21 minute read

L’architettura dell’utopia

Università Iuav di Venezia Laurea triennale in Disegno industriale e multimedia

Product e visual design / secondo anno

Advertisement

Design della comunicazione 2 A 2019 / 2020

Docente

Francesco Messina

con Giordano Zennaro

Matteo Benvegnù Anna Bernardi Ester Bisighini Giovanni Bolgan Federico Bonamini Alice Cecchinato Anna Censi Nicola Citron Andrea Concheri Francesco Dalla Benetta Elena Dalle Stelle Nicola De Bortoli Giulia De Gregorio Simone De Marchi Francesco De Zen Nicholas Di Paolo Tobia Farinati Alexia Fincato Valeria Frassoni Giacomo Furlan Tommaso Gatti Viola Ghigi Leonardo Gumiero Alessia Hyka Nicole Kolano Chiara Laudonia Francesca Lorenzi Aleksandra Maksimovic Maria Angela Mancini Claudia Mandara Tommaso Marcon Silvia Marinello Cristina Neresini Virginia Padovani Davide Pegorari Matteo Pelizza Erica Pellizzaro Tommaso Pesiri Arianna Piermattei Sebastiano Preo Alexandre Pugnaghi Lorenzo Putinati Francesco Resini Alena Rodionova Pietro Romanato Valerio Romano Martina Sartori Diego Scaggiante Barbara Spiralska Oliwia Silvia Stramare Filippo Tovornik Elena Trovò Violeta Tufonic Marina Uljancic Luca Vanzetto NicolòVespini Paola Zaia

Pubblicazione fuori commercio. Realizzata con il solo scopo di documentare il progetto degli studenti nell’ambito del laboratorio di design della comunicazione 2 del corso di laurea triennale in disegno industriale e multimedia presso l’Università Iuav di Venezia. Le immagini presenti costituiscono una riproduzione in bassa qualità di immagini tratte da alcuni siti e archivi web generici: trattandosi di un progetto esclusivamente in ambito accademico si è ritenuto ammissibile tale trattamento di riproduzione.

01 L’architettura dell’utopia

16

24

35

48

60

74

82 Tommaso Campanella

Civitas Solis

Ledoux

Il modello utopico neoclassico

Antonio Sant’Elia La città del futuro

Usonia: Boadacre City,

L’utopia di Frank LLoyd Wright

Taliesin West

Una scuola per uno stile di vita

Le Corbusier: Chandigar Una città a misura d’uomo

Auroville

La città dell’alba di Aurobindo

96

116 Lous Kahn

Il senso del luogo

Social Utopia

dalla Citè Industrielle di Garnier ad Apple

144 Inside Nature.

Le soluzioni migliori sono quelle ideali?

164 Biofilia

Il benessere sociale nell’utopia contemporanea

182 L’umana armonia

Sognando l’impossibile

204 Le forme dell’arcologia

Un’ecologia urbana in una singola architettura

220 Vivere e sopravvivere

L’ambiente ostile

Al cinema

230 Sulla scena dell’utopia

L’architettura reale che ha anticipato l’iconico futuro cinematografico

254 Il futuro che immaginiamo

L’architettura della science fiction

Evoluzione dell’Homo utopicus

«Una città infelice può contenere, magari solo per un istante, una città felice; le città future sono già contenute nelle presenti come insetti nella crisalide». Come diceva Calvino, la ricerca di un modello che superi il presente è qualcosa di connaturato all’uomo, perché egli non è soltanto Homo sapiens ma anche Homo utopicus. L’uomo ha bisogno da sempre di auto-costruirsi e auto-progettarsi, e allo stesso modo la città ha bisogno di essere continuamente riprogettata e ricostruita, per soddisfare le esigenze di tutti e adattarsi alle nuove necessità che insorgono di generazione in generazione. Ognuna di esse, prendendo coscienza che la realtà così come si presenta non risponde più alle proprie esigenze, avverte l’impulso, quasi naturale, di elaborare un nuovo progetto, in linea con i bisogni dell’uomo e quindi dei desideri emergenti.

