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IL MARTIRIO, SEGNO D’AMORE PER DIO E PER GLI UOMINI

Capitolo 13 EVANGELIZZARE È AMARE

«Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Matteo 28,19) furono le parole di Gesù nel momento del suo congedo defi nitivo, e a partire da quell’istante gli apostoli e i loro seguaci dedicarono i loro sforzi ad annunciare al mondo la buona novella di Cristo. In realtà, quest’annuncio costituì la conseguenza più impegnativa dell’amore dei discepoli per Cristo e per i loro fratelli. La loro fedeltà al Maestro e il loro impegno solidale con giudei, greci e romani li portò a spendere le proprie vite nell’annuncio del Vangelo, che era l’annuncio dell’amore di Dio per gli uomini. La storia del cristianesimo è la storia degli araldi della vita e della dottrina di Cristo. Gli apostoli furono i primi a raccontare il loro incontro e la loro esperienza personale con Cristo, incontro che aveva cambiato le loro vite e che dovevano comunicare agli altri: Giacomo a Gerusalemme; Giovanni a Patmos e a Efeso; Pietro ad Antiochia e a Roma; Paolo nel corso delle sue peregrinazioni mediterranee, che si conclusero defi nitivamente a Roma; Tommaso in India… In poco tempo, i discepoli si diffusero in Africa, Europa e parte dell’Asia, costituendo comunità nelle principali città del mondo conosciuto. Ogni atto di evangelizzazione ha la medesima causa e il medesimo metodo, l’urgenza di annunciare agli altri l’amore e la pace che si sentono nel proprio cuore; e ci si sente capaci di affrontare ogni genere di peripezia per riuscire a fare questo. I popoli barbari rappresentavano una grave minaccia per l’Impero; al contrario, per il cristianesimo costituirono una nuova occasione per estendere il regno di Cristo e per far sì che altri popoli conoscessero la chiamata e il progetto divini. Troviamo questa contraddizione nella Città di Dio di sant’Agostino. Agostino si sentiva orgogliosamente cittadino romano e diffi dava probabilmente dei nuovi popoli che irrompevano senza chiedere permessi nell’Impero, ma fu consapevole della sfi da che la possibilità di estendere la conoscenza di Cristo comportava per i cristiani. È la storia di Clodoveo e dei Franchi, di Recaredo e dei Visigoti, di san Martino e dei Suebi, di Teodolinda e degli Ostrogoti. Gli inizi della civiltà occidentale devono essere ricercati nella comunità di popoli diversi uniti dal cristianesimo, che si era formata nel momento in cui era crollato l’Impero romano e in seguito alla conversione al cristianesimo dei vari popoli barbari. Per costoro, la Chiesa si presentava con il prestigio di una civiltà raffi nata, rafforzata dalla legge e dalla cultura romane, e fi nì per trasformarsi nella loro educatrice e legislatrice. Nel profondo cambiamento religioso e culturale di questi secoli barbarici, i vescovi e le parrocchie svolgono un compito decisivo. Si trattava di edifi care comunità cristiane capaci di trasformarsi in luoghi di incontro di cristiani vecchi e nuovi e in tessuti sociali che unissero le popolazioni nella loro vita religiosa e culturale. La cultura cristiana, che andò impregnando la vita di questi popoli, aveva come centro la liturgia, pervasa da una vasta tradizione di poesia, di musica e di simbolismo artistico-religioso. Di fatto, sia l’arte bizantina sia l’arte medievale, così come la cultura e il teatro popolari, non possono comprendersi senza una certa conoscenza dell’origine e dello sviluppo storico della liturgia. Le rappresentazioni della passione e della natività, così come le celebrazioni del culto cristiano e delle feste dei santi, stanno alla base della cultura rurale e fanno da ponte verso la cultura superiore ecclesiastica e letteraria del tempo. Le chiese costituivano per i popoli al medesimo tempo spazio di preghiera e di incontro personale con Dio ma anche scuola, teatro e galleria d’arte. L’uomo nuovo si caratterizzava per i princìpi dottrinali

1. Quando i visigoti giungono in Spagna, agli inizi del VI secolo, sono una minoranza rispetto agli ispano-romani, e conservano le loro tradizioni. La fi bula custodita al Museo Arqueológico di Madrid, che mantiene le caratteristiche dell’orefi ceria ostrogota, ne è un chiaro esempio. 2. Corone visigote, oggetti votivi offerti ai santi in cerimonie uffi ciali. L’unifi cazione religiosa della Spagna si compie nel 576 con il re visigoto Leovigildo, poi ratifi cata dal III concilio di Toledo, nuova capitale nel 589. Per i visigoti, ariani convertiti al cattolicesimo, l’orefi ceria preziosa aveva importanti funzioni pubbliche.

