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Le forme dell’arcologia

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L’umana armonia

L’umana armonia

UN’ECOLOGIA URBANA IN UNA SINGOLA ARCHITETTURA

È logico che l’impoverimento della nostra anima e quella della società coincide con l’impoverimento dell’ambiente. Una è la causa e il riflesso dell’altra.

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PAOLO SOLERI L’arcologia è la fusione dell’architettura con l’ecologia per una prospettiva urbana completa. In natura, man mano che gli organismi si evolvono, aumentano di complessità e diventano un sistema più compatto. Una città dovrebbe evolversi in modo simile, funzionando come un sistema vivente. Architettura ed ecologia come un processo integrale, è in grado di dimostrare una risposta positiva ai molti problemi della civiltà urbana: crescita della popolazione, inquinamento, esaurimento delle risorse energetiche e naturali, scarsità di cibo e qualità della vita. L’arcologia riconosce la necessità di una radicale riorganizzazione del vasto paesaggio urbano in città dense, integrate e tridimensionali al fine di supportare le attività diversificate che sostengono la cultura umana e l’equilibrio ambientale.

Il termine è stato coniato nel 1969 dall’architetto Paolo Soleri, che riteneva che un’arcologia completa avrebbe fornito spazio per una varietà di strutture residenziali, commerciali e agricole riducendo al minimo l’impatto ambientale umano individuale. Queste strutture sono state in gran parte ipotetiche, poiché nessuna arcologia, nemmeno quella immaginata dallo stesso Soleri, è stata ancora costruita. Il concetto è stato reso popolare da vari scrittori di fantascienza. Larry Niven e Jerry Pournelle hanno fornito una descrizione dettagliata di un’arcologia nel loro romanzo del 1981 Oath of Fealty. William Gibson ha introdotto il termine nel suo romanzo cyberpunk del 1984 Neuromancer, in cui ogni società ha la propria città autonoma nota come arcologie. Sono spesso descritti come autonomi o economicamente autosufficienti. Soleri descrive i modi per compattare le strutture urbane in tre dimensioni per combattere l’estensione urbana (sprawl) in due dimensioni, per risparmiare sui trasporti e in altre infrastrutture che costituiscono la città. Molte città nel mondo hanno proposto progetti aderenti ai principi di design del concetto di arcologia, come Tokyo e Dongtan vicino a Shanghai.

La nostra forma urbana-suburbana contemporanea è incline al materialismo, all’individualismo e allo spreco. Con una crescita esponenziale della popolazione, il lavoro da fare è imparare come possiamo cambiare il nostro comportamento in modo significativo e accessibile. L’arcologia suggerisce una riformulazione completa di come esistiamo all’interno dei nostri ambienti: un nuovo paradigma urbano orientato all’evoluzione culturale, alla resilienza frugale e all’equilibrio con la natura. Allo stato attuale, i nostri ambienti sono su misura per l’automobile, come vediamo nella maggior parte delle città americane e altrove, una tecnologia che si sta rivelando più problematica per l’ambiente e per la popolazione. Man mano che le città crescono, i terreni agricoli vengono allontanati dal centro urbano. Di conseguenza, i cittadini sono distaccati da dove e come vengono acquistati i loro pasti. Nella forma urbana dell’Arcologia, i cittadini sono collegati alla produzione di cibo in un modo che conferma la necessità di sistemi agricoli robusti.

Anche l’uso e ciente dell’acqua e dell’energia attraverso le serre e altri sistemi innovativi contribuisce all’e cienza complessiva della città. Utilizzando le tecnologie disponibili, come l’architettura di controllo climatico passivo; Sistemi innovativi di trattamento delle acque e delle acque reflue e l’uso di materiali da costruzione di provenienza appropriata, Arcology si impegna per la riduzione del consumo di materiale ed energia e per una migliore qualità della vita.

Disegni di Paolo Soleri che ra gurano i proggetti di alcune arcologie utopiche. Paolo Soleri, architetto visionario. Quasi fosse una professione, quella dell’“architetto visionario”. Una definizione, questa, che insistentemente ritorna nei testi sulla figura di Soleri, la sua attività, la sua vita, la sua morte, avvenuta pochi giorni fa nel deserto dell’Arizona, nella sua “Arcosanti”. Visionario e utopico, Paolo Soleri. Perché “utopica” è sembrata al mondo la sua visione della città: organismo coerente, denso, frutto dell’integrazione fra uomo, costruito, natura e tecnologia, “strumento necessario per l’evoluzione del genere umano” (The city in the image of man, PS 1969).

Perché uomo e città sono inscindibili nell’arcologia, la sua personale filosofia urbana, compenetrazione di architettura ed ecologia che sta alla base della progettazione e della realizzazione dell’eco-città sperimentale di Arcosanti. Opera in continuo accrescimento, protagonista di quarant’anni di studio e lavoro dell’architetto torinese, che elesse il deserto del sudovest americano come luogo della propria esistenza; ma anche dell’impegno di migliaia di volontari che anno dopo anno, a fasi e fortune alterne, hanno contribuito alla costruzione, alla progettazione e all’accrescimento di un’utopia che mano a mano diventava realtà. MIL’utopia, per lui, non era che un atto di rinuncia, un eludere l’urgenza umana di avanzare e migliorare. Ottimista, più che utopico. Forse estremo nel teorizzare un’evoluzione che escludesse l’automobile nell’economia della città sostenibile, proponendo in alternativa percorsi pedonali, commistione di spazi, filtri sottili fra pubblico e privato, tempi e spazi minimi a separare e congiungere residenza, lavoro, svago, verde. Tutti elementi realizzati ad Arcosanti, questi, anche se in piccola scala. Un minimo necessario e condiviso, una frugalità elegante, e ciente, un sovrapporsi di abitazioni e attività, complessità e miniaturizzazione, reazione allo urban sprawl americano, al dilagare disordinato della periferia. Questo, per Soleri, non era utopia, ma la concretezza del quotidiano che diventava esempio: minimizzazione dell’uso di energia e di materiali, e riduzione di rifiuti e inquinamento, a guidare verso una riforma, non una riformulazione, del modo di pensare l’abitare e la sua progettazione. Una “crescita entro i limiti”, secondo le parole di Soleri, dove i confini sono stabiliti dalla capacità dell’ambiente di contenere le attività umane; i limiti possono dunque essere ampliati solo con l’utilizzo di risorse rinnovabili. In altro modo non può esserci crescita. MIDa quarant’anni, ogni giorno, Paolo Soleri faceva lezione agli studenti, arrivando a mettere nelle loro mani anche gli strumenti del muratore. Era stato a sua volta allievo del grande maestro americano dell’architettura organica Frank Lloyd Wright, con il quale aveva lavorato alla costruzione di Taliesin West subito dopo la laurea al Politecnico di Torino. Con Wright entrò in grave disaccordo a causa delle teorie del maestro sulla Broadacre City, apoteosi della suburbia orizzontale percorsa dall’automobile. Nonostante la rottura, nell’opera di Soleri è evidente la lezione di Wright sull’anelito alla realizzazione e all’idealizzazione in senso propositivo; ed è inoltre proprio dall’esperienza a Taliesin che l’architetto italiano partì alla ricerca di una propria visione. La trovò prima a Cosanti, primo esperimento della sua furia creativa e poi nei pressi di Scottsdale, Arizona, dove si