(In alto) Utopia, frontespizio del libro stampato con illustrazioni xilografiche di Hans Holbein the Younger, Basilea, 1516. Il bordo del frontespizio è a forma di nicchia rinascimentale con putti e uno scudo sottostante contenente un emblema. Da lungo tempo esiste, nella storia della cultura occidentale, una stretta connessione tra architettura e utopia. È consuetudine considerare il dialogo platonico che tratta, tra l’altro, della città ideale (la Repubblica) come la prima utopia di questa analisi storico-culturale. Il termine utopia è arrivato in realtà molto più tardi: fu introdotto da Thomas More, che presentò una società ideale realizzata sulla lontana isola di Utopia, secondo quanto recita il titolo stesso del suo libro, pubblicato nel 1516. È interessante notare che il neologismo coniato da More, andando a ricercare la radice greca della parola, possa significare sia “ottimo luogo” sia “non luogo”, un luogo inesistente o immaginario. Molto probabilmente questa ambiguità era nelle intenzioni di More, dunque il significato più corretto del neologismo risulta essere la congiunzione delle due accezioni, ovvero “l’ottimo luogo (non è) in alcun luogo”, interpretazione che è divenuta anche il significato moderno della parola utopia. L’utopia è dunque prima di tutto il progetto di una società ideale. Platone ha mostrato come un progetto di questo tipo debba tenere conto di tutti gli aspetti delle attività umane, compreso il rapporto con la natura. Per questo motivo un ampio brano del dialogo platonico tratta anche dell’architettura ideale. Il discepolo di Socrate si è limitato a descrivere un’architettura identica a quella tipica della Grecia del suo tempo, che egli stesso aveva davanti agli occhi nelle sue realizzazioni più raffinate e apprezzabili.

MEDIOEVO E RINASCIMENTO

Ben diversa, più tardi, la situazione per More; il pensatore rinascimentale era in polemica con l’architettura del suo tempo, la quale a suo giudizio, occupandosi solo di simboleggiare le strutture del potere, era di intralcio all’organizzazione democratica della società che egli auspicava. Sulla base di questa critica, proponeva quindi la costruzione di blocchi edilizi privi di qualsiasi ornamento, pur osservando che questo avrebbe potuto provocare una noia pericolosa. Ritornava così a proporre la presenza della natura, di facciate abbellite da fiori e arricchite da rampicanti, a lodare l’arte della cura dei giardini che circondano gli edifici. La natura, diceva infatti, non ha nessuna struttura di potere da proclamare. Il libro Utopia di More esprime il sogno rinascimentale di una società pacifica, dove è la cultura a dominare la vita degli uomini e l’architettura si pone come mezzo fondamentale per la realizzazione di quest’idea. Allo stesso modo ma un secolo più tardi Tommaso Campanella, con la pubblicazione de La città del Sole, ha trattato in maniera approfondita tutta la struttura architettonica e sociale della città, privilegiando anche lui la supremazia dell’erudizione. Queste due opere, per quanto possano risultare fantasiose se lette al giorno d’oggi con sguardo acritico, rappreL’architettura serve a creare uno spazio congruo all’uomo, pensato a sua misura e in grado di garantire il vivere civile, per cui l’esigenza di decoro rappresenta un presupposto fondamentale.

[ Vitruvio ]

(In alto) Il Palazzo Ducale di Urbino è la più ricordata tra le città reali ispirate a un progetto ideale, la cui grande e complessa concezione monumentale si risolveva, secondo la definizione di Baldassare Castiglione, nella concezione di una “città in forma di palazzo”. L’opera rappresenta la città ideale del rinascimento, basata su scrupolose regole geometriche; l’intento è quello di creare uno spazio simmetrico e armonico attorno ad una piazza ideale.

(A sinistra) Pienza è uno dei primi e più simbolici esempi di pianificazione urbanistica. Incarna perfettamente l’idea della città rinascimentale costruita intorno ai suoi abitanti, fatta per rendere la loro vita migliore. Prendiamo ad esempio la piazza principale: a ogni lato del quadrato sono presenti delle sedute che consentono alle persone di incontrarsi, di stare gli uni di fronte agli altri, di trascorrere del tempo insieme. sentano il grande fermento culturale, politico e sociale di quegli anni; esse sono il risultato concreto di una grande aspirazione al cambiamento e al rinnovamento della società dell’epoca.

