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Sei gradi di morbidezza
Soggetto esemplificativo per i nostri confronti in gradi di morbidezza variabili (pagina accanto), i trucioli di ferro sono illuminati frontalmente, e sono collocati immediatamente davanti a uno sfondo sagomato retroilluminato.
di Antonio Bordoni
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Per il proposto Ritorno al grande formato, prospettato e incoraggiato da personalità competenti in materia, con scomposizione tra dotazioni a banco ottico e folding, oltre una sostanziosa quantità e qualità di apparecchi fotografici del passato (anche remoto), si hanno a disposizione considerevoli quantità e qualità di obiettivi, tra i quali si possono addirittura individuare quelli del passato soprattutto remoto, in tempi di affascinanti interpretazioni ottiche: diciamo, almeno prima metà del Novecento.
Qui in una versione finale, nella focale 250mm H=5,8 su otturatore centrale Copal 3, il Rodenstock Imagon è stato un obiettivo realizzato in lunghezze focali adatte alla fotografia piccolo e medio formato e in focali per grande formato 4x5 pollici (10,2x12,7cm), 13x18cm e 8x10 pollici (20,4x25,4cm). L’originalità del suo progetto -che equivale all’originalità delle riprese che consente di effettuare- consiste nell’impiegare diaframmi selettori (H), in valori progressivi H=5,87,7, H=7,7-9,5 e H=9,5-11,5, che permettono di governare l’effetto di morbidezza dell’immagine.
Certifichiamo e confermiamo l’alto valore e il consistente senso del promosso, sostenuto e incoraggiato Ritorno al grande formato, che sta per affrontare il proprio iter di incontri e riflessioni. Qui e oggi affrontiamo un’ipotesi di recupero di disegni ottici particolari, declinati in chiave fotografica inviolabilmente attuale. Esaminiamo il fantastico Rodenstock Imagon, che ha attraversato mille stagioni e concluso la propria attualità tecnico-commerciale in tempi ragionevolmente recenti, alla fine degli anni Novanta del Novecento. Nota tecnica: ideato all’inizio degli anni Trenta del Novecento, il Rodenstock Imagon è un obiettivo a fuoco morbido: pertinente controllo di una accattivante sfocatura fotografica sovrapposta a una immagine nitida centrale
Situazione base: Rodenstock Apo-Sironar-N 240mm f/5,6 a f/22.
Condizione di partenza: Rodenstock Imagon 250mm H=5,8
senza diaframma
selettore.
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=5,8-7,7 aperto (H=5,8).
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=5,8-7,7 chiuso (H=7,7).
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,7-9,5 aperto (H=7,7).
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,7-9,5 chiuso (H=9,5).
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=9,5-11,5 aperto (H=9,5).
Antonio Bordoni (8)
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=9,5-11,5 chiuso (H=11,5). Comparazione diretta tra diversi gradi di morbidezza ottenuti nella medesima situazione fotografica con un Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 di ultima generazione (su otturatore centrale Copal 3; numero di matricola 10.302.193, del 1981; sulla pagina accanto).
Il set è stato allestito con il soggetto in primo piano -trucioli di ferro illuminati frontalmente- collocato davanti a una retroilluminazione colorata (pagina accanto). L’alternanza dei toni e degli sfondi visualizza il senso di sfocatura sovrapposto alla nitidezza di base. Per la corretta esposizione con le singole aperture relative -prontamente indicate-, di volta in volta, è stata variata la potenza dei flash elettronici di illuminazione.
In sequenza di lettura, da alto, a sinistra: ▶Rodenstock Apo-Sironar-N 240mm f/5,6 a f/22 (situazione base); ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 senza diaframma selettore; ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=5,87,7 aperto (H=5,8); ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=5,87,7 chiuso (H=7,7); ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,79,5 aperto (H=7,7); ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,79,5 chiuso (H=9,5); ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=9,511,5 aperto (H=9,5); ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=9,511,5 chiuso (H=11,5).
Confezioni originali di vendita degli obiettivi Rodenstock Imagon 250mm H : 5,8 su otturatore centrale Compound e 300mm H=5,8 sovrainciso “Sinar” su piastra porta ottica della Norma degli anni Cinquanta-Sessanta.