Paolo Soleri negli anni ‘60 intento a progettare all’interno del suo studio. stabilì con la moglie Colly nel 1956. Poiché però quel luogo era troppo ridotto per contenere il complesso piano urbano che aveva intenzione di realizzare, fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta acquistò un terreno più vasto dove sarebbe cresciuta Arcosanti. “La vita è lo studio dell’improbabile, non della media statistica”. E così è la città. Fondata sulla convinzione che l’esistenza urbana sia “un costrutto di vita privata e pubblica articolate in modo da poter fornire a ogni abitante l’accesso pieno, sia fisico che economico, ad entrambe”, scrive Soleri nel ’69, Arcosanti rappresenta oggi l’eredità di un’idea quanto mai attuale, sopravvissuta al consumismo anche dopo gli anni Ottanta. Nonostante i piani del progettista prevedessero una popolazione finale di circa 5.000 residenti, la comunità non andò mai oltre i 200 abitanti degli anni Settanta, e registra oggi una sessantina di strenui volontari. Già da un paio d’anni Soleri aveva rinunciato alla carica della Fondazione Cosanti, che gestisce il suo sviluppo e ne sostiene le attività; il nuovo presidente è Je Stein, ex preside del Boston Architectural College, che lavorò per l’architetto ad Arcosanti negli anni Settanta e Ottanta. Il progetto di realizzare la città ideale non morirà dunque con il suo ideatore, ma verrà perseguito da chi fin dall’inizio, come lui, ci aveva creduto. MICittà e campagna: un rapporto sempre più complesso al punto da chiedersi se in effetti esiste ancora tra esse un confine. Quale futuro dobbiamo immaginare per le metropoli post pandemia e dunque per le vite della maggior parte di noi? Non diciamo megalopoli, ma i grandi centri urbani potranno continuare a esistere e svilupparsi secondo gli schemi attuali o è necessario un ripensamento? Sono delle grandi scommesse, diciamo pure sfide da cui dipende il benessere di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Su queste tematiche l’architettura ragiona già molto da tempo e di proposte magnifiche e per lo più fallite per troppa utopia se ne contano diverse. Per dare una forma alla sua idea, anch’essa sinceramente piuttosto utopica, di abitare giusto 50 anni fa l’architetto Paolo Soleri fondava Arcosanti, città tuttora in progress in Arizona. Torinese di nascita e studi, in America Soleri ci era andato subito dopo la laurea, nel 1947, direttamente alla corte di Frank Lloyd Wright. Ci rimase un paio d’anni, assorbendone le idee per trarne spunti futuri. Negli States sarebbe tornato definitivamente nel 1956. Scomparso nel 2013, l’anno scorso si è ricordato il centenario della nascita. E nel 2000 aveva ricevuto il Leone d’oro alla Biennale di Architettura di Venezia. Dall’Arizona, il gran torinese Paolo Soleri lancia un sos alla Cina: «È pronta per un leap, un salto che potrebbe in qualche modo scavalcare il materialismo dell’Ovest e dare inizio, possibilmente, a una nuova civiltà. Facendo leva sulla loro tradizione di frugalità». Frugalità, o meglio “lean” (asciutto, agile), è la parola totem della filosofia dell’architetto e il motore dietro Cosanti e Arcosanti, rispettivamente quartier generale e villaggio-laboratorio urbano in quel di Paradise Valley e Mayer, Arizona. MIIniziata nell’agosto 1970, la città di Arcosanti è estremamente interessante per la filosofia che vuole esprimere, le strutture sono infatti poche: anche se nel piano finale dovrebbe ospitare cinquemila residenti fissi, infatti, finora ne sono state costruite solo il 4 per cento. Perché i fondi arrivano, oltre che da timide donazioni di asceti privati, solo dalla vendita delle Soleri wind bells, campane in ceramica e bronzo, caratteristiche per il sottile velo di metallo che gli permette di suonare a forza di vento. Tra i building operativi – ci sono il Colly Soleri Music Center, anfiteatro all’aperto da 500 persone intitolato alla defunta Mrs Soleri, e la Sky Suite da 75 dollari a notte. La visione di Soleri, laureatosi nel 1946 al Politecnico di Torino, si basa su un sistema in cui costruzione e persona interagiscono come organi in un “essere” altamente evoluto. Teoria tradotta in building multiuso, topografica a misura d’uomo con eliminazione del trasporto privato, vicinanza della natura per un facile accesso all’agricoltura e quindi un’e cienza logistica anche nella distribuzione del cibo. E infine orientazione solare passiva per luce, riscaldamento e condizionamento. Con sistemi come il generatore a energia eolica (usato con successo ad Arcosanti); o la “garment architecture” che, come vuole il nome, si “veste” in base alla stagione: per l’inverno membrane trasparenti che il sole attraversa alterando la temperature interne, per l’estate parasole per avviluppare d’ombra la struttura. O un’altra forma usata con lode ad Arcosanti: “apse e ect” o “e etto abside”, che mitiga gli e etti del feroce sole estivo e sfrutta i benefici del pallido sole invernale. Il tutto per schivare quelle che Soleri considera tre iatture della società degli iperconsumi.

Struttura esterna di Arcosanti in cui sono visibili gli archi caratteristici dello stile di Soleri.

