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Biofilia

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Lous Kahn

Lous Kahn

The Rolex Learing Center

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Losanna, Svizzera , 2010 Project: SANAA

Creato per il campus EPFL, (Ecole Polytechnique Fédérale Lausanne) Il Rolex Learning Center di SANAA ospita funzioni destinate a servizi per lo studio, l’insegnamento, la ricerca, la socializzazione, l’intrattenimento e l’amministrazione, lo studio SANAA ha dato vita ad un potente dialogo, in forma di edificio, tra ambiente e cultura, oggetto e soggetto.

Architettonicamente l’edificio si presenta come un gigantesco e fluido open space a pianta quadrata, dove tetto e soffitto viaggiano paralleli senza interruzioni, seguendo un andamento dolcemente ondulato che crea uno spazio unico di 20.000 metri quadrati. La peculiarità di questa struttura è proprio questa, al suo interno non esistono pareti divisorie, le aree indipendenti sono state create variando le altezze.

La modellazione digitale del flusso d’aria, dell’illuminazione e le misurazioni termiche, hanno permesso all’azienda di portare l’efficienza energetica del nuovo edificio a un massimo tecnico. L’illuminazione nelle ore diurne è in gran parte naturale infatti il consumo di energia è ridotto grazie all’alta qualità delle finestre con doppi vetri; ai 20 cm di isolamento del tetto e ai 35 cm di isolamento del pavimento e alle tende esterne. Infine l’installazione di pompe termiche che utilizzano l’acqua del lago garantisce il rinfrescamento a tutto il campus. L’ottenimento della certificazione Minergie è un risultato ancora più eccezionale dato che l’edificio è a pianta aperta.

In alto la vista aerea del Rolex Learing Center di Losanna. In basso l’utilizo degli spazi sottostanti, per scopi sociali.

Bosco Verticale

Milano, Italia, 2015 Project: Boeri

In alto la visione del Bosco Verticale nella stagione autunnale. In basso l’immagine della struttura appena inaugurata dal Boeri Studio.

Gli edifici sono realizzati con una struttura in calcestruzzo armato con solette in spesse 28 cm. Le facciate, rivestite in gres porcellanato grigio scuro si caratterizzano per gli abbondanti sporti dei balconi, profondi fino a 3,35 metri che servono ad ospitare un apparato vegetale composto da oltre cento specie tra cui peri selvatici, roverelle, lecci, noccioli turchi e olivi. Il verde è posizionato in base all’esposizione e alle esigenze di ombreggiatura degli appartamenti, oltre che secondo criteri estetici. Tra il rivestimento interno impermeabilizzante delle vasche e lo strato di coltivo è collocato un sistema antiradice e di drenaggio con strati in polietilene e geotessuto. L’irrigazione delle piante, invece, avviene attraverso un complesso sistema centralizzato con distribuzione ad ala gocciolante, la manutenzione delle piante è affidata alle gru posizionate sul tetto dei due palazzi. Con questo sistema di integrazione del verde nelle grande metropoli si potrebbe ottenere creazione di microclimi, riavvicinare le persone che ci vivono alla natura e diminuire le emissioni di Co2.

I costi di installazione e manutenzione del verde verticale però tendono ad oggi a vanificare quanto realizzato di buono sul piano ecologico oltre alle già irrisolte problematiche dei consumi per il raffrescamento e per l’irrigazione, inoltre rendono tali strutture architetture per pochi, non permettendo l’accessibilità alla cittadinanza nel suo complesso.

L’Icefiord Center ricorderà una grande tenda, una struttura triangolare in forte pendenza con una pianta a forma di L leggermente curva. Il centro si inserirà dolcemente nel contesto e offrirà al pubblico un percorso di visita interno e uno esterno camminando sulla copertura in pendenza. All’interno le pareti vetrate, alternate alla struttura triangolare portante, offriranno punti di vista privilegiati da cui osservare il ghiacciaio e la valle.

Icefjord center

Greenland 2020 Project: Dorte Mandrup Arkitekter

Dorte Mandrup ha vinto il concorso internazionale per la progettazione dell’Icefjord Centre di Ilulissat nell’estate 2016. Il concorso è stato lanciato dal governo della Groenlandia con l’obiettivo di creare un luogo di incontro locale e internazionale presso l’Icefjord. Situato a 250 km a nord del circolo polare artico, il centro si trova in uno scenario drammatico e caratteristico.