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3. Torre-lanterna quadrata al centro della chiesa di San Pedro de la Nave, VII secolo, Zamora, Spagna. Caratteristico esempio di architettura visigota. 4. Dopo la conversione di re Clodoveo, i franchi si mantengono cristiani. Del tutto eccezionale è il sarcofago collegato al vescovo di Parigi Agilberto, fratello della badessa Teodechilde, uno degli uomini di Chiesa più importanti del VII secolo. Sulla testata il Cristo imberbe in trono, in posizione frontale e con il libro aperto, racchiuso nello spazio celeste secondo la visione di Ezechiele, è circondato dai simboli dei quattro evangelisti. La sacralità e la ieraticità dell’immagine evocano schemi iconografi ci orientali, trasmessi per via diretta o indiretta.

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5. Coperta dell’evangeliario della regina longobarda Teodolinda. Museo del Duomo, Milano. 6. Annunciazione e Visitazione. Scena, fortemente rovinata, di un importante ciclo di affreschi, di epoca longobarda o appena successiva, dedicato alla vita della Madonna. Chiesa di Santa Maria Foris Portas, Castelseprio, Lombardia.

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EVANGELIZZARE È AMARE

7. Il Vangelo di Lindisfarne, creazione del secondo decennio dell’VIII secolo dello scriba e miniatore Eadfrith, contiene anche raffi gurazioni innovative, che recuperano in modo limitato e originale il naturalismo dei prototipi importati dal Mediterraneo. British Library, Londra (ms. Cotton Nero D. IV).

7 e morali evangelici e per una cultura che si andava formando alla loro ombra. Incontriamo così le ricche e variegate liturgie della Spagna visigota, della Gallia merovingia, del rito ambrosiano dell’Italia del Nord e della solenne tradizione romana che, in diverse maniere, fi nirà per imporsi nell’Europa centrale e settentrionale. Naturalmente, bisogna ricordare una volta di più che la nostra vita consiste in una peregrinazione che tende alla perfezione, ma che rimane condizionata dall’argilla con cui siamo plasmati. «Già e non ancora» è il motto del nostro cammino terreno16 . Gregorio Magno inviò il monaco benedettino Agostino e quaranta suoi compagni nelle isole britanniche, dopo aver incontrato a Roma un giovane di quelle terre che non sapeva neppure che Cristo fosse esistito. Non esitarono a sopportare diffi coltà, pericoli e catastrofi , purché quei popoli si convertissero alla vera religione. Non si trattava certo di ottenere potere e prestigio, ma di far sì che Dio venisse conosciuto e che quelle genti vivessero nella verità. Nulla a che vedere, né in questo né in altri casi, con i processi di conquista e colonizzazione; l’impulso partiva dal desiderio di far conoscere e riconoscere la gloria di Dio a popoli che vivevano nell’errore e nell’ignoranza. La gioia di amare Cristo li spingeva a condividere la loro esperienza con quelli che ancora, per pura ignoranza, restavano ai margini. Non mancano nel Medioevo spedizioni audaci verso lontani paesi dell’Oriente, con Francescani, Domenicani o sacerdoti diocesani che pretendono di penetrare in società sconosciute e molto chiuse per predicarvi il Vangelo. Quasi sempre fallirono e, spesso, questi coraggiosi messaggeri persero la vita, ma furono cionondimeno apprezzati per le loro generose intenzioni. L’urgenza di questo annuncio indusse san Francesco a viaggiare in Egitto e, con audacia francescana, a parlare del Salvatore con il sultano Malik al-Ka -mil in persona, annunciandogli che era venuto a parlargli di Dio per salvare la sua anima; indusse il terziario francescano di Maiorca Raimondo Lullo a ideare argomenti e metodi di predicazione adatti alla mentalità dei musulmani, in modo da catturare la loro attenzione («Vidi che i cavalieri andavano oltremare e in Terra Santa, immaginandosi di recuperarla con la forza, fi nché alla fi ne si stancavano senza riuscire a realizzare il loro proposito. Per questo pensai che questa conquista dovesse essere eseguita come l’avevi realizzata Tu, Signore, con i tuoi apostoli, cioè per mezzo dell’amore, delle preghiere e delle lacrime versate»); indusse Giovanni da Montecorvino a predicare a Pechino, capitale della dinastia mongola. L’America fu per la Chiesa della Controriforma l’occasione insperata di rinnovare l’avventura apostolica, portando il lieto annuncio e insegnando a moltitudini che non avevano mai sentito parlare di Cristo, e battezzandole. Tanto l’evangelizzazione americana del XVI secolo quanto quella africana dei secoli XIX e XX, date le condizioni politiche e sociali, furono accompagnate da elementi distorsivi che resero diffi cile la comprensione dell’azione delle Chiese e dei missionari. I diversi processi di colonizzazione dei