Arcosanti, il sogno sostenibile di Paolo Soleri

Arcosanti è un prototipo di arcologia, una città “esperimento” iniziata a costruire da Paolo Soleri e numerosi volontari nel 1970 in Arizona. La città in particolare è progettata per autoalimentarsi e autogenerarsi, in uno scambio continuo con la natura: per dire, è un luogo in cui sin dai primi anni di vita, le automobili erano vietate, proprio quando tutti desideravano possederne una, e gli spostamenti si sono sempre misurati in minuti di cammino. MILe costruzioni, realizzate in cemento, sono gettate in opera solo parzialmente: la maggior parte degli elementi è realizzata con il metodo della formatura a terra, che sfrutta l’argillosità del terreno semidesertico dell’Arizona per creare le forme all’interno delle quali viene gettato il cemento. Una volta induriti gli elementi cementizi, essi possono essere assemblati in strutture anche molto complesse. L’architettura di questo luogo esalta la percezione con forme morbide alla vista e al tatto, con accostamenti audaci di colori e talvolta con l’aggressività delle forme. spreco di terreno (una volta completato, Arcosanti avrà utilizzato solo 25 acri sui 4060 disponibili), segregazione edilizia e inquinamento. «Lo sviluppo suburbano tipico delle città americane è catastrofico», sentenzia Soleri. «Di questo passo agricoltura, biosfera, foreste andranno a rotoli. E tutto ciò è il prodotto di una società ipertecnologica e iperproduttiva, quella dell’“homo faber”, che non sa resistere alla magia del trasformismo. E produce quello che io chiamo “eremitaggio planetario”, ovvero case familiari a distanze siderali l’una dall’altra, che spezzano le famiglie». Soleri ha idee granitiche su parecchi argomenti. Alle defunte Torri Gemelle ha dedicato un esemplare bozzetto, “New World Trade Center”, sorta di cattedrale secolare che prevede scivoli d’evacuazione al posto degli ascensori. E dice: «Le Torri sono un po’ un capriccio dell’orgoglio e del dominio; non sono così funzionali. MICome nel Medioevo, quando il duca o il despota voleva la torre come segno di dominio e di potenza». Poi ci sono le costruzioni che Soleri chiama “orchidee”, splendide ma anche veri e propri atti di egoismo che fronteggiano la comunità. «La società degli architetti contemporanei vive in un limbo che non ha molto a che fare con la realtà. Frank O. Gehry è un gran produttore di orchidee, strutture magnifiche per il sociale, la cultura, in genere per il settore pubblico e rappresen-

Tramonto visto da uno degli oblò di Arcosanti. Foto di J. Jameson.

Bar di Arcosanti, il punto di ritrovo ideale per gli abitanti della città che si a accia sulla vallata desertica. tativo, ma che non vanno al cuore del problema principale, che è quello dell’habitat. Food e habitat sono fondamentali e, a oggi, l’umanità non è messa bene in nessuno dei due». Altro esegeta di orchidee era, secondo Soleri, il suo mentore Frank Lloyd Wright, che nel 1947 lo volle con sé fresco di laurea, prima a Taliesin West, poi a Taliesin East, le costruzioni-simbolo del suo pensiero. Le teorie di Soleri sono a disposizione dei mortali tutti i mercoledì dalle 16 alle 17,20 in “School of Thought Meetings” nel cuore di Arcosanti. Così come i workshops da cinque settimane e 1.175 dollari, vitto e alloggio compresi, dove si partecipa anche alla costruzione di una “arcologia” e si dà una mano ai vari dipartimenti in loco, planning, landscaping, metalshop e organic gardens. Perché Arcosanti va avanti grazie al cervello corsaro di Soleri ma anche alle “braccia” di chi ne condivide le idee. Come Mary Hoadley, al suo fianco dal 1970 e attuale site coordinator, passata da Cosanti per due settimane e rimasta a vita, anche lei in crociata perenne contro le “praterie urbane” tipo Los Angeles. Mary ha un pensiero felice per Venezia: «Una proto-arcologia, con la sua natura pedonale e di breve distanza». MIE passano da Roma, dove apre una retrospettiva su Soleri patrocinata dal Ministero per i beni e le attività culturali e presentata in due sedi: a Palazzo Fontana di Trevi e al MAXXI, il Museo nazionale per le arti del XXI secolo. Un’altra soddisfacente apparizione italiana per Soleri (dopo Palermo, Genova e Vietri sul Mare), già “beatificato” nel 2000 con il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia. Ma lui sottolinea di essere «sempre stato ignorato» dalla sua Torino, che avrebbe potuto dargli spazio in vista delle grandi manovre del 2006. Anche se dare spazio a Soleri, paladino dell’alveare e del verticale, per molti ha valore di anatema. S’intuisce che i concetti occidentali hanno stremato l’Architetto Maximo. Ma come l’Occidente (sia pure per tutt’altri motivi) anch’egli guarda alla Cina (ha in programma un’apparizione alla Conferenza Suzhou a Shanghai). Forse un giorno colonizzerà (a buon fine) la sua Arcosanti? Settemila studenti vi hanno lavorato fino ad oggi, contribuendo alla crescita di una cittadina visitata ogni anno da decine di migliaia di persone. Per questo Arcosanti rimane un’utopia realizzata, o magari una concreta possibilità di riscatto attraverso una diversa idea di spazialità, di struttura dei rapporti sociali, di rapporto con risorse e natura. Un’idea tridimensionale di possibile futuro, frutto di un pensiero e di una pratica lunghi più di quarant’anni. MINella visione di Soleri, applicata poi ad Arcosanti e sviscerata nel volume “Arcologia: la città ad immagine d’uomo”, si ricorre a soluzioni per comprimere e compattare le strutture urbane verso il tridimensionalismo e combattere l’espansione urbana in maniera incontrollata. Questo sogno fantascientifico finirà per somigliare negli iperbolici disegni di Soleri a città coperte da cupole e somiglianti ad alveari umani, che nel pieno del boom dell’architettura radicale avrà molto successo. Era un periodo in cui la realtà del progresso, del consumo e della pubblicità aveva già cominciato a risultare troppo presente e incalzante per alcuni, e Soleri si inserisce coerentemente all’interno di questo movimento, con strutture azzardate e futuristiche. E’ importante però sottolinearne gli aspetti più avanguardisti di riflessione sull’impatto dell’impronta umana sullo spreco delle risorse, sul risanamento del territorio e sull’eliminazione della maggior parte del trasporto privato a vantaggio di quello pubblico. MIIl progetto di Arcosanti, realizzato parzialmente e comunque ancora in lenta evoluzione, ha richiesto numerosi compromessi, primo fra tutti quello economico, provando a sfruttare, dove possibile, sistemi autonomi di sostentamento a tecnologie “pulite”, e ottimizzando la qualità dell’architettura in base alle condizioni climatiche esterne con studi sull’ombreggiamento e sulla ventilazione degli edifici. E’ un organismo che ha cercato di adattarsi alla natura che lo circonda.