Tra gli obiettivi particolari del passato, la fotografia grande formato propone e offre anche il fantastico Rodenstock Imagon. Evoluzione dell’originario Imagonal, disegnato da Franz Coblitz, nel 1906, il progetto ottico del Rodenstock Imagon è attribuito al fotografo pittorialista tedesco Heinrich Kuehn (o Heinrich Kühn, nato Carl Christian Kühn; 18661944), esponente del pittorialismo di inizio Novecento, membro dell’aristocratico Vienna Kamera-Club e della autorevole confraternita inglese The Linked Ring.
Firmato dall’ingegner Franz Staeble, il disegno ottico del Rodenstock Imagon (due lenti accoppiate in un unico gruppo) è datato al 1928, con relativa produzione dal successivo 1931.
Sempre completo di diaframmi selettori (“H”, da Helligkeit, ovverosia luminosità), per immagini a sfocatura periferica differenziata, sovrapposta a una immagine centrale nitida, l’Imagon è stato realizzato in lunghezze focali dal 120mm [altre fonti, esordiscono al 170mm] al 480mm, per la copertura di formati fotografici fino 24x30cm (con attenzioni). HEINRICH KUEHN FOTOGRAFO Per entrare nello spirito di un tempo nel quale l’ottica fotografica si è espressa con interpretazioni di alta personalità, non soltanto formale, bisogna trascurare per un attimo l’attualità delle configurazioni dei nostri giorni, indirizzate a una massima qualità complessiva e riassuntiva, quantificata in espressioni assolute di nitidezza, contrasto e definizione.
Il passato remoto della progettazione fotografica è stato diverso. Evocazioni come Petzval, Dallmeyer, Wide Ektar, Apo-Lanthar, Heliar, Hypergon, Apo-Skopar, Tessar, Sonnar, Distagon e Imagon -per l’appunto-, risalenti all’inizio del Novecento, richiamano il sapore della prima tecnologia dell’immagine fotografica (e artistica). Dunque, per entrare nello spirito dell’obiettivo a fuoco morbido, interpretato dal Rodenstock Imagon oggi protagonista, bisogna indugiare sulla personalità del suo ideatore.
Come appena accennato, il tedesco Heinrich Kuehn (o Heinrich Kühn), al quale si attribuisce l’idea originaria, è stato un fotografo pittorialista dei primi decenni del Novecento. Ancora in ripetizione, membro dell’aristocratico Vienna Kamera-Club, aderì con ardore alla The Brotherhood of the Linked Ring, la confraternita fondata, nel maggio 1892, da un gruppo dissidente dalla statica Royal Photographic Society, tra i quali spiccava la personalità dell’ormai anziano Henry Peach Robinson (1830-1901).
Versioni del Rodenstock Imagon distribuite nei decenni: 25cm H : 5,4 (numero di matricola 494.781 [presumibilmente del 1931, di origine!: 400.000, nel 1930], con set di cinque selettori H fissi); 250mm H : 5,8 (su otturatore centrale Compound; numero di matricola 2.320.518, dei primi anni Cinquanta [2.000.000, nel 1945, e 2.500.000, nel 1952], con set di tre diaframmi selettori H a doppia posizione, filtro giallo 2x e paraluce); 300mm H=5,8 (sovramarcato “Sinar”; numero di matricola 5.879.509 [1965?: 6.000.000, nel 1966], con set di tre diaframmi selettori H a doppia posizione, filtro ND 4x e paraluce); 250mm H=5,8 (su otturatore centrale Copal 3; numero di matricola 10.302.193 [1981!: 10.300.000, nel 1981], con set di tre diaframmi selettori “H” a doppia posizione, filtro ND 4x e paraluce). In ordine progressivo (e cronologico), dalla versione/configurazione più antica a quella finale, illustriamo la serie storica di questi Rodenstock Imagon [Rodenstock-Tiefenbildner / Creatore di profondità] raccolti, conservati e custoditi nella WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini, ai quali si aggiunga il più lungo / estremo 420mm H : 5,8 (numero di matricola 2.379.568 dei primi anni Cinquanta), visualizzato da sé, a pagina 65. ▶ Imagon 25cm H : 5,4 delle origini, con cinque selettori a regolazione fissa: H : 5,4, H : 6,8, H : 7,9, H : 11 e H : 14. ▶ Imagon 250mm H : 5,8 su otturatore Compound, con tre selettori variabili H : 5,8-7,7, H : 7,7-9,5 e H : 9,5-11,5, paraluce e filtro giallo 2x (testimone di un concetto di fotografia soprattutto bianconero). ▶ Imagon 300mm H=5,8 sovramarcato “Sinar”, con tre selettori variabili H=5,8-7,7, H=7,7-9,5 e H=9,5-11,5, filtro grigio neutro 4x e paraluce. ▶ Imagon 250mm H=5,8 su otturatore centrale Copal 3, con tre selettori variabili H=5,8-7,7, H=7,7-9,5 e H=9,5-11,5, filtro grigio neutro 4x e paraluce.
