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Stagioni remote
Gil Elvgren’s Private Stock ; a cura di Tony Nourmand; Rap / Reel Art Press; 2012; 120 illustrazioni a colori e 50 in bianconero; 192 pagine 23x23cm, cartonato; 50,00 dollari. Come tutti i suoi compagni d’avventura, anche Gil Elvgren, il più qualificato tra gli illustratori di pin-up, si è spesso avvalso di fotografie, che realizzava appositamente. Questo il passo della monografia.
di Angelo Galantini
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Noto e conosciuto soprattutto (soltanto?) nei ristretti ma vigorosi ambiti di coloro i quali seguono / hanno seguìto le lussureggianti stagioni delle pin-up, soprattutto quelle in illustrazione (che poi sono le vere e autentiche), e del costume degli anni Cinquanta/Sessanta, che arrivò in allungo diretto, Gil Elvgren è stato un illustratore di pin-up (appunto) di grande fama. Già... fedeltà mentale a momenti durante i quali lo stato d’animo era generalmente ottimista. Soprattutto nel mondo occidentale, rivolto alla ricostruzione a tutti i costi, l’onda lunga del dopoguerra creò uno stile di vita attivo e diede animo a speranze che potevano essere realizzate. Le automobili, gli elettrodomestici per la cucina e persino le persone erano splendide e brillanti. Da cui, eccoci qui, in rievocazione.
Approdiamo oggi alla personalità di Gil Elvgren (1914-1980), accostandolo di traverso. Ovvero, lasciamo perdere le sue affascinanti e suggestive illustrazioni, a favore della loro ispirazione fotografica, che peraltro non visualizziamo, per mille e mille motivi, sicuramente tutti leciti e intuibili. Una monografia pubblicata dall’autorevole Rap / Reel Art Press, editore inglese indirizzato alla socialità dei fenomeni visivi e musicali contemporanei, dischiude un dietro-le-quinte della creatività di Gil Elvgren particolarmente intrigante.
Come tutti i suoi compagni d’avventura, anche Gil Elvgren, autorevole illustratore statunitense di pin-up, ha agito soprattutto dal “vivo”, con la modella di turno davanti al proprio cavalletto da pittore. Allo stesso momento, ancora come tutti i suoi compagni d’avventura, anche Gil Elvgren si è spesso avvalso di fotografie, che realizzava appositamente. Per l’appunto, è questo il passo della monografia Gil Elvgren’s Private Stock, che riunisce, ordina e raccoglie una sostanziosa quantità e qualità di sue fotografie di modelle in posa. Sempre in fotografia stereo... tridimensionale
PIN-UP(S) SULLO SCAFFALE
Una imponente monografia, appena rivista e rieditata (dalla precedente The Great American Pin-Up), storicizza il fenomeno delle pin-up: figure birichine, volontariamente erotiche, che decenni fa hanno interpretato l’incantevole mistero di una speranza. Per quanto le pagine in casellario visivo di The Art of Pin-Up siano preziose, l’argomento richiede un commento e una presentazione ragionata.
Peccaminose ai tempi delle rispettive apparizioni dal vivo, ovverosia in cronaca, le licenziose raffigurazioni femminili disegnate nei decenni scorsi sono oggi approdate a una celebrazione storica che ne consacra l’ingresso ufficiale nella più nobile comunicazione visiva. Non più clandestine, non più contrabbandate sotto banco, oggigiorno, le pin-up sono reintegrate nel novero delle figure canoniche e accettate e accettabili.
Da una parte, questa moderna riscoperta è merito della scrupolosa catalogazione di intrepidi storici del costume, che hanno dato vita a una serie di monografie a tema, anche editorialmente recenti, sulla cui genìa editoriale sovrasta l’impeccabile The Art of Pin-Up, del tedesco Taschen Verlag, in attuale edizione (548 pagine 25x34cm, cartonato).
Dall’altra parte, non possiamo ignorare, né sottovalutare, altri due fenomeni che hanno favorito la riscoperta di queste illustrazioni di «femmine birichine, volontariamente maliziose, consce della propria carica erotica, che nei decenni scorsi hanno interpretato l’incantevole mistero di una speranza».
