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Lous Kahn

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Auroville

Auroville

Come ogni grande mente creativa, anche Louis Kahn possedeva una visione che lo ispirava e lo accompagnava nella realizzazione delle sue opere. La sua visione non è elementare da comprendere e non è riconducibile ad una qualsiasi corrente artistica. Questo grande genio è riuscito a creare un pensiero filosofico proprio, unico e ricorrente in tutte le sue creazioni, da quelle più conosciute alle sue opere minori. La sua abilità è stata quella di riuscire a mettere una parte di sé e del suo pensiero architettonico in ogni suo progetto, rendendolo speciale e attribuendogli un’identità. L’operato di Kahn è caratterizzato da più costanti: il senso della composizione, l’uso dei materiali secondo la loro natura, il senso dello spazio come essenza dell’architettura, la luce come elemento di progetto, il rapporto tra uomo e l’ambiente.

Innanzitutto si deduce il tentativo di coniugare il suo stile con le forme dell’antichità. Da un lato cercava di dare risposte architettoniche ed epistemologiche alle sue creazioni, dall’altro contestualizzava i suoi edifici in uno scenario immaginario. A prima vista, molti rimanevano perplessi dai suoi elaborati, ma una volta spiegato il contesto in cui operava Kahn, anche le menti più scettiche riuscivano a comprenderne il genio.

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Non c’è dubbio che Kahn abbia beneficiato degli edifici del passato, soprattutto a livello gnoseologico. Kahn ha sollevato domande sull’architettura che non avrebbero potuto essere affrontate da un recupero formale della storia, in questo senso i suoi progetti rivalutano e ripropongono le lezioni della storia in chiave moderna. Kahn è stato un architetto classico romantico e come tale ha voluto realizzare forme perfette, nette, geometriche. Lui considerava necessaria la riflessione sulle rovine antiche per determinare un rinnovato corso dell’architettura. Tale relazione, in apparenza abbastanza improbabile, si comprende osservando la grande quantità di fotografie di rovine romane e confrontandole con gli edifici progettati da Kahn, a partire dal Salk Institute. Nonostante i suoi edifici siano imbevuti di spirito antico, e abbiano aperto la strada al revival classico, Kahn ha sempre rifiutato l’uso di elementi classici e nel proprio personale modernismo si è sempre limitato ad un processo di astrazione delle nude rovine.

Oltre al tema dell’antichità palesemente presente nelle sue opere, Kahn parlava spesso di silenzio e luce. La sua era un’indagine quasi metafisica sulla natura dell’ambiente e dei materiali, e i suoi spazi, sebbene spesso dessero un cortese benvenuto a un gran numero di persone, sembravano nel loro stato più naturale quando erano quasi vuoti. Essere soli nelle grandi stanze di Kahn e sentire il silenzio e vedere la luce penetrare dolcemente attraverso questi spazi silenziosi, dà a questa esperienza una concezione mistica, di pace interiore. Una luce primordiale, lame di luce, luce diffusa, diretta e indiretta. Sono spazi in cui si percepisce il silenzio nella sua potenza, suoni diversi risuonano in essi oltre la capacità uditiva. Il risultato non è casuale, ma dovuto allo

Alcuni schizzi creati da Louis Kahn nel corso della sua carriera, rappresentativi di quelle che sono state in seguito architetture realizzate e presenti sul suolo americano nella sua città d’adozione, Philadelphia.

In alto: vista in psospettiva della City Tower di Philadelphia (1952-1953)

In centro: raffigurazione del Civic Center Studies di Philadelphia, in prospettiva. (1955 ca.)

