 4x5 pollici (10,2x12,4cm), il dorso o l’apparecchio fotografico che esponeva pellicola Polaroid a sviluppo immediato ha avuto in sé gli elementi per il suo stesso trattamento. Differentemente, l’emulsione Polaroid per il massimo grande formato standard 8x10 pollici (20,4x25,4cm), colore e bianconero, si è scomposta tra negativo, ovvero matrice da esporre in macchina mediante opportuno châssis, e positivo, da accoppiare dopo lo scatto in una apposita sviluppatrice esterna.
Per certi versi, e paradossalmente, l’apparecchio 50x60cm (in originale 20x40 pollici) conciliò le due diverse tecniche Polaroid di esposizione e trattamento: la macchina con la quale si espone il negativo-matrice assolveva anche l’accoppiamento con il positivo e il relativo sviluppo della fotografia. L’emulsione utilizzata è stata il classico colore ER, che è pure esistito in ogni confezione solita: dal filmpack 8,6x10,8cm alle piane 4x5 pollici (singole o a filmpack), al massimo 8x10 pollici. Nel dorso della camera 50x60cm, che provvedeva all’esposizione del negativo-matrice e al suo successivo accoppiamento con il positivo, si caricavano le due singole bobine di materiale. In alto, stava quella del negativo, in quantità per quarantacinque esposizioni; e in basso, quella del positivo, in lunghezza per quindici pose 50x60cm. Quindi, in prossimità della bobina di carta positiva, venivano sistemate le capsule che contenevano il chimico per il trattamento.
L’inquadratura viene controllata da una certa distanza: quanto serve per comprendere in un solo colpo d’occhio tutto il formato 50x60cm. Una volta costruita l’immagine, il fotografo (nello specifico, Tim Mantoani) predispone l’apparecchio per l’esposizione. Una funicella serviva per portare in posizione il negativo-matrice, mentre il fotografo dirigeva la ripresa, scattando con l’immancabile flessibile collegato all’otturatore centrale dell’obiettivo.
Dopo l’esposizione, si sviluppava la fotografia. Una leva sul lato del dorso dell’apparecchio portava in posizione la capsula dei chimici: tra il negativo-matrice esposto e il positivo sul quale trasferire l’immagine. Quindi, i due materiali venivano estratti simultaneamente dal dorso, laminandosi tra di loro mediante il chimico catalizzatore e passando per gli immancabili rulli di sviluppo al titanio. Dopo i sessanta-ottanta secondi di accoppiamento (in base alla temperatura ambiente), si provvedeva allo spellicolamento, con l’apparizione della magica fotografia polaroid: il risultato era visibile qualche istante dopo lo scatto.
La camera Polaroid 50x60cm produceva immagini di grande formato perfettamente definite, perché si trattava di esposizioni originali (in macchina) e non di stampe da negativi più piccoli. L’apparecchio pesa circa 90kg. Nell’uso, la camera si sposta lateralmente; può alzarsi e abbassarsi e può essere inclinata verso il soggetto. Il piano dell’obiettivo può anche essere decentrato e basculato attorno i due assi verticale e orizzontale; si possono realizzare soltanto inquadrature verticali (il solo Davide Mosconi, durante un tour italiano, la ribaltò per realizzare inquadrature orizzontali). In dotazione, la Polaroid 50x60cm ha una serie di obiettivi che comprende anche un Fujinon CS 600mm f/11,5 e un Rodenstock Apo-Ronar 1200mm f/16. Il soffietto si estende fino a un metro e mezzo.
Tim Mantoani ha fotografato con questa Polaroid 50x60cm originaria e con un’analoga configurazione Wisner folding, su treppiedi, finalizzata all’impiego della stessa emulsione.
Tim Mantoani ha realizzato i suoi ritratti di Behind Photographs con la Polaroid 50x60cm, che ha contribuito a scrivere importanti capitoli della Storia contemporanea della Fotografia. In alternativa, soprattutto per sessioni in location, ha usato una analoga Wisner folding.
(continua da pag 21)
Raccolto, nel 2011, in una affascinante monografia d’autore pubblicata da Channel Photographics, Behind Photographs, di Tim Mantoani, si manifesta e concretizza in una incessante e avvincente serie di ritratti di fotografi che tengono tra le mani una propria fotografia simbolica e iconica, spesso la fotografia che ne riassume e identifica l’intera carriera, sempre un’immagine in qualche misura storica, in assoluto o del costume. Tutti sono immancabilmente inquadrati in composizioni polaroid 50x60cm: la forma per il contenuto, dalla tecnica alla creatività, fate voi.
