NO. 7 I'GIORNALINO

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I’ GIORNALINO

NO 7 Maggio 2020

Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni P. Coelho


REDAZIONE 1

Direttrice GIULIA PROVVEDI (VA)

Vicedirettrice ELISA CIABATTI (IVB)

Redattori MATILDE MAZZOTTA (IVC), AURORA GORI (IVA), DANIELE GULIZIA (IVB), DIANA GASTALDI (IIA), DIEGO BRASCHI (IVA), PIETRO SANTI (IVA), RICCARDO MOSCATELLI (IVA), ALESSANDRO FRATINI (IIC), RACHELE MONACO (IB), ELETTRA MASONI (IB), GIULIA OTTINI (IA), IRENE SPALLETTI (IVA), GIULIA AGRESTI (IIIB), GIOVANNI CAVALIERI (IA), MARGHERITA ARENA (IIIB), MARIANNA CARNIANI (IIIB)

Fotografi SILVIA BRIZIOLI (caposervizio, IVA), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IIB), SOFIA ZOLLO (IIID), MATTIA DE NARDIS (VB), MARGHERITA CIACCIARELLI (IB)

Collaboratori ALLEGRA NICCOLI (IIB), MADDALENA GRILLO (IVB), ALICE ORETI (IVB), SOFIA DEL CHERICO (VB), ALESSIA ORETI (IIIA), COSIMO CALVELLI (VE), EDOARDO BUCCIARELLI (VA), MIRA NATI, IRENICK, BERNADETTE SILVA (VB), GIULIA BOLOGNESE (IIB)

Art Director DANIELE GULIZIA (IVB)

Disegnatori FRANCESCA TIRINNANZI (IIIB),

REBECCA POGGIALI (IVA)

Social Media MARGHERITA ARENA (IIIB), MARIANNA CARNIANI (IIIB)

Ufficio Comunicazioni AURORA GORI (IVA)

Referenti PROF. CASTELLANA, PROF.SSA TENDUCCI


UN SOGNO……………………………….3 DIALOGO SOPRA I MASSIMI SISTEMI DEL MIO SUBCONSCIO………………..4 COSA SUCCEDE AL NOSTRO CERVELLO MENTRE SOGNAMO?……5 AFORISMA………………………………..6 I LUCID DREAMS………………………..7 CACCIATORE DI TALENTI……………..9 SGUARDO RANDAGIO IN MEMORIA DI BRISTOL - SNOOPY…………………..10 RECENSIONE - LA LEGGE DEL SOGNATORE……………………………11 SALON - MAESTRI……………………..13

INDICE

RACCONTI - EMULAZIONE…………..19 GIRAMONDO……………………………23 ALLA SCOPERTA DEL MUGELLO - Ì LAGO DI BILANCINO…………………..27 OMOFOBIA………………………….…..30 ASSOCIAZIONE SBANDIERATORI DELLA CITTÀ DI FIRENZE……………33

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Un sogno di E. A. Poe In visioni di notturna tenebra spesso ho sognato svanite gioie mentre un sogno, da sveglio, di vita e di luce m' ha lasciato col cuore implacato. Ah, che cosa non è sogno in chiaro giorno per colui il cui sguardo si posa su quanto a lui è d' intorno con un raggio che, a ritroso, si volge al tempo che non è più? Quel sogno beato - quel sogno beato, mentre il mondo intero m' era avverso, m' ha rallegrato come un raggio cortese che sa guidare un animo scontroso. E benché quella luce in tempestose notti così tremolasse di lontano che mai può aversi di più splendente e puro nella diurna stella del Vero?

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Dialogo sopra i massimi sistemi del mio subconscio di Riccardo Moscatelli In un filosofico colloquio tra me e la mia persona, mi sono ritrovato ad esprimere massime sapienziali su un argomento comune a tutti gli esseri sognanti. Ho quindi deciso di condividere con voi lettori questa piccola stanza della mia mente nella speranza di rallegrarvi e lasciarvi qualche spunto per un vostro privato filosofeggiare.

"Hai mai sognato così intensamente da sentirti male?"

Una domanda del genere potrebbe sembrare a prima vista stupida, e magari anche irrilevante. "Perché mai qualcuno dovrebbe stare male dopo un sogno? Alla fine è solo un sogno". Queste probabilmente sono le risposte che si ricevono ed io ho imparato a non ascoltarle.

Può capitare che un sogno sia piuttosto vivido e reale, può capitare che un’azione compiuta il giorno possa essere estremamente simile al sogno della notte precedente, quindi mi sono chiesto:

"I sogni sono premonitori?"

“A volte può essere così, ma più probabilmente siamo noi stessi a mettere in atto il sogno, ovvero potremmo arrivare a condurre le stesse azioni del sogno nella vita reale perché influenzati da esso.”

"E si può dire quindi che i sogni sono desideri?"

“A mio avviso posso dire che spesso è così, i sogni sono le cose che speriamo avvengano.”

"Ma si avverano?"

“Beh, no. La realtà è diversa, è tutto relativo e casuale, quindi non è bene essere troppo ottimisti, meglio non aspettarci niente e goderci il momento quando arriva.”

"Allora i sogni sono preoccupazioni?"

“Oh, sì, cominciamo a ragionare. Sembra incredibile, ma quando facciamo dei brutti sogni, spesso si avverano, e fanno ancora più male. Questo almeno da parte mia. È veramente frustrante.”

“Quindi, cosa ci spinge ad andare a dormire la sera (senza considerare il fatto che se non si dorme si impazzisce), se poi c’è la possibilità di fare sogni orrendi?”

“Boh, forse la speranza che succeda qualcosa di nuovo, o forse può essere semplicemente frutto della nostra cultura. Sì, è importante anche la cultura in questo argomento. Infatti per i Greci, i sogni altro non erano che dei momenti di comunicazione tra uomini e dei. Ecco, diciamo che io non ne sono del tutto convinto. Poi ci sono anche quei sogni che non hanno assolutamente nessun senso (la maggior parte dei miei), in cui una cicogna gigante ferita ti consegna un neonato con la faccia barbuta, e ti ritrovi costretto a scappare da un gruppo mal assortito di assassini formato da Terminator e Don Matteo, per finire a giocare a briscola con un qualche parente morto e il neonato barbuto(ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale).”

“Ok, in sostanza cosa possiamo capire dei sogni?”

“A livello scientifico molto, a livello filosofico e emotivo molto poco. I sogni sono un'incognita.”

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Cosa succede nel nostro cervello mentre sogniamo? di Margherita Arena I sogni, detto molto semplicemente, sono immagini, pensieri, suoni, voci e sensazioni vissute mentre dormiamo. Quando sogniamo tutto il nostro cervello è attivo; la maggior parte dei nostri sogni e incubi vengono fatti durante il REM sleep, ovvero una parte del ciclo dormi-veglia che è controllata dal sistema di attivazione reticolare, il cui circuito va dal tronco cerebrale, passando attraverso il talamo, alla corteccia cerebrale. Ogni parte del cervello contribuisce in modo particolare ai sogni, come del resto succede quando siamo svegli; infatti il sistema limbico, nel mesencefalo, si occupa delle emozioni; esso comprende anche l’amigdala, la quale, in particolare, produce la sensazione di paura. La corteccia cerebrale crea il contenuto del sogno; che si tratti di persone che incontriamo, con cui interagiamo, di un mostro dal quale scappiamo, e perfino delle esperienze che facciamo o immaginiamo, come volare e cadere.
 Dato che i sogni sono principalmente immagini, la corteccia visiva, che si trova nella parte posteriore del cervello, è più attiva del resto della corteccia. Infine, le parti meno attive del nostro cervello sono quelle che si trovano nel lobo frontale; per questo spesso, mentre sogniamo, non siamo molto critici e riusciamo ad accettare eventi inspiegabili pensando che essi siano reali, come spesso succede negli incubi, fino a quando poi non ci svegliamo e capiamo che in realtà era solo un sogno. Approfondimento “a colpo d’occhio” su suddivisione aree corteccia celebrale: • Lobo frontale: influenza l'attività motoria acquisita e la pianificazione e l'organizzazione del comp ortamento. Svolge un ruolo anche nel controllo delle emozioni e della motivazione. • Lobo parietale : sito in cui vengono elaborate informazioni relative al tatto, alla localizzazione degli oggetti nello spazio e all’attenzione verso il campo visivo controlaterale. • Lobo occipitale : contiene i centri dell’area visiva primaria e aree per l’integrazione psichica e motoria della visione, che consentono il riconoscimento degli oggetti visualizzati. • Lobo temporale : partecipa a numerose funzioni sensoriali e intellettive. Svolge un ruolo anche nell’elaborazioni di informazioni relative all’olfatto, all’udito, come la comprensione del linguaggio parlato, e in processi mnemonici.

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I lucid dreams di Giulia Agresti on il termine Onironautica si indicano tutte le scienze relative all’essere coscienti mentre dormiamo. Studiati e analizzati per la prima volta da Stephen LaBerge, i lucid dreams sono proprio quei sogni in cui il soggetto è consapevole del fatto che sta sognando. Avviene nel momento in cui, pur dormendo, qualcosa nella nostra coscienza riconosce che ciò che sta accadendo non può essere la realtà, ma, nonostante ciò, non si oppone ad esso e non sveglia il corpo. La persona riesce dunque a vivere in una sorta di Matrix s urreale, potendo fare tutto ciò che vuole. Ma come si fa ad avere un sogno lucido?
 La cosa più probabile è che esso nasca spontaneamente, tuttavia sono stati sviluppati vari metodi per incrementare la possibilità di produrne uno.
 Il primo è il cosiddetto RTC (Reality Control Check); si tratta di eseguire durante il giorno azioni che non si possono – per la maggior parte delle volte – replicare nei sogni. Essendo dunque abituati a compiere spesso questi piccoli gesti, la mente li ripropone anche mentre dormiamo. Queste azioni possono essere, ad esempio, leggere, non si può infatti decifrare una scritta nei sogni, contarsi le dita, che appaiono o di un numero o di forma diverse, spegnere la luce, che rimane per forza accesa nei sogni.
 Una seconda tecnica è la CAT (Cycle Adjustment Technique), la quale consiste nel restare svegli tra i 60 e i 90 minuti fuori dal proprio ciclo del sonno per almeno una settimana, per poi riprendere le vecchie abitudini. Nei giorni con il ciclo regolare, lo stacco di tempo in cui prima si restava svegli aumenterà lo stato di allerta, rendendo il lucid dream più probabile.
 Infine, una delle tecniche più efficaci, che riesce ad aumentare fino al 46% la probabilità di ottenerlo, è il WBTB (Wake Back To Bed). Essa consiste nell’andare a dormire, svegliarsi circa 5/6 ore dopo, restare svegli

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per un’ora focalizzando i propri pensieri sul sogno lucido per poi coricarsi con l’intenzione di riconoscere nel sonno situazioni inusuali. I risultati migliori sono stati registrati nelle persone che utilizzavano tutti i tre metodi e, nel 17 % dei casi, i soggetti sono diventati onironauti.
 Perché è nato un grande interesse da parte degli scienziati verso i sogni lucidi?
 La speranza è che questi possano aiutare le persone che hanno difficoltà o sperimentano problemi nel dormire, in particolare chi soffre di un disturbo post-traumatico. Ce lo dimostra lo psichiatra J. T. Green, il quale ha curato un veterano del Vietnam che aveva sogni ricorrenti sulla morte del suo migliore amico ucciso in battaglia. Dopo aver indotto il lucid dream, il veterano riusciva infatti a cambiare l’accaduto: la guerra finiva e i due amici tornavano a casa sorridenti.
 Non sempre però il risultato è positivo: esistono molti rischi connessi al ‘sognare ad occhi aperti’, che talvolta hanno causato problemi anche gravi. Come prima problematica troviamo la paralisi del sonno , un meccanismo di sicurezza che agisce paralizzando i muscoli non vitali dell’individuo in fase REM. A un sogno lucido possono anche seguire allucinazioni ipnagogiche o ipnopompiche, ovvero esperienze intense e vivide, rispettivamente all’inizio e alla fine del sogno, che coinvolgono la vista, l’udito e il tatto e sono solitamente accompagnate da uno stato di panico e agitazione. Infine, si può rimanere ‘incastrati ’ in un sogno lucido, una sensazione agghiacciante e disorientante al tempo stesso. Come afferma Liz Lele, una ragazza che ha deciso di sperimentare su se stessa l’efficacia dei metodi sopracitati, “se veramente vuoi intraprendere questa strada, come prima cosa, sii preparato a spaventarti spesso”.
 I lucid dreams possono dunque essere un’ottima occasione per volare, visitare città di tutto il mondo o flirtare con il ragazzo o la ragazza che ti piace, tuttavia prima di provare ad averli, bisogna essere ben consapevoli di cosa ci aspetta.


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IL CACCIATORE DI TALENTI di Diana Gastaldi

Durante il mese di maggio ho avuto l’opportunità di intervistare ragazzi differenti per inclinazioni ed interessi. Loro sono il disegnatore Sebastiano D’Eugenio, il fonico Tommaso Meccacci e l’attore, poeta e disegnatore Cosimo Calvelli.

Tommaso Mecacci

Tommaso, ha scelto l’indirizzo musicale, si occupa della gestione dell’audio in ogni sessione che preveda l’utilizzo di microfoni, mixer, diffusori acustici e registratori. Il suo compito è quello di capire i vari suoni, analizzarli intuendo da cosa siano composti per poi presentarli ad un ascoltatore nel miglior modo possibile. Durante questo iter bisogna essere concentrati e attenti, per non rischiare di rovinare il lavoro degli artisti. Dimostra grande sensibilità e preparazione sapendo entrare al momento giusto, sfumare, miscelare insieme armonicamente, rendendo il prodotto finale piacevole all’orecchio dell’ascoltatore; tutto ciò può avvenire live o in studio di registrazione. @tommasomecacci27

Cosimo Calvelli

Cosimo, specializzando in scenografia, dichiara di aver trascorso i momenti più divertenti su di un palco, e grazie allo studio della recitazione e a tanta pratica, qualche conoscenza e molta fortuna, crede si possa arrivare a buoni livelli. La scuola è un’ottima palestra. Fin da piccolo ha frequentato corsi e lavorato con registi del panorama fiorentino. Quando dipinge preferisce giocare con la materia, il risultato finale viene da sé; quando scrive lo fa di getto, come se potesse liberarsi dei pensieri, e in modo ordinato, puntuale, preciso appunta le proprie osservazioni sul taccuino -poche sono le cancellature-; invece quando veste i panni dell’attore non prende spunto da chi lo ha preceduto, ma ricerca sempre la spontaneità.L’ispirazione non si comanda, scaturisce anche quando non la si cerca o mentre si è impegnati a fare altro. @cosimo_calvelli_art

Sebastiano D’Eugenio

Sebastiano, si sta specializzando in scenografia, ambito che appartiene al mondo del teatro di cui è appassionatissimo; tramite l’esperienza scuola/lavoro ha potuto cimentarsi come macchinista in teatro e interpretare piccole parti. Ama esprimersi disegnando con varie tecniche, tra queste predilige l’olio su cartone, con cui crea dei contenuti (a volte ben pensati, altri senza preoccuparsi del risultato) e trova ogni soggetto bellissimo, anche il più insospettabile, se guardato e rappresentato nel modo giusto. @sebastiano_deugenio 9


SGUARDO RANDAGIO IN MEMORIA DI BRISTOL

SNOOPY

di Irene Spalletti

Snoopy cerca casa! Se c’è qualcuno che ha bisogno di una casa è proprio lui, creatura tenera e delicata. Se volete davvero salvare un cane, chiamate per lui; toglietelo dal box in cui è costretto a passare le sue giornate, regalategli un po’ di sicurezze, regalategli una famiglia… non ne ha mai conosciuta una! Nella sua vita ha visto solo una sfilza di rifiuti, per questo ha un bisogno infinito di affetto e stabilità. Ci sono cani che non è facile dare in adozione, perché ne hanno passate così tante che provare a fidarsi nuovamente di qualcuno per loro è quasi impensabile, un salto nel vuoto… toglie loro le poche certezze che hanno conquistato duramente. Snoopy è uno di quei cani; insicuro, pieno di paure, tremebondo. 11 mesi di delusioni e di incertezze lo hanno portato ad essere il cucciolone dal comportamento bizzarro che è adesso, il tipetto strano, simpatico e baffuto, ma diffidente. Tutti gli aspiranti adottati che decidono di venire a conoscerlo scappano, scoraggiati dalla sua scontrosità. Se solo sapeste quale sofferenza si nasconde dietro un abbaio impaurito, non gettereste la spugna così facilmente. Queste anime disgraziate hanno bisogno di adottanti veramente motivati a salvarle, disposti ad ascoltare e ben predisposti a farsi guidare nel percorso di conoscenza per conquistarsi la fiducia del cane e, magari, con l’aiuto di un educatore, per fargli acquistare un po’ di sicurezza in più. Per Snoopy, avere una famiglia è il sogno più grande che ci possa essere… aiutiamolo a realizzarlo!

! Per donazioni!

Associazione Sguardo Randagio

IBAN: IT 37 Z083 2538 1600 0000 0208 710

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Fonte: IBS.it


RECENSENDO

LA LEGGE DEL SOGNATORE di Rachele Monaco Durante le vuote giornate di quarantena, questo libro è stato un valido compagno, mi ha insegnato tanto. Parole d’ordine: stupore e originalità.
 Il piccolo Daniel ha dieci anni ed è in vacanza sul massiccio del Vercors con i genitori e il suo migliore amico Louis. Sopra il suo lettino è appeso un poster con il disegno di un sogno di Fellini, un regalo del regista alla madre quando lavorava come costumista a Cinecittà: è da questa immagine che il narratore inizia la sua storia. In queste cento e poco più pagine, il famoso scrittore francese ha scelto di rendere omaggio al più grande regista italiano, nonché gran sognatore, Federico Fellini, che definisce come un personaggio fondamentale per la sua vita e per la sua carriera. L’intero libro si può riassumere in un monologo dell’autore in prima persona, che condivide con noi lettori alcuni suoi sogni, esperienze e diversi aneddoti, descrivendoli in modo impeccabile, dando la possibilità di immergersi nella sua mente, immaginando vividamente ogni dettaglio. Durante tutti questi racconti gli unici fili conduttore sono quello del sogno e della sua ammirazione nei confronti di Fellini. Scorrendo queste pagine è impossibile annoiarsi, colpi di scena davvero sorprendenti non mancano mai. Le parole scorrono senza nemmeno rendersene conto, il linguaggio è semplice e colto allo stesso tempo; anche se a volte troviamo qualche esclamazione un po’ scurrile, non ci sono mai troppi giri di parole e devo riconoscere che lo scrittore è particolarmente abile nelle descrizioni, e nell’esprimere accuratamente emozioni e sensazioni. Pennac decide di inserire diversi dati autobiografici e spesso si palesa e parla direttamente con noi lettori.
 Io in prima persona ho letteralmente divorato questo libro in due giorni e sono riuscita a comprenderlo e ad apprezzarne il significato solo dopo averlo terminato, perché ci sono parti meno dinamiche di altre, a cui non si pone particolare attenzione, che invece servono al prosieguo della storia. Ho sempre letto solo romanzi, mai qualcosa di questo genere, e devo dire che non mi è dispiaciuto affatto, forse anche a causa dell’argomento principale, ovvero i sogni, una seconda realtà meravigliosa che ci accomuna tutti, anche se più o meno intensamente. Ci rivelano parti più remote del nostro inconscio, infatti, in varie di queste storie, anche noi riusciamo a comprendere un po’ la psiche dell’uomo. La realtà si mischia con la fantasia, lo scrittore si diverte a prenderci in giro, non dicendo cosa è vero e cosa no, ma rivelandolo tutto in una volta. Non avete idea di quante sorprese troviamo scorrendo tra queste pagine! Una visione dopo l’altra, un ricordo dopo l’altro, il confine tra ricordo e sogno, tra ciò che è realtà e cosa invece è fantasia, diventa sempre più labile. Non essendo un romanzo non ha una vera e propria trama, o meglio, se la svelassi la lettura sarebbe pressoché inutile, ma troviamo lo stesso filo conduttore che fa anche da cornice a tutte le vicende che vengono narrate: come distinguere, nel sogno, la memoria dall'immaginazione? Dov’è che possiamo vedere un confine tra tutte queste realtà?

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L’artista di questo mese è Sebastiano D’Eugenio. La sua mostra s’intitola MAESTRI. Ogni disegno s’ispira ad un artista, maestro per Sebastiano.

Salon 13


Sebastiano D’Eugenio Maestro Henri Matisse 2020

Matite colorate su carta

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Sebastiano D’Eugenio Maestro Giacomo Balla 2020

Matite colorate su carta

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Sebastiano D’Eugenio Maestro Egon Schiele 2020

Acquerello, matite colorate e inchiostro su carta

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Sebastiano D’Eugenio Maestro Alberto Burri 2020

Monotipo ad olio su carta

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Sebastiano D’Eugenio Maestro Harry Stooshino 2020

Matite colorate su carta

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RACCONTI

Emulazione di Giovanni Cavalieri Il mare era tranquillo, quasi piatto, e le nuvole all’orizzonte si erano schiarite. I lunghi remi dellanave muovevano i flutti, facendo avanzare l’imbarcazione in mezzo al freddo Mare del Nord. Lavela, rossa come le rose in primavera, gonfia per il vento, spingeva ulteriormente la nave. In cima all’albero stava uno stendardo raffigurante un corvo bianco su campo nero che, sospinto dal vento, si muoveva in modo sinuoso. La prua aveva la forma di un serpente e con ai lati due scudi rotondi. Mentre la maggior parte degli uomini remava, altri narravano tra loro le storie di dei ed eroi. Einar osservava gli altri uomini dalla poppa della nave, mentre muoveva il timone, più simile ad un remo che a un timone vero e proprio. Lo muoveva con le sue mani grandi e forti. Il vento gli scompigliava i lunghi capelli del colore dell’oro; alla vita teneva una cintura in pelle d’orso, con infoderata una spada di media taglia, con una guardia corta e il pomo a cinque lobi, tipico delle spade vichinghe; sopra la tunica di lana, portava una cotta di maglia che lo copriva dalle spalle alle ginocchia. Mentre muoveva il timone, scrutava l’orizzonte, alla ricerca di qualcosa: ma non scrutava solo il mare, anche i volti dei suoi compagni, segnati dalle intemperie e da giorni di navigazione. Alcuni remavano, con il v\olto a terra o nascosto da elmi possenti e lunghe barbe, alcune simili a vecchie pellicce, altre rosse come il fuoco che ardeva di notte nelle case, tenendo al caldo coloro che vi abitavano. Tra questi, alto e solenne, vide un uomo: era alto, quasi un quarto dell’albero maestro a cui era appoggiato; sopra una tunica di tessuto, portava una corazza di pelle a scaglie, simili a quelle di un drago; sulle spalle portava un’ascia barbuta dal lungo manico e uno scudo circolare e alla vita 19

teneva una spada lunga dal pomo a tre lobi; sopra l’armatura in pelle, portava una folta pelliccia di lupo che lo teneva caldo, protetto dalla morsa del gelo; l’uomo aveva una mascella prorompente e un naso piatto, lineamenti duri che però nascondevano un’indole gentile e generosa. I lunghi capelli castani, con qualche ciocca grigia, rivelavano un’età avanzata. Aveva occhi profondi, grigi come il mare che la nave solcava da giorni. Einar riconobbe quell’uomo: era Tryggvi, figlio di Arne. Aveva quasi cinquant’anni, ma ne dimostrava sessanta, ed era ammirato da tutti perché forte e coraggioso, ma anche saggio e generoso. Proveniva dalle Götaland, nel sud della Svezia, e questa era ormai la sua decima scorreria: già vent’anni prima, aveva partecipato ad altre razzie in terra inglese, depredando villaggi e abbazie, uccidendo molti soldati nemici, sia Sassoni che Franchi. Più volte aveva dimostrato il proprio valore, acquisendo il soprannome di “Brynjor”, la corazza. C’era chi lo paragonava a Thor, il dio del tuono, che munito della sua forza e del suo martello, Mjöllnir, aveva più volte protetto i nove mondi dalla minaccia degli Jotunn, i Giganti di Ghiaccio. C’è chi diceva infatti che Tryggvi discendesse lui stesso da Thor, ma l’uomo non aveva bisogno di essere ritenuto figlio di qualche divinità per ricevere altra ammirazione. Per lui era sufficiente essere se stesso, un semplice uomo delle Götaland che combatteva e badava alla sua famiglia. E forse era proprio la sua umiltà uno degli aspetti che lo rendeva ammirevole davanti agli occhi della gente. Einar continuava a muovere il timone, con la stessa monotonia che affliggeva da giorni lui e il resto dell’equipaggio a bordo del Drakkar. D’un tratto Tryggvi si spostò dall’albero maestro su cui si teneva appoggiato in piedi e si diresse verso Einar. «Tutto bene Einar?» chiese l’uomo con tono calmo. «Sì, certo!» rispose Einar, tutt’altro che tranquillo. «C’è qualcosa che non va? Tremi come una foglia!» notò l’uomo. E in effetti c’era


qualcosa che non andava: il viaggio aveva reso Einar stanco, ed era stufo di vedere nient’altro che quella distesa d’acqua su cui stavano navigando da giorni. Ma era anche triste per aver lasciato i propri cari. «Tremo perché non sopporto più questo maledetto freddo...» rispose seccamente Einar. «...e poi ci sono i gabbiani che starnazzano nel cielo, gli spruzzi d’acqua e le onde che ti fanno ballonzolare dappertutto e che ti fanno venire il voltastomaco!». C’era malumore nelle parole del giovane, un umore che lo divorava dall’interno, rendendolo diverso dal giovane spensierato che era prima di lasciare le Götaland, affascinato dall’idea di andare per mare alla ricerca di nuove terre. Sul suo volto, prima liscio e glabro come quello di un bambino, era cresciuta una barba ispida e aggrovigliata, simile ad un nido d’uccelli. I suoi occhi, di un azzurro ingrigito simile al mare, erano continuamente coperti dalle lunghe ciocche di capelli mossi dal vento. «Che Thor abbia pietà di noi!» pregò, afferrando nella mano destra il ciondolo che portava al collo, con la forma di Mjöllnir, il martello del dio del tuono forgiato dai Nani. «Thor avrà sicuramente pietà di noi, conducendo la nostra nave a destinazione...ma non Njörd, signore dei mari e delle tempeste, che sembra volerci allontanare dalla meta tanto ambita, come se gli avessimo recato un grave torto» replicò Tryggvi. «E se arriviamo nel Wessex, cosa ci succederà?» Chiese Einar «Re Alfred non si è dimostrato di certo accogliente nei confronti della nostra gente. Ha schiacciato i Danesi con una tale forza, paragonabile solo a quella di Tyr, il dio della guerra!» «Sicuramente i Sassoni non si dimostreranno amichevoli, dato che non tollerano né la nostra presenza nelle loro terre né i nostri dei...» constatò Tryggvi, con le mani sul pomo della spada. «...ma in ogni caso, dobbiamo affrontare l’inevitabile. Non è la prima volta che combattiamo contro di loro!». Einar, prima in piedi sulla poppa della nave, si sedette su un bordo, con il timone nelle mani. Teneva ai

suoi piedi un elmo in acciaio, con visiera in metallo e un camaglio. «Hai mai avuto paura?» chiese d’un tratto al compagno. Tryggvi rimase immobile, paralizzato, come se non avesse mai sentito quella parola. Il solo pronunciarla lo spaventava come l’arrivo di un esercito di morti. «Certo, ogni uomo ne ha» disse semplicemente. «Allora perché combatti? Perché non resti a casa, a badare al tuo campo e alla tua casa, ai tuoi animali e alla tua famiglia?» domandò Einar, con sguardo interrogatorio. «Come potrei accedere al Valhalla se non combattessi?» controbatté il vecchio uomo. «Molti compagni mi hanno lasciato in questa vita, cadendo sotto i colpi dei Sassoni, dei Franchi o degli Scozzesi, e io stesso ho più volte avuto paura di lasciare questo mondo, nonostante sapessi che dopo le Valchirie mi avrebbero portato nel Valhalla, a passare il resto dell’eternità a banchettare alla tavola di Odino. Ma ho superato questa mia paura, pensando che avrei incontrato di nuovo i miei compagni caduti e passato il resto dell’eternità con loro a bere idromele e a scambiare con loro racconti delle nostre vite passate». A quelle parole, Einar si vergognò della domanda che aveva fatto, come se avesse offeso quell’uomo che tanto ammirava e che ormai era diventato un suo caro amico. «Mi dispiace, non volevo» si scusò lui con un tono umile e amareggiato, cercando il perdono del vecchio guerriero. «Non c’è niente da perdonare, è naturale che un uomo abbia paura. La paura accompagna l’essere umano sin da quando è nato e farà sempre parte della natura umana, qualunque sia il modo di esorcizzarla. Ma la paura più grande dell’uomo, la morte, è anche la più insensata, poiché tutti dobbiamo morire a un certo punto della nostra vita» rispose Tryggvi. Einar fu confortato da quelle parole, che portarono alla sua anima un senso di pace e tranquillità. Forse era questo un altro degli aspetti che Einar ammirava più di Tryggvi: la sua sicurezza e coraggio, che l’uomo non sapeva mostrare solo con la spada in pugno, ma anche con le parole, che non osava mai sprecare per dire cose futili. 20


Per un attimo ci fu silenzio tra i due uomini. L’unico rumore presente era il movimento sinuoso delle onde, poiché gli altri uomini sul Drakkar avevano da tempo smesso di parlare, e anche Bragi, il cantore, taceva. Tryggvi si sedette accanto a Einar. «Sai, non sono sempre stato un guerriero...» disse riprendendo la conversazione. «...nacqui da una famiglia di contadini, che aravano un piccolo campo in un fiordo affacciato sullo stretto di Kattegat. Prima di aver imparato ad impugnare la spada e l’ascia, imparai a maneggiare la zappa e l’aratro per lavorare i campi. Era proprio la mia natura di contadino che mi aveva portato a combattere: la terra dov’ero nato era fredda e inospitale, inadatta all’agricoltura, e decisi allora di trovare una nuova terra. Quindi fu il desiderio di trovare una nuova terra da coltivare, che mi condusse nell’isola di Britannia.» «È così allora che imparasti a maneggiare la spada?» chiese Einar, incuriosito dal racconto del suo amico. «Più o meno. Quando avevo solo tredici anni, i miei genitori morirono, colpiti da una malattia che non aveva risparmiato nessuno nel mio villaggio, eccetto me. Venni allora adottato da uno zio, Oleg, che mi portò verso est, fino alla Rus’ di Kiev, principato dei principi Variaghi, genti provenienti dalla Svezia che si erano insediati a est, venendo in contatto con i Romani, che vivevano in una lussureggiante città chiamata Costantinopoli...» raccontò Tryggvi. «...ed è proprio a Costantinopoli che arrivai con mio zio Oleg, che prestò sei anni di servizio nella guardia imperiale dell’imperatore d’Oriente, formata da mercenari slavi e norreni. In quei sei lunghi anni, appresi la cultura dei Romani, e mio zio mi insegnò a combattere, poiché ero destinato anch’io a combattere come guardia per l’imperatore di Bisanzio. Ma avevo nostalgia per la mia terra, e chiesi quindi a mio zio di poter tornare nel Götaland. Lui accettò, anche se era dispiaciuto di lasciarmi, e presi una nave che attraversò il Mar Nero. Dopo un lungo viaggio ritornai a casa». 21

«E poi che successe?» chiese Einar, sempre più preso e affascinato dalla storia di Tryggvi. «Semplice: tornato a Götaland, mi costruii una casa dove vivere, ebbi una moglie che mi diede ben cinque figli e iniziai a condurre una pacifica vita da contadino. Ma un giorno tutto cambiò: in una taverna incontrai un viandante, con un cappello a tesa larga e un occhio bendato, che mi disse che vi erano terre fertili ad ovest, terre piene d’oro e di tesori...» «...Che fosse Odino?» chiese Einar. La sua barba, prima dritta come la punta di una lancia, si era ammorbidita, come se la conversazione con Tryggvi avesse riportato in lui un senso di serenità. «Forse, ma chi può dirlo! L’importante è che lui mi diede uno strumento per la navigazione in mare aperto. Radunai un manipolo di compagni, a cui mostrai l’oggetto e raccontai dell’incontro con il vecchio nella bettola. Decisi allora di organizzare una spedizione verso l’isola di Britannia. Raccogliemmo volontari e allestimmo un paio di navi. La navigazione durò due settimane e arrivammo sani e salvi in Inghilterra.» rispose Tryggvi. «Saccheggiammo alcuni villaggi sulla costa, finché non arrivarono rinforzi e venimmo respinti con furia e violenza. Molti ritornarono nel Götaland feriti nel corpo e nello spirito, dato che non volevano più essere coinvolti in qualsiasi tipo di spedizione oltremare. Dissi loro che, se non avessimo ritentato, gli dei ci avrebbero considerati dei codardi e non saremmo stati mai ammessi alle porte del Valhalla. Radunammo quindi altri uomini e navi, accettando anche che le donne combattessero al nostro fianco. Ritornammo quindi dall’Inghilterra, ma questa volta non con la coda tra le gambe, ma con le navi straripanti di tesori e i nostri animi rincuorati dalla vittoria.» Si concluse così il racconto di Tryggvi, un uomo che aveva viaggiato per tutto il mondo allora conosciuto, combattendo contro guerrieri valorosi quanto lui e mostri orribili, da quanto diceva la gente. «Tu invece? Qual è la tua storia?» chiese il vecchio guerriero a Einar.


«Sai, la mia vita non è stata avventurosa quanto la tua: sono nato in una famiglia di pescatori nei fiordi della Norvegia; sognavo fin da ragazzo di viaggiare per mare, alla scoperta di nuove terre e desideroso di combattere contro mostri marini di ogni genere. A quindici anni mi imbarcai su una nave diretta in Irlanda, l’Isola Verde, ma il drakkar affondò mentre attraversava il golfo dello Skagerrak. Venni recuperato da una nave di uomini provenienti dal Götaland, che mi portarono in un piccolo villaggio. Una coppia di allevatori mi ospitò, allevandomi come un figlio e dandomi una nuova casa e una nuova famiglia. Dal mio nuovo padre imparai a leggere le rune e a combattere con spada, lancia e scudo. Mi sentivo di nuovo a casa e parte di qualcosa: una famiglia e una comunità che mi avevano accolto e a cui contribuivo facendo del mio meglio...» rispose Einar. «…Sentii parlare di te per la prima volta quando avevo vent’anni: ero un giovane forte e vigoroso e cercavo qualcuno che mi portasse con sé in una scorreria. Nessuno disse di volermi, eccetto te, Tryggvi. Su un pontile, vidi arrivare un drakkar colmo di guerrieri e di tesori. Una folla di persone accolse gli uomini di ritorno e tra di essi vidi te, splendente come Baldr, il più bello e amato tra gli dei, e orgoglioso come Thor, il dio del tuono.» «Ricordo bene quel giorno!» intervenne Tryggvi. «Cercai di sottrarmi dai convenevoli e dagli elogi delle persone lì attorno, ma non potei fare niente. Sospinto dalla folla, intravidi questo giovane ragazzo dai capelli bagnati e gli occhi sognanti che mi fissava, come se avesse visto Freyr, dio dell’abbondanza e della virilità, in persona!». «Ti venni incontro e ti chiesi di poter far parte della tua spedizione. Tu non dicesti alcuna parola, ma facesti solo un cenno.» continuò Einar. «E tu comprendesti il significato di quel cenno, ossia che ti avevo dato un’occasione. Ti portai con me nella terza incursione, e vedendoti combattere con tanta foga in mezzo al campo di battaglia, pensai che tu fossi Tyr invece che un semplice ragazzo di

vent’anni...» concluse Tryggvi, emettendo infine un grande sospiro. «Sono passati ormai dieci anni, e ancora non riesco a crederci!» Affermò Einar. «Già» concordò l’altro. «Piuttosto, perché mi chiedesti di partire per mare con me? Non avevi una nuova famiglia?» «Certo, e li amavo.» esclamò Einar, con un atteggiamento sulla difensiva. «Ma volevo ritornare per mare, risentire l’odore della brezza marina e vedere i pesci sfrecciare in acqua sotto lo scafo. Volevo esplorare nuove terre, incontrare altre genti e combattere Kraken, Draghi e Troll, proprio come te, Tryggvi». A sentire quelle parole, l’uomo dalla grande pelliccia di lupo si commosse. Piccole lacrime gli caddero dagli occhi, che gli bagnarono leggermente la barba rossa come le foglie d’autunno. D’un tratto, la conversazione fu interrotta da un grido. “Terra” Esclamò la vedetta. Come risvegliati da un richiamo, Tryggvi e Einar sfrecciarono verso la prua per scrutare l’orizzonte. Ciò che videro, furono alte scogliere a picco sul mare, bianche come il latte e solenni come lo scranno da cui Odino, il padre degli dei, siede osservando ciò che accade negli altri Nove Mondi. Ai piedi di quelle scogliere altezzose, un sottile strato di sabbia si estendeva, piatto come una tavola. Erano arrivati in Inghilterra, l’isola dalle infinite ricchezze e dalle città di pietra.

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di Auror Gori

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Ciao ragazzi! E anche maggio è arrivato...Quest’anno è proprio volato. Comunque, per alleviare la vostra noia, ho pronto per voi un viaggio piuttosto singolare. Mi era giunta voce di un ragazzo che per un intero anno scolastico ha vissuto a Frascati, un comune vicino Roma, frequentando una scuola alquanto bizzarra: in questa scuola infatti si parlano latino e greco! Un tuffo diretto nell’antichità che studiamo sui libri, per alcuni un sogno che diventa realtà! Così ho scovato Ivan Bucciarelli, della classe VB del Liceo Classico, ed ho raccolto informazioni per soddisfare la vostra...anzi la nostra curiosità! Come sei venuto a conoscenza di questa scuola e come mai hai deciso di andarci? Per caso, un giorno, scorrendo tra le immagini della galleria, ho trovato un documento di presentazione delle attività dell’Accademia Vivarium Novum, e, guidato dalla curiosità per un metodo a me completamente ignoto, ho iniziato ad informarmi, attraverso il loro sito, con conferenze, pareri di ex-alunni e di celebri studiosi. La scuola ha sede in una villa del Settecento sulle colline del Tuscolo (a pochi chilometri riposano le fondamenta della villa di Cicerone), distesa su di un grande terrazzamento che permette di abbracciare con lo sguardo le città di Frascati e di Roma (questo certo non è un trascurabile incentivo!). Le testimonianze del lavoro che vi si svolgeva e la presenza di studenti da tutti i continenti del mondo, erano poi per me bastevoli, per desiderare di farne parte. Non credevo di superare la selezione, ma, per fortuna, mia madre mi ha spinto a persistere nella mia intenzione. Ci spieghi un po' meglio di che scuola si tratta? È una scuola che, nel segno della tradizione dei grandi umanisti, cerca di (re)introdurre un rapporto più diretto con le lingue classiche, senza mediazione alcuna della propria lingua madre, fra traduzioni e commenti al testo. Gli studenti, i quali possono essere sia solidamente preparati che assolutamente ignari della materia, hanno l’opportunità di imparare attraverso particolari libri editi dalla scuola stessa, che presentano testi d’autore della classicità, come Cesare, Cicerone e Sallustio, corredati da immagini o semplici perifrasi (rigorosamente in greco o latino) per agevolare la comprensione del testo. L’utilizzo attivo della lingua è parte integrante del programma, dunque composizioni e dialoghi in latino e, meno frequentemente, in greco, sono gli esercizi più frequenti ed importanti. Gli inizi sono sconsolanti, ma già dopo qualche mese i progressi diventano manifesti. Oltre a questo, si studiano filosofia rinascimentale, l’italiano e la storia dell’arte, focalizzandosi su alcuni periodi particolari, come il Medioevo o il Rinascimento. Si vive come una comunità, dove tutti interagiscono con tutti, e poche semplici norme regolano senza invasione la vita quotidiana. Le camere sono divise a coppie, e la loro manutenzione ci è completamente affidata. Questa, la condivisione delle camere, all’inizio ardua, diventa importante per mettere a fuoco le proprie pessime abitudini e conoscere a fondo la persona che vive con te. Come si svolgevano le tue giornate? Erano giornate particolarmente dense, che non comprendevano solo l’apprendimento del greco e del latino, ma anche altre materie ed attività. Bisogna tener conto infatti che componevamo, nel nostro esiguo numero, una sorta di società, quindi a ciascun studente arano attribuite delle mansioni, inerenti alla pulizia, alla catalogazione della splendida biblioteca e ad altri lavoretti, utili a conservare un discreto ordine e a mantenerci memori delle nostre responsabilità nei confronti degli altri. La mattina esercitavamo il coro, che, per quanta diffidenza possa inizialmente suscitare, si rivela, alla fine dell’anno, l’attività più difficile da abbandonare. Il direttore, il quale è anche insegnante di poesia latina, recupera, da manoscritti medioevali e rinascimentali, melodie per i carmina di Orazio, Catullo, Ovidio fino ad arrivare a quelli di Sant’Agostino e Pascoli, 24


comprendendo Saffo, Alceo e lamelle orfiche. Tutto è adattato secondo le norme metriche, anche se ovviamente non vi è nessuna pretesa di esumare il modo di suonare e cantare degli antichi; è molto utile comunque per memorizzare intere poesie e scoprire la genuina bontà di un carme, che a volte si smarrisce nella monotona scansione metrica. Le lezioni duravano un’ora e mezza, inframmezzate da lunghe pause in modo da permetterci di riposare senza perdere il ritmo e di modulare la stanchezza fino all’ora di cena, le 21, quando ogni lezione cessava e potevamo riunirci, leggere e chiacchierare nella massima libertà. Era un metodo che rimpiango molto, dovendo adesso stare seduto per sei ore consecutive, rinfrancato da misere ricreazioni che ti offrono solo il tempo di palesare la tua stanchezza! Hai fatto amicizia con qualche ragazzo/a in particolare? Le amicizie che ancora conservo sono moltissime, con ragazzi di ogni paese e di diverse età. Ci sentiamo spesso, ed ho avuto l’opportunità di ospitarli e di essere ospitato, ad esempio l’Estate scorsa ho visitato la Grecia e Parigi questo Inverno. Altre amicizie che mi sento di rimarcare sono quelle con i professori, con cui, ugualmente, mi sento e scrivo spesso. La piccolezza della nostra società-scuola faceva sì che l’attività scolastica si assimilasse alla società stessa e che dunque i professori non fossero relegati dietro una cattedra limitando le interazioni, ma anzi ti trattassero da amico prima che da studente, mangiassero e passeggiassero con te, imparando a conoscere i tuoi punti di forza ed i tuoi punti deboli, dedicandoti il loro tempo per qualsiasi questione, dall’uso delle particelle μεν e δε nelle orazioni di Isocrate alla nostalgia di casa. Pensi fosse un metodo di apprendimento migliore quello di seguire lezione direttamente in greco o in latino? Penso che, come il metodo più scientifico preponderante nei licei, abbia grandi pregi e grandi difetti. Un’auspicabile sinergia tra i due metodi comporterebbe per me una sorte di creatura perfetta, in quanto la preparazione più scientifica basata sulle norme della lingua offrirebbe una solida base per il libero sviluppo di essa e per l’affrancamento dalle regole stesse. Dunque non me la sento di indicare un modello di maggiore efficacia, anche se, da un punto di vista prettamente personale, di rado ho provato così tanta passione per ciò che facevo come quando studiavo in Accademia. Il voto non è posto come meta né come incentivo, perché quando conosci così bene un professore, la sua stima e la sua delusione sono gli incentivi più efficaci, e si tende a dimenticarlo cominciando a studiare per il fine dello studio stesso. Come definiresti quest’esperienza? E’ stata, per quanto posso coscientemente affermare, l’esperienza più incisiva della mia vita. Ho cambiato il mio approccio allo studio, alla famiglia, all’amicizia ed infine a me stesso, perché la vita in comunità così piccole è come una lente d’ingrandimento sul comportamento umano e ti concede di notare atteggiamenti ed emozioni che, nel più vasto baratro delle società cittadine, si perdono e confondono e che, così da vicino, inizi, invece, ad apprezzare. Se ne avessi la possibilità, la ripeteresti? Al concludersi dell’anno a Frascati ero talmente dispiaciuto che avevo meditato di trascorrervi un ulteriore anno, ma la maturità mi attendeva e forse mi sarei precluso lo sviluppo di altre passioni che per forza di cose lì non potevo coltivare appieno, come il cinema e le letterature moderne. Ciò che rimpiango maggiormente, oltre ovviamente alle bellissime persone che vi ho incontrato, è la quiete che avvolgeva la villa per tutto il giorno, che ho imparato ad apprezzare e che in piena città non smetto di agognare. 25


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ALLA SCOPERTA DEL MUGELLO

Ì Lago di Bilancino

delLa Franca e Pietro Santi Ì Lago di Bilancino gl’è ì più grande lago finto della Toscana; finto, perché unn esistea mica prima ch’ e’ facessano1 la diga! Ì su’ nome gl’è quello d’ì paesino ch’e’ messano sott’acqua pé pienar ì fosso ndo’ gli stavea. Gl’è largo cinqui km2. Prencipionno a costruillo n’ì 1986 perch’ e’ voleano limitar ì rischio delle alluvione nella piana dell’Arno e pé dar da bere a’ Fiorentini, a’ Pratesi e a’ Pistoiesi, e l’apersano2 n’ì 1999. D’intorno c’enno state fatte delle piste pé le brigighette3, indo’ ci si pole anche far delle belle camminate, ma c’è dimorte attre attività da far n’ì lago: si pò fà ì bagno, si po' andà ‘n canoa, ‘n barca a vela, si pò fà winsèrfe, ma si pole anche pescare (coll’autorizzazzione). Intorno ai’ lago e c’enno parecchie vie bone pe’ camminacci pe’ védere le bellezze naturali di’ luogo. Questa porta fin’ alla lohalithà Bellavista, ch’ee un bon posto pe’ fa e’ picchenicche.

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In chesta fotho si notha ‘he i’ livello dell’acqua di’ lago gl’era basso pecché piosse po’o d’inverno.

GLOSSARIO Facéssano1: facessero; apèrsano2 (anche aprìnno): aprirono; brigighette3: bicicletta; all’incontro4: dall’altra parte.

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Chesta gl’ene una panorami’a ripresa dai pressi di Bellavista da indó’ si pole ammirare le radure e i luhi de’ Monti di San Giovanni all’incontro4 di’ lago.

Qui si vegghe i’ lago in una solita mattinatha invernale, quande la nebbia gl’ene parecchia! L’immagine pe’ conto mio gl’ee dimórto suggestiva!

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Omofobia

di Elettra Masoni e Giulia Ottini

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Il termine omofobia (che deriva dal greco όμός= stesso e φόβος= timore, paura) significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso” e più precisamente si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali. E la paura dell’omosessualità, sia come timore ossessivo di essere o di scoprirsi omosessuale, sia come atteggiamento di condanna dell’omosessualità. Secondo vari studiosi, l’omofobia, dipende in gran parte dall’effetto modellante dei pregiudizi sociali omofobi su un adolescente che sta piano piano scoprendo la propria sessualità. Un gay o una lesbica che fin dall’infanzia percepisce intorno a sé pregiudizi e atteggiamenti negativi – espressi in forma implicita o esplicita – nei confronti dell’omosessualità, può quindi essere indotto a interiorizzare (e cioè ‘credere fermamente a’) parte di tale complesso di pregiudizi sociali, finendo non solo per costruirsi un’immagine di sé negativa proprio in quanto omosessuale, ma sviluppando anche atteggiamenti di rifiuto e omofobi verso gli altri omosessuali. Il pregiudizio omofobico è riferibile alla sfera degli atteggiamenti e si manifesta laddove le credenze, le emozioni e le disposizioni ad agire di un individuo siano caratterizzate da ostilità nei confronti di coloro che si ritiene possano essere attratti da persone dello stesso sesso, senza per questo tradursi necessariamente in forme di azione manifesta contro gay e lesbiche. La discriminazione si situa invece propriamente a livello comportamentale e prevede la messa in atto di forme di azione locutorie e illocutorie tese ad escludere, offendere, umiliare e/o a ledere, in forma più o meno intensa, l’integrità psicofisica di gay e lesbiche. Quando le forme di discriminazione attiva coinvolgono gli adolescenti è appropriato parlare di bullismo omofobico. Questo tipo di bullismo avviene anche in rete. Quando si vive in una cultura basata sulla mancanza di rispetto e di empatia, si agisce con la violenza anche attraverso la rete, ci si nasconde dietro ad uno schermo e si 31

oltrepassano troppe volte i limiti. Si può sfociare nel cyberbullismo con la condivisione di continue prese in giro e la diffusione di foto o video denigratori, o anche nel cosiddetto hate speech, termine che identifica quei discorsi e parole carichi di odio, che hanno lo scopo di distruggere o prendere di mira qualcuno o un gruppo con specifiche caratteristiche, come accade molte volte con le persone omosessuali. Inoltre bisogna anche esporre il parere della Chiesa. Secondo molti l’omosessualità è un peccato che deve essere punito, oppure una malattia che deve essere curata, o ancora la definiscono “contro natura”. Vorrei terminare così, con questa domanda: Da quando l’amore è “contro natura”?


ASSOCIAZIONE SBANDIERATORI DELLA CITTÀ DI FIRENZE di Pietro Santi e foto di Andrea Scopelliti “Il gruppo Sbandieratori della città di Firenze nasce nel 1998 per volontà di un gruppo di amici, da una costola del gruppo Sbandierai degli Uffizi, e fa quindi riferimento, per quanto riguarda le pratiche dello sbandierare, alla classica scuola di bandiera dell’area fiorentina, dal momento che vi sono diversi modi per maneggiare la bandiera nelle diverse zone della Penisola. Il gruppo ebbe subito molto seguito da parte di giovani e non, che avevano interesse nel praticare un’attività tradizionale e rappresentativa della cultura fiorentina. Ogni gruppo di sbandieratori nella città usa diversi colori e diverse bandiere: la nostra associazione fa riferimento ad un affresco di Domenico Ghirlandaio, l’Apoteosi di San Zanobi, posto nella Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio, in cui è rappresentata una bandiera, il Giglio bottonato (sbocciato), dai

colori bianco, rosso e blu.” Queste sono le parole di Davide Bonaiuti, membro dell’Associazione e capo dei musici, che è stato molto disponibile ad essere intervistato per questo numero de I’ Giornalino, affinché questa pratica propria di Firenze sia conosciuta dagli studenti del nostro Istituto. “I costumi riprendono l’effige spagnola, che deriva dal matrimonio tra Cosimo I de’ Medici, primo Granduca di Toscana (e venì’a da i’ Mugello!) ed Eleonora di Toledo, figlia del viceré di Napoli. Per quanto riguarda i simboli, oltre al Giglio emblema della città, si fa riferimento ai principali quattro gonfaloni di Firenze, rappresentanti le 4 aree in cui il Centro Storico è diviso (Santa Croce, Santo Spirito, San Giovanni e Santa Maria Novella).” Davide continua descrivendo l’attività dell’Associazione: “Sono presenti tre gruppi: da un lato gli sbandieratori, dall’altro i musici ed in seguito i figuranti. Gli sbandieratori sono coloro che animano lo spettacolo e portano in piazza i colori e le tecniche della scuola fiorentina, con l’intento di suscitare e rievocare le emozioni legate alle pratiche storiche, non solo di Firenze o della nostra Regione, ma anche di tutta l’Italia. I musici si suddividono in percussioni (tamburi imperiali e rullanti), che hanno il

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compito di scandire tutti gli esercizi degli sbandieratori, e nelle chiarine che sono trombe naturalizzate di stampo tradizionale ed hanno lo scopo di accompagnare musicalmente i ritmi e le figurazioni degli sbandieratori. I figuranti sono coloro che indossano i costumi durante le esibizioni ed i cortei e fungono da contorno per il contesto storico.” Davide continua spiegando le origini della pratica dello sbandieratore “In origine il soldato che aveva il compito di portare lo stendardo, veniva chiamato alfiere, termine derivante dall’arabo e significa cavaliere che portava le insegne. Egli aveva due compiti: il primo era quello di segnalare sul campo di battaglia le opportune decisioni strategiche da riferire agli ufficiali ed alle truppe, poi di comunicare i movimenti da compiere alle truppe. La carica poi si è affinata col passare dei secoli ed i vari codici di segnalazione militare che si riferivano alla guerra si sono evoluti in veri e propri trattati, in cui venivano descritti tutti i metodi per muovere l’insegna, come lanciarla, come tenerla e come attaccare con questa. I lanci tradizionali degli sbandieratori derivano dalla volontà di non far cadere il vessillo nelle mani nemiche.” In seguito chiedo a Davide la composizione della bandiera: “La bandiera è composta da un’asta, in passato fatta in legno, quella più moderna in fibra di carbonio, con un contrappeso in fondo, così da darle bilanciamento, e da un drappo dalle dimensioni variabili (1 metro o più), in stoffa od in microfibra. Generalmente la bandiera pesa un chilo. Le bandiere adibite alle rappresentazioni hanno un peso maggiore rispetto a quelle da gara. Davide poi ci racconta la sua esperienza: “Sono entrato a far parte del gruppo nel 2010, avevo appena finito l’università e per caso trovai un volantino di questa Associazione, per cui mi sono incuriosito e sono andato a provare. Nell’aprile 2011 divenni sbandieratore e fu molto l’esibizione in piazza davanti a migliaia di persone fu molto emozionante. Nel 2015 decisi di cambiare ed iniziai a suonare la chiarina fino al 2018, anno in cui sono passato nelle percussioni, 32

diventando l’anno scorso primo rullante e responsabile dei musici nel consiglio direttivo.” Continuo l’intervista chiedendo a Davide quali fasce di età contemplano la partecipazione all’Associazione “Non c’è una fascia di età precisa, in quanto nel corso degli anni la nostra Associazione ha cercato, tramite gli istituti scolastici, di diffondere tale pratica pure ai bambini delle elementari, anche perché esistono strumenti differenziati in base all’età (bandiere più piccole e meno pesanti, strumenti più corti…). Tuttavia per l’entrata organica all’interno del gruppo, l’età di riferimento è 11/12 anni.” “Noi ci alleniamo tutti insieme il mercoledì di ogni settimana, presso la palestra della scuola media Marconi a Novoli dalle 20.30 alle 23. Ci sono anche altri allenamenti per ogni gruppo dell’Associazione, i cui membri si mettono d’accordo per ritrovarsi e fare pratica.” Davide conclude l’intervista dicendo i luoghi in cui l’Associazione è stata: “Attraverso le organizzazioni che ci chiamano per esibirci, abbiamo fatto molti viaggi all’estero, nello specifico in Germania, in Francia, in Spagna, però siamo stati anche in Brasile, in Cina, in Belgio, in Etiopia, in Gran Bretagna…” È stato molto interessante scoprire l’Associazione degli Sbandieratori di Firenze, un gruppo che guarda alle tradizioni dell’antica città, riproponendole e dando loro nuovo respiro nonostante i secoli passati. Ringrazio molto Davide della sua disponibilità per il Giornalino! Se siete interessati a far parte di tale gruppo andate a vedere le pagine Instagram sbandieratori_citta_di_firenze e Facebook e il sito: http:// www.sbandieratorifirenze.com/ita/ default.asp


CONTATTI @i_giornalino I’Giornalino dell'Alberti Dante ilgiornalinoalbertidante@gmail.com


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