Vista esterna del Marriott Marquis hotel nel centro della città di Atlanta. Conosciuto come uno degli architetti più influenti e controversi del ventesimo secolo, John C. Portman Jr. non solo ha creato la moderna Atlanta come è oggi, ma ha anche costruito una filosofia di design che respira in tutte le sue opere, come l’Atlanta Marriott Marchese. Nel suo concetto architettonico originale per l’Atlanta Marriot Marquis, Portman esprime i suoi principi e le sue teorie del design applicato come funzione, ordine e varietà; natura e movimento; e infine, partecipazione umana e spettatore. MIInvece di progettare il Marriott Marquis come palcoscenico per le nuove tecnologie, come hanno fatto altri architetti, Portman a erma invece: “Gli architetti devono reindirizzare le loro energie verso un’architettura ambientale, nata dai bisogni umani e rispondente a fondamentali aspetti fisici, sociali, educativi ed economici circostanze. La preoccupazione principale era creare uno spazio completamente funzionale basato sulle persone che lo avrebbero usato piuttosto che avere la funzione che seguiva la forma, come tanti altri architetti hanno e faranno. In tutto il suo concetto Portman allude a un’idea che è diventata uno dei punti cardine della sua fama “Gli edifici dovrebbero servire le persone, non il contrario”, la funzione dell’hotel Marquis dimostra questo punto valido come l’ottantacinque per cento delle attività di meeting o convention sono tutti su un unico livello per una facilità di funzionamento per soddisfare al meglio le esigenze delle persone. Nel suo concept architettonico per il Marchese Portman condivide “Le persone richiedono ordine nella loro vita, ma desiderano anche varietà”; l’esterno e la struttura del Marchese giocano come un primo esempio di questo concetto. Il colore e la trama dell’esterno, anche se alcuni lo chiamano insipido, è stata una scelta intenzionale per l’hotel di fondersi con il resto del Peachtree Center, cedendo all’ordine. MILa struttura ha anche un gioco di armonia, che Portman ha articolato bene dal suo concetto originale. Le estremità est e ovest forniscono ordine con la loro verticalità e larghezza più sottile, mentre le estremità nord e sud, più lunghe, si incurvano, e terminano in una forma rettangolare. L’esterno mostra pensiero e moderazione, mentre osservando c’è quasi uno squilibrio nell’armonia, ma proprio mentre la sensazione quasi a ora la struttura si assottiglia e l’armonia si risolve. Una volta che lo spettatore irrompe nello spazio, ha un senso di grandezza e quasi un sentimento di superamento. L’ordine e la verticalità sono rappresentate solo dalle linee rette del lato dell’ascensore e del lato opposto, queste vengono poi sopra atte dalle curve non solo dalla struttura esterna, ma dai balconi curvi avvolgenti, che se visti tutti nel contesto danno una somiglianza a una grande cassa toracica. Sebbene nel suo concetto lui sostenga “Non è destinato ad essere travolgente, ma invece a servire come esperienza interna dello spazio come elemento della natura”, l’atrio percorre una linea molto sottile dell’ordine tra vicinanza e familiarità con la varietà di grandezza e scala. MIUna volta sopra l’atrio, guardando in basso c’è una maggiore comprensione dell’ordine e della varietà della struttura, nonché un più facile accesso a spazi più familiari e non grandiosi; le due grandi scale tentano di appesantire l’altezza dell’atrio dando un po ‘di tensione ma l’altezza la supera comunque. Al quarantasettesimo piano la visione in basso dà allo spettatore una sensazione quasi scoraggiante e inquieta, una tensione data dalle forme ripetute dei balconi avvolgenti ad ogni livello che sembrano non finire mai. MIVedi uno spazio quasi vuoto e spoglio ma in alto il lucernario lo apre dandogli un respiro che lo spazio disperatamente richiede. L’approccio di Portman al design proviene da una diversa direzione del tempo, e con ciò arriva la volontà di dare priorità ai problemi per risolverli e far convergere le forme in un design armonioso. Portman a erma inoltre che le persone necessitano di ordine e varietà: “Le persone sono anche innatamente sensibili alla natura”, quindi include la natura e il movimento per soddisfare il bisogno di un ambiente orientato alle persone piuttosto che alla creazione di monumenti. Gli elementi della natura agiscono come movimento all’interno dell’hotel dalla luce proveniente dagli stretti lati est e ovest e dal lucernario sull’atrio. Portman osserva che la luce è meno compresa da architetti e sviluppatori perché sia la luce naturale che quella artificiale possono cambiare l’intera personalità dell’ambiente. L’interno ottiene una sensazione quasi eterea dalla luce naturale durante il giorno, e di notte la luce artificiale è stata pensata per non togliere lo spazio.

La hall dell’hotel mostra la particolare forma organica della struttura. Foto di J. Ardiles-Arce.

Gli architetti devono reindirizzare le loro energie verso un’architettura ambientale, nata dai bisogni umani e che risponda a circostanze fisiche, sociali, educative ed economiche vitali