A partire dal Quattrocento il concetto di utopia è stato il fulcro della riflessione dell’arte, dell’architettura, della filosofia e dell’urbanistica rinascimentale, che ambiva a coniugarvi esigenze funzionali e sensibilità estetica, in un’aspirazione che porta con sé i tratti caratteristici di quel tempo. L’intento era quello di creare uno spazio in cui la vita è più facile e armoniosa, antropocentrizzando l’intera architettura. Inoltre la città ideale aspirava a creare uno stato perfetto in cui le varie sfere della vita comune erano in armonia. Questo aspetto si accompagnava agli aspetti architettonici, che dovevano essere consoni ad ospitare un governo amministrato saviamente e con giudizio. Come sosteneva Vitruvio, l’architettura serviva a creare uno spazio congruo all’uomo, pensato a sua misura e in grado di garantire il vivere civile, per cui l’esigenza di decoro rappresentava un presupposto fondamentale. La sua idea di architettura coincideva con l’arte del costruire.

Vista prospettica della città di Chaux, 1804. Progettata da Ledoux, sostenitore del principio della razionalità della forma contro il linguaggio del barocco, non fu mai realizzata a causa dell’imminente scoppio della Rivoluzione francese. Si trattava di una piccola città manifatturiera vicina alla foresta di Chaux, la cui costruzione rifletteva la divisione gerarchica del lavoro nella nuova comunità industriale.

Cenotafio di Newton, Bibioteca Nazionale di Parigi, 1784. È una delle più celebri opere di Boullée. Lo scopo del progetto era quello di generare nell’osservatore sensazioni tanto grandiose quanto inquietanti davanti a uno spazio che doveva riprodurre l’immensità dell’universo. La ciclopica cavità all’interno del cenotafio, occupata dal solo sarcofago commemorativo, avrebbe infatti offerto visioni cosmiche diverse.

ILLUMINISMO E RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Contrapposto all’idea di architettura di Vitruvio troviamo Étienne Louis Boullée, il maggiore esponente dell’architettura dell’Illuminismo. Per lui l’arte del costruire era qualcosa di secondario, mentre il primo principio da seguire era la regolarità, la simmetria e il ragionamento. Come soleva dire lui “Nulla è bello se non è ragionevole”. In reazione all’edonismo del barocco e del rococò, Boullée ha privato i suoi edifici di qualsivoglia ornamento, persuaso dall’idea che l’unica insistenza decorativa ammessa fosse l’ombra, plasticamente generata dai contrasti tra le forme architettoniche. L’architettura scaturisce allora da una fusione di scienza e arte, messe però in un rapporto gerarchico preciso, poiché la prima lavora al servizio dell’altra essendo funzionale alla concretizzazione nello spazio del reale dell’idea architettonica. Contemporaneo a Boullée, Claude-Nicolas Ledoux ha progettato la città di Chaux, proponendo un modello di una nuova organizzazione sociale e urbana, nella quale la forma degli edifici indica l’attività che si svolge al loro interno. La forma della città è dunque il simbolo della comunità.

Le utopie urbanistiche dell’800 in Inghilterra erano incentrate sui problemi causati dalla prima rivoluzione industriale. Ebenezer Howard formulò il concetto di Garden City. Si tratta di un modello urbanistico che ha, come principale obiettivo, quello di salvare la città dal congestionamento e la campagna dall’abbandono. Lo scopo fu di raggiungere contemporaneamente due vantaggi: gli agi e le comodità della vita urbana e gli aspetti sani e genuini della vita di campagna. Questa teoria, concepita non sotto forma progettuale, aspira a migliorare le condizioni di vita durante il periodo della prima rivoluzione industriale.

