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Istruzioni d’uso
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini ISTRUZIONI D’USO
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Proprio così! Giusto istruzioni all’uso, che paiono riprese dalle sequenze esplicative che -anni e anni fa- hanno accompagnato i libretti di istruzione delle attrezzature fotografiche, a partire dagli apparecchi di ripresa, per non concludersi, né -tantomeno- limitarsi a questi. Certo, come tanto altro (che viene riportato su queste stesse pagine periodiche), anche questa valutazione/ considerazione è datata, non soltanto anagraficamente, ma soprattutto in relazione allo scorrere degli anni a alla relativa trasformazione delle consuetudini.
Oggi, in tempi virtuali, almeno tali, imperano i tutorial in Rete; ieri e ieri l’altro, erano indispensabili i libretti di istruzione, che rivelavano -a volte svelandoli, addirittura- procedure utili e necessarie per ottenere il massimo possibile dai propri utensili: nel nostro specifico, fotografici. Tanto che, lo ricordiamo bene, ancora complice l’anagrafe, in tempi e situazioni di distribuzione fotografica anche selvaggia, con ampia disponibilità di apparecchi fotografici di importazione irregolare (in eufemismo, parallela; ma, nella realtà, di contrabbando: comunque, tutte vicende cadute in prescrizione), era proprio l’assenza di libretti di istruzione, ufficialmente tali, a identificare le provenienze irregolari. In molti casi, sopperivano fotocopie; in altri, la promessa (altrettanto truffaldina) di negozianti che si sarebbero impegnati nella ricerca e reperimento: e che, lo ricordiamo altrettanto bene, non mantenevano mai l’impegno assunto. Storie passate!
Comunque, una notazione è doverosa e imperitura: per quanto limitati nelle proprie escursioni, circoscritte a pochi elementi basilari (niente di paragonabile alle infinite diversificazioni proprie e caratteristiche dell’attuale tecnologia digitale), questi libretti di istruzione sono stati autentici esempi di scrittura tecnica:
essenziale nella propria Personaggio della fotografia francese, Jean-Christophe Béchet ha una persona- esposizione e impeclità in qualche modo e misura allineata con quella che governa e guida le nostre cabile nel proprio acstesse pagine. Senza soluzione di continuità, si muove a proprio agio dalle considerazioni originariamente tecniche agli approfondimenti culturali ed estetici. Tanto compagnamento, con illustrazioni esplicative e a commento. che osserva la Fotografia senza condizionamenti di sorta e senza stabilire inutili Ribadiamo, ripetenscale gerarchiche. Dieci anni fa (abbondanti), ha pronunciato una posizione decisa dolo e confermandolo e motivata su uno dei delicati rapporti che collegano tecnica a creatività, forma a ancora: storie passate! contenuto, apparenza a sostanza. Esposte in mostra a Parigi e raccolte in mono- A questo punto, in tergrafia (tripla), le sue affascinanti e coinvolgenti Vues n° 0 compongono i tratti visivi ritorio “Cinema”, ovvero di un dichiarato manifesto per la fotografia argentica (analogica). Anche questo. “Fotografia al Cinema”, statutario di questo nostro appuntamento ripetuto e in somma di visioni e considerazioni, viene da soffermarsi su situazioni e momenti che, per propria volontà scenografica, hanno frequentato la visualizzazione fotografica soffermandosi, addirittura attardandosi, su sequenze in sceneggiatura che -di fatto- hanno composto tratti equivalenti, coincidenti e integrati alle più classiche istruzioni d’uso. Attenzione, lo scopo Vues n° 0, di Jean-Christophe Béchet; 600 copie numerate; Trans Photographic primario di questi passi Press, 2007; 120 pagine 18,5x22,5cm, cartonato; su tre carte tipografiche; 29,00 euro. cinematografici che stiamo per affrontare, con commenti a-misura-di, non è mai stato quello di svolgere una qualsivoglia funzione attiva e concreta, nello specifico dei rispettivi soggetti; quanto, più tangibilmente, quello di inserire e aggiungere note avvincenti alla messa in scena cinematografica, con proprie esclusive finalità autoreferenziali. Detta meglio: nessuna intenzione di “istruzioni d’uso”, come noi stiamo indicando, da un punto di vista diverso da quello cinematografico originario, ma soltanto spettacolo,
WunderKammer MarurizioAngeloRebuzzini Jean-Christophe Béchet (2) Nel film Triage, il fotogiornalista Mark Walsh (l’attore Colin Farrell) carica la pellicola nella propria Nikon in condizioni disagiate... di guerra.
per quanto certe sequenze e l’attenzione su taluni dettagli lo abbiano consentito.
Quindi, indipendentemente dai contenuti di tre film che oggi prendiamo in considerazione, ciascuno a proprio modo profondo nelle proprie analisi e reputazioni, la nostra sola intenzione sovrastante è quella di porre l’accento su trasversalità sostanzialmente avvincenti, prima che curiose e, se proprio vogliamo dirla tutta, coinvolgenti: ovviamente, ci esprimiamo guidati anche da autentico e sano feticismo degli oggetti e gesti della Fotografia, dal quale non siamo immuni... noi, come tanti altri frequentatori della materia/disciplina/espressione/arte/...
