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SCONTRI KODAK - FUJI: MOVIMENTI DI FINE MILLENNIO IN DIFESA DELLA REDDITIVITÀ CHIMICA

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di Giulio Forti

Le ostilità fra Fuji e Kodak sono sempre esistite. Nel 1993, ad esempio, Kodak accusò la concorrente di vendere sul mercato americano carta colore -il prodotto più remunerativo- a un quarto del prezzo praticato in Giappone. Verificato il ricorso, la tariffa doganale per gli Stati Uniti cresce del trecentosessanta percento (360%), e Fuji allinea subito i prezzi ai valori internazionali. L’incidente si ricompose, e Fuji costruisce una fabbrica nella Carolina del Sud.

Sembrava tornato il sereno, quando il neo-chairman di Kodak, George Fisher, fece intendere il suo interesse per il mercato asiatico, e così decide un nuovo attacco. Supportato dall’amministrazione Clinton, dichiara che, da sempre, Fuji ha illegalmente impedito alla casa gialla il libero accesso al mercato giapponese. La mossa fu accolta con entusiasmo, ma molti sostenevano che Kodak, in Giappone, poteva contare sul nove percento (9%) del mercato solo perché non ci aveva saputo fare. Fuji -dieci percento (10%) del mercato Usa- ribatte che quelle di Kodak erano falsità e che, semmai, era proprio lei ad avere un atteggiamento protezionista verso gli Stati Uniti.

Di fronte alla potente World Trade Organization, il caso rischia di diventare una crisi diplomatica; poi, tutto finisce con il solito compromesso sugli scambi commerciali.

Tre anni dopo, ci si chiede perché due industrie che hanno lavorato gomito a gomito per concepire l’Advance Photo System (APS) possano continuare a litigare come portinaie, ma sembra proprio che Fuji e Kodak intendano spartirsi il mercato mondiale.

Kodak mantiene un certo vantaggio su Fuji, fatto sta che insieme rappresentano più del settanta percento (70%) del mercato della pellicola e della carta colore; il resto è diviso tra Agfa, Konica e 3M, tanto che alcuni analisti dubitano che, nel Duemila, tutte e cinque saranno ancora in pista a litigare per i prezzi della carta colore. Nel luglio 1996, Fuji mette a segno un colpo grosso

Tuttavia, il colpo di Fuji è pesante per Kodak, che teme una campagna tesa a far passare l’idea che il prodotto Fuji sia made-in-Usa, idea già sperimentata e fallita da produttori tedeschi e giapponesi di auto.

Anche nel vecchio continente, scoppia un grosso colpo, quando il gruppo belga Spector Photo Group annuncia di avere acquisito il 58,1% della Porst Holding.

sul mercato americano, acquistando -per seicento milioni di dollari circa- sei grandi laboratori della catena Walmart, che valgono un diciotto percento (18%) del mercato photofinish statunitense. Inoltre, ottiene l’esclusiva del servizio di sviluppo e stampa di duemila duecentocinquanta punti vendita e un contratto decennale per la fornitura di carta colore e chimici ai milleduecento minilab nei supermarket Walmart [attenzione: nella finzione cinematografica di One Hour Photo, per l’appunto sceneggiata attorno i servizi di un minilab all’interno di un centro commerciale SavMart, dove agisce il protagonista Seymour “Sy” Parish, caratterizzato dall’attore Robin Williams, l’accompagnamento “fotografico” è Fuji (su questo stesso numero, da pagina 22)].

Prima che ciò accadesse, attraverso la sussidiaria Qualex, Kodak controllava l’ottanta percento (80%) del business, ovvero i due terzi del mercato statunitense dello sviluppo e stampa a colori.

Quindi, la mano torna a Kodak, che con soli sessanta milioni di dollari prende il controllo della Fox Photo Inc, quinta catena di minilab, con cinquecentocinquanta punti vendita; la stranezza è che la stessa Kodak aveva acquistato la medesima catena una decina di anni prima e l’aveva presto rivenduta, per riacquistarla ancora.

Anche nel vecchio continente, scoppia un grosso colpo che sconvolge il mercato, quando il gruppo belga Spector Photo Group, controllato da Fotoinvest, annuncia di avere acquisito il cinquantotto percento (58,1%) della Porst Holding e il cento percento di Interdiscount France; l’operazione significa la creazione di un mega gruppo che, fra intrecci vari, conta tremila punti vendita in Belgio, Francia, Olanda, Austria e Svizzera, con un fatturato di venti miliardi di dollari. A margine -si fa per dire-, il nuovo gruppo fa sapere di aver affidato a Kodak l’esclusiva per la fornitura della carta colore. La notizia lascia la concorrenza senza fiato, anche perché appare subito evidente che -in questo- modo Kodak troverà la strada spianata anche per la distribuzione di pellicole e macchin(nette) fotografiche.

La guerra continua in ottobre: Fuji si aggiudica l’esclusiva della fornitura di carta colore alla Ritz Camera Centers, terza catena statunitense dopo Walmart, e Fox Photo, con cinquecentosessanta negozi e cinquecentocinquanta minilab.

Questa serie di sconvolgimenti fu allora collegata al sistema APS, nato grazie all’alleanza Kodak-Fuji, soprattutto a questa (poi, nella squadra di partenza, anche Canon, Minolta e Nikon). Il nuovo sistema avrebbe dovuto proteggere il valore dell’analogico, facendo muro contro quanto tutti sapevano sarebbe accaduto ritardandone la vigilia, ma non successe.

Arrivò il digitale! ■ ■

Da qui, a complemento, sottolineiamo come e quanto la stessa Fujifilm sia la sola azienda storica della fotografia chimica che è stata capace di sopravvivere e proliferare ancora nel passaggio alla tecnologia digitale. Soprattutto, lo si deve, a una persona: il presidente e Ceo della Fujifilm Holdings Corporation Shigetaka Komori, che ha scandito i tempi e modi della sua lungimiranza e azione in un saggio di gran valore.

Le appassionanti e coinvolgenti pagine di Innovating. Out of Crisis, che sottotitola esplicitamente How Fujifilm Survived (and Thrived) As Its Core Business Was Vanishing (in traduzione, Come Fujifilm è sopravvissuta -e ha prosperato- quando il suo core business stava svanendo) sono folgoranti e illuminanti; purtroppo, per ora (ma, ormai?), disponibili in sola edizione inglese originaria: Stone Bridge Press, 2015; 216 pagine 12,7x20,6cm, cartonato con sovraccoperta; 24,95 dollari.

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