In basso: schizzo per il progetto del Civic Center di Philaldelphia, ritratto da una prospettiva aerea (1957). Questo disegno sembra essere ispirato alle costruzioni immaginarie di Piranesi del 18° secolo di Roma. Questo, come tutti gli altri schizzi, sono conservati negli archivi del Museum of Modern Art MoMA PS1, nel Queens. studio dell’architetto che ha voluto riprodurre nelle sue creazioni quella sensazione metafisica che si prova quando si visitano le grandi opere monumentali del passato, e ci si lascia travolgere da un sentimento antico e trascendentale. La luce naturale è fondamentale per Kahn, essa determina l’identità di una stanza. L’economia naturale degli elementi è stata fin dall’inizio una delle maggiori preoccupazioni di Kahn, che già nei primi progetti ha cercato la partizione razionale dei pieni e dei vuoti. Si tratta sempre di spazi che traggono il loro reale significato dall’uso che ne viene fatto, essendo ripartita la luce con grande accortezza.

L’architettura è definita come elemento organizzatore dell’attività umana, di luoghi in cui è stato giusto apprendere, incontrarsi, esprimersi, vivere.

Nel rifiuto dell’indipendenza tra l’ossatura e il muro, tra spazi e costruzione, Kahn ha trasformato la tecnica in architettura. Il tempo ha dimostrato con evidenza l’importanza dell’architetto, la cui opera rivela uno spirito, un’aura che la distinguono dal lavoro degli architetti contemporanei. I suoi edifici, che costituiscono una delle espressioni emblematiche del finire del secolo, sono primitivi ma totalmente privi di senso dinamico, sembrano quasi trascenderlo, facendo forse riferimento a una matrice diversa. Kahn era certo che esistessero delle verità architettoniche. Non erano, per lui, semplici verità, ed è giusto pensarlo come un ricercatore, pensare alla sua vita come una ricerca, che è ciò che lo distingue così completamente dai modernisti del Bauhaus.

I potenti edifici in muratura di Kahn facevano un grande uso di forme geometriche semplici, primordiali, ma non abbracciava uno stile unico; gli piaceva parlare di andare alla radice delle cose, di cominciare dalle basi, di arrivare all’essenza di “ciò che un edificio vuole essere”, per usare una delle sue frasi preferite. La violenza dei suoi edifici è latente, potenziale, per la loro stessa natura di masse statiche e severe, costruite da elementi pesanti in cui le connessioni divengono momenti importanti.

L’uso dei materiali secondo Kahn, non può essere casuale, è importante il rapporto tra l’artigiano e la materia. I muri dell’istituto Salk sono l’espressione vivente del calcestruzzo di cui sono fatti. I lavori che Kahn ha eseguito in India gli hanno dato l’occasione di utilizzare il mattone, che è non solo il più comune materiale da costruzione, ma anche il più appropriato. Nelle sue mani il mattone ha ricevuto nuova vita: alternato con il calce-

In questa pagina: La Phillips Exeter Academy Library, New Hampshire (1971).

Sotto: Un’area della biblioteca dedita agli studenti, i quali studiano riuniti ad un tavolo al centro di uno spazio che è soprattutto luogo d’incontro per l’uomo. struzzo, il mattone originale, ne viene rinforzato, pur salvaguardato nel suo valore. Tutto il suo lavoro è caratterizzato da una perfetta coesione tra la mentalità tradizionale e l’uso razionale dei materiali.

Molto importante per Louis Kahn è il concetto dell’uomo. Lui progettava per l’uomo e per il rapporto uomo-comunità, due concetti chiave che accomuneranno la visione di Kahn a quella di altri esponenti dell’architettura come Le Corbusier. Questa affermazione riflette la distinzione che egli amava fare tra l’uomo come specie e l’uomo come individuo. Come ogni altro elemento della natura, l’uomo è soggetto alle leggi naturali; ma nella coscienza di sé e nel silenzio sta il senso profondo del suo “essere umano”, non soggetto a cambiamenti culturali o evoluzionistici.

L’uomo non è natura, ma è originato dalla natura. Io non credo che sia la società a fare l’uomo. Credo che sia l’uomo a fare la società.