Ovviamente, a partire dalle origini del disegno ottico Rodenstock Imagon [Rodenstock-Tiefenbildner / Creatore di profondità], esordito nel 1928 / 1931, si sono registrate altre configurazioni, finiture e dotazioni. Tra tanto possibile, queste quattro visualizzazioni assolvono bene il proprio dovere di informazione e indirizzo. E quattro Imagon storici e diversi, tutti insieme (!), più un quinto (a pagina 65), sono autentica rarità. Ne siamo più che certi. Rarità da apprezzare... e ammirare (?).
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=5,8-7,7 chiuso (H=7,7).
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,7-9,5 aperto (H=7,7).
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,7-9,5 chiuso (H=9,5).
Antonio Bordoni (4)
Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=9,5-11,5 aperto (H=9,5).
Sue mostre sono state allestite sia in Germania, sia in tutta l’Europa; e qualcuno riferisce addirittura di un passaggio all’Esposizione Internazionale di Milano, del 1906, dove e quando il suo lavoro sarebbe stato notato dal leggendario Alfred Stieglitz (?!), che nel gennaio 1911 lo pubblicò sul numero Trentatré dell’autorevole Camera Work (1906-1911: cinque anni per decidersi erano tanti anche allora; per cui, la storiella milanese parrebbe proprio una storiella, e niente di più, né diverso).
Le testimonianze concrete sulla parabola fotografica di Heinrich Kuehn / Kühn si concretizzano in questa pubblicazione, ricordata anche in un paio di monografie dedicate all’esperienza culturale del quadrimestrale fondato e diretto da Alfred Stieglitz, dal 1903 al 1917: rispettivamente, Camera Work, della collana Photo Poche (Parigi, 1984), e Camera Work - A Pictorial Guide (Dover Publications; New York, 1978).
Autore decisamente poco noto, tanto da non apparire in alcuna delle storie della fotografia più accreditate, e tantomeno in quelle di levatura inferiore, Heinrich Kuehn / Kühn sopravvive alla propria effimera personalità fotografica per la sua intuizione tecnica che ha dato vita a generazioni successive del disegno ottico Rodenstock Imagon.
Anche se alla fine degli anni Venti del Novecento, gli obiettivi a fuoco morbido erano già ampiamente noti, e venivano realizzati in infinite varianti [tra le quali, il Cooke Portrait Anastigmat IIE 123/4 inch (325mm) f/4,5 Soft Focus, segnalatoci da Alessandro Mariconti; su questo stesso numero, da pagina 20], Heinrich Kuehn / Kühn ipotizzò una soluzione prontamente calcolata dal professor Franz Staeble, uno degli ottici del qualificato staff Rodenstock dell’epoca.
Il progetto Rodenstock Imagon è passato indenne attraverso i decenni, fino alla fine degli anni Novanta, quando era ancora presente nel catalogo della produzione ottica di Monaco, cadenzato in lungo e largo, e nel listino del suo rappresentante italiano (Mafer, di Milano).
Certamente, non si è mai trattato di uno dei prodotti primari della fotografia, e neppure è uno degli obiettivi più usati nell’ambito della ripresa in grande
In altro ordine, rispetto la precedente comparazione progressiva, da H=5,8 aperto a H=9,5 chiuso, quindi H=11,5, riportata a pagina 61, accostiamo e confrontiamo come, nella medesima situazione fotografica, i gradi di morbidezza ottenuti con un Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 varino in relazione alle rispettive aperture di diaframma “H”, nel caso in cui si tratti di un selettore aperto o chiuso. Per esempio, per quanto il valore H=7,7 sia l’apertura massima con il proprio selettore aperto, è anche l’apertura minima con il selettore H=5,8 chiuso. Il selettore H=7,7 aperto produce una immagine dai profili diffusi. Con il selettore H=5,8 chiuso, si ottiene una sfocatura assai diversa. E lo stesso dicasi per le equivalenze H=9,5 aperto o chiuso. Basta così!