Tra le creste montuose dell’Icefjord scorrono i ghiacciai più veloci del mondo, in una corsa verso l’oceano. Sul fronte del ghiacciaio, giganteschi iceberg stanno irrompendo in un dramma fragoroso. Mentre escono attraverso il fiordo, si ribaltano fino a migliaia di metri di iceberg. Lo scenario naturale unico di montagne, mare e il drammatico viaggio degli iceberg dalla calotta glaciale al mare ha conferito all’Icefjord lo status di patrimonio mondiale inalienabile. Da 250 anni gli scienziati seguono il ghiacciaio Sermeq Kujalleq, dove il riscaldamento globale è più evidente. Qui, il ghiaccio interno della Groenlandia defluisce negli oceani a velocità crescente ogni anno. Con l’apertura dell’Icefjord Center nella primavera del 2021, la storia del ghiaccio verrà raccontata a locali, turisti e ricercatori di tutto il mondo.

L’area del fiordo di ghiaccio protetta dall’UNESCO trasporta 4.000 anni di patrimonio culturale ed è essenziale per comprendere la crisi climatica. Selezionato dalla giuria per il suo “design poetico, semplice e visionario”, l’edificio assume la forma di una gigantesca capriata in legno, che consente alla struttura di fluttuare delicatamente sopra l’aspro paesaggio della valle di Sermermiut. L’inaugurazione dell’Icefjord Center si è svolta nell’estate del 2019. Quattro mesi dopo, i vetri delle finestre inclinati e 52 esclusivi telai in acciaio si stavano sollevando sopra un lago interno.

La forma aerodinamica è ora visibile nel paesaggio, dove è progettata per ridurre al minimo l’accumulo di neve mentre inquadra le viste verso il fiordo. La struttura dell’edificio in legno è coperta da una passerella curva in leggera pendenza che diventa il punto di partenza per il Sentiero del Patrimonio Mondiale e, allo stesso tempo, funge da punto di raccolta e da una piattaforma panoramica e un’area salotto informale offrendo una vista spettacolare e indisturbata della valle di Sermermiut e del fiordo di ghiaccio nel tramonto serale. Le pareti vetrate, alternate alla struttura triangolare portante, offriranno punti di vista privilegiati da cui osservare il ghiacciaio e la valle. All’interno, il progetto ospita un caffè, un’area espositiva e uffici. La forma curva è creata da diversi telai geometrici in acciaio, creando un tetto a doppia curvatura. La struttura è rivestita da una pavimentazione in legno e si attorciglia per toccare il suolo su entrambe le estremità, fornendo accesso alla piattaforma panoramica sul tetto del padiglione. La geometria dell’edificio cambia di sezione con un flusso costante e inquadra le viste in continuo cambiamento. Il centro racconterà la storia del ghiaccio, della storia umana e dell’evoluzione in senso sia locale che globale.

The Interlace

Singapore, 2015 Project: OMA

The Interlace, uno sviluppo residenziale su grande scala progettato da OMA in collaborazione con Ole Scheeren a Singapore, è costruito come una vasta rete di spazi privati e condivisi, una reinterpretazione radicale della vita comunitaria contemporanea.

Piuttosto che seguire la consueta tipologia residenziale per ambienti ad alta densità edilizia, il progetto di Interlace trasforma l’isolamento verticale in connessioni orizzontali e ripristina il concetto di comunità come una questione fondamentale per la società contemporanea. I blocchi interconnessi creano una moltitudine di spazi esterni comuni, formando una topografia di giardini terrazzati che attraversano i volumi sovrapposti e sfalsati. In parte appoggiati gli uni agli altri, in parte sospesi, questi volumi si intrecciano per disegnare uno spazio fortemente caratterizzato che collega le residenze private agli spazi comunitari, accessibili e inclusivi. Gli aspetti di sostenibilità sono stati parte integrante della fase progettuale, durante la quale è stata svolta un’attenta analisi ambientale e prevista l’integrazione di strategie energetiche passive a basso impatto. Una serie di studi ambientali del vento, dell’orientamento solare e delle condizioni di luce ha determinato le strategie intelligenti per il complesso edilizio e la progettazione del paesaggio. The Interlace è il vincitore della prima edizione dell’Urban Habitat Award 2014 per i suoi contributi innovativi alla dimensione urbana e alla sostenibilità.