[ LK ]

L’incontro è allo stesso tempo la ragione e l’origine della città. Per Kahn la città è segno del desiderio dell’uomo di incontrarsi, esprimersi, comunicare. In un periodo caratterizzato da una profonda rivoluzione dei valori umani e sociali, noi dobbiamo a Louis Kahn una ridefinizione del termine “istituzione”. Le istituzioni, come la città o l’architettura, sanciscono, consacrano gli sforzi dell’uomo. Ci sono tre costanti nelle istituzioni, le stesse che si trovano nella storia dell’architettura: la scuola, la strada e gli spazi verdi. Con il termine “scuola” Kahn definisce tutti i luoghi destinati a soddisfare l’aspirazione ad apprendere, che è propria dell’uomo. La strada è aperta ad ogni tipo di uso, ed è innanzitutto un luogo d’incontro, è il vero senso della città. Per quanto riguarda gli “spazi verdi»” Kahn ha esaminato tutti i problemi che si pongono all’uomo nei confronti dei suoi simili, o meglio dell’individuo di fronte alla società, problemi di spazi, di luoghi dove la gente si incontra e tenta di far valere le proprie capacità. Per mettere ulteriormente in relazione lo spazio disegnato a misura d’uomo con il tema delle istituzioni, Kahn ha realizzato opere e edifici destinati a luoghi di assemblea sia per uso laico che religioso. Incarichi quindi molto differenti quali la Phillips Exeter Academy Library, l’edificio dell’Assemblea Nazionale a Sher-eBangla Nagar a Dacca, il Salk Institute for Biological Studies a La Jolla, California e il Four Freedoms Park a New York.

Dhaka

A differenza dei suoi colleghi modernisti, Louis Kahn non ha mai costruito all’ insegna della leggerezza e della trasparenza, né tantomeno utilizzando le nuove possibilità della tecnica, queste connotazioni lo portarono lontano dal tipo di progettazione dei suoi coetanei, come i funzionalisti che bandivano termini come robustezza e forza. Eppure i suoi progetti sono stati fin da subito moderni e all’avanguardia, all’insegna della monumentalità, a volte talmente estremi da restare sulla carta. Infatti Louis Kahn è spesso accreditato di aver introdotto l’architettura moderna in Bangladesh nella sua Assemblea nazionale a Dhaka (1962-1983). L’incarico gli fu assegnato nel 1962, quando il Bangladesh era il Pakistan orientale, e fu completato solo nel 1983, nove anni dopo la morte dell’architetto.

La progettazione di questo edificio trattava di decisioni estetiche radicate in una particolare posizione teorica, infatti le scelte adottate si trovavano al di fuori della pratica modernista consolidata dell’epoca sia nell’Asia meridionale che negli Stati Uniti.

A destra: Sher-e-Bangla Nagar, Dacca, Bangladesh (19621983). Pianta dell’intero complesso.

In basso, a sinistra: Ponte d’ingresso all’edificio, dettaglio.

In basso, a destra: Edificio dell’Assemblea Nazionale, vista da ovest. Il National Assembly Building si trova come un’entità enorme nel deserto bengalese; ci sono otto aule allineate concentricamente attorno alla grande camera parlamentare, che non è solo una metafora per porre il nuovo governo democratico al centro dell’edificio, ma è un segno di come Louis Kahn progettasse gli spazi secondo il modo in cui l’uomo avesse interagito all’interno di esso.

In alto: Copertura dell’Aula dell’Assemblea e dettaglio delle sedute interne.

A sinistra: Deambulatorio nell’edificio dell’Assemblea Nazionale, che amplifica l’intento elevato dell’Istituzione fornendo contemporaneamente uno spazio meno formale per l’attività connessa.

Il Palazzo dell’Assemblea Nazionale è stato concepito concettualmente nel 1959 dal governo del Pakistan come un’estensione della loro sede parlamentare. Tuttavia, nel marzo del 1971 la costruzione fu interrotta poiché il Bangladesh aveva dichiarato l’indipendenza dal Pakistan. In origine, Kahn aveva intenzione di realizzare un edificio dalla presenza monumentale, ma dopo che il Bangladesh si era ufficialmente rotto dal dominio pakistano il progetto divenne molto più un simbolo di democrazia e orgoglio per il popolo bengalese.