Anzitutto, va registrato un identificato fastidio per la ginecologia rotocalchistica e in Rete, che non si concilia con la raffinatezza estetica e visiva dei più autentici e concentrati cultori dell’erotismo visivo (attenzione, come è stato scritto: l’erotismo sta alla volgare e inutile esibizione di carne, come una promessa allettante sta a una offerta tristemente esplicita). Infatti “l’incantevole mistero di una speranza”, ottimamente interpretato dalle maliziose pin-up dei decenni scorsi, alimenta quella fantasia e quella attesa senza le quali la vita e il piacere finiscono per non avere brividi.
Dopo di che, va pure sottolineata l’odierna rivalutazione generale e generica degli anni Cinquanta. Pur senza entrare nel merito di competenze sociologiche che non ci spettano, non ignoriamo che si tratta di una mitizzazione artificiosa e fittizia, basata su sensazioni ed emozioni postume, che nulla
hanno di reale. In tutti i casi, rimane il fatto che in quell’immediato dopoguerra regnava uno stato d’animo ottimista. Gli oggetti, gli spettacoli, la vita e persino le persone erano splendidi e brillanti. All’indomani del buio di una devastante guerra mondiale, la visione di una possibile vita serena, licenziosa e solare non poteva che donare felicità. Ufficialmente, non c’erano problemi e la cultura europea delle pin-up, che negli States furono antecedenti, appartiene a quel mondo. Certamente, il compendioso The Art of Pin-Up è il più completo e attento studio sul fenomeno. Sapendo cogliere quanto corre per l’aria, Diane Hanson, Sarahjane Blum e Louis K. Meisel (contitolare della apprezzata Meisel Gallery, di New York City) hanno compitato un casellario che ha dell’incredibile. A pagina intera (25x34cm), oppure concentrando le illustrazioni a tre/ quattro per pagina, i tre autori hanno classificato e presentano ben novecento soggetti, suddivisi per i settanta autori presi in considerazione: quindici nel capitolo “preistorico” dell’Art Deco, a cui sono riservate quasi quaranta pagine; trentadue nel corpo vivo della monografia, che tratta il periodo che si estende dalla Seconda guerra mondiale agli anni Settanta, distribuito su circa duecentocinquanta pagine; ventitré nel capitolo finale, di circa cinquanta pagine, dedicato ai definiti “Additional Artists”. Per gusto personale, sopra tutti sovrasta il leggendario Gil Elvgren (19141980) -che illustra anche la copertina di questa monografia-, particolarmente noto per aver travestito da improbabile cow-boy qualche arrapante smorfiosetta, che sta vivendo anche una fama postuma autonoma con raccolte antologiche e successive serie di card a tema. Comunque sia, The Art The Art of Pin-Up, a cura di Diane Hanson, Louis K. Meisel e Sarahjane Blum; of Pin-Up non dimentica Taschen Verlag, 2021; 548 pagine 25x34cm, cartonato. In copertina, Sheer nessuno, e racconta vita Comfort, di Gil Elvgren, del 1959. [The Great American Pin-Up, in edizione 1996]. e opera di tutti gli specialisti del disegno di fanciulle che hanno definito un’epopea che si è distribuita lungo i decenni, fino a quando il realismo della fotografia di nudo ha finito per avere il sopravvento, dopo aver fatto prepotente breccia tra le maglie di una censura sempre più blanda. Per quanto ci riguarda, nostalgia di tempi passati... splendidi. In conclusione, a conferma dell’attualità visiva delle pinup, attiriamo l’attenzione sulle riviste di moda e di costume che da tempo stanno proponendo servizi fotografici declinati sullo stile di quelle rappresentazioni.
Come tutti i suoi compagni d’avventura, anche lui ha agito soprattutto dal “vivo”, con la modella di turno davanti al proprio cavalletto da pittore; e molte fotografie di scena lo testimoniano, per quanto non possono documentarlo senza i distinguo che definiscono l’azione fotografica nel proprio insieme. Allo stesso momento, ancora come tutti i suoi compagni d’avventura, anche Gil Elvgren si è spesso avvalso di fotografie, che realizzava appositamente. Per l’appunto, è questo il passo della monografia Gil Elvren’s Private Stock, che riunisce, ordina e raccoglie una sostanziosa quantità e qualità di sue fotografie di modelle in posa, materia prima per successive interpretazioni in illustrazione.