In alto la vista frontale di The Interlace, con i suoi 31 blocchi residenziali connessi con la vegetazione. In basso il dettaglio dei cortili esterni comuni.

In alto la visione frontale di The Urban Forest, con dettaglio sulla vegetazione. In basso la vista panoramica del progetto nella città di Chongqing, Cina.sit amet diam porta vulputate.

Urban Forest

Pechino 2021 Project: MAD

Entro la fine del 2009, MAD ha completato il concept di un complesso culturale metropolitano alto 385 metri nel centro della città di Chongqing - The Urban Forest. Attingendo al paesaggio montuoso del paese, l’edificio a molti piani è costituito da pavimenti curvi e di forma astratta che sono stati stratificati leggermente fuori centro l’uno dall’altro.

The Urban Forest si concentra sulle relazioni multidimensionali all’interno di spazi complessi; sky garden multipiano, cortili galleggianti e sereni spazi di raccolta. Alcuni piani non sono altro che open space, mentre altri contengono uffici o spazi residenziali.

La forma architettonica si dissolve nel movimento effimero dell’aria, del vento e della luce. Dopo l’installazione, gli alberi sono soggetti a forti venti in quota, il vento può anche interrompere i processi fotosintetici, mentre il caldo e il freddo devastano molte specie di alberi. La copertura verde della vegetazione richiede un substrato di coltivazione, tessuto filtrante, strato di drenaggio, isolamento e membrana impermeabile, rendendo necessari degli interventi continui di manutenzione.

Tale edificio non dovrebbe solo spingere la crescita economica e la prosperità materiale, ma anche favorire l’evoluzione dell’essenza culturale della città. The Urban Forest trae ispirazione dal punto di vista della natura e dall’uomo nella filosofia orientale, e lega la vita della città con le esperienze all’aperto.

The New York Times New York, Usa, 2014 Project: Renzo Piano

Situato a breve distanza da Times Square, il New York Times Building, si è inserito nello skyline della Grande Mela e si è fatto subito notare, non tanto per le sue dimensioni ma quanto per le sue caratteristiche molto particolari, che portano la firma dell’illustre Renzo Piano.

L’architetto sostiene che l’edificio del New York Times sulla 8th Avenue ha una presenza di forte carattere urbano. Il progetto è stato realizzato come prolungamento della strada in cui si colloca, e al piano terra presenta un giardino con auditorium. Piano per questa struttura di 52 livelli intende attribuire all’intervento il maggior grado di apertura e trasparenza, come simbolo del rapporto tra il giornale e la città. Per le facciate è stata adottata una combinazione di superfici vetrate trasparenti e una trama di profili in ceramica bianca, sospesi a 61 centimetri di distanza dall’involucro di vetro, che funge da frangisole ovviando la necessità di ricorrere a vetri colorati o a mescole. Il giornale occupa la metà inferiore della struttura, mentre la società immobiliare Forest City Ratner gestisce la commercializzazione del resto dell’edificio. La base di sei livelli accoglie un atrio con punti vendita, ristoranti e un auditorium per conferenze.

Il New York Times Building è anche un edificio green ed ecosostenibile: gran parte dell’illuminazione viene fornita dalla luce naturale e ogni ambiente è dotato di un sistema che aumenta o diminuisce l’illuminazione in maniera automatica a seconda della potenza della luce del sole e dalla presenza o meno di persone all’interno. Anche la temperatura e la qualità dell’aria vengono costantemente monitorate attraverso dei sensori che in caso di necessità attivano automaticamente l’aria condizionata o il riscaldamento e le ventole di circolazione dell’aria. A questo si aggiunge poi il fatto che l’edificio è costituito per gran parte da materiali riciclati. In un grattacielo così attento all’ambiente non poteva mancare un giardino, nato da un connubio tra un’oasi di pace e relax in armonia con la natura e una vivace piazza cittadina in cui ci si incontra e si socializza. Il paesaggio naturale richiama alla Hudson River Valley e il microclima viene controllato con un sistema che simula le stagioni. E così ci si ritrova a passeggiare attraverso uno scenario verde smeraldo composto da felci, betulle e altri tipi di piante che regalano splendidi paesaggi rossastri o fioriti a seconda della stagione. Sul giardino, situato al piano terra, si affacciano la lobby e la sala teatro, chiamata Times Center, uno spazio artistico e culturale che evoca le atmosfere dei teatri di Broadway con le sue poltrone rosse e gli arredi in legno. Qui si tengono piccoli spettacoli, seminari, proiezioni di film e concerti.