Schematizzazione della combinazione dell’obiettivo a fuoco morbido Rodenstock Imagon con i propri diaframmi selettori “H” / Helligkeit (ed eventuali filtro giallo o ND e paraluce): da Linhof Praxis, del 1959.
UN IMAGON (300mm H 5,8) IN BELLA COMBINAZIONE
A cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, una serie di annunci coordinati Fujifilm, pubblicati sulla rivista, ha declinato una garbata ipotesi (specificata): «La forma per il contenuto. Combinazioni fantasiose di macchine fotografiche Fujifilm X, tra oggi (domani) e ieri, in doppia interpretazione NewOld». Di fatto, avvincenti (e convincenti?) presentazioni del sistema fotografico Fujifilm X, in pertinente equilibrio tra prestazioni tecniche di profilo alto e design ereditato dalla lunga e nobile storia evolutiva della tecnologia fotografica. Tre soggetti NewOld, ovvero oggi (domani) e ieri: Fujifilm X-Pro 1, con Leitz Summicron 5cm f/2 (tramite anello adattatore M Mount Adaptor), mirino Zeiss Ikon 440 (multifocale a torretta, da 21mm a 135mm), aggiuntivo Beep al pulsante di scatto, borsa artigianale di cuoio realizzata da Angelo Porta, di Milano, e cinghia in cuoio Ona Field Tan; Fujifilm X-E2, con foro stenopeico calibrato Avenon P.H. Air Lens in baionetta Leica M (tramite anello adattatore M Mount Adaptor), mirino Silvestri 58mm (dal 6x9cm, equivalente all’inquadratura 28mm sul sensore X-Trans Cmos II / APS-C), scatto flessibile Kodak Metal Cable e impugnatura M-Grip; Fujifilm X-T1, con Mir-20, grandangolare estremo 20mm f/3,5 di produzione sovietica (dal 1972), tramite anello adattatore K e ulteriore raccordo alla vite 42x1, slitta flash doppia Voigtländer e flash Ferrania Microlampo alimentato a batteria (dal 1957), per bulbi FB 1b. Alternativamente realizzate da Angelo Galantini e Antonio Bordoni, fotografie scattate con Fujifilm X-E1, montata sul corpo posteriore di una Sinar Norma 4x5 pollici (del 1955) tramite anello stringiobiettivo RBM, già BRM (Romualdo Brandazzi, di Milano; degli anni Trenta... Cinquanta), e anello adattatore Quenox Nikon, su colonna Fatif (anni Sessanta). Il tutto, e sempre: con obiettivo Rodenstock Imagon 300mm H=5,8, con selettore H=9,5-11,5 aperto (dunque, H=9,5) [sovramarcato “Sinar”; numero di matricola 5.879.509, databile al 1965]. Alla conclusione, Perché farlo? Risposta scontata: Perché no?
Con obiettivo Rodenstock Imagon 300mm H=5,8, con selettore H=9,511,5 aperto, indirizzato sul sensore di una Fujifilm X-E1 al corpo posteriore di un banco ottico Sinar Norma 4x5 pollici: Fujifilm X-E2, con foro stenopeico calibrato Avenon P.H. Air Lens, mirino Silvestri 58mm, scatto flessibile Kodak Metal Cable e impugnatura M-Grip; Fujifilm X-Pro 1, con Leitz Summicron 5cm f/2 (tramite anello adattatore M Mount Adaptor), mirino Zeiss Ikon multifocale a torretta (da 21mm a 135mm), aggiuntivo Beep al pulsante di scatto, borsa artigianale di cuoio e cinghia in cuoio; Fujifilm X-T1, con Mir-20 di produzione sovietica (20mm f/3,5), slitta flash doppia Voigtländer e flash Ferrania Microlampo, per bulbi FB 1b.