JOHN PORTMAN Il movimento mostrato all’esterno non solo accompagna la struttura curva, ma è anche un’espressione della natura. MIAcquista la luce che si muove lungo la forma dell’edificio durante il giorno regalando una diversa sensazione rispetto alla maggior parte degli altri edifici. Maggiore movimento è mostrato dall’ascensore di vetro, dando agli ospiti la richiesta di muoversi nello spazio. Portman vede i suoi ascensori come sculture cinetiche con la sensazione che “Guidare un ascensore è un’altra importante esperienza di transizione e non c’è motivo per cui devi viaggiare in una scatola chiusa”; invece di nascondere un ascensore come la maggior parte fa, apre invece le pareti sostituendole con il vetro e sporgendo i pozzi per vedere l’ambiente circostante. Il concetto di tirare fuori l’ascensore e usarlo come elemento importante era geniale; conferisce al grande spazio dell’atrio il movimento naturale di cui ha bisogno in modo che non sia visto come fermo e silenzioso, inoltre dà una divisione allo spazio massiccio dell’atrio. MIOltre agli elementi strutturali dell’hotel, Portman fornisce anche l’ovvia rappresentazione della natura posizionando piante, fontane e vegetazione in tutto lo spazio; aggiungendo movimento organico allo spazio. Le persone sono al centro della filosofia di John Portman; “Coinvolgere le persone nella mia architettura, sia come spettatori che come partecipanti”. Le persone sono la ragione e gli utenti previsti per lo spazio, quindi ha senso che l’ambiente si adatti a loro, ma ciò che altri architetti e sviluppatori perdono è consentire alle persone di essere una parte attiva degli elementi del design. MIPortman esegue il suo concetto di partecipazione al Marchese in molteplici aspetti come le passerelle che collegano gli ascensori ai balconi, aggiungendo un movimento necessario a un altrimenti statico ambiente. L’andirivieni degli ospiti in tutta la hall è un elemento necessario al piano terra che è bilanciato dal movimento degli ascensori che fungono sia da opportunità di partecipazione che da spettatore. MII balconi aperti consentono la partecipazione degli ospiti mentre avvolgono i diversi piani delle loro stanze aggiungono movimento ma possono anche utilizzare lo spazio come luogo per osservare l’ambiente circostante come il concetto di spazio condiviso di Portman, che richiama il linguaggio e le forme dell’utopia.

Ampio piazzale interno che rimanda ad un quartiere turistico. Duecentoventottomila tonnellate di stazza lorda, in 362 metri di lunghezza per 66 di larghezza. La Symphony of The Seas è la nuova primatista assoluta di grandezza tra le navi da crociera. Siglata Royal Caribbean, è partita oggi dai cantieri Stx di Saint Nazaire, per imboccare la parte finale dell’estuario della Loria, alla volta di Malaga. Da lì comincerà la sua prima crociera, nel Mediterraneo. Quarta delle cruiser della classe Oasis della società di fondazione norvegese con base a Miami, Symphony sorpassa di 2mila tonnellate la (quasi) gemella Harmony. Una città galleggiante costata un miliardo di euro e capace di accogliere quasi novemila tra passeggeri (6680) e membri dell’equipaggio (2200). Tra le altre cifre, 18 ponti, di cui 16 accessibili ai passeggeri e 24 ascensori per il pubblico. MITra le sue caratteristiche, la suddivisione in sette “quartieri”, dove trovano spazio una sorta di mini Central Park con 12 mila specie vegetali, una teleferica. A poppa, l’Aqua Theater, che di giorno è parco acquatico, mentre la sera diventa scenario di coreografie e acrobazie in acqua: il tutto per oltre 66mila metri quadri di spazi tra ristoranti e aree di svago. Una minicrociera tra Malaga e Barcellona, dal 27 marzo, precede la crociera inaugurale, che toccherà anche l’Italia: si navigherà infatti tra Barcellona, Civitavecchia e Napoli. La stagione estiva vedrà il nuovo gigante dei mari impegnato nel Mediterraneo, tra Barcellona, Palma di Maiorca, Marsiglia, La Spezia, Civitavecchia e Napoli. Da ottobre, la Symphony farà base a Miami. E MIMa alle navi da crociera della dimensione di un paese siamo oramai abituati e le novità si scoprono solo salendo a bordo. Iniziamo dall’urbanistica. Come ogni borgo che si rispetti la nave è divisa in sette quartieri tematici, dove gli ospiti trovano le attrazioni più adatte al proprio stile di vita e alla proprie esigenze. Se siete green potete passeggiare per Central Park, uno spazio all’aperto – ma protetto dal vento – con più di 12000 piante e alberi, dove rilassarsi, leggere un buon libro, riposare, sorseggiare un ca è o un aperitivo e chiacchierare con gli amici. MIPer gli sportivi alla ricerca di qualcosa di avventuroso ed adrenalinico ecco la zona piscine dove cimentarsi su The Ultimate Abyss, uno scivolo che con i suoi 45 metri sopra il livello mare è il più alto mai realizzato su una nave da crociera e sul quale confesso non ho osato avventurarmi. In attesa di poterlo fare in qualche spiaggia isolata si può surfare sui due simulatori di surf FlowRider mentre la zip line permette di volare a 25 metri di altezza su ben nove ponti. E se tutto questo non vi basta ecco The Rock Climbing, l’ardita parete da arrampicata che guarda piscine e mare. Curiosa la scelta di dotare una nave che navigherà nei Caraibi anche di una pista di pattinaggio su ghiaccio al coperto, ancora più curiosamente scelta come uno dei punti di raccolta per l’esercitazione obbligatoria sulle misure di sicurezza in caso di incidente. Con passeggeri in costume e maglietta a tremare dal freddo. Beh dopo tutto questo sport ci siamo meritati un po’ di relax, ed è l’ora dell’aperitivo. Splendida la scena dello shakeraggio, un po’ meno la scelta di versare il tutto in un anonimo bicchiere di plastica. Forse non si fidano del tutto della delicatezza del barman bionico. MIPoi viene l’arte contemporanea, tutta la nave infatti è cosparsa di dipinti e stampe ma, con una scelta un po’ sacrilega, proprio vicino al casinò – il più grande sul mare - si trova un’ampia galleria d’arte galleggiante. Dicono che sulla Simphony of the Seas si trovino più opere d’arte che nelle sale dedicate alla pittura del Louvre. La nave da crociera del futuro si preoccupa anche delle famiglie con bambini e magari nonni al seguito. Ecco

La Symphony o re un’intensa vita notturna di attrazioni per i suoi ospiti.