Garnier progetta la sua città industriale dal primo all’ultimo edificio, concentrandosi quindi principalmente sugli aspetti tecnici. Presenta due considerevoli innovazioni: adotta per tutti gli edifici il cemento armato, e li adorna con uno stile spoglio. Non sono previste né caserme, né chiese, né un tribunale, né una prigione e nemmeno una stazione di polizia: secondo Garnier tutto ciò non aveva ragione di esistere in una società socialista.

Con vent’anni di anticipo Tony Garnier definì quello che sarebbe stato lo “stile internazionale” e con quarant’anni di anticipo stabilì quei princìpi di urbanistica che contraddistingueranno la Carta di Atene.

[ Michel Ragon ]

La città industriale di Tony Garnier e la Garden City di Howard sono contemporanee. Con Garnier l’utopia urbanistica si separò definitivamente nelle sue due componenti: progettazione e politica. D’ora in avanti la progettazione sarà neutra, consentendo così uno slancio progettuale che avrà il suo apice nell’attività di Le Corbusier. Spesso la Cité Industrielle è stata contrapposta alla Garden City, ma in realtà essa ha numerosi punti in comune con il piano di Howard, così come con tutta la tradizione utopistica ottocentesca. Garnier attribuì autonomia economica e culturale alla sua città, riservando metà del suolo al verde pubblico. La articolò in zone diverse, come auspicato dai primi socialisti; immaginò una pianta a scacchiera, elemento caratteristico della tradizione utopistica; pose come ossatura della Cité Industrielle il tram elettrico, adeguandosi ai tempi. Allo stesso tempo non cercò di diluire la città in campagna né si basò sull’industria pesante di piccola dimensione, come aveva fatto Howard. Garnier non cercò mai di realizzare la sua Cité Industrielle, che rimase solo un piano sulla carta; ebbe però l’occasione di applicarne i principi ad una grande città, Lione. Anche Le Corbusier, che nel 1908 era stato a Lione proprio per incontrarsi con Garnier, resterà profondamente influenzato dalle sue teorie, che sono alla base della Ville Radieuse.

Per combattere la disoccupazione in Inghilterra James Silk Buckingham in National Evils and Practical Remedies, with a Plan of a Model Town, pubblicato a Londra nel 1849, propose un nuovo modello di città da ripetere in serie. La prima di queste nuove città è Victoria, chiamata così in onore della regina d’Inghilterra. Nella città è prevista un’esplicita divisione di classi sociali e di ruoli, che si rispecchia nel modello urbanistico e nelle scelte stilistiche. Buckingham diede grande impor-

Nella Falange non era prevista alcuna forma di potere coercitivo o di governo: nessuno avrebbe avuto necessità di violare o infrangere l’ordine sociale, risultante in modo spontaneo dalla completa armonizzazione dei desideri e delle necessità di tutti.

tanza agli aspetti igienici della città. Victoria infatti, come le città ideali del Rinascimento, nasce dal desiderio di ordine, che si contrappone al disordine circostante, al caos della città industriale. I principali obiettivi furono unire il massimo grado di ordine, spaziosità e igiene, nella massima abbondanza di aria e luce e nel più perfetto sistema di fognature, col comfort e la convenienza di tutte le classi. Questi principi li ritroviamo anche nei progetti di città realizzati di Bournville e Port Sunlight, nei quali si dà importanza alla salute e all’istruzione dei lavoratori.

VITA DI COMUNITÀ

Charles Fourier, citato tra gli urbanisti progressivi dalla studiosa Choay, grazie alle sue teorie diede il via ad una corrente interna ai filosofi utopisti chiamata fourierismo. Ovviamente anche questa teoria va calata nel suo tempo: Fourier infatti fondò la comunità socialista utopista chiamata La Reunion. In un periodo come quello della prima metà dell’800 il socialismo è sempre più un argomento centrale nella politica dell’epoca e chiaramente l’idea utopica del tempo si adegua a questo panorama sociale: da questa premessa si può capire il perché delle abitazioni collettive, che vennero abbandonate tempo dopo. Il falansterio di Fourier, ossia la struttura abitativa in cui si svolgeva la vita dei membri dell’unità sociale di base prevista nelle sue teorie e da lui denominata “falange”, avrebbe dovuto fondarsi sulla proprietà societaria ed essere autosufficiente dal punto di vista dei servizi e della produzione.