formato, che per il proprio solito ha preferito esprimersi con altri disegni ottici: standard, apocromatici, standard ad angolo di campo allargato e grandangolari. Però, l’Imagon ha sempre rappresentato una apprezzata e palpitante testimonianza di un’epoca durante la quale, invece dell’ordinario livellamento delle prestazioni -sia pure di alto livello qualitativo, quali sono quelle degli obiettivi odierni-, si respirava un clima di vivaci interpretazioni di grandi personalità estetiche. BASE TECNICA Da tempo abbandonate le focali superiori (e WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini conserva un raro e prezioso 420mm H : 5,8), fino alla fine dei propri giorni disponibile nelle lunghezze focali 120 e 150mm, in montatura normale, e 200, 250 e 300mm, in montatura normale e su otturatore centrale Copal, Compur oppure Prontor Professional -efficacemente presenti negli attuali canali commerciali di retrovisione fotografica-, il Rodenstock Imagon è un obiettivo definito “speciale” perché non offre prestazioni fotografiche di tipo standardizzato. Nel disegno ottico acromatico di due lenti accoppiate in un unico gruppo, un controllato residuo di aberrazione sferica si combina con particolari diaframmi selettori che permettono di governare (almeno sei) gradi di morbidezza variabili della fotografia.
Concepito per essere uno strumento adatto alla scuola impressionistica, che voleva andare oltre la pura e semplice raffigurazione dei soggetti, l’Imagon ha finito per superare le mode estetiche, fino ad affermarsi come elemento di unione di molteplici linguaggi creativi della fotografia. A differenza dei semplici obiettivi
Antonio Bordoni
a menisco, e dei più elementari dispositivi per l’alterazione del percorso ottico, il versatile Rodenstock Imagon combina assieme la brillantezza dell’immagine con una impagabile luminosità, la pertinente definizione del soggetto con il fascino dei contorni morbidi.
Alla resa dei conti, il Rodenstock Imagon produce consistenze variabili di immagine. Non è propriamente un semplice (e solo) obiettivo morbido, perché può essere diretto anche verso la più alta definizione dei toni e dei cromatismi della ripresa. Il suo residuo di aberrazione sferica equivale a una non determinazione della messa a fuoco, condizionata dalla proiezione dei raggi periferici su un piano (focale) diverso da quello sul quale si raccolgono i raggi centrali.
Il grado dell’aberrazione sferica dipende dall’apertura del diaframma: è massima a diaframma aperto e si riduce, ovverosia corregge, man mano che il diaframma viene chiuso. Contemporaneamente, si sposta anche il piano della messa a fuoco più nitida; ragion per cui, la focheggiatura dell’Imagon deve essere sempre regolata all’apertura alla quale verrà poi utilizzato. MORBIDEZZA VARIABILE La serie di diaframmi selettori in dotazione permette di governare la qualità dell’immagine. Ed è questa l’originalità delle fotografie eseguite con il Rodenstock Imagon, presa a modello anche da altri produttori: diverse immagini a sfocatura differenziata si sovrappongono a una immagine centrale nitida.
Per i propri diaframmi selettori, Rodenstock ha adottato i cosiddetti valori “H” (da Helligkeit, ovvero luminosità), che indicano una apertura relativa equivalen-
Antico Rodenstock Imagon 420mm H : 5,8. Il suo numero di matricola 2.379.568 consente di datarlo ai primi anni Cinquanta del Novecento: 2.000.000, nel 1945, e 2.500.000, nel 1952. In dotazione, diaframmi selettori “H” / Helligkeit H : 5,8-7,7, H : 7,7-9,5, H : 9,5-11,5, filtro giallo 2x e paraluce. Ufficialmente certificato per la copertura del grande formato 24x30cm, pensiamo che non possa andare efficacemente oltre l’8x10 pollici (20,4x25,4cm). In ogni caso, rara preziosità antiquaria meritevole di un proprio Ritorno; magari, perfino con sensori ad acquisizione digitale di immagini.
(in alto, a sinistra) Rispetto l’aridità soltanto tecnologica dei nostri giorni -densa di pixel, acronimi, cifre altisonanti e vuoto-, la depliantistica fotografica dei decenni trascorsi è stata preziosa fonte di informazione e istruzione d’uso (volendola vedere anche così: su questo stesso numero, a pagina 8, è riportata una riflessione al proposito).
