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Passaggi sporchi
/ IN IRONIA E SARCASMO / PASSAGGI SPORCHI
CERTO, LA FOTOGRAFIA ITALIANA VA CONSIDERATA DI PERIFERIA. MA, ATTENZIONE ANCHE A!
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di Maurizio Rebuzzini
Mutuata dal mondo del calcio, la nozione di “passaggi sporchi”, oppure “passaggio sporco”, al singolare, la debbo a Marco D’Atti, creatore e titolare di Mafer, azienda di distribuzione fotografica tra le più eccellenti fino alla fine del Novecento; poi, molti equilibri sono cambiati e si sono accartocciati su se stessi. anni Ottanta del Novecento (diamine... quaranta anni fa... come scorre inesorabile il Tempo), sul concetto di “passaggio sporco”: eccoci qui. Detta meglio, sicuramente: ekkoci qui! Per approdare all’allineamento con la Fotografia e il suo mondo italiano -piccino nei propri contenuti-, specifichiamo qui che, in periferia del mondo (lasciamo perdere i fasti antichi del Rinascimento e contorni). Cioè, deperisce in un provincialismo formativo che è più colpa della gretta ristrettezza e modestia e meschinità dei singoli, che dell’inaccessibilità e impraticabilità degli orizzonti complessivi e autorevoli, quelli di vertice.
Ai propri tempi d’oro, coincidenti con gli analoghi dorati del commercio fotografico italiano, Mafer si muoveva con disinvoltura soprattutto nell’ambito professionale, con eccellenti puntate verso quello non professionale: rispettivamente, vanno ricordate le distribuzioni Sinar, Rodenstock (obiettivi per grande formato), Broncolor, De Vere, Deville; quindi, Braun, Paterson e, ancora, Rodenstock (obiettivi da ingrandimento).
Appassionato di calcio e interista doc, come molti -del resto- nel mondo fotografico, non soltanto milanese, Marco D’Atti ci istruì sui delicati equilibri che tenevano insieme, quando e per quanto riuscivano a farlo, personalismi tra giocatori della stessa squadra, in contrasto tra loro: quello che si definisce sempre “spogliatoio”.
Però, mi sottolineò con competenza, all’abilità di allenatore e dirigenti, sfuggivano/sfuggono sempre alcuni dettagli di interesse personale, estranei al senso comune di squadra.
In particolare, Marco D’Atti si dilungò allora, nei primi gergo calcistico, con “passaggio sporco” si intende l’assist verso un giocatore della propria squadra, inviso a sé e ai più, quando questo è impossibilitato a usare la palla per qualcosa di concreto e produttivo. Ovvero, il soggetto principale si crea un alibi -«io gli ho passato palla», riesce a giustificarsi; «è lui che non è riuscito a combinare niente»-, che nasconde la propria scelleratezza ideologica. (Grazie a chi di dovere, nel baseball, sport che amiamo dalla seconda metà degli anni Sessanta, appassionandoci soprattutto alle vicende delle Major League statunitensi dei decenni precedenti -Babe Ruth, Jackie Robinson, Ty Cobb, Joe DiMaggio, Mickey Mantle, Roberto Clemente, Lou Gehrig, Sholess Joe Jackson, Yogi Berra, Roy Campanella...-, questo non può accadere, perché si tratta di uno sport di squadra composto dalla somma di gesti atletici individuali, ovviamente in fase di attacco, in battuta).
In Fotografia, ora, in quella Fotografia italiana che, come molto della cultura contemporanea del nostro paese è alla
Ovvero, siamo alla periferia del mondo anche grazie al comportamento povero di molti dei nostri autodefinitisi operatori. Magari, soprattutto grazie a loro!
Qual è la condotta tipica e caratteristica di costoro?: la perizia e caparbietà con la quale coltivano propri continui e ripetuti “passaggi sporchi”. Certo, per loro, questo comportamento non è soltanto utile; nientemeno, è loro necessario. In mancanza di doti, talento, competenze e preparazione (non necessariamente scolastica, ma esistenziale, ma generosa, ma curiosa, ma appassionata, ma coltivata, ma...), non possono che agire di sponda: dal gergo delle bocce che scorrono sulla sabbia o delle biglie che, sul biliardo, scorrono via lisce e veloci (oppure lente) sul caratteristico panno morbido.
Passaggi sporchi, dunque, quando ci si appropria di perizie altrui spacciandole per proprie; oppure, quando si tenta di accedere a queste, in contatto diretto, girandoci attorno e facendo finta che. Ancora, passaggi sporchi, quindi, quando -in incontro pubblico (conferenza stampa, presentazione di libri e/o mostre e contorni), individuando in sala un “collega” sostanzialmente disdegnato e anche denigrato, si finge nel coinvolgerlo nella propria esposizione, per guadagnarsi un bollino di onestà intellettuale presso ascoltatori spontanei, ignari di tanta malvagità.
Passaggi sporchi: quando si approfitta di proprie posizioni di (autostimato) potere per porre veti, ipotizzare esclusioni, promuovere allontanamenti, minimizzare o nascondere o screditare competenze, addirittura ricorrendo alla calunnia.
Ciò detto, in rivelazione di dietro-le-quinte, che -per convenzione- si dovrebbero tenere nascoste al pubblico (che, invece, va preavvertito, almeno affinché sappia con chi ha veramente a che fare), non ci si stupisca della modestia dell’intero apparato culturale della Fotografia in Italia. Ripetiamo, in conferma: prima che derivata da incontrollabili equilibri sovrastanti (tra tanto, leggere: mancanza di interlocutori pubblici all’altezza di), questa mediocrità è generata dagli attori della vicenda.
Soprattutto, da loro. ■ ■ In senso di continuità di ragionamento, per tanti versi -tutti legittimi (?)- collegato a questo odierno, a seguire, sarà il caso di affrontare l’argomento della comunicazione della Fotografia (per quanto ci riguarda), gestita e governata da uffici stampa che -per eufemismo- certifichiamo approssimativi.
Per certi versi, le considerazioni sono analoghe, e continuano quel cammino in compagnia dell’ignoranza e degli ignoranti avviato in questo stesso ambito: al contrario della qualificazione e attenzione individuale che comportano / comporterebbero una crescita collettiva.
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