Jean Baptiste André Godin fu un industriale con poco in comune con i riformatori sociali dell’800, tuttavia provò anche lui ad attuare

Port Sunlight è un esempio di villaggio modello ideato da Lever, in cui la salute fisica e mentale dei lavoratori era al centro dell’attenzione progettuale del villaggio. La produzione principale di Port Sunlight era quella saponaria: in foto un pacchetto di sapone.

Il Karl-Marx-Hof è stato progettato per una popolazione di circa 5.000 persone, il complesso include diverse amenities, tra le quali lavanderie automatiche, asilo, casa del giovane, studi medici e dentistici, una biblioteca, un ufficio postale e uffici commerciali.

La comunità di Godin che nel 1886 comprendeva circa quattrocento famiglie, deve essere considerata l’esperimento più felice, fra quanti furono tentati nel secolo XIX dai teorici del socialismo.

[ Leonardo Benevolo ] una teoria fourierista dopo essere entrato in contatto con Victor Considérant, uno dei discepoli di Fourier. Il familisterio è un ridimensionamento del falansterio ed è basato sull’integrazione tra capitale e lavoro. Il familisterio si differenzia dal falansterio per due caratteri fondamentali: l’impresa produttiva è di carattere strettamente industriale, e non più agricolo-industriale come in Fourier, e ad ogni famiglia residente è concesso un alloggio autonomo. Si rinuncia così alla vita comunitaria prevista nel falansterio fourieriano, pur mantenendo i vantaggi assicurati dai servizi in comune; lo stesso concetto che è tra l’altro alla base della Unité d’Habitation di Le Corbusier.

Un altro esempio di vita di comunità, anche se sotto un’ideologia politica diversa, è il Karl-Marx-Hof, che è il più famoso Gemeindebau, (traducibile con Edificio Municipale) di Vienna. All’inizio degli anni venti la zona venne scelta dal Partito Socialdemocratico d’Austria, per ospitare l’edificazione di un grande edificio di edilizia popolare. Il Karl-Marx-Hof venne costruito all’interno del cosiddetto periodo della Vienna rossa, fra il 1926 ed il 1930, su progetto dell’urbanista Karl Ehn. Anche se al momento la struttura dell’edificio è diversa dall’originale a causa delle ristrutturazioni, il Karl-Marx-Hof rimane un simbolo tangibile dei tumulti politici e sociali dell’epoca che sognavano un modo di vivere collettivo e condiviso come quello teorizzato dal fourierismo.

Manifesto per il congresso del CIAM, “Congres International d’Architecture Moderne”, tenutosi a Bergamo nel 1949, progettato da Max Huber. Il congresso aveva l’obiettivo di discutere sull’applicazione pratica della Carta di Atene del 1933, il testo fondatore dell’architettura e dell’urbanistica moderna attraverso l’utilizzo della griglia, strumento proposto e spiegato da Le Corbusier durante il CIAM VI del 1947, presso Bridgwater, Inghilterra. Il congresso si concluse con la redazione della Charte de l’Habitat o Carta di Bergamo il 30 luglio.

Ascesa all’Acropoli. Foto di gruppo davanti ai Propilei. Dal 29 luglio al 14 agosto 1933 il piroscafo Patris II fu teatro del quarto incontro dei CIAM (Congrès International d’Architecture Moderne). Circa cento tra architetti, pittori, musicisti e poeti, provenienti da sedici diverse nazioni, in una crociera attraverso il Mediterraneo da Marsiglia ad Atene diedero vita a un incontro che avrebbe avuto un’enorme fortuna nell’immaginario degli architetti.