Combinazione sempre applicata, sia sulla montatura degli obiettivi, sia in depliantistica, la dizione Tiefenbildner è stata considerata discriminante per la definizione dei valori e delle qualità del disegno ottico Rodenstock Imagon, nei suoi anni di partenza. Con il termine tedesco Tiefenbildner si intende Creatore di profondità. Per certi versi, questa potrebbe apparire come certificazione diversa dalle considerazioni di gradi di morbidezza sottolineati nell’attuale intervento redazionale. In realtà, sottolinea invece un diverso punto di vista, un differente approccio estetico: non ci esprimiamo sulle relative scuole di pensiero. Soltanto, facciamo notare come e quanto, nell’attualità originaria dell’Imagon, fu necessario distinguerlo dagli obiettivi solo Soft Focus (quale il Cooke presentato su questo stesso numero, da pagina 20). Invece, oggi, in assenza di altri riferimenti, la personalità di fuoco morbido diventa imperante, tanto da aver guidato il passo della nostra relazione tra giornalismo e tecnica. te al diaframma Imagon utilizzato. Nella sua configurazione tecnico-commerciale più recente (che è poi quella che abbiamo utilizzato per le nostre comparazioni, nella focale 250mm su otturatore centrale Copal 3), l’obiettivo è stato confezionato con un corredo di tre diaframmi selettori variabili, ciascuno definito da un particolare diametro dell’apertura centrale, combinata con conseguenti aperture periferiche: dalla focale 150mm alla focale 250mm, da H=5,8 a H=7,7, da H=7,7 a H=9,5 e da H=9,5 a H=11,5; la focale 120mm, da H=4,5 e la focale 300mm, nella sua più recente configurazione, da H=6,8 (versioni precedenti della focale Imagon 300mm furono qualificate dalla luminosità relativa H=5,8).
Ciò significa che una regolazione H=5,8 equivale all’analoga apertura f/5,8 dell’obiettivo. Indipendentemente da altre considerazioni ottiche, che non debbono distrarre l’attenzione dall’esercizio della fotografia, ciascuno tenga conto che i valori “H” funzionano esattamente come i corrispondenti valori tradizionali di diaframma. Soprattutto per questo, la stessa confezione di vendita dell’obiettivo ha compreso anche un filtro grigio neutro 4x, che consente di gestire la luminosità che raggiunge la pellicola (il sensore), senza dover dipendere soltanto dalla regolazione “H” che determina e condiziona la morbidezza dell’immagine.
All’apertura massima H=4,5, H=5,8 e H=6,8, e ancor più con l’Imagon usato senza iride, si ottiene una fotografia di alta morbidezza, confrontabile con quella di un obiettivo a menisco. All’altro estremo, all’apertura minima H=11,5, si ha una ripresa paragonabile a quella di un obiettivo anastigmatico; cioè, l’immagine risulta soltanto lievemente al di sotto della nitidezza solitamente fornita dagli obiettivi moderni. PERSONALITÀ Ma la funzione principale del diaframma selettore “H” -quella per la quale è stato calcolato e messo a punto il disegno ottico- è la gestione di immagini dal temperamento controllatamente variabile.
Sulla base di un effetto chiaro e ben definito, si sovrappongono diversi gradi di morbidezza (almeno sei di base, come evocato e richiamato dal nostro titolo, più infinite sfumature intermedie), risultanti da una luce graduata tramite la calibrata serie di diaframmi periferici perforati, regolabili entro gli intervalli codificati da ciascun diaframma selettore in dotazione: selettore aperto, selettore chiuso, oppure posizioni intermedie [accostamenti esemplificativi a pagina 61]. Come abbiamo già accennato, l’apertura centrale dei singoli diaframmi selettori “H” determina la nitidezza del nucleo centrale dell’immagine e favorisce una profondità di definizione -comunque sia- relativamente elevata; mentre le aperture periferiche regolano l’effetto di morbidezza dell’immagine.
Con le singole focali Rodenstock Imagon, le rispettive aperture massime H=4,5, H=5,8 e H=6,8 producono aloni estremamente ampi, su un nucleo di immagine leggermente meno distinto e con moderata profondità. Da qui, si procede per gradi fino alla profondità massima e a profili chiarissimi con una leggera diffusione, propri e caratteristici delle aperture inferiori: H=7,7 e H=9,5 (a selettori aperti).
Nell’uso, il talentuoso Rodenstock Imagon impone attenzioni diverse da quelle solite degli obiettivi a correzione totale.