SCENEGGIATURE
Allora: tre film, come appena anticipato. In questo ordine: Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus (2006); Triage (2009); One Hour Photo (2002). Come già rilevato, ognuna di queste tre sceneggiature affronta e svolge tematiche sostanziose, sulle quali qui e oggi sorvoliamo; non prima, però, di averle riassunte.
Nello stesso ordine.
Come chiarisce e rivela il titolo italiano completo, Fur è una accettabile biografia della celeberrima fotografa statunitense, Diane Arbus (Diane Nemerov; 1923-1971), concentrata sulla sua maturazione dalla fotografia professionale nella moda, a ridosso del marito Allan Arbus, alla propria espressività rivolta soprattutto al mondo e panorama dei definiti freaks (in identificazione richiamata all’omonimo film di Tod Browning, del 1932).
Sceneggiato da Danis Tanović (anche regista del film) sull’omonimo romanzo di Scott Anderson, del 1998, retroambientato
alla guerra in Kurdistan, del 1988 (pubblicato in Italia, da Piemme, nel 1999, con il titolo Sotto un cielo di guerra, e rieditato, nel 2001, con il titolo Reporter di guerra), Triage rispetta lo spirito del romanzo e la trasversalità esistenziale del protagonista, il fotogiornalista Mark Walsh (ottimamente caratterizzato dall’attore irlandese Colin Farrell). Tra terribili cronache di guerra, immancabili disaRicordiamolo, dal pas- gi e difficoltà professionali e sato: caricare il rullo 120 sconfortanti sfide esistenziali all’interno della Rolleiflex impone passaggi obblidella vita quotidiana, il libro e il film affrontano e svolgono temi fondanti (non soltanto gati attraverso un labirin- della Fotografia, sia chiarito), to intricato. Sequenza di quali la colpa, il perdono, la Diane Arbus, dal film Fur. natura della guerra moderna e il senso di appartenenza. Con una testimonianza di realtà, dal romanzo originario di Scott Anderson al film firmato da Danis Tanović, la rifles-
sione di Triage riguarda la sopravvivenza individuale alla tragedia incontrata e, addirittura, subìta. Il ritorno a casa basta a cancellare tutto? Oppure, come è probabile, più che probabile, la condizione di sopravvissuto è qualcosa di indelebile, che segna permanentemente l’animo?
One Hour Photo, facile la traduzione “Fotografie in un’ora”, è il titolo del film che riprende il richiamo pubblico ufficiale dei servizi rapidi di sviluppo e stampa dei paesi anglosassoni, spesso utilizzato anche in altre nazioni, Italia compresa. Il contenitore One Hour Photo dà corpo al minilab attorno al quale si snoda la vicenda dell’omonimo film di Mark Romanek (anche sceneggiatore, alla prima regia cinematografica, dopo esperienze nel mondo video), interpretato da un magistrale Robin Williams al culmine delle proprie performance cinematografiche (oltre quanto già dimostrato in L’attimo fuggente, Risvegli, Will Hunting genio ribelle e L’uomo bicentenario). Nella parte di Seymour “Sy” Parish, addetto al servizio rapido di stampa colore presso un lindo centro commerciale (SavMart), alle porte di una anonima città statunitense, Robin Williams vive un’esistenza in
qualche modo di riflesso: alla famiglia Yorkin, che conosce e ama attraverso le fotografie che la moglie Nina gli porta regolarmente a sviluppare. Oltre le copie che consegna, contravvenendo a tutte le logiche e regole del proprio mestiere (questo va detto, sottolineato e ribadito, a garanzia e tutela della privacy dei clienti), Sy stampa una propria serie aggiuntiva. Attraverso queste serene e allegre istantanee partecipa alla vita, ritagliandosi una Nel caso del film One sorta di ruolo di ipotetico e Hour Photo, sceneggiato amato “zio” («quando guarattorno a un minilab di diamo i nostri album fotosviluppo e stampa colore, grafici vediamo soltanto moquelle che noi indichiamo e certifichiamo come istruzioni d’uso non menti felici; nessuno scatta fotografie dei momenti che vuole dimenticare», riflette il protagonista, che osserva sono mai state alla por- che attraverso l’insieme delle tata del pubblico. Da cui, proprie istantanee ciascuno affascinante sequenza di lascia anche una indelebile trattamento della pellico- traccia di se stesso: «io c’ero», la e stampa delle copie. può pensare). Attenzione: il film è drammatico, perfino tragico, perché il protagonista Seymour “Sy” Parish è un autentico psicopatico.
ISTRUZIONI
In conferma attuale, esauriti gli interessi originari per i film oggi avvicinati (ognuno dei quali è stato ampiamente commentato in rispettive cronache), oggi e qui ci soffermiamo sulla scenografia, sull’allestimento scenico, da un altro punto di vista, che dà spessore e risalto a osservazioni trasversali alle rispettive sceneggiature.
In Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus traspare evidente l’ossessione di Diane Arbus per la propria Rolleiflex biottica (anche se nella vita scattava con biottica Mamiya C33). Il film ne è pieno, il film ne fa prezioso elemento visivo (così come ha fatto -per decenni- Guido Crepax, mettendo tra le mani una simil Rolleiflex, o anche autentiche Rolleiflex, alla sua eroina a fumetti Valentina: «Era la più bella da disegnare, tutto lì. Aveva belle forme e poi era bella da tenere tra le mani; se si potesse dirlo, era fotogenica. Poi, mi piaceva anche perché lasciava libero il viso, mentre altre macchine fotografiche si debbono portare all’altezza dell’occhio. La Polly Max / Rolleiflex era congeniale alle esigenze del disegno»).
In una cura scenografica addirittura magistrale, come lo sono spesso (sempre?) quelle statunitensi, in Fur compaiono elementi fotografici adeguati ai tempi del racconto, che si distribuisce tra l’inizio degli anni Cinquanta e i secondi anni Sessanta: apparecchi fotografici, obiettivi, accessori e pellicole sono in perfetta armonia e, soprattutto, sono allineati ai rispettivi tempi narrativi.
Trasversale, come appena rilevato, è l’os-
sessiva presenza della biottica Rolleiflex, che -a margine dell’impegno in sala di posa accanto al marito Allan- materializza la fuga di Diane Arbus dalla fotografia commerciale, dalla quale si allontana consapevolmente per abbracciare una propria esigenza esistenziale di creatività visiva e interpretativa. Nel film, la Rolleiflex biottica finisce per diventare addirittura il motivo conduttore della ribellione dagli schemi, anche da quelli della ricca famiglia di origine, formalista oltre ogni possibile sopportazione individuale. Quindi, la incontriamo e ritroviamo con incessante... ossessione.
Istruzione d’uso! Chi ha vissuto questa esperienza conosce le attenzioni per caricare il rullo 120 all’interno della Rolleiflex, con passaggio obbligato attraverso un labirinto adeguatamente intricato. Chi ha vissuto questa esperienza è consapevole di individuate difficoltà di caricamento, sostanzialmente estranee alle facilitazioni di altri sistemi fotografici, rivolti al grande pubblico.
La Rolleiflex biottica no. Indirizzata a utilizzatori consapevoli e convinti, era/è estranea a qualsiasi semplificazione. Aperto il dorso e inserito il rullo 120 nel proprio vano, la carta di protezione va indirizzata con attenzione, fino ad agganciarsi al rocchetto ricevente, dopo aver percorso un tragitto prestabilito e, come già rivelato, tortuoso. Quindi, si richiude il dorso e si blocca la chiusura con l’apposita leva sul fondo, coassiale all’attacco filettato per treppiedi.
Da cui, la sequenza cinematografica da Fur, la cui sceneggiatura sottolinea l’ossessione fotografica di Diane Arbus, che si esprime anche con la consapevole finalizzazione della composizione quadrata della Rolleiflex, attraverso le quali (composizione quadrata e Rolleiflex) si manifesta la sua ribellione dagli schemi della famiglia e della fotografia commerciale.
Passo avanti (di lato?).
In una sequenza di Triage, il protagonista Mark Walsh, interpretato da Colin Farrell, fotogiornalista sui fronti di guerra, carica la propria Nikon reflex in una condizione di sostanziale disagio ambientale: è scontato che così sia. Da qui, in valutazione anagrafica (nostra personale), rileviamo che, ai tempi, si manifestarono due scuole di pensiero, diciamola così. Da una parte, alcuni inserivano il caricatore trentacinque millimetri nel proprio vano, a destra dell’apparecchio fotografico aperto, per poi agganciare la pellicola al nottolino ricevente, a sinistra. Altri, agivano all’opposto: agganciavano prima la coda della pellicola al nottolino ricevente, per poi col-
locare il caricatore. Ed è così che opera il cinematografico Mark Walsh, di Triage. In entrambi i casi, altre due scuole di pensiero: una avara, l’altra generosa. Per precauzione (e sicurezza?), alcuni fotografi scattavano fino a due/tre fotogrammi a vuoto, per essere certi Titoli di testa del film One di poter agire a partire da Hour Photo, con inces- pellicola vergine; all’opposto, sante sequenza croma- in contrazione, altri fotografi tica che visualizza condilimitavano al minimo l’avanzioni basilari della stampa fotografica a colori, in zamento preventivo al primo fotogramma utile plausibile. Da qui, in allungo, la serie di sintesi additiva, propria e prefotogrammi Vues n° 0, raccaratteristica anche dei colte in avvincente monograminilab, così come lo è fia d’autore dal francese Jestata delle camere oscure an-Christophe Béchet [a pachimiche. Del passato. gina 22]. A totale differenza, le presunte e attestate “istruzioni” fotografiche in One Hour Photo non sono mai state alla portata del pubblico. In cadenza visivamente accattivante, oltre che affascinante, modulano tempi e modi del trattamento della pellicola a colori e relativa stampa delle copie con attrezzature predisposte: nello specifico, minilab. E si registra anche una analoga combinazione cromatica additiva scandita dai titoli di testa, là dove e quando si sottolinea la combinazione dei colori primari. In istruzione d’uso? ■ ■