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Non fotografare?

Nel luglio 1998, il periodico svizzero Das Magazin, con sede a Zurigo, ha pubblicato un incontro tra Henri Cartier-Bresson (19082004) e René Burri (19332014), due giganti del fotogiornalismo del Novecento. Partendo da chiacchiere sui mondiali di calcio di quell’estate, giocati in Francia, il dialogo scorre avanti e imbocca strade trasversali.

Tra i tanti estratti possibili, tutti ampiamente giustificati, un passaggio ci è oggi opportuno, in anticipo sull’argomento qui affrontato. Anzi, addirittura in sua introduzione.

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A un certo punto, su una rievocazione di giorni e fotografie a Cuba, dove agirono in parallelo, Henri Cartier-Bresson esorta René Burri: «Bisogna amare la gente. E bisogna stabilire un nuovo contatto», rileva. Di rimando, René Burri: «Ed avere sempre a portata di mano la macchina fotografica. Una volta, sei venuto in Svizzera per realizzare un reportage per la rivista du. Io ti sono venuto a prendere alla stazione, era quasi mezzanotte. Ancora prima di salutarmi, mi hai domandato: “René, dov’è la tua Leica?” Anche questo fatto è stato determinante per me». Avanti.

HCB: «Sei stato uno scolaro diligente».

RB: «Da quel momento in poi, ho sempre portato la Leica con me. Avevo capito che non esiste un momento specifico per fotografare» [capito?].

HCB: «Già, l’occhio del fotografo osserva ininterrottamente. Esattamente come quello del poliziotto. Si ha bisogno di concentrazione. Per questo motivo, non ho disegnato per anni. Non si possono fare due cose in una volta, parlare e cantare». [richiamo e confessione personale: in anni adolescenziali, quando ero chierichetto nella parrocchia mi-

lanese di riferimento, il sacerdote ci ammoniva: «Se poo no zufulà e purtà la crus» / Non si può cantare e portare la croce; dunque, alcuni cantavano (non io), e altri portavano la croce. Insomma: non si possono fare due cose assieme, specie se sono contrastanti tra loro]. Comunque, in ulteriore estratto, da René Burri, su lezione di Henri Cartier-Bresson: «Da quel momento in poi, ho sempre portato la Leica con me. Avevo capito che non esiste un momento specifico per fotografare» [!]. Il francese Benoît Grimalt la pensa diversamente. A commento del suo gustoso e affascinante libretto 16 photos que je n’ai prises (Sedici fotografie che non ho scattato), dichiara che: «Spesso la gente, WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini mi chiede perché -come fotografo- non vado sempre in giro con una macchina fotografica sotto il braccio. Di solito, rispondo che i registi non escono con le loro cineprese o telecamere, e gli idraulici non vanno al ristorante con la loro cassetta degli attrezzi». Indiscutibile. Ma, con Henri Cartier-Bresson e René Burri, e tanti altri ancora, non esiste un momento specifico per fotografare. Di certo, Benoît Grimalt è consapevole di questa condizione, ma ne fa volentieri a meno. Tanto che, con candore e fantastica ironia rivela sedici fotografie che non ha realizzato, non ha scattato; e, quantitativamente, dovrebbero rappresentare 16 photos que je n’ai prises [Sedici fotografie che non ho scattato], di Benoît Gri- solo un’avanguardia di malt; Poursuite éditions, quarta edizione 2017; 36 pagine 14,5x21cm; 19,00 euro. una dose di occasioni mancate/perse ben su-

Venezia, novembre 2004. C’era troppa nebbia per riuscire a fotografare il Ponte dei Sospiri. Parigi, Palais-Royal, 1996. Siccome non avevo la macchina fotografica, non sono riuscito a fotografare Luc Besson che corteggiava Milla Jovovich.

Autostrada A1, ottobre 2005. Non mi era rimasta nemmeno una pellicola. Taverny [periferia nord-occidentale di Parigi], ottobre 2009. L’alba era splendida, ma non avevo voglia di alzarmi dal letto per fotografarla.

Mi è capitato due volte di incontrare Gilbert & George [artisti contemporanei], a Londra (2007) e a Bruxelles (2011), ma non li ho fotografati perché non avevo la macchina fotografica. Non ho mai scattato fotografie di New York (perché non ci sono mai stato).