La Symphony è la nave da crociera più grande al mondo. quindi l’Ultimate Family Suite. Un vero e proprio appartamento di 125 metri quadrati sue due piani con scivolo colorato che porta dalla camera da letto bambini al salotto, parete di mattoncini Lego, hokey da tavolo, sala cinema, macchinetta per fare pop corn e vasta scelta di videogiochi. Sul terrazzo privato un tavolo da biliardo, una simil parete d’arrampicata e una vasca da idromassaggio a acciata su piscine e mare. Guardando questo villaggio navigante alto 72 metri con quasi 9000 abitanti non si può fare a meno di pensare al suo impatto sull’ambiente marino. Hanno tentato di renderlo meno traumatizzante possibile, con le attuali tecnologie. Motori più e cienti, recupero dei vapori, maggiore idro dinamicità hanno ridotto del 25% i consumi di energia. Vetro (diviso per colore), plastica, carta e alluminio vengono recuperati, compattati se necessario, per poi essere inviati a impianti di riciclaggio. MI Le acque sporche sono bio-depurate. Insomma la nave dedicata grande attenzione alla sua invadente presenza nell’ambiente naturale marino, cercando di passare nel modo più leggero possibile, nonostante le dimensioni. Infine ci sono cibo e intrattenimento. Venti i ristoranti e le cucine da provare, tanti gli spettacoli da vedere tra i quali HiRo, nuovissimo show acquatico a base di acrobazie e tu nella piscina più profonda mai costruita su una nave. MIIl resto ve lo lasciamo scoprire da voi, questa primavera-estate durante le crociere nel Mediterraneo, con i primi freddi oltreoceano, su quelle nei Caraibi. E se cercate i segni del made in Italy a bordo, oltre a parte di un equipaggio proveniente da oltre 60 paesi nel mondo, troverete capsule di ca è, acque minerali, formaggi, prosciutto crudo e vini provenienti dalla penisola.Tra le innovazioni di cui è dotata ce n’è una pensata per eliminare file e attese al check-in. L’imbarco sulla nave sarà velocizzato grazie a una combinazione di riconoscimento facciale, codici a barre e tecnologia beacon (per il tracciamento delle persone). Gli ospiti potranno, quindi, e ettuare il check-in tramite una app mobile dedicata e caricare già da casa i selfie di sicurezza per creare il loro account di bordo. Sulla carta dunque, l’unico rischio nella nave dei primati potrebbe essere quello che i passeggeri si scordino di scendere a terra nei porti preferendo restare sulla città galleggiante piuttosto che visitare quelle vere.

Il castello nel cielo persente nel film di Miyazaki, Laputa. Laputa – Castello nel cielo, è il terzo lungometraggio di animazione diretto da Hayao Miyazaki. Il primo prodotto dallo Studio Ghibli, fondato l’anno precedente insieme al collega Isao Takahata. MIIl film si ispira a due libri della cultura europea, ovvero L’isola del tesoro di Stevenson e I viaggi di Gulliver. Dal primo riprende la struttura del racconto, dal secondo l’idea di un’isola i cui abitanti erano capaci di sollevarla e regolarne il corso a loro piacimento. Laputa – Castello nel cielo come tutti i film di Miyazaki fonda le sue basi oltre che nella letteratura anche nella realtà. Per la realizzazione del film il regista infatti si recò in Galles per studiare le ferrovie, le miniere di carbone e le terraced house, le tipiche case a schiera dei minatori. MIAltro elemento su cui il film si basa è la rivoluzione industriale. Più precisamente sulla grande ed eccessiva fiducia che l’uo-

mo ha sempre avuto nel progresso e nella sua visionaria ambizione. Il mondo in cui è ambientato il film è nel pieno del progresso tecnologico. Vi è quella che Isaac Asimov ha definito la nostalgia del futuro. Laputa è un «romanzo di fantascienza scritto alla fine del diciannovesimo secolo». Parole dello stesso Miyazaki, dove troviamo un mondo che si è evoluto ma che guarda con malinconia a quel progresso ormai perduto per sempre. MILaputa e la sua tecnologia avanzata vivono nella memoria e nelle leggende tramandanel tempo e nei suoi pochi eredi. Una civiltà che se da una parte aveva raggiunto l’armonia tra natura e tecnologia, dall’altra proprio quest’ultima ne ha decretato la sua fine poiché portatrice di morte. Così come Atlantide, il Castello nel cielo è un luogo mitologico simbolo di un’utopia irrealizzabile e di un passato idealizzato smentito dalla storia. Emblematico è il finale che vede i resti di Laputa che fluttuano alla deriva nel cielo. La storia ormai perduta di una progredita civiltà è tenuta insieme dalla natura, simbolo della vita che continua. Anche dove regnano ormai oblio e distruzione. Un amore per le rovine ed il passato che viene magistralmente rappresentato in maniera poetica in quest’ultima sequenza. MIProprio il passato e l’eredità che porta con sé è uno dei punti cardine della pellicola. Laputa nonostante da molti sia creduta una leggenda, conserva la storia e la memoria di un popolo che ormai non c’è più. Storie ormai perdute nel tempo. Neanche Sheeta, che ne è la custode, ne conosce la provenienza e quindi è ignara dell’immenso potere che ha ereditato. La conoscenza della ragazza è superficiale. Tutto ciò che sa gli deriva dalle filastrocche insegnatele dalla nonna. Solo la sua volontà di conoscere la porterà a sapere la verità sul passato della sua famiglia. La magia risiede anche nel volo, elemento onnipresente nei film di Miyazaki. Non vi è un anime del regista in cui non siano presenti delle macchine volanti; o comunque siano previste scene di volo. Tali marchingegni divengono così metafora di libertà ed indipendenza. Sono sinonimo di sogno e l’unico mezzo per arrivare in posti fantastici. Il castello di Laputa è la personificazione di tutto ciò. È un luogo magico sospeso nel cielo il cui popolo viveva in piena autonomia. MIIn Elysium invece Blomkamp, alla regia del suo secondo lungometraggio dipinge due mondi distinti e separati: una Terra sovrappopolata e alla deriva e Elysium, la stazione spaziale realizzata dall’uomo per i multimilionari. Se nel 2013, sei astronauti vivono e lavorano nella stazione spaziale internazionale che orbita a circa 250 miglia dalla Terra, nella visione di Blomkamp, tra 150 anni, queste umili origini porteranno alla realizzazione di abitazioni dotate di tutti i comfort per le persone più abbienti. “Da una parte l’idea è assurda” ha dichiarato il regista. “L’idea di portare pietre, malta, cemento, piscine e tut-

Fotogramma tratto dal film Blade Runner in cui è presente l’imponente stazione di polizia di Los Angeles.