Per la sua considerevole altezza, l’ubicazione centrale e la vocazione, il New York Times Building è una delle più prestigiose commissioni assegnate ad architetti stranieri negli ultimi anni a Manhattan.

In alto vediamo l’interno dell’edificio che ospita un giardino interno a perto al pubblico. In basso viene mostrato l’interno della struttura che ospita punti vendita, ristoranti e una sala conferenze. A destra viene mostrata che presenta il famoso progetto grafico realizzato da Michael Bierut.

CopenHill

Copenhagen, Danimarca 2017 Project: Neveplast

Il termovalorizzatore Amager Bakke a Copenaghen, in Danimarca è stato progettato dallo studio Big. Il termovalorizzatore è un tipo di inceneritore in cui il calore prodotto dalla combustione dei rifiuti viene utilizzato per produrre energia è stato aperto nel 2017.

Il progetto, ideato dallo studio dell’architetto danese Bjarke Ingels, era stato pensato non solo per smaltire i rifiuti ma anche per diventare un punto di ritrovo per i cittadini di Copenaghen. CopenHill prevede una pista da sci realizzata con un materiale sintetico prodotto dall’azienda italiana Neveplast, che permette di sciare tutto l’anno, percorsi per fare trekking e strumenti per fare attività sportiva all’aperto.

L’enorme edificio cuneiforme è stato rivestito da centinaia di “blocchi” in alluminio, impilati come enormi mattoncini Lego, per dare continuità visiva sopra la sottostante struttura in acciaio e calcestruzzo. Allo stesso tempo, la forma a spirale conferisce dinamismo ad una enorme costruzione che rischiava di risultare altrimenti tozza e pesante. La copertura di tessuto sintetico verde della pista da sci gli ha conferito un aspetto da collina verde da qui il nome CopenHill. L’impianto brucia 70 tonnellate di rifiuti all’ora, e in un anno è in grado di trattare circa 400mila tonnellate di rifiuti solidi prodotti a Copenaghen, prodotti da 550-700mila cittadini e 46mila imprese. L’idea è di aprire ai cittadini un edificio che di norma viene considerato chiuso e inavvicinabile se non addirittura ostile.

In alto la vista laterale di Amager Bakke. In basso un particolare della pista sintetica di CopenHill costruita da Neveplast, azienda leader delle piste artificiali per sport e divertimento, che ha prodotto un manto sintetico erboso in cinque colorazioni diverse di verde, atte a renderlo sempre di più una collina. Il comprensorio sciistico è composto da tre piste di diversa difficoltà (azzurra, rossa e nera) con servizi di noleggio sci, quattro skilift, dei punti di ristoro e una scuola di sci, offrendo quindi il “pacchetto completo” per chi volesse avvicinarsi a questa disciplina senza aver bisogno di un manto di neve fresca.

Simmons Hall, Mit

Cambridge, Boston, Usa, 1999 Project: Steven Holl Architects

In alto mostra il complesso con la sua forma peculiare. In basso dettaglio delle finestre. I fori sulla facciata sono evidenziati da un trattamento cromatico diverso dalla superficie più esterna.

La nuova Simmons Hall al MIT, progettata da Steven Holl, è un landmark dell’architettura contemporanea americana.

L’università di Cambridge è la culla di un nuovo modello di intervento a scala urbana. Nell’intervento di Holl il dormitorio non è più semplicemente un luogo dove riposarsi, ma diventa uno spazio che risponde a un programma di attività pienamente evoluto: un condensatore sociale nel vero senso della parola. Il progettista ha pensato a una serie completa di funzioni sociali: una mensa collettiva, un ristorante raggiungibile direttamente dalla strada e una varietà di spazi comunitari caratterizzati dai singolari pozzi di luce che perforano ogni livello dell’edificio, portando la luce naturale fino al cuore della struttura. All’esterno c’è anche un teatro con annessi impianti sportivi.