[“Niente foto!”] Una volta, nel nostro luogo di incontro, Marjane Satrapi ha rifiutato di essere fotografata (Festival di Cannes, 2005). Bruxelles, 2010. Non sono riuscito a fotografare Marie nuda (ancora una volta, si è rivestita troppo in fretta).

Festival di Cannes, 2005. Non sono riuscito a fotografare Penelope Cruz, perché le porte dell’ascensore si sono richiuse troppo in fretta. Non ho mai fotografato Napoleone (la fotografia, a quell’epoca, ancora non esisteva).

Stadio di Valenciennes [Stade du Hainault; Francia], novembre 2007. Pochi mesi prima di morire, Henri Salvador -con indosso un completo bianco e un cappello bianco-, aiutato da due infermieri, stava assistendo a una partita di calcio. Non l’ho fotografato per una questione di rispetto, perché mi dava dolore. Bruxelles, 2012. Sapevo che Abel Ferrara avrebbe presentato il suo nuovo film, ma non ho portato con me la macchina fotografica perché non mi interessano più le celebrità.

Non ho mai fotografato Delphine Seyrig (1932-1990), perché sono nato troppo tardi [Benoît Grimalt è nato nel 1975].

Non ho mai fatto un ritratto a mio padre con i baffi (perché non li portava). Una fotografia troppo costosa: un “taureau-piscine” in un night club [spettacolo di corrida, nel quale il toro, immerso in una piscina, viene messo a morte; si pratica nel sud della Francia, in villaggi e in località balneari, sempre in estate].

Dall’altra parte del mondo, 2005 o 2006. Avevo finito le batterie, e non ho potuto fotografare l’uragano.

periore. Riunita in libretto provocatorio e surreale, che ricorda la situazione (in disegno) e ufficializza il contesto (in didascalia), la confessione di 16 photos que je n’ai prises ispira / può ispirare considerazioni e riflessioni individuali.

Per quanto ci riguarda direttamente, solo un appunto in precisazione e sconforto: impossibilitati ad accedere alla prima edizione (2012?), abbiamo optato per la terza del 2013, che l’editore Poursuite édition ha certificato anche come “terza e ultima”. Invece... altre successive ce ne sono state ancora. Diamine! Perbacco!

Come specifica il titolo lampante e dichiarato, il fotografo e regista Benoît Grimalt (http://benoit.grimalt.free.fr/) commenta appuntamenti mancati. Per quanto nella vita di ciascuno, fotografie perse, rubate o non riuscite possano essere utili e -perfino- benefiche nel processo di crescita individuale, qui è diverso, perché l’autore mancato sveste la religiosità dello scatto fotografico per far posto a fotografie non scattate, assegnando loro un posto altrettanto importante nell’album dei ricordi.

In riflessione individuale, per esperienza personale: le fotografie mancate sollevano interrogativi riguardo i nostri desideri e speranze. Può capitare di essere impossibilitati a scattare, impediti da condizioni eterne ed estranee, come può essere la mancanza di luce adatta; ma, allo stesso momento, spesso ci imponiamo una moderazione sulla quale possiamo edificare rimpianti. Non si tratta di etica e morale della situazione, magari in rispetto di soggetti in propria debolezza fisica, ma proprio di svogliatezza momentanea, della quale poi -avanti nel tempo- ci si pente. Forse. Speriamo.

Affermare questo nell’attuale epoca foto-compulsiva, dominata da selfie a raffica e da sistematica documentazione e condivisione in tempo reale della raffigurazione dei piatti di propria alimentazione personale e dei momenti di conduzione di esistenze quotidiane più che modeste, può apparire grottesco, magari solo antico (speriamo, in abbellimento fonetico, âgé).

Invece, è vero l’esatto contrario. Ogni tanto è appagante non scattare una fotografia che si presenta e offre davanti ai propri occhi [volendo, anche da e con Sean O’Connor di I sogni segreti di Walter Mitty]. A conseguenza, nel corso del tempo successivo, anche l’eventuale rimpianto che potremmo provare è altrettanto soddisfacente.

Perché tutto ciò che si fa e non si fa è parte integrante della nostra vita.

Delle nostre vite. ■ ■

di Maurizio Rebuzzini 22 2 22 / 22 02 2022

Una certa numerologia, alla quale spesso allineiamo passaggi individuali, ricercati e perseguiti, ha sottolineato la recente data dello scorso ventidue febbraio, peraltro caduta di martedì, che nel quotidiano statunitense è definito Twosday (diciamo, il giorno due). È stato sottolineato che si tratta di una data palindroma, che è uguale nelle due letture: consueta, da sinistra a destra (22.2.22) e da destra a sinistra (22.2.22), sia in questa grafia giorno-mese-anno, sia in quella statunitense mese-giorno-anno (2.22.22). Ancora palindroma è la scrittura a doppia cifra del mese, con l’anno per esteso: 22.02.2022. Così come sono palindromi il nome “Anna” (e “Ada”), l’identificazione “Dvd”, la preziosità dell’“oro”, il numero “otto”, le lettere “emme” e “esse”, la declinazione “aveva”, l’identificazione aziendale dei flash “Nissin”.

Ancora: in grafia “digitale”, la stessa data è anche leggibile specularmente, dal basso verso l’altro, perché è ambigramma: disegno calligrafico che offre due o più interpretazioni chiare e distinte. Solitamente, le due letture si generano attraverso il cambiamento del punto di vista (peraltro, analogo a quello di molte anamorfosi della storia dell’arte), che si può ottenere mediante rotazioni, simmetrie e altri espedienti. In distinzione tra loro, le due (o più) letture di un ambigramma possono essere identiche, e si definiscono omogramma (il numero primo “619”, per esempio), oppure diverse, da cui eterogramma.

Lo scrittore Dan Brown (1964-), approdato all’olimpo commerciale con il suo Il Codice da Vinci, successo editoriale planetario, ha basato il thriller Angeli e demoni, del 2000 (in Italia, dal 2004), su una efficace e persuasiva concatenazione di ambigrammi / omogrammi realizzati in grafia medievale: sul libro, e facilmente recuperabili in Rete. Anni fa, in ulteriore ambito fotografico, il logotipo originario “Nissin”, già richiamato in quanto termine palindromo, fu disegnato anche coAngelo Galantini (3) me ambigramma, ovviamente omogramma. Comunque, la data dello scorso ventidue febbraio (e, analogamente, del precedente due, a quattro cifre invece di cinque) è stata sottolineata in tutto il mondo, e consacrata da molte azioni individuali: anche noi, non abbiamo ignorato questa ghiotta occasione, per quanto più attirati dalle cinque cifre singole identiche (quattro, furono il due febbraio), le uniche che potremo incontrare in nostra vita. Siamo lontani dal record assoluto e inviolabile dell’Undici novembre Millecentoundici (11 11 1111), ma ci siamo accontentati, declinando 22 2 22 in diversi modi (personali e non) e allungandoci anche alle dieci di sera inoltrate (alle 22,22). È stata una ricorrenza rara, che -in richiamo palindromo- nei recenti due decenni si è verificata sette volte, ovviamente sempre in febbraio: in grafia, 10-02-2001, 2002-2002, 11-02-2011, 2102-2012, 02-02-2020, 12-

Dal thriller Angeli e demoni, dello statunitense Dan Brown, del 2000 (in Italia, 02-2021. A fine secolo, il dal 2004), l’ambigramma / omogramma conclusivo della lunga serie di altretventinove febbraio Duetanti ambigrammi / omogrammi che, nel libro, scandiscono il ritmo della nar- milanovantadue, avrerazione, accompagnandola. In entrambe le letture, una invertita rispetto l’altra, l’identificazione è medesima: Earth, Air, Fire, Water (Terra, Aria, Fuoco, Acqua). mo anche una data palindroma bisestile: 2902-2092. E la prossima, (in alto) Milano, Stazione Greco-Pirelli: alle 22,22 del 22 02 2022 (in certificazione dopo l’attuale, sarà il tre ufficiale) e alle 22,21, in attesa dell’ora X, e 22,23 di superamento della cifra fatidica. febbraio Duemilatrenta: 03-02-2030.

In attualità, ci hanno affascinato e commosso due circostanze identificate 22.2.22: disegni di Tobia Trucco, sette anni, figlio e nipote d’arte (Giolina e Angelo Mereu), che trae proprie ispirazioni dal dintorno della vita, sia quella globale (richiami d’età), sia quella condotta negli spazi del nonno... tanto fotografici.

Qui e ora certifichiamo in coincidenza di data (ricercata e sottolineata) e in prolungamento di giorni.

Dal 22 02 2022. Meglio, 22 2 22. ■ ■

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