Come appena anticipato, qui e ora, non presentiamo alcuna di queste fotografie, perché non serve farlo, perché l’estrapolazione dal proprio contesto originario, per una panoramica giornalistica, risulterebbe equivoca ed estranea allo spirito e alle intenzioni dell’edizione libraria. Allo stesso momento, non riportiamo alcuna delle pin-up di Gil Elvgren, perché non è questo il passo che ci siamo preposti; al caso, volendolo fare, l’attuale ricerca in Rete è più che adatta a una energetica individuazione di tanti e tanti soggetti, perfino troppi. Ciò che in un certo senso -il nostro- ha distinto e qualificato la fotografia di Gil Elvgren, peraltro di qualità formale più che modesta, forse perché particolarmente indirizzata e finalizzata, è la sua azione con diapositive stereo. E qui vanno riprese note che abbiamo già avuto modo di riferire, a certificazione e testimonianza di come e quanto la fotografia stereo -anche 35mm, soprattutto con efficace Stereo Realist,
Ammiccano da qualche anno dalle etichette di bottiglie rigorosamente in vetro: otto pin-up fanno idealmente la guardia alle altrettante bibite che compongono il catalogo di Abbondio (www. abbondio.it), la «premiatissima ditta» di bevande rinfrescanti fondata a Tortona dal cavalier Angelo Abbondio, nel 1889. Un marchio che ha ripreso popolarità, in quanto vintage: quindi, accattivante e spendibile sul mercato.
dal 1947- fu ampiamente frequentata negli anni Cinquanta di questa fotografia di Gil Elvgren (tra parentesi, ricordiamo anche l’ottimo Stereo Realist Manual, di Willard D. Morgan e Henry M. Lester, pubblicato da[gli stessi] Morgan & Lester Publishers, nell’ottobre 1954; con postfazione dell’illustre Beaumont Newhall, ai tempi direttore della prestigiosa istituzione museale George Eastman House, di Rochester). Limitandoci al solo mondo dello star system hollywoodiano, certifichiamo per gli attori Humphrey Bogart, Cary Grant e Richard Burton e per il regista Alfred Hitchcock, tutti fotografati con Stereo Realist al collo o tra le mani. Quindi, sovrasta tutti la personalità dell’attore Harold Lloyd, icona del cinema muto, che fu anche presidente dell’associazione stereoscopica statunitense. La nipote Suzanne Lloyd Hayes ha curato due monografie di sue fotografie stereo: 3-D Hollywood, del 1992, e Nudes in 3-D, del 2004. Ancora, e poi basta, registriamo che tra il 1949 e il 1950 una intesa campagna pubblicitaria della Stereo Realist fu regolarmente pubblicata sui mensili di riferimento National Geographic e American Photography.
Testimonial di richiamo, il regista Cecil B. DeMille e gli attori Fred Astaire, Bob Hope e Ann Sothern.
Dunque, registrata l’azione fotografica stereo di Gil Elvgren (effettivamente modesta), non c’è altro da aggiungere su questa vicenda. Soltanto, in accompagnamento, segnaliamo la qualità della confezione editoriale e redazionale dell’intrigante monografia Gil Elgren’s Private Stock, completa di coinvolgenti backstage dell’archivio fotografico in argomento, con i quali illustriamo.
Sapori non dimenticati. ■ ■
In presentazione della monografia Gil Elvgren’s Private Stock, non visualizziamo alcuna fotografia realizzata dall’illustratore, tra le tante impaginate a testimonianza di un casellario esteso. Ci limitiamo alle suppellettili della sua azione strereo: dall’intelaiatura delle diapositive all’archivio dei telaietti. Chi volesse avvicinare i nudi di Gil Elvgren si rivolga alla Rete. Oltre altre considerazioni in demerito, comunque sia, da parte nostra, li consideriamo talmente brutti da essere improponibili. Il loro valore scarta a lato considerazioni fotografiche mirate, per tenere unicamente conto dell’autore.
Frivolo quanto è legittimo che debba essere, Shoot Sexy, di Ryan Armbrust, che sottotitola Fotografare pin-up nell’era digitale, è un agile manuale illustrato che affronta la declinazione in termini fotografici attuali di stilemi visivi ricondotti alla stagione delle pin-up: posture, cosmesi e sguardo compositivo rivolto indietro: Logos, 2012; 192 pagine 23,3x25,3cm; 20,00 euro. Nei fatti, reinterpretazione di un classico senza tempo, con modelle che posano con un look rétro: languide pose e seducente biancheria intima. Divertente sensualità vintage. Forse.