Il National Assembly Building si trova come un’enorme entità nel deserto del Bengala; ci sono otto aule allineate concentricamente attorno alla grande camera parlamentare, che è una metafora per porre il nuovo governo democratico al centro dell’edificio. Fa anche parte degli obiettivi di progettazione di Kahn ottimizzare le configurazioni spaziali in cui i programmi di supporto (uffici, hotel per funzionari parlamentari e un ristorante) proiettano fuori dal volume centrale. Come accennato prima l’architettura moderna non promette nulla di buono con l’identità; la sua identità si colloca all’interno della dicotomia autonoma degli architetti moderni e del loro lavoro lontano dalla cultura e dai precedenti architettonici. Il National Assembly Building è unico nel senso che è modernista in linea di principio, ma è un progetto profondamente radicato nel suo contesto, i cittadini e il linguaggio bengalese.

In un periodo caratterizzato da una profonda rivoluzione dei valori umani e sociali, noi dobbiamo a Louis Kahn una ridefinizione del termine “istituzione”. È un’idea più che una realtà, è un principio o un ordine fondato sulle caratteristiche comuni del genere umano. Quando un edificio non ottiene questa approvazione, l’architettura pur assolvendo sommariamente una funzione, non è certo sufficiente a risolvere tutti i problemi in campo, ma deve riuscire ad essere un esemplare di istituzione, che può essere anche inteso da Louis Kahn con la volontà di agire. Le istituzioni, pensate e progettate come luoghi per l’incontro, possono dimostrare il valore dell’individuo, se questi si fanno carico degli interessi della collettività. Per Kahn era dunque urgente arrivare ad una concezione più giudiziosa di questi luoghi, nuovi spazi in cui il mondo potrà divertirsi a piacere con le sue aspirazioni e i suoi bisogni.

La progettazione di edifici destinati a luoghi di assemblea offrì a Louis Kahn straordinarie opportunità di espressione dei propri principi. Non tutti i suoi progetti furono realizzati, ma in quei pochi che lo furono la sua visione fatta di principi senza tempo assunse una forma tangibile, e la promessa di una nuova architettura venne mantenuta. A Fort Wayne, Kahn discusse con passione la questione dell’organicità del complesso, come attributo essenziale al suo significato. Portò a termine questa ricerca nonostante gli incarichi ricevuti fossero maggiori di quanti ne

potesse seguire agevolmente, resi inoltre difficili dalle complessità burocratiche e dai lunghi viaggi in climi non abituali. Kahn credeva che la natura dell’assemblea si definisse a partire da un concetto più ampio rispetto alle componenti laiche o religiose ritenute secondarie.

In base al programma ricevuto durante la prima visita a Dhaka, all’inizio del 1963 Kahn preparò alcuni schizzi nei quali indicò la posizione degli elementi principali all’interno dell’area, e nell’angolo inferiore a sinistra evidenziò, con linee marcate, il motivo geometrico che avrebbe informato il complesso dell’assemblea e della moschea: due quadrati, di cui uno ruotato di 45 gradi rispetto all’altro.

La prima presentazione del progetto vedeva il quadrato ruotato dell’edificio dell’Assemblea Nazionale, rappresentato schematicamente con una bassa cupola posta quasi al centro della pianta, e contrafforti angolari, che alludevano a minareti, espandevano il quadrato della moschea cui erano contigui. Per configurare il terreno in gran parte piatto e per ripararlo dalle inondazioni, erano previste strade su terrapieni; le costruzioni vennero collocate su altri terrapieni dalla forma geometrica, in parte delimitati dal lago che veniva sfruttato come vincolo di distribuzione e di delimitazione. All’estremità opposta dell’area estesa vennero disposti le scuole, le biblioteche e altri servizi, raggruppati nella Cittadella delle istituzioni a bilanciare la Cittadella dell’assemblea. Gli edifici erano disposti con enfasi, formavano una composizione unitaria in cui l’evidenza delle connessioni sembra fondamentale.

L’architettura della connessione, quella che connette gli spazi utilizzabili… Questa è la misura dell’architetto, l’organizzazione degli spazi di collegamento, quella che offre a chi cammina attraverso l’edificio la percezione dell’intero senso dell’istituzione.