Per esempio, date le proprie caratteristiche particolari, l’Imagon deve essere messo a fuoco all’apertura alla quale si intende esporre il fotogramma (o il file di acquisizione digitale); inoltre, ciascuno si deve abituare a una zona centrale di nitidezza, invece che a un piano completo e complessivo di messa a fuoco precisa. È altresì necessario familiarizzare con l’immagine che si forma sul vetro smerigliato, prodotta dai raggi periferici; cioè, bisogna imparare a valutare l’effetto della corrispondente sub-immagine nebulosa nella fotografia finita e definitiva. Infine, si deve anche tener conto dell’ingrandimento definitivo, rispetto la “matrice” di partenza: un alone di un millimetro in ripresa aumenta in proporzione diretta all’ingrandimento del negativo o della diapositiva originari (oppure, oggi, del file acquisito digitalmente). NELL’USO Per quanto il valore “H” (Helligkeit) indichi una apertura relativa equivalente al diaframma, bisogna considerare anche la sezione periferica del diaframma selettore del Rodenstock Imagon. Per esempio, per quanto il valore H=7,7 sia l’apertura massima con il proprio selettore aperto, dall’altro lato, è anche l’apertura minima con il selettore H=5,8 (o H=6,8 o H=4,5) chiuso. Nel primo caso -selettore H=7,7 aperto-, si ottiene una immagine tipicamente soft, dai profili morbidamente diffusi; nel secondo caso -selettore H=5,8, H=4,5 o H=6,8 chiuso-, si acquisisce una sfocatura diversa, e lo stesso dicasi per il valore H=9,5, aperto e chiuso [comparazioni esplicative a pagina 63].
Tutto questo quantifica l’apporto reale e concreto delle aperture periferiche. Nei casi ipotizzati, la stessa quantità di luce è stata rispettivamente divisa tra il centro e i bordi (primo caso: selettore H=7,7 aperto) e concentrata nella sola apertura centrale maggiore (secondo caso: selettore H=5,8, H=4,5 o H=6,8 chiuso al valore H=7,7); e la stessa condizione si estende alla luminosità H=9,5, da aperta a chiusa.
Mentre svolge la propria attività di obiettivo a fuoco morbido controllato, con effetto sovrapposto a una nitidezza di base, il Rodenstock Imagon manifesta anche doti di elevata profondità di campo. Questo è dovuto a due fattori. Da un lato, l’aberrazione sferica residua comporta una lunghezza focale non precisamente definita, con una corrispondente area di nitidezza oggettivamente estesa. Dopo di che, la definizione ridotta dell’immagine permette di considerare accettabilmente nitide porzioni del soggetto estese per piani susseguenti.
Erroneamente riferita soprattutto al ritratto, la fotografia controllatamente morbida soddisfa invece una vasta serie di applicazioni fotografiche. Non ci riferiamo tanto all’antico “flou artistico” -celebrato da testi del passato remoto (tra i quali collochiamo L’obbiettivo fotografico, di Armando Albert, del 1931, e Il Ritratto Fotografico / Arte - Tecnica - Modelli, del professor Rodolfo Namias, del 1934)-, quanto pensiamo alla fotografia quotidiana, soprattutto al Ritorno al grande formato, proposto e sollecitato da chi di dovere, che si indirizza verso sbocchi estetici sistematicamente nuovi... anche se periodicamente riciclati.
In questo senso, il Rodenstock Imagon offre tutte le possibilità lessicali che derivano da una contenuta ricchezza di dettagli e da una definizione variabile: una strada dagli sbocchi infiniti.
Proprio tali: infiniti. ■ ■
Dalla WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini, isoliamo e proponiamo una differenziata serie e quantità di dépliant di presentazione e commento dell’obiettivo Rodenstock Imagon, oggi sotto le luci della ribalta. Distribuiti negli anni, e perfino nei decenni, questi opuscoli rivelano anche la trasformazione grafica nel Tempo, nel momento stesso in cui evidenziano modi e stili di comunicazione inviolabilmente vincolati ai rispettivi Tempi... ancora. In particolare, quantomeno per quanto riguarda l’Italia, risulta affascinante anche la relativa combinazione commerciale. Ne abbiamo scritto in tante occasioni precedenti, ma la ripetizione si impone: ci sono stati periodi (d’oro?) durante i quali la “letteratura” tecnica realizzata e proposta da distributori nazionali ha svolto un consistente ruolo di istruzione pratica e sollecitazione culturale. Non a caso, concludiamo la vetrina con una facciata da un dépliant accreditato a Mafer, di Milano, distributore Rodenstock (e Sinar e Broncolor e De Vere e Paterson e... e...).