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Immediata

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Per ritratto

Per ritratto

Volente o nolente, l’azione fotografica dipende anche da una mediazione tecnica, che guida e governa il suo risultato. Sia in termini svincolati da altre intenzioni, sia in creatività, il “mezzo” è inviolabilmente mediazione fisica necessaria. Da questa condizione nascono infinite considerazioni, la maggior parte delle quali è insipida, perché incolta. Al contrario, se si parte da un punto di vista equilibrato, si approda soprattutto a valutazioni legittime (e comprovate), che accertano in misura adeguata e proporzionata il delicato rapporto che intercorre tra tecnica (necessaria) e creatività (indispensabile). Vediamola e diciamola così: in relazione alle proprie attualità tecnologiche, in ogni epoca, la macchina fotografica ha assolto, e oggi assolve ancora; ma, attenzione, indipendentemente da tutto, non soltanto da molto, in ogni epoca, la macchina fotografica non ha risolto... non ha mai potuto farlo. In sintesi: la macchina fotografica assolve, ma non risolve. La soluzione spetta sempre e comunque al fotografo, tanto più quando e per quanto si tratta (addirittura!) di fotografo-autore. In questo senso, a differenza della critica e analisi contenutistica di altre geografie, laddove -da tempo- si sono chiariti princìpi basilari, qui in Italia è sempre pericoloso e azzardato accompagnare il commento di valori espressivi con la combinazione dei mezzi di propria realizzazione e produzione. Così che, entrando nello specifico, la presentazione “culturale” dell’azione fotografica attraverso la quale il talentuoso Maurizio

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Galimberti ha confezionato un secondo tempo della sua escursione attraverso la Storia, in coabitazione con Paolo Ludovici, ideatore e curatore del progetto, riportata su questo stesso numero della rivista, da pagina quarantaquattro, ha potuto richiamare l’indispensabile “mediazione tecnica” solo in accenno lieve, quasi etereo: Fujifilm Instax.

Allungarsi su questo rapporto in quella sede avrebbe certamente creato confusione ideologica (perlomeno, qui, in Italia), e alimentato equivoci, ambiguità e dubbi... da parrocchietta.

Però, in tutta sincerità, oltre che in schietta onestà, sia intellettuale, sia tangibilmente materiale e realistica, più che altrove e altrimenti, la forma a tutti manifesta dell’azione creativa di Maurizio Galimberti non prescinde dalle procedure operative. Certo, nella sua azione è più che fondamentale il perché, come in tutta la Fotografia, per il vero; ma questo stesso perché è più che mai edificato sul come. Con una attenzione: il come da sé non basta. Cioè, non conta quanto e ciò che ha Maurizio Galimberti. Perché va considerato e stimato ciò che Maurizio Galimberti fa con quello che ha.

Già... Fujifilm Instax, la cui filosofia è dichiarata (in nostra traslazione): «Scattiamo fotografie. / Catturiamo immagini. Fermiamo istanti. // Ma non si tratta soltanto di acquisire. / Stiamo anche parlando di dare. / E creare momenti splendidi.». Ancora: «Quando una Instax partecipa a una qualsivoglia situazione, accade qualcosa di magico. Le persone sono attratte e coinvolte, per scattare e creare. Per vedere subito l’immagine che appare in pochi secondi. Da circolare e condividere».

Come è evidente che sia e debba essere, sia in configurazioni analogiche a sviluppo immediato, sia in dotazioni ibride (e passaggio digitale), il sistema Fujifilm Instax si rivolge e indirizza verso un pubblico ampio, genericamente familiare, precisamente non professionale. Non è tanto un gioco, e non lo è soprattutto in accezione negativa, ma una ricreazione che stabilisce tempi e modi di autentica socialità.

Da qui, da questo background primario e fondamentale, l’azione creativa di Maurizio Galimberti dilata le proprie intenzioni espressive verso profili diversi, per qualcuno più alti (ma, attenzione, gerarchia solo accademica e stopposa), fino a raggiungere vette dell’arte, peraltro in copia unica: «L’arte non migliora mai, ma... il materiale dell’arte non è mai esattamente lo stesso» (Thomas S. Eliot); «Un’opera d’arte è soprattutto un’avventura della mente» (Eugene Ionesco). Così che, da altre proprie intenzioni e origini, il sistema Fujifilm Instax approda ben oltre. Del resto, è sempre l’utilizzatore (a volte, autore) che fa la differenza. I fotografi possessori, oltreché di apparecchi e obiettivi, anche delle cognizioni necessarie per adoperarli bene e WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini al meglio, sono fatalmente avvantaggiati. Sapersi muovere con sicurezza e padronanza tra le condizioni generali del proprio lavoro e le applicazioni eventualmente particolari è un dovere fotografico e un diritto personale. Nel metodico, fondamentale e meticoloso rapporto tra tecnica e creatività si deve essere consapevoli dei

Come dire: da un mondo all’altro. Un doveroso complemento a questo commento sul rispettivi valori e relatisistema Fujifilm Instax sottolinea come e quanto la stessa Fujifilm sia la sola azienve influenze. E si deve da storica della fotografia chimica che è stata capace di sopravvivere e proliferare ancora nel passaggio alla tecnologia digitale. Soprattutto, lo si deve al presidente e Ceo della Fujifilm Holdings Corporation Shigetaka Komori, che ha scandito i tempi anche riconoscere che la tecnica è assolutamente necessaria per la trasformazione e cone modi della propria lungimiranza e azione in un saggio di gran valore. Il racconto cretizzazione fotografidi Innovating. Out of Crisis, che sottotitola esplicitamente How Fujifilm Survived ca dell’intuizione creati(and Thrived) As Its Core Business Was Vanishing (Come Fujifilm è sopravvis- va. La creatività dipende suta -e ha prosperato- quando il suo core business stava svanendo) sono folgoranti dal talento individuale, e illuminanti (Stone Bridge Press, 2015; 216 pagine12,7x20,6cm; 24,95 dollari). e può essere educata. La tecnica si può imparare, basandosi -prima di altro- sulla conoscenza e consapevolezza dell’uso degli strumenti. Con ciò, nessuna sopravvalutazione; ma neppure nessuna sottovalutazione. La tecnica fotografica deve essere conosciuta, controllata e dominata... per scomparire a favore della creatività. È un mezzo, non il fine. ■ ■

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