L’edificio appare come un immenso prisma di dieci piani lungo definito da prospetti regolati da una maglia ortogonale con bucature quadrate. Lunga non meno di 140 metri e alta 10 piani, la Simmons Hall è una vera porzione di città. L’edificio ha cinque grandi aperture che danno agli ingressi principali, ai corridoi panoramici e alle terrazze delle attività all’aperto. Le grandi e dinamiche aperture portano la luce naturale verso il basso e spostano l’aria verso l’alto. Ciascuna delle stanze singole del dormitorio ha nove finestre apribili. Gli arredi sono una serie di elementi componibili che permettono di organizzare la stanza a piacere dello studente.

Centro culturale Jean-Marie Tjiabaou

Numea, 1993 Project: Renzo Piano

Il Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou è uno tra i più noti progetti di Renzo Piano, è un centro dedicato alla cultura Kanak della Nuova Caledonia, situato nei pressi della città di Numea sulla penisola di Grande Terre.

Il centro è stato realizzato per presentare e promuovere la cultura indigena del popolo Kanak, le sue tradizioni, la lingua, l’artigianato e l’arte. Anche per questo, nel progettare il complesso, Piano ha incluso una serie di riferimenti all’architettura tradizionale canaca. Infatti, il complesso è composto da dieci padiglioni a pianta circolare, ispirati dalla tradizionale capanna conica, detta Grande Case. Diversamente dalle capanne tradizionali, che sono strutture semi-temporanee realizzate normalmente con elementi vegetali raccolti sul posto, i padiglioni sono stati realizzati con materiali durevoli, tra cui legno d’iroko, legno lamellare, alluminio, acciaio e vetro. La decisione di Piano di utilizzare l’iroko, un legno importato dall’Africa, per l’ossatura esterna dei padiglioni è dovuta al fatto che l’iroko è preferibile ai legni locali per le sue particolari caratteristiche di durabilità, bassa manutenzione e resistenza alle termiti nei climi tropicali.

Il centro, che sorge su una penisola circondata su tre lati dall’Oceano Pacifico e da una laguna, è caratterizzata da una vegetazione lussureggiante, e la progettazione degli spazi esterni vuole ricreare la stretta relazione tra il villaggio e lo spazio naturale tipico di molte culture locali.

I dieci padiglioni sono divisi in tre gruppi funzionali principali. Il primo gruppo accoglie spazi espositivi dedicati alla cultura Kanak; il secondo gruppo contiene una sala conferenze, una biblioteca; il terzo gruppo ospita sale per musica, danza, pittura, scultura e arti applicate; infine, il decimo padiglione accoglie un bar-caffetteria. Il centro, inoltre, organizza un programma di attività ed eventi con lo scopo di raccogliere la comunità.

Il progetto del Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou è fortemente legato all’idea di una sostenibilità veicolata dall’architettura, invece che da complessi impianti tecnologici. Le strutture hanno un sistema di ventilazione passiva ottenuto grazie a una doppia facciata in cui l’aria circola liberamente tra due involucri frangisole, un sistema di lamelle mobili regola poi il flusso d’aria in base alla velocità del vento. Le facciate rivolte verso sud sono progettate per schermare i padiglioni dai forti venti e dalle tempeste che arrivano dal mare durante la stagione dei monsoni, mentre le facciate a nord, che si affacciano sull’ambiente più tranquillo della laguna, sono più aperte, trasparenti e permeabili. Il passaggio coperto non ha muri perimetrali veri e propri ma è dotato di frangisole in legno, vetro e acciaio, concepiti in modo che la ventilazione naturale lo mantenga costantemente fresco evitando, allo stesso tempo, surriscaldamenti causati da un’eccessiva illuminazione solare diretta. La visita al centro è concepita come una passeggiata attraverso l’ambiente.

In alto abbiamo la vista posteriore del centro, da cui possiamo vedere la sua collocazione nella natura. In basso una vista frontale del centro. Nonostante l’enfasiposta sulla cultura locale, qui Renzo Piano sposa l’uso del legno e la ventilazione naturale con gli elementi di vetro e alluminio. I padglioni del centro riportano tanto a delle vele quanto ai disegni dlle capanne locali. I suoi riferimenti sotili non sono mai tanto letterali da diventare ovvi.