NOVECENTO E AVANGUARDIE

Nello stesso periodo si tennero i congressi internazionali di architettura moderna, anche chiamati CIAM, nati dal bisogno di promuovere un’architettura ed un’urbanistica funzionali. Fino al 1959 furono lo strumento più valido ed efficace per la diffusione e la discussione delle idee architettoniche e urbanistiche che hanno caratterizzato lo sviluppo del cosiddetto Movimento Moderno. Al centro delle discussioni ci furono i problemi della ricostruzione dei centri storici, della funzione dell’architetto e fu tentata la formulazione di una carta dell’habitat. I CIAM presentarono la Carta di Atene nel 1933, testo fondatore dell’architettura e dell’urbanistica moderna. Questo testo enunciava i mezzi per migliorare le condizioni di esistenza della città moderna, che devono permettere lo svolgere armonioso delle quattro funzioni umane: abitare, lavorare, divertirsi e spostarsi. Si trattava di un documento chiave per affrontare il problema urbanistico a livello sistematico. I principi cardine affermavano che con la progressiva industrializzazione della società era fondamentale che gli architetti e l’industria delle costruzioni razionalizzassero i loro metodi, adottassero nuove tecnologie e si sforzassero di ottenere una maggiore efficienza.

Gli Archigram furono tra i maggiori esponenti di quell’atteggiamento sperimentale che nacque in architettura nei primi anni Sessanta del ‘900 e che, denunciando una forte volontà di emancipazione dalle eredità precedenti, si sviluppò in consonanza sia con il clima di rinnovamento linguistico delle altre discipline creative che con le mutazioni culturali e di costume della scena urbana. Il termine Archigram doveva

Walking City on the Ocean, progetto (prospettiva esterna), Ron Herron, 1966. Attraversando l’oceano, le unità di Herron’s Walking City rappresentano una sorta di utopismo tecnologico: i sottomarini militari sono combinati con esoscheletri simili a insetti e gambe periscopanti. Ogni unità della città contiene un insieme completo di risorse urbane.

Siamo alla ricerca di un’idea, un nuovo vernacolare, qualcosa che possa stare al fianco di navicelle spaziali, computer e pacchetti usa e getta di un’epoca atomico/elettronica.

[ Warren Chalk ] evocare un messaggio: telegramma, aerogramma ecc. Teorizzarono città che si collegavano come punti di una gigantesca rete, con progetti che prevedevano unità di abitazione semoventi e trasportabili o interi edifici che, simili a giganteschi ragni si aggiravano per la città, pronti a soddisfare i bisogni di una popolazione di tipo nomade. La tesi sostenuta da Archigram fu l’inizio di una serie di atteggiamenti mentali e di tecniche ormai divenute consuete per chi progetta gli spazi della città o costruisce con il supporto della tecnologia. Essi riuscirono in ciò non tanto per quello che realizzarono, quanto perché contribuirono a rifondare concettualmente la disciplina, allargandola fino a comprendere ogni elemento che potesse contribuire ad arricchirla, in un percorso di evoluzione culturale.

UTOPIA ED ECOLOGIA

Dopo aver affrontato l’excursus storico su come l’architettura dell’utopia si è evoluta nel tempo, è importante analizzare come l’eredità di queste idee e ricerche sia arrivata ai giorni nostri. Herbert Marcuse scrive nel libro La fine dell’utopia che le utopie si possono dividere in due categorie. Nella prima categoria rientrano le utopie irrealizzabili, e sono quelle che vanno contro le leggi scientifiche, biologiche o fisiche, per esempio l’eterna giovinezza o la perfezione umana. Le utopie realizzabili sono quelle che al momento non si possono realizzare, non perché sono proposte di progetti non realizzabili, ma semplicemente perché la società non è pronta o le condizioni sociali sono sfavorevoli per la messa in opera di tali progetti. La “fine dell’utopia” te-

orizzata da Marcuse rappresenta la realistica visione di una modernità tecnologica possibile, in grado di realizzare, nel presente e con le giuste potenzialità economico-sociali, la costruzione di un mondo più giusto, pacifico, creativo, estetico e non alienato.