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Il progetto di Kahn fu sottoposto alle vicissitudini di un programma complesso e in continuo sviluppo. Quando vennero aggiunti ulteriori componenti, la semplice chiarezza dello schema iniziale fu sostituita da un maggior affollamento di elementi. Per necessità gli associati si occuparono delle residenze e di alcune strutture annesse, sebbene Kahn sorvegliasse per quanto possibile persino i più piccoli elementi durante le sue visite in cantiere. Risulta evidente che egli era più impegnato nel progetto dell’osservatorio (aggiunto al programma nel 1963) e nelle categorie più impor-

Le forme geometriche sulle diverse facciate aggiungono un impatto drammatico all’edificio. Si tratta di forme astratte che si trovano nella cultura bengalese che hanno lo scopo di creare un matrimonio di identità culturali, oltre a fungere da pozzi di luce e un sistema di controllo ambientale naturale per l’interno.

Per Kahn, la luce era un aspetto importante nella progettazione di un edificio, non solo come un modo per illuminare uno spazio, ma anche come concettualizzare la luce in veste di creatrice di spazio. tanti delle residenze dove la sua impronta risulta più chiara. ll tentativo di Kahn di scavalcare il modo in cui il cemento armato era tipicamente utilizzato nel Pakistan orientale all’inizio degli anni ‘60 mostra che cercava di usare la sua autorità come esperto occidentale importato per introdurre pratiche che aderivano alla sua posizione teorica ed estetica personale piuttosto che a quella locale o delle norme internazionali. Inizialmente ha cercato di importare nuove soluzioni progettuali a livello architettonico nella cultura edilizia del Pakistan Orientale, però successivamente fu costretto al compromesso: ha sviluppato un sistema che rispondeva alle richieste pakistane, ossia di fare riferimento alla cultura islamica e alle capacità tecniche dei lavoratori edili locali. L’approccio monolitico di Kahn al calcestruzzo non rappresentava la tecnologia moderna ma l’estetica modernista, ossia la visione del dopoguerra all’interno del movimento moderno, lontano dall’enfasi sulla leggerezza verso un impegno con la monumentalità e la permanenza.

Il contributo distintivo di Kahn a questo sviluppo, la sua insistenza su un particolare finale, sarebbe diventata la base di gran parte di quello che venne chiamato regionalismo critico. Ha utilizzato il calcestruzzo per le sue pareti monolitiche, scavalcando la consapevolezza delle incursioni che sia le moderne tecniche di costruzione che le forme moderniste avevano già fatto in città, inoltre il modo in cui ha utilizzato questo materiale differiva dal mainstream internazionale del periodo.

Eroso da ritagli geometrici a più piani sia sulle facciate esterne, sia del principale spazio di circolazione interno,

l’intero complesso è colato con marmo bianco intarsiato, che non è solo una dichiarazione modernista di potere e presenza, ma è più una testimonianza dei materiali e dei valori locali.

L’edificio appare per quello che è, non viene rivestito in alcun modo. La massa iper geometrica di questi progetti sfidava le dimensioni architettoniche normative, con vaste aperture circolari o triangolari che bucavano superfici più ampie. Grande attenzione fu riservata per gli “spazi servi”, cioè degli ambienti che hanno un ruolo di supporto al resto delle strutture, come scale e corridoi. Nella realizzazione di questa struttura si leggono ovunque i segni dell’impegno della comunità locale.

La Jolla, California

Nello stesso periodo in cui approfondiva il tema dell’architettura per i luoghi di riunione Louis Kahn progettava architetture in cui si realizzava quell’intreccio complesso di attività collettive e individuali caratteristico di scuole, centri di ricerca scientifica e monasteri. Queste istituzioni erano tra quelle definite da Kahn “luoghi dell’ispirazione”, luoghi connotati dall’ispirazione fondamentale allo studio e, al tempo stesso, dalla necessità di accogliere il sapere all’interno di una comunità. Per queste istituzioni Kahn ideò un’architettura radicata nell’ordine naturale e nella tradizione storica.