In alto dimostrazione di come la struttura si fonde perfettamente con l’ambiente circostante. In basso in dettaglio è mostrato il sistema di sopraelevazioe. I pali dell’hotel fungono anche da passerella in legno per passeggiate estive. In inverno, la passerella può essere utilizzata per riporre barche e kayak, riducendo la necessità di garage e spazio di archiviazione aggiuntivo. L’altezza della struttura consente inoltre ai canoisti di remare sotto il corpo dell’hotel.

Svart

Svartisen, Norvegia, 2017 Project: Snøhetta

Svart sarà il primo hotel a energia positiva al mondo, situato ai piedi del ghiacciaio Svartisen che attraversa il comune di Meløy, in Norvegia a nord del Circolo Polare Artico.

L’hotel, progettato dallo studio di architettura norvegese Snøhetta, avrà circa 100 camere, un laboratorio di formazione e design e una fattoria sostenibile che produrrà ingredienti per i quattro ristoranti dell’hotel. Svart sarà aperto agli ospiti durante la notte, ai visitatori giornalieri e alla comunità locale.

Il corpo circolare di Svart si estende dalla costa ai piedi della montagna Almlifjellet e nelle acque limpide del fiordo Holandsfjorden. La forma offre una vista panoramica sul fiordo e un’esperienza di vita a contatto con la natura. La costruzione in un ambiente così prezioso comporta alcuni chiari obblighi in termini di conservazione delle bellezze naturali, della fauna e della flora del sito.

Svart è il primo edificio progettato secondo i più alti standard di efficienza energetica nell’emisfero settentrionale. L’hotel risparmierà l’85% del consumo energetico annuale rispetto a un Hotel moderno e raccoglierà energia solare sufficiente per coprire sia le operazioni dell’hotel, incluso il servizio di navetta in barca, sia l’energia necessaria per costruire l’edificio.

La costruzione è basata per quanto possibile su materiali locali e soggetta a rigidi criteri di sostenibilità. Per rispettarli, sono state fatte diverse scelte di design all’avanguardia. Ad esempio, gli architetti hanno condotto un’estesa mappatura di come si comporta la radiazione solare in relazione al contesto montuoso durante tutto l’anno, per ottimizzare il raccolto di energia. Il tetto dell’hotel è rivestito con pannelli solari norvegesi prodotti con energia idroelettrica pulita, riducendo ulteriormente l’impronta di carbonio. A causa delle lunghe notti estive di questa zona, la produzione annuale di energia solare sarà significativa. Le facciate proteggono dall’insolazione dal sole in estate quando è alto nel cielo, eliminando la necessità di un raffreddamento artificiale. Durante i mesi invernali, quando il sole è basso nel cielo, le ampie finestre della facciata consentono il massimo dell’irraggiamento solare per sfruttare la naturale energia termica del sole.

La costruzione si ispira all’architettura vernacolare locale nella forma del fiskehjell, una struttura in legno a forma di “A” per essiccare il pesce, e della rorbue, un tipo tradizionale di casa stagionale usata dai pescatori. Il riferimento alla rorbue si traduce nella struttura portante dell’hotel sorretta da pali di legno resistenti agli agenti atmosferici. I pali assicurano che l’edificio collochi fisicamente un ingombro minimo nella natura incontaminata, formano anche una passerella su cui si può passeggiare.

Il piano prevede che Svart sia indipendente entro cinque anni dall’attività. Ciò significa che l’hotel, compresi i servizi adiacenti, sarà completamente autosufficiente dal punto di vista elettrico e di gestione dei rifiuti.

Children Surgical’s Hospital

Entebbe, Uganda, 2017 Project: Renzo Piano

Sorto su un terreno di 120 mila metri quadri messo a disposizione dal governo ugandese, prossimo alle rive del lago Vittoria, a circa 35 chilometri dalla capitale Kampala, è una moderna struttura ospedaliera di circa 10 mila metri quadri. I padri di questo edificio sono lo studio Renzo Piano Building Workshop, uno dei più noti architetti italiani, e lo studio TAMassociati, la cui esperienza nel settore della cooperazione è ampiamente consolidata.