Ci sono effettivamente state delle utopie realizzabili nella storia, come ad esempio la teoria di città ideale di Adriano Olivetti, il quale sognava una comunità che avrebbe accolto tutti, non come individui massificati o atomi sociali senza avvenire, ma in quanto persone pienamente realizzate e sviluppate. Il proposito di Olivetti era conciliare uomo e tecnica, immettere lo spirito nella materia e favorire al massimo grado la cultura e la sua diffusione. Anche il concetto di rigenerazione urbana si fonda sugli stessi precetti di utopia realizzabile preposti da Marcuse. Al giorno d’oggi la panoramica socio-politica è cambiata rispetto alle realtà che sono state analizzate e i problemi che il mondo presenta adesso sono diversi e complessi: per questo l’architettura utopica deve necessariamente stare al passo con i cambiamenti della società. Uno di questi problemi è stato rilevato ed esposto nel libro The limits of growth da una associazione non governativa e non-profit di esperti, i quali hanno trattato il tema della limitatezza delle risorse e il limite della crescita umana. Nelle conclusioni gli autori pongono l’accento sul fatto che, per non arrivare ad una catastrofe ambientale, abbiamo bisogno di una nuova etica e dobbiamo cambiare atteggiamento verso la natura. Nasce da qui la consapevolezza di proteggere l’ambiente che ci circonda. Il libro contiene anche un messaggio di speranza: l’uomo è in grado di creare una società che può vivere indefinitamente sulla terra a patto di porre dei limiti a sé stesso e alla sua produzione di beni materiali, in modo da raggiungere uno stato di equilibrio globale tra popolazione e produzione.

Il filosofo norvegese Arne Næss propone di sostituire l’ecologia superficiale odierna con un’”ecologia profonda”, in modo da riallacciare il rapporto concettuale e fisico con la natura, di cui l’uomo è parte e a cui l’uomo non è superiore. Questa teoria è anti antropocentrista (e di conseguenza antispecista) e propone un modo di vedere il rapporto uomo-natura-architettura sostanzialmente ecocentrico. Come è stato teorizzato dall’ecologia morale, per attuare una presa di coscienza generalizzata riguardo alla natura bisogna abbandonare il positivismo, che predica il dominio sulla natura tramite l’evoluzione progressiva della tecnica, il quale è in grado di portare ad una produzione e consumo illimitato di beni materiali.

I sostenitori dell’ecologia poco profonda pensano di poter modificare le relazioni dell’uomo con la natura, all’interno della struttura della società oggi esistente.

[ Arne Næss ]

È una branca dell’architettura che si occupa di individuare e realizzare nuovi progetti di architettura sostenibile. Grazie al graduale cambiamento di prospettive dovuto in gran parte all’ampliamento del concetto di sostenibilità, le nuove ipotesi costruttive dell’ecoarchitettura mirano a un graduale sfruttamento delle risorse rinnovabili finalizzate alla costruzione di abitazioni private ma anche di edilizia sociale. La compatibilità ecologica va vista sia nell’ottica dell’utilizzo di materiali locali e sia in relazione al posizionamento dell’abitazione, che dovrà rispondere ai requisiti climatici della zona in cui sorge.

(In ordine, dall’alto in basso)

MINIMOD è un’esplorazione sull’esperienza del paesaggio e della tecnologia progettato dallo studio Mapa Architects. Si presenta come un rifugio primitivo con una reinterpretazione contemporanea, che più di un oggetto mira a diventare un’esperienza di paesaggio remoto. Il suo design compatto ed efficiente migliora l’ambiente in cui è installato e li trasforma in paesaggi disponibili.

Adagiato su un enorme terreno in pendenza tra le catene montuose, si trova il progetto De Capoc, un resort progettato dallo studio IDIN Architects di Bangkok. Il resort si trova nel distretto di Khao Kho in Thailandia, famoso come area di ritiri spirituali e che offre le migliori viste sul mare di nebbia della valle. Circondato da alberi e montagne, il sito del progetto è completamente avvolto dal verde e dalla natura.

L’Art Biotop “Water Garden” progettato dallo studio Junya Ishigami+Associates è un giardino botanico, realizzato nella prefettura di Tochigi, in Giappone. L’architetto Junya Ishigami crea un “paesaggio costruito” usando, come materiali da costruzione, gli elementi naturali a sua disposizione, come alberi e acqua.

This article is from: