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Vivere e sopravvivere
from Inside Utopia
L’ambiente ostile
Le proposte per i due specifici momenti della colonizzazione del nuovo pianeta. Dal 1969 con lo sbarco sulla luna non si è mai parlato dello spazio come ora. Numerosi personaggi pubblici, uno su tutti Elon Musk, sembrano sempre più sicuri di vedere in Marte un futuro viabile per l’umanità. Sorge dunque spontaneo il dubbio sul piano etico della irresponsabilità, del fuggire dalla realtà che nella pratica è l’unica che possiamo dire di conoscere e che nel tempo abbiamo deteriorato. Che l’abbandono del nostro pianeta sia la soluzione migliore è ampiamente dibattuto e contrastato da molti, tuttavia è interessante vedere e analizzare le opzioni che ci vengono proposte. Alcuni dei progetti che abbiamo esplorato propongono infatti soluzioni “intermedie” ovvero dove la vita può dunque esistere in entrambi i pianeti, e spingendosi addirittura più in la, viene suggerito che questi tentativi di creazione di nuove civiltà potrebbero materialmente migliorare la condizione terrestre. Ora non ci è dato sapere nello specifico se siano delle speculazioni per distogliere l’attenzione dai danni materiali che il nostro pianeta sta subendo o se siano concrete speranze di ambiziosi progettisti, ma abbiamo scelto di non soffermarci troppo su questo versante molto delicato e fragile del dibattito per analizzare nel modo più imparziale possibile le proposte visionarie della colonizzazione di un nuovo corpo celeste.
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Sopravvivere. Il progetto Marsha.
Fase di stampaggio dei pod sulla superficie marziana.
Per far fronte alle ostilità marziane bisogna che gli edifici abitativi siano vere e proprie macchine per la sopravvivenza che tutelino la salute sia fisica che mentale di ogni individuo. AI SpaceFactory, società di architettura e tecnologia con sede a New York, progetta così Marsha, un alloggio verticale stampato in 3D direttamente sulla superficie marziana.
Questo edificio sfida l’immagine convenzionale delle strutture iper-funzionaliste associate con la vita nello spazio, approfondendo anche gli studi sulla vivibilità dei futuri abitanti. L’obbiettivo dei progettisti è stato quello di costruire una unità abitativa resistente, veloce da realizzare e confortevole. È stata testata una miscela innovativa e non inquinante composta da fibre di basalto, estratte dalla roccia marziana, e bioplastica rinnovabile, derivata dalle piante coltivate su Marte, eliminando così la dipendenza dal mondo terrestre. Per via del suo piccolo ingombro e della sua particolare forma a “uovo”, i pod Marsha vengono stampati utilizzando una macchina fissata al terreno e senza il bisogno della supervisione da parte dell’uomo nell’intera procedura.
L’intera struttura si sviluppa su un’altezza di 34 metri, in 4 piani: a terra c’è il collegamento con l’esterno, al primo la cucina e l’hub principale, al terzo livello le cabine, i servizi igienici e il giardino idroponico e all’ultimo piano c’è la skyroom, dedicata all’attività fisica e ricreativa. Su Marte essendoci una forte escursione termica si è dovuto realizzare un strato tra la zona interna abitabile e la parete esterna protettiva, ottenendo un sistema a doppio involucro che garantisce l’isolamento. La luce penetra dall’ampio lucernario pieno d’acqua, utilizzata per filtrare
le dannose radiazioni solari, posto all’estremità superiore della struttura, e scende attraverso lo spazio tra i due gusci per illuminare cosi l’intero edificio in modo naturale. Ogni piano è dotato di ampie finestre che non ripetono mai la loro posizione rispetto alla circonferenza dell’edificio, consentendo così di poter godere dell’intero panorama del territorio circostante senza nemmeno dover indossare la tuta spaziale e abbandonare il pod.
Vista la complessità e l’importanza delle future architetture marziane, la Nasa aveva indetto un concorso per trovare progetti che rispondessero a determinate caratteristiche di resistenza, pressione e schiacciamento per le nuove abitazioni e che potessero venire stampate in 3D; a vincere questo prestigioso premio è stata proprio l’agenzia AI SpaceFactory con Marsha, che oltre a soddisfare i requisiti del concorso ha scelto di non sacrificare gli studi sul design degli interni e la sua influenza sul benessere dell’uomo. Marsha, è stato realizzato per far fronte ad un primo insediamento su Marte e quindi per rispondere alle esigenze di prima necessità. Il concetto di unità abitativa forse non è la soluzione migliore per vivere su un altro pianeta ma può tranquillamente essere considerato come uno strumento di sopravvivenza in un luogo del tutto inesplorato e nuovo.
Anche l’estetica degli arredamenti è stata considerata nella progettazione.
Particolari delle zone comuni. Il benessere e la socialità non sono stati sacrificati nel progettare gli interni.
Vivere. Il progetto Science City.
Vista esterna di una configurazione di cupole che formano l’insediamento.
Progettare una casa è sempre una sfida per un architetto, progettare una città è una sfida ancora più grande, ma progettare un intero ecosistema su un pianeta diverso dal nostro è una sfida epocale. Il continuo progresso scientifico ci ha permesso di porci nuove domande. Se una volta a parlare di colonizzazione di altri pianeti diversi dal nostro del sistema solare erano i film di fantascienza, oggi è la scienza stessa. I nuovi razzi studiati da aziende come Space X, capitanate dal visionario Elon Musk, che sono in grado sia di decollare che atterrare senza finire distrutti, permetteranno un viaggio Terra-Marte in tre mesi, lo stesso tempo che impiegò Magellano per raggiungere il Sud Africa dall’Europa.
Tra i primi a rispondere all’appello troviamo lo studio di architettura BigStudio, guidato dal premiato architetto danese Bjark Ingels, a cui è stato commissionato dal governo degli Emirati Arabi Uniti il polo Mars Science City, un prototipo di città marziana. Questo progetto, seppur dal sapore utopico, inizia a risultare sempre più realistico di quello che sembra, ma quali sono le sfide a cui è andato in contro il progetto? Il pianeta marziano, nonostante risulti il più simile al nostro, presenta numerose differenze rispetto al nostro. Senza un campo magnetico, il pianeta mantiene una pressione troppo bassa e una quantità di radiazioni troppo alta per la vita umana. Le temperature medie sono molto basse, vicino a quelle del circolo polare artico, solamente nei crateri risulta quasi mite. Per il suo progetto il gruppo si è ispirato sia alle abitazioni delle popolazioni paleolitiche della Tunisia, i quali scavavano intere città sotterranee per difendersi dal calore e dai raggi del sole, sia agli igloo delle popolazioni della Groenlandia. Ingels ha ideato questo
Ogni cupola verrà installata per uno scopo specifico. Qui in particolare si vedono gli studi botanici sulle coltivazioni idroponiche al fine di foraggiare i coloni.
Anche lo svago avrà uno spazio dedicato. nuovo ecosistema all’interno di enormi strutture gonfiabili a forma di igloo sotto le quali si sviluppano come strutture sotterranee stampabili in 3D. Le cupole permetterebbero una corretta pressurizzazione mentre le strutture riparerebbero dalle radiazioni. Dentro questi ambienti sarebbe pure possibile coltivazioni idroponiche alimentate dall’acqua dei numerosi ghiacciai, ma l’architetto esclude la possibilità di alimentazione carnivora per gli abitanti, eventuali allevamenti non sarebbero sostenibili. Ma il vero dubbio rimane uno, abbiamo davvero bisogno di trasferirci su Marte? La risposta dell’architetto la troviamo nel progetto. Tra i diciassette obiettivi di sostenibilità che i governi delle nazioni unite si sono posti otto di questi trovano eventuali soluzioni nelle città marziane.
Su Marte, come sulla terra, avremo bisogno di salvaguardare ambiente e risorse, riciclare, sviluppo sostenibile ecc., dunque, i principi che ci permetteranno di vivere sul pianeta rosso saranno gli stessi che ci permetteranno di essere buoni custodi del nostro. Utopia? Probabile, ma come diceva lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano: -“A cosa serve l’utopia? Serve a camminare”.
Marin County Civic Center