L’edificio è composto da quattro padiglioni: due corpi di fabbrica principali affiancati, disposti longitudinalmente sull’asse est-ovest, chiusi sul lato est da un terzo volume trasversale a formare una corte alberata, punto focale della prospettiva sull’edificio. Un quarto elemento, più piccolo e staccato sul lato sud, ospita l’area accoglienza e controllo accessi. All’interno dell’ospedale trovano spazio 72 posti letto, tre sale operatorie, il reparto di terapia intensiva, laboratori di diagnostica e tutti i servizi accessori come farmacia, mensa e lavanderia. Sono inoltre disponibili 42 posti letto per i famigliari accompagnatori, considerando che il bacino di utenza sarà quanto più ampio possibile. I volumi si adagiano sul lotto di intervento seguendo l’andamento naturale del terreno. I due piani di ogni edificio si trovano così a volte fuori terra, a volte seminterrati. Il terreno di scavo è stato utilizzato per formare le murature perimetrali, portanti, in terra battuta all’interno di casseri detti pisé. Una soluzione che caratterizza fortemente tutto l’intervento. L’utilizzo di una tecnica tradizionale, economica e che permette una gestione ottimizzata degli scavi è affiancato a elementi dall’aspetto più marcatamente tecnologico: un’esile pensilina di acciaio protegge gli edifici dai raggi solari ed è allo stesso tempo supporto per circa 2.600 pannelli solari, i serramenti sono ad alte prestazioni e dotati di sistemi integrati di schermatura dai raggi.

A caratterizzare l’ospedale il rapporto con la natura, con verde e alberi a circondare l’edificio, a rappresentare simbologicamente una “metafora del processo di guarigione”. Il centro è stato realizzato con il supporto di maestranze locali e ospita, oltre alle funzioni di cura, anche un centro di alta formazione per personale medico e sanitario. Si è spesso assistito in anni recenti a operazioni di cooperazione guidate da un certo amore naïf per il vernacolare che a volte, senza dubitare della buona fede, ha ritenuto accettabili dei compromessi tecnologici nei contesti cosiddetti informali.

La Ong, nel 2008, ha riunito i ministri della Sanità di nove Paesi africani per discutere come garantire ai cittadini africani il diritto a una medicina gratuita. Da quell’incontro è nato il Manifesto per una medicina basata sui diritti umani e sulla base di questi principi nel 2010 è nata l’ANME che ha l’obiettivo di costruire centri medici di eccellenza per rafforzare i sistemi sanitari. L’ospedale in Uganda ha aderito subito al progetto dell’ANME e ha messo a disposizione il terreno su cui costruire l’ospedale e un finanziamento per coprire il 20 per cento dei costi di costruzione.

In alto la visione aerea dell’incompleto progetto di Renzo Piano. In basso foto a dettaglio in cui è presnte il tetto che isola termicamente la struttura.

L’umana armonia

Sognando l’impossibile

Utopia è un buon luogo, ma allo stesso tempo un non-luogo, etimologicamente. L’ambiguità del termine ci porta quindi a pensare che l’utopia sia qualcosa da raggiungere, da ricercare oltre la linea d’orizzonte.

In una società dove principi, i ruoli e ritmi quotidiani sono scanditi dal ticchettio soffocante del mondo consumista, immaginare di poter vivere diversamente è un pensiero ricorrente. La colpa del nostro malessere viene quindi affibbiata principalmente ad una società opprimente, e la soluzione consiste nel prendervi le distanze. Coincide quindi con utopia ciò che prevede l’allontanamento dalla macchina del mondo del mercato, al fine di ritrovare sé stessi ed il proprio posto, combattendo l’alienazione e ricostituendo il proprio pacchetto di principi e ideali sani, per avvicinarsi alla natura e ricostituire un nuovo microcosmo sociale. Si tratta quindi di utopia, a tutti gli effetti. Ed esistono esempi concreti che provano ciò sia possibile. Vi sono infatti situazioni diverse, nelle quali gruppi di persone hanno deciso di allontanarsi dalle città, al fine di poter vivere rispondendo al proprio concetto di utopia, unendosi sotto

Paper Ritual 1, Sea Ranch, 1968. Scatto di Paul Ryan, Archival Pigment Print. Tra il 1966 e il 1968 il fotografo Paul Ryan ha documentato gli workshop sperimentali creati da Anna Halprin, pioniera della danza, e l’artista e architetto paesaggistico Lawrence Halprin. L’evento ha avvicinato diverse personalità, tra cui ballerini, artisti, architetti, designer e urbanisti.

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