L’apprendimento rappresentava per Kahn una ricerca esistenziale e costituiva nel profondo l’esplorazione della vita stessa. La costruzione di comunità era perciò una delle principali responsabilità del genere umano, e quindi dell’architetto. Come affermò in un’intervista nel 1961: “Volevo soprattutto indicare un modo di vita all’uomo della strada”. Il primo atto progettuale, caratteristico di Kahn, era rappresentato dalla riduzione dei programmi architettonici della committenza all’essenza dell’attività umana che sottendevano. Era dunque in questo modo che Kahn stabiliva il carattere di un edficio, basandosi più sulla propria sensibilità piuttosto che sulle condizioni della committenza. La concezione di Kahn, relativa alle istituzioni destinate allo studio e alla contemplazione, era influenzata sia dalla propria esperienza didattica, che dalle sue idee sulla vita monastica e dalla sua attenzione per un’architettura socialmente impegnata.

Nell’idealizzazione dei programmi per questi edifici, Kahn combinava questa immagine del lavoro collettivo dell’educazione con una visione ancora più astratta della solitudine monastica. Come Le Corbusier prima di lui, Kahn fece riferimento al modello abitativo del monastero, citando spesso la famosa pianta del monastero di San Gallo. Nonostante Kahn avesse progettato numerose sinagoghe, chiese e moschee, era personalmente più incline a un tipo di meditazione più intima, di tipo monastico, rispetto alle manifestazioni religiose collettive. Alla contemplazione veniva dunque attribuito un universale significato educati-

A destra: Salk Institute for Biological Studies, La Jolla, California, (1959-1965). Pianta dell’edificio e veduta della corte verso est.

Sotto: veduta della corte dei laboratori verso ovest.

vo, come un modello rilevante per quella parte complementare, indipendente dell’esperienza del sapere.

Jonas Salk fu l’intellettuale più autorevole che Kahn avesse mai avuto come comittente. La condivisione dell’idea di porre rimedio alla moderna schizofrenia della separazione tra intelletto e spirito, fu alla base della loro amicizia e collaborazione. Lo sforzo di Salk si incentrava soprattutto su una riconciliazione tra cultura scientifica e umanistica. Aveva previsto una struttura che avrebbe sostenuto la ricerca scientifica ed insieme favorito lo scambio di idee tra scienziati e altri esponenti della cultura. Alla visione di Salk delle due culture, Kahn dette forma attraverso i concetti di “misurabile” e “incommensurabile”, secondo un lessico evidentemente congruente con la concezione, sua propria, di ‘forma’ e ‘design’, accettando infine la sfida di realizzare la visione olistica di Salk come parte della propria ricerca architettonica.

Non ricercavo nulla di piacevole, ma soltanto una chiara espressione di un modo di vita.

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La suddivisione complessiva del programma del Salk Institute in tre edifici rappresentava una più generale indicazione del desiderio di Kahn di distinguere ogni funzione attraverso uno specifico carattere architettonico. Naturalmente né gli alloggi né l’edificio di riunione furono realizzati, e soltanto i laboratori, fin dall’inizio connotati in modo distinto, rimangono a rappresen-

In alto: le ariose torri degli studi. Si tratta di una struttura in calcestruzzo e cubicoli in teak posti a due dei quattro livelli. Attraverso queste, che sembravano celle monastiche rivolte verso la corte, Kahn riuscì a trasferire la propria sensibilità nel progetto con maggiore chiarezza rispetto alle parti della struttura destinate alle attrezzature tecniche.

L’attenzione continua di Kahn per i materiali costruttivi si trasformò in una passione assoluta per la definizione dei dettagli e delle rifiniture. Gli standard raggiunti in questi edifici relativamente al calcestruzzo gettato in opera non furono mai superati e raramente furono eguagliati. tare la grandiosa visione di Salk e di Kahn. L’iniziale soluzione a quattro laboratori, con gli edifici organizzati a coppie intorno a due corti, non rappresentava quella completezza che Salk auspicava per la sua istituzione. Egli riteneva più adatti due edifici, affrontati, separati da uno singolo spazio comune. All’inizio Kahn non fu d’accordo, ma presto giunse ad apprezzare la logica della prospettiva di Salk.