In un certo senso, per quanto soprattutto limitato a una visione irrinunciabilmente americanocentrica, con poche e minime escursioni oltreconfine, si tratta di un consistente attraversamento della Storia contemporanea della Fotografia, soprattutto di reportage (va rilevato) e qualcosina oltre. Però! Però, diavolo, quanta commozione esplode da queste immagini, quanta emozione trasmettono queste immagini, soprattutto a coloro i quali, noi tra questi, distinguono i soggetti e riconoscono i tratti del linguaggio fotografico.
Dopo di che confessiamo, registriamo e sottolineiamo il piacere di vedere in faccia, de visu, per visione diretta, con i propri occhi, i fotografi autori... seppure anagraficamente a distanza di decenni dallo scatto che li ha consegnati alla Storia. Sì, in questo senso, si manifesta anche un poco di feticismo, che comunque ci sta tutto e bene: l’identificazione del personaggio, solitamente nascosto dietro la propria macchina fotografica, che improvvisamente e baldanzosamente si presenta davanti all’obiettivo.
Vogliamo dirla tutta? E diciamola, non per minimizzare o sminuire il lavoro dell’illustre Tim Mantoani. Al contrario, per esaltarlo, iscrivendolo nel lungo e coinvolgente capitolo della raffigurazione consapevole di fotografi (rappresentazione posata). Tratteggiati per se stessi o nel gesto della propria azione fotografica, ritratti e autoritratti di fotografi compongono un casellario vasto ed eterogeneo, magistralmente arricchito dal progetto Behind Photographs, di Tim Mantoani (grazie!).
Questa serie fotografica è qualcosa di più, perché migliore, di altri svolgimenti analoghi dei quali siamo a conoscenza. Non si tratta tanto di aver appagato il gusto (feticistico) del dietro-le-quinte, come qualcuno si è concentrato a fare (magari, anche svolgendolo bene), quanto di assommare se stesso come autore alla schiera di autori individuati e fotografati.
Se vogliamo anche vederla in questo modo, dopo aver selezionato i propri soggetti, Tim Mantoani ha compiuto una ammirevole azione fotografica, anzi due, in simultanea. Anzitutto, si è fatto da parte, e -discosto- ha lasciato le luci della ribalta ai protagonisti delle sue inquadrature/composizioni/rivelazioni; quindi, scatto dopo scatto, inquadratura dopo inquadratura, soggetto dopo soggetto, ha contrassegnato l’intero progetto con l’indelebile marchio della sua eccellente personalità fotografica.
Così agendo, autore tra autori, Tim Mantoani ha posto solide basi per iscrivere anche il proprio nome nella Storia (della Fotografia), per consegnarsi al futuro, nello stesso momento nel quale ha rimarcato la legittima presenza dei suoi soggetti.
Per buona pace. ■ ■
Tim Mantoani con il reporter Bill Eppridge (19382013) e la sua immagine iconica dell’assassinio del senatore Robert F. Kennedy (Los Angeles; 6 giugno 1968).
(a pagina 20) Nick Út (Huỳnh Công Út; 1951) con Vietnam Napalm Girl (Phan Thị Kim Phúc; 8 giugno 1972).
(doppia pagina 22-23, dall’alto e da sinistra)
Douglas Kirkland (1934) con una iconica Marilyn Monroe, dalla serie Una notte con Marilyn, riunita anche in monografia omonima.
Elliott Erwitt (1928) con una delle sue celebri fotografie di cani, forse la più celebre (New York City, 1974).
Mary Ellen Mark (19402015) con Ram Prakash Singh with His Elephant Shyama (Great Golden Circus; Ahmedabad, India, 1990).
Harry Benson (1929) con gli iconici Beatles (1964).
Phil Stern (1919-2014) con il suo ritratto di Marilyn Monroe, del 1953.
John Loengard (19342020) con Georgia O’Keeffe al Ghost Ranch (1968).
Neil Leifer (1942), eccezionale fotografo di sport, con il knocks out con il quale Muhammad Ali ha sconfitto Sonny Liston, alla St. Dominic’s Arena, di Lewiston, nel Maine, il 25 maggio 1965.
William Wegman (1943) con uno dei suoi bracchi di Weimar.