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LE PARABOLE DI GESÙ
LA TENEREZZA DELLA PATERNITÀ 4. Creazione di Eva. Particolare della porta bronzea del duomo di Hildesheim, 1015.
Doppia pagina seguente: 5. Creazione di Adamo, con la testa sulle ginocchia del Padre, e di Eva, quasi sorretta dal Padre. Archivolto della porta centrale del portale nord della cattedrale di Chartres.
mati a mantenere una ineffabile relazione personale con lui, e per amore si è fatto coinvolgere nella nostra storia, la storia umana che, in realtà, descrive con precisione, in mille modi, questo incontro continuo. Dio ha mantenuto sempre l’iniziativa e noi ci siamo trovati ineffabilmente avvolti dalla sua tenerezza. Questo amore è gratuito, non dipende dai nostri meriti, né dalla nostra insistenza, né dalle nostre preghiere. L’iniziativa è stata sempre completamente sua. Egli ci ha amato per primo, tanto che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza. Gesù ci ha ricordato che Dio fa piovere sui buoni e sui cattivi, comprende le nostre debolezze e ci aiuta nei nostri bisogni, e il profeta Isaia ci dice che il Signore ha sempre riguardo per le nostre limitazioni: «Io farò scorrere acqua sul suolo assetato, torrenti sul terreno arido. Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri» (Isaia 44,3). Il popolo di Israele si è sentito amato, protetto e difeso dal suo Dio in ogni momento. Nella Scrittura, quando si descrive chi e che cosa è l’uomo, leggiamo che è qualcuno «di cui Dio si ricorda», «che Dio ama», è «l’uomo di Dio». Dio stesso lo dice: «Io sarò il vostro Dio». A questo Dio capace di amare e di darsi, la creatura deve corrispondere perché solo in questa corrispondenza incontrerà la propria pienezza, il proprio senso e la propria felicità. Per questo motivo il primo comandamento, come nostra risposta riconoscente, consiste nell’amare Dio sopra ogni cosa, «con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Matteo 22,37). Nel corso di questi duemila anni, i cristiani si sono sentiti amati da Dio nella semplicità delle loro vite, nella letizia familiare, nei villaggi sperduti, nella solitudine dei conventi, nella malattia, nella persecuzione, nell’allegria e nella serenità. «Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Salmi 145,9). Non esiste Chiesa senza croce né senza commemorazione quotidiana del sacramento di Cristo. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Giovanni 3,16). La consegna del Figlio costituisce il nocciolo del cristianesimo, la sua dottrina più importante, il pegno dell’interesse e dell’amore di Dio per i suoi fi gli. Dottrina curiosa quella del cristianesimo, che incentra il suo messaggio sulla debolezza di Dio a causa del suo amore, sul sacrifi cio del Figlio sulla croce a causa di questo amore ineffabile e misterioso. Noi che viviamo nella debolezza, nell’incertezza, nell’insicurezza, siamo capaci di comprendere il potere purifi catore e riconfortante dell’amore divino. Per chi ama, il tempo è l’eternità, per il bambino l’amore del padre è la sua bussola e la sua fortezza, e per l’adulto è il suo sostegno e il suo equilibrio. Per l’essere umano l’amore di Dio è il vero punto di riferimento, il senso profondo della vita, l’orizzonte vitale dell’esistenza. L’immagine che ci facciamo di Dio segna e determina lo stile, la dottrina e i riti delle religioni. Il cristianesimo, nell’identifi care Dio con l’amore, si presenta come la religione della fraternità, dell’abbandono generoso, della speranza e dell’allegria condivise. «Dio della mia gioia» (Salmi 43,4), «Dio della mia vita» (42,9), «Dio della mia lode» (109,1), «Dio della mia speranza» (39,8), «Roccia del mio cuore» (73,26) sono alcune delle defi nizioni presenti nell’Antico Testamento, e nel Nuovo Cristo appare come l’amico, il pietoso, il prossimo, il misericordioso, il benigno. Il peccato consiste nel non conoscere l’amore e nel non essere capaci di amare. L’amore è la legge, e la giustizia è l’espressione dell’amore. Se amiamo siamo giusti come Cristo è stato giusto. L’adultera, condannata dalla Legge, fu salvata dall’amore. I farisei vollero applicare la Legge senza averla vissuta, cioè senza amare. Cristo risolve il caso perdonando, riconciliando. In realtà la solidarietà, come la carità, prima di essere un dovere è una constatazione. Signifi ca sentirsi legati a qualcuno, condividere il suo destino, mettersi al suo posto. Nella sua bellissima lettera sull’amore, l’apostolo Giovanni scrive che chi non ama non ha conosciuto Dio, e che Dio è amore. Tutta la storia umana si riduce all’amore e alla mancanza di amore, alla
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grazia e al peccato, alla capacità di sentirsi fi gli del Padre e a chi non è stato capace di incontrare compagnia e va errante, vagando per il mondo come un nuovo Caino. «Tutte le possibilità dell’errore», ha scritto il poeta Paul Valéry, «stanno in colui che odia». Se nella Chiesa avessimo accolto seriamente l’affermazione dell’apostolo, la nostra storia sarebbe stata diversa, le nostre comunità sarebbero state diverse, i nostri rapporti avrebbero altre caratteristiche; nonostante ciò, allo stesso tempo, riconosciamo di buon grado che la storia della carità occupa un capitolo importante della nostra vita credente e fraterna. In effetti, risulta goiosamente rivelatore considerare quanti cristiani hanno pensato che non ci fosse modo migliore di trasmettere l’amore di Cristo che con cataplasmi e impiastri, linimenti e compresse, pulizia e tranquillità. Quale ministero è stato preferibile nel corso della storia a quello della guarigione? Misericordia e protezione è ciò che chiediamo a Dio. Misericordia, amore e vicinanza è ciò che chiediamo ai nostri fratelli. «Ti benedico, o Padre […] perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Matteo 11,25), ha detto con riconoscenza Gesù, perché tutti possiamo comprendere e amare un Dio che ci parla di famiglia e fratellanza, di amore, generosità e servizio, un Dio che si fa uomo e soffre con noi; un Dio che ci si presenta nella nostra vita quotidiana, nella nostra esperienza umana e familiare. Enorme e gioiosa responsabilità è quella dei cristiani, di essere strumento e testimoni di questo amore creatore e salvatore; enorme fallimento quando, al contrario, si trasformano in ostacolo e causa di allontanamento. «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Matteo 7,22-23).

Capitolo 2 LE PARABOLE DI GESÙ
Nel suo colloquio con Nicodemo, questo ebreo inquieto capace di scoprire in Cristo il Maestro che darà risposta alle domande che lo turbano, Gesù gli chiede, con suo stupore, un cuore nuovo, di nascere di nuovo dallo Spirito (Giovanni 3,3). In realtà, ciò che gli sta domandando è di rimanere aperto al Signore e di non restare nell’atteggiamento chiuso e ostinato dei suoi antenati: «Non indurite il cuore, come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto» (Salmi 95,8). Con questo stesso atteggiamento, il profeta Samuele diceva al giovane Saul: «Lo spirito del Signore investirà anche te […] e sarai trasformato in un altro uomo» (1 Samuele 10,6) e il salmista aveva supplicato Dio: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Salmi 51,12). I discepoli sapevano che, grazie allo Spirito, l’amore di Cristo che salva e rigenera trasforma le nostre esistenze, dominate dall’egoismo e dal peccato. Le parabole di Gesù, questi racconti agili e perturbanti, diretti al cuore di chi li ascolta, ci presentano personaggi mossi dalla generosità, dall’amore e dalla misericordia propri di un cuore purifi cato e generoso. In questo senso, la conversazione con Nicodemo costituisce una vera e propria parabola: non si possono comprendere le parole di Gesù né mettere in pratica i suoi insegnamenti, non si può accogliere Cristo né credere nel Padre, se non si trasformano i nostri cuori di pietra in cuori di carne, se non si cambiano le nostre intenzioni, se non si purifi cano i nostri desideri. In una parola, se non ci sforziamo di cambiare e di convertirci, per rinascere di nuovo con uno spirito generoso, accogliente e limpido, risulterà impossibile comprendere il vero senso del messaggio e delle richieste di Cristo. Forse, la parabola che ci illustra meglio ciò che Gesù ci propone, che ci avvicina di più alla sua intenzione, è quella che ci parla di un samaritano, membro di un popolo considerato dagli ebrei come impuro e inferiore, il quale, mentre si trovava in cammino, si imbatté in uno sconosciuto assalito dai banditi, che lo avevano abbandonato ferito e malconcio sul ciglio della strada, dopo averlo derubato. In questo incontro con la sofferenza e l’abbandono, il samaritano si rivela come una persona che ama, una persona dal cuore aperto che si commuove davanti al bisogno dell’altro: «Gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicen-

1 1. Cristo e Nicodemo. Particolare di una miniatura del Vangelo egiziano dell’Institut Catholique di Parigi, 1249 ca.

2. Missione degli apostoli. Miniatura dell’evangeliario Sijsky, Mosca.
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do: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno» (Luca 10,34-35). In questa preziosa parabola, Gesù ci dice che il prossimo offre a ciascuno di noi la possibilità di comportarci come dobbiamo, incamminandoci in direzione di Dio. Il «buon samaritano» è rimasto nella storia del cristianesimo come un esempio da seguire, come espressione dell’amore cristiano per il prossimo, un prossimo sconosciuto e, tuttavia, fratello. Il primo buon samaritano fu in realtà Cristo, che «passò benefi cando» (Atti degli Apostoli 10,38), insegnando la buona novella mentre curava i cuori e i corpi di coloro che incontrava. I suoi discepoli, seguendo il suo esempio e le sue esortazioni, fi n dalla prima volta in cui furono inviati a proclamare il regno di Dio, «annunziarono dovunque la buona novella e operarono guarigioni» (Luca 9,6). La parabola insegnò ai cristiani che per il Maestro tutti gli uomini erano fratelli e a tutti dovevano aiuto, affetto e protezione. La storia successiva è stata sempre una storia di generosità ed egoismo, di peccato e grazia, ma credo di non esagerare se dico che buona parte dei cristiani si è convertita nel corso dei secoli in samaritani preoccupati per i loro fratelli sofferenti e dolenti. Sono credenti che, seguendo l’esortazione divina, hanno identifi cato la pienezza della Legge nell’amore di Dio e del prossimo. Quanti nomi illustri hanno segnato le epoche con i loro atti di amore e di dedizione a favore dei fratelli derelitti! Quanta povertà e ingiustizia presenti sulla terra sono state estinte e umanizzate dalla creatività, dalla bontà e dal sacrifi cio di tante persone il cui nome è sconosciuto, la cui memoria perdura solamente nella bontà di Dio. La storia che leggiamo e conosciamo corrisponde, in generale, a quella dei personaggi famosi, politici, intellettuali, papi e santi. Ma il mondo è progredito, soprattutto, grazie agli innumerevoli sconosciuti, ai cittadini senza nome, che con il loro lavoro modesto e silenzioso hanno ottenuto che la vita spesso diffi cile e ingrata dei popoli migliorasse. È fra di loro che potremmo scoprire tanti samaritani che hanno reso più sopportabile l’esistenza diffi cile e miserabile dell’immensa umanità senza voce che ha abitato nei villaggi, nei paesi e nelle borgate della terra. Questa illimitata bontà nascosta che non può essere raccontata, ma che popola il cielo di santi, è la forza rigeneratrice e rinnovatrice del genere umano. Il popolo cristiano ha confi dato con costanza e sicurezza nel Dio buono e vicino. Per mezzo della litur-