La futuristica città nello spazio presente nel film Elysium. to quanto è necessario per costruire queste costosissime dimore su una stazione spaziale è ridicola. È un modo per ribadire il concetto che è al centro del film, ossia che la gente di Elysium è straricca e usa le proprie risorse per creare un ambiente tutto per sé, separato, sintetico, quasi ermetico. Da questo punto di vista Elysium è l’altra medaglia di una invasione aliena: siamo ancora alle prese col tema dell’uomo che tenta di proteggere il proprio stile di vita, ma invece di combattere sulla Terra scappa nello spazio.” MILa Los Angeles di Blade Runner invece è un’ antitesi di utopia che però assume in alcuni tratti le forme di un ambigua arcologia. Un gigantesco ghetto sovrappopolato, vessato da una continua pioggia e “iperglobalizzato”, nella peggiore delle accezioni. Un girone dantesco a settecento anni dalla Divina Commedia. Quando Dick scrisse il romanzo, sul finire degli anni sessanta, l’immigrazione asiatica negli stati uniti aveva largamente superato quella europea degli anni venti. La popolazione cinese in America stava crescendo così tanto da far pensare che presto avrebbe ‘preso il controllo’ di alcune zone della città. Le ‘chinatown’, oggi di use in tutte le metropoli, sono una versione edulcorata e in piccolo della nefasta profezia di Dick: quartieri che rappresentano il fallimento dell’integrazione, nei quali la cultura cinese ha praticamente soppresso quella autoctona, imponendo le proprie lingue e le proprie tradizioni. Una città dentro una città, ma anche una sorta di ‘prigione’ sociale. La Los Angeles del film però non ha alcuna identità; è una megalopoli che ha reciso totalmente i legami con il passato e la sua storia, un crogiolo di culture che non sembrano fuse ma solo a ancate. Guardando Blade Runner si nota come la California del 2019 (anno in cui è ambientato il film) non abbia nulla a che vedere con quella del ’68. MIWGli edifici antichi sono stati rasi al suolo, eliminati in favore del progresso e della tecnologia, la quale si è capillarmente infiltrata nella vita dell’uomo. Il concetto di “monumento” è stato dimenticato e la nuova era è arrivata come un virus; in un mondo in cui sono le multinazionali a definire lo skyline (come d’altronde definiscono l’esistenza umana replicandola artificialmente) e in cui ogni cultura coesiste ma mantiene la propria lingua, in una realtà urbana confusa ma sempre identica a se stessa.

Render dell’immensa cupola che coprirà Astana City Vision e permetterà di creare un isolamento termico dal clima rigido del Kazakistan.

Arcologie per il futuro

Astana City Vision è il progetto per una nuova struttura in grado di accogliere fino a 30.000 residenti, lavoratori e visitatori. Questo progetto trova la sua giusta collocazione nella giovane e vivace capitale del Kazakistan, dove lo sviluppo urbano è amministrato con cura soprattutto in previsione dei prossimi eventi internazionali a cui la città è chiamata a rispondere come l’EXPO 2017. MIConcepito e progettato con criteri innovativi in termini di architettura, ingegneria, sostenibilità ambientale e tecnologia, questo ambizioso progetto ha il duplice scopo da un lato di tracciare le linee guida per una città più e ciente, e dall’altro di trovare una soluzione al problema climatico di Astana (con è considerata la capitale più fredda del mondo con temperature da -40 in inverno a +40 in estate). Astana City Vision apre la strada all’idea di città che diventa e ciente e funzionale, diventando la risposta concreta alla crescita non regolamentata delle città che dissipano risorse ed energia. L’accesso alle fonti energetiche determina direttamente scenari concreti di sviluppo sociale, economico e ambientale. La ricerca tecnologica e i progressi scientifici relativi all’ottimizzazione delle varie fonti di energia, definiscono gli approcci funzionali delle società e portano a un futuro energeticamente sostenibile. Astana City Vision apre la strada all’idea che la città diventi e ciente e funzionale, diventando la risposta concreta alla crescita non regolamentata delle città che dissipano risorse ed energia. L’accesso alle fonti energetiche determina direttamente scenari concreti di sviluppo sociale, economico e ambientale. La ricerca tecnologica e i progressi scientifici relativi all’ottimizzazione delle varie fonti di energia, definiscono gli approcci funzionali delle società e portano a un futuro energeticamente sostenibile. MIAstana City Vision si svilupperà su un’area di 1,75 kmq a est della città di Astana. Designer come progetto insediativo verso il futuro, l’immagine che abbiamo di questo nuovo sviluppo urbano non è tanto una smart city, ma una “Città Sensibile”, capace di funzionare come un organismo capace di raggiungere gli impulsi e modificarne la struttura tecnologica e la funzione in base alle necessità del vero protagonista di questo progetto: i cittadini. MILa necessità di realizzare una grande cupola (1500m di diametro e 350 metri di altezza) è stato il primo passo per creare un microclima in grado di rispondere al problema climatico Astana. Questa struttura geodetica ci dà la possibilità di controllare il clima interno migliorando la temperatura interna

Il Khan Sathyr center riprende e realizza il concetto di isolamento termico. in modo sorprendente, e allo stesso tempo limitando la dissipazione delle risorse energetiche. Il masterplan del progetto prevede la realizzazione di aree residenziali e commerciali, complessi alberghieri, palazzina uffici, edifici religiosi e in più tutte le funzioni tradizionali di una città, oltre a creare aree dedicate allo sviluppo di economie legate al settore digitale, investendo pesantemente nell’industria high-tech e l’emergere di nuove star-up. Si svilupperà così un sistema economico e industriale totalmente nuovo che non richiederà spazi e infrastrutture come l’industria tradizionale, che ha portato al fenomeno della delocalizzazione della produzione fuori dalle città. MIL’industri digitale riporterà i lavoratori in città, gli spazi di lavoro e di produzione saranno ridisegnati secondo questi nuovi parametri. E le fabbriche di quella che molti chiamano la terza rivoluzione industriale diventeranno da BIG a SMART. L’area di ebollizione sarà di ca. 2 milioni di metri quadrati, mentre ampi spazi saranno riservati alle aree verdi e alle strutture ricreative. La mobilità all’interno della struttura sarà consentita solo con veicoli elettrici o biciclette. I cinque varchi di ingresso saranno collegati alle aree di parcheggio dove saranno parcheggiati i veicoli a benzina sia dai residenti che dai visitatori occasionali. Questi cinque varchi di accesso saranno il punto di partenza per i cinque maggiori che porteranno al centro della struttura dove si ergerà un grattacielo di 250 metri quadrati. MIQueste strade sono anche collegate tra loro tramite una tangenziale che corre attorno al perimetro della cupola. Fungono anche da divisori tra le cinque aree in cui verrà costruito tutto l’edificio come le strutture per il tempo libero e le aree verdi. Tutti gli edifici compreso il grattacielo sono concepiti come strutture polifunzionali con usi diversi, che vanno da quello residenziale a quello amministrativo e industriale. Astana City Vision è una vera e propria proposta di progetto sociale in grado di dare vita a una nuova comunità urbana, culturalmente ed ecologicamente sostenibile. Concepito e progettato con criteri innovativi, questo ambizioso progetto ha un duplice scopo: primo - creare un nuovo modello intelligente per una città più e ciente, secondo - trovare una soluzione al problema climatico di Astana. La cupola sarà realizzata utilizzando cuscini d’aria in ETFE (Etilene tetrafluoroetilene) montati su una leggera struttura metallica. Lo spazio tra due strati protettivi sarà utilizzato per scopi tecnici: estrazione di aria inquinata, scioglimento della neve, recupero dell’acqua.

Edificio principale costruito per l’EXPO 2017 ad Astana. La struttura della Cupola sarà una pelle dinamica, che si adatterà all’ambiente esterno. Quando il clima sarà più mite, alcune finestre verranno aperte dal Sistema di Gestione Centrale e sarà consentito il passaggio dell’aria attraverso la “pelle”. In caso contrario, quando il clima sarà lontano dalle condizioni ottimali, le finestre saranno tenute chiuse e l’ambiente interno sarà protetto dai fenomeni atmosferici. MIQuando la Cupola sarà chiusa, il ricambio d’aria sarà assicurato da canali interrati alimentati da cappe eoliche installate sul perimetro esterno. Il movimento dell’aria sarà principalmente guidato dal vento. Il progetto prevede un sistema integrato di gestione delle acque, dove l’acqua piovana o neve verrà raccolta dalla copertura grazie a tubazioni installate nell’intercapedine tra gli strati di pelle e sarà convogliata in serbatoi dedicati. Il sistema sarà impostato in modo da massimizzare l’uso dei guadagni solari in inverno per risparmiare energia e mantenere un ambiente caldo sotto la Cupola. Durante l’estate il surriscaldamento sarà evitato dai dispositivi dinamici di schermatura solare inclusi nello strato esterno della pelle. Le celle fotovoltaiche saranno integrate nella superficie esterna del Duomo al fine di garantire la produzione di energia da fonti rinnovabili. La smart grid raccoglierà le informazioni da tutti i dispositivi, monitorando il clima esterno, modificando la configurazione della pelle protettiva e gestendo tutti gli usi energetici all’interno degli edifici. Sotto la Cupola saranno ammessi solo veicoli elettrici e saranno previste stazioni di ricarica nei punti focali. Expo Astana 2017 si discute dei modi per produrre energia pulita, a rontando la questione della disponibilità energetica, della sostenibilità e dei trend di sviluppo delle rinnovabili che ci si attende nei prossimi decenni. Il tema scelto dal Kazakistan è probabilmente la questione più imminente da a rontare e su cui è necessario che i governi di tutto il mondo riescano a collaborare, sulla scia dell’Accordo di Parigi sul clima e dell’Agenda 2030 di sviluppo sostenibile adottata dalle Nazioni Unite. MIMa il tema è centrale soprattutto per il futuro, non solo in termini di ambiente e di salute pubblica ma anche in relazione alla crescita economica e sociale delle comunità che vivono sul nostro Pianeta. Ed è per questo che, nelle intenzioni degli organizzatori, non si può fare a meno di avviare un confronto tra i vari governi che prenda in seria considerazione le problematiche che i Paesi in via di sviluppo si trovano a dover a rontare, anche in termini degli e etti dei cambiamenti climatici sulle economie locali. L’esposizione internazionale di Astana prevede di coinvolgere 5 milioni di visitatori da ogni parte del mondo. Il sito di Expo 2017 occuperà ben 174 ettari, uno spazio più grande di quello che Milano ad Expo 2015 aveva dedicato al tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita” con 110 ettari di superficie espositiva. Il simbolo dell’esposizione è il padiglione del Kazakistan: la più grande struttura sferica mai costruita al mondo, con ben 80 metri di diametro, tutta in acciaio e vetro, il centro fisico e simbolico dell’area. MISu iniziativa del Primo Presidente del Kazakistan Nursultan si è tenuta la mostra internazionale. Il complesso espositivo dall’aspetto futuristico con Nur Alem Sphere al centro è cresciuto su 25 ettari, guadagnando immediatamente popolarità tra i visitatori. Il complesso espositivo dall’aspetto futuristico con Nur Alem Sphere al centro è cresciuto su 25 ettari, guadagnando immediatamente popolarità tra i visitatori. Alla mostra erano rappresentati 115 paesi e 22 organizzazioni internazionali, a cui hanno partecipato anche 4 milioni di visitatori, di cui 650 000 turisti stranieri. Al termine dell’evento globale, il Kazakistan ha implementato il concetto post-utilizzo delle strutture espositive approvato da Nursultan Nazarbayev e ha incorporato le migliori pratiche da centri commerciali di fama internazionale. L’ulteriore sviluppo del tema “Energia futura” è implementato dal Centro internazionale per le tecnologie verdi e i progetti di investimento creato sotto gli auspici dell’ONU. Contribuisce in modo significativo allo sviluppo dell’economia verde del paese introducendo soluzioni avanzate di energia rinnovabile. MIIl Museo dell’Energia Futura “Nur Alem” è diventato un nuovo simbolo della giovane capitale della Repubblica del Kazakistan. È diventato il luogo più popolare per gli ospiti per scattare foto memorabili contro la futuristica Sfera. Il sito espositivo è pensato non solo per scopi lavorativi e scolastici, ma anche per il tempo libero e l’intrattenimento dei cittadini e degli ospiti della capitale. C’è un hotel Hilton Astana a cinque stelle, bar, ristoranti, parchi e un parco giochi, che può essere utilizzato anche da bambini con bisogni speciali. Il sito dell’EXPO è sicuramente diventato un nuovo centro commerciale e turistico della capitale del Kazakistan.

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