Guidato dalle immagini monastiche associate al progetto, Kahn aveva inizialmente concepito questa corte centrale come un giardino verdeggiante, un elemento estraneo rispetto all’arido paesaggio circostante. Tuttavia, anche questa proposta fu rivalutata, lasciando spazio alla realizzazione di una piazza in pietra, una vera e propria facciata rivolta al cielo. Infine, progettò la corte solcata da un canale centrale in cui l’acqua scorreva, sotto l’asse della traiettoria apparente del sole, verso una cascatella artificiale all’estremità rivolta verso l’oceano. Questa fu un’idea che derivò certamente dai giardini moghul visitati durante i soggiorni in India. Ma oltre qualsiasi particolarità di ispirazione, le due superfici della corte rappresentavano l’espressione generale della distanza fondamentale che l’artista deve stabilire tra il proprio lavoro e la natura.

New York

Il memoriale di Franklin D. Roosevelt al Four Freedoms Park consiste in un parco di quattro acri realizzato per ricordare la memoria del 32° presidente degli Stati Uniti e i suoi “Four Freedoms” ovvero i quattro pilastri della libertà che lui stesso aveva enunciato durante la riunione del congresso del 1941. Il parco si trova a New York City, nel punto più a sud della Roosevelt Island, nell’East River tra l’isola di Manhattan e il Queens. Nel 1973 Kahn ricevette l’incarico molto importante di realizzare il monumento in memoria di Roosevelt, ed essendo Kahn un convinto sostenitore del New Deal, prese molto a cuore questo progetto. L’architetto pensò di sviluppare il concetto di monumento commemorativo realizzando una combinazione di due forme archetipe: “Un memoriale dovrebbe consistere in una stanza e in un giardino. Questo è tutto. Perché penso a una stanza e a un giardino? Essi costituiscono soltanto i presupposti scelti. Il giardino è in qualche modo espressione di una natura privata, di un tipo di dominio personale sulla natura, un insieme di aspetti differenti della natura. E la stanza è il principio dell’architettura”.

Kahn collocò questa stanza ideale all’estremità dell’isola, il cui accesso avveniva attraverso un prato incorniciato da fitti filari di alberi. All’inizio egli immaginava la stanza definita da enormi lastre, con una scala imponente, ma la presentazione del modello il 26 aprile 1973, fu ridotta a una piattaforma pavimentata con ambienti protetti su due lati da pareti in semplice pietra, nella quale erano state collocate le statue di Roosevelt insieme a due file di quattro pilastri che rappresentavano le quattro libertà (di parola, di religione, dal timore e dal bisogno). Le pareti dovevano essere costituite da blocchi il più grandi possibile, nei quali le fessure accuratamente studiate avrebbero filtrato i raggi di sole all’alba dell’anniversario della nascita di Roosevelt e al tramonto dell’anniversario della sua morte. Questo allude indubbiamente alla descrizione di Kahn circa l’inizio dell’architettura attraverso la suddivisione dei muri. Il progetto finale completato nei mesi immediatamente

A destra: Four Freedoms Park (1974). Pianta della struttura con il relativo complesso memoriale all’estremità. Il parco prende la forma dell’isola Roosevelt Island (NYC), adattandosi all’andamento piramidale di quest’ultima.

In basso: Visione prospettica della Roosevelt Island.

precedenti la morte di Kahn, costituiva un’ulteriore riduzione.

Gli emblemi delle quattro libertà furono rimossi e dopo aver attraversato la sequenza di gradini dalla forma d’imbuto disegnati da Pattison, il visitatore entrava nella stanza di Kahn la cui architettura era ridotta a un’essenza primitiva che egli definiva lo spazio di un tempio pre-greco. La stanza del monumento, dalle murature di una indiscutibile purezza tettonica e dal soffitto costituito dalla luce del cielo stessa, consentiva la vista solo verso sud sul fiume, e oltre la sede dell’ONU verso il Williambsburg Bridge. Il vicino frastuono di Manhattan e lo spigoloso skyline del centro erano schermati alla vista. Questo era il luogo della quiete alla fine di un viaggio.

Insieme al piacere del fare architettura, Kahn ne aveva recuperato l’importanza. Aveva risollevato il modernismo della banalità indotta dal successo commerciale e lo aveva sottoposto a una seria riflessione sui temi della progettazione di luoghi per le attività umane e della definizione dello spazio mediante struttura, massa, luce. Kahn poté fare ciò che alla generazione precedente non era stato consentito. Non più timoroso che la creatività avrebbe potuto essere congelata da qualcosa di più che un’occasionale sguardo retrospettivo nel passato, egli poteva liberamente arric-

In alto a sinistra: Founders Wall, un’incisione sulla pietra nuda elenca i nomi di coloro che hanno reso possibile questo memoriale.

In basso a sinistra: Muro di pietra bianca che riporta incisa una parte del discorso che F. D. Roosevelt tenne durante la riunione del congresso del 1941, nel quale venivano enunciati e spiegati i quattro pilastri della libertà americana. chire la propria architettura attingendo dal tesoro artistico e filosofico della storia. Perfino tra i colleghi e gli studenti che ammiravano Kahn pochi riconoscevano che la sua filosofia richiedeva che ogni architetto ricercasse la propria personale comprensione delle istituzioni umane e sperimentasse da sè le leggi naturali che definiscono i limiti del progetto. Ciò che essi riuscivano a cogliere era soltanto l’esempio della eloquente architettura di Kahn ed era questo che essi emulavano. I risultati erano spesso infelici poichè nessuno poteva eguagliare la sua abilità nel rendere vivi i materiali pesanti o nel portare la complessa progettazione oltre l’elaborazione degli schemi formali.

In alto, su questa pagina: Statua del capo di F. D. Roosevelt, protetto dalle mura bianche ideate da Kahn, a cielo aperto.

SOCIAL UTOPIA

dalla Cité Industrielle di Garnier ad Apple

Facciamo un esperimento: chiudete gli occhi e immaginate la vostra città ideale. Auto volanti? Case tascabili? Mezzi pubblici capaci di viaggiare alla velocità del suono e di portarvi da una parte all’altra dell’Europa in pochissimo tempo? È una citta in cui vi sono diseguaglianze oppure tutti hanno accesso alle stesse risorse? E ora aprite gli occhi, guardatevi attorno e chiedetevi: “è realmente tutto possibile?”. Sicuramente no perché, purtroppo,la realtà non è all’altezza dell’immaginazione, però possiamo andarci molto vicini. Ecco perché, in questo capitolo, parleremo di Social Utopia: le utopie urbanistiche che hanno cambiato il nostro modo di pensare, vivere e immaginare il luogo in cui viviamo.Tre tra le più importanti idee novecentesche di pensare la città: al centro della nostra riflessione i lavori stravaganti e antropocentrici del gruppo di architetti inglese Archigram, attivo nei primi decenni della seconda metà del Novecento. Faremo poi un passo indietro a “La cité industrielle” dell’architetto francese Tony Garnier, capace di anticipare di oltre due decenni l’architettura moderna. E poi torneremo di nuovo negli anni 60 del Novecento, ma questa volta in Italia, con il grande sogno imprenditoriale di uno tra i più importanti industriali nel Mondo: Adrano Olivetti, al quale la Apple dei tempi d’oro di Steve Jobs deve molto. Il denominatore comune che lega queste tre grandi storie? L’idea del valore della persona e di una comunità inserita in una realtà urbana in grado di evolversi alla stessa velocità dell’ingegno umano. Tre grandi realtà, lontane nel tempo, ma proiettate tutte assieme in uno dei migliori futuri possibili a cui possiamo aspirare ancora noi oggi.

Disegnio del progetto The Walking City illustrato nel quinto numero del magazine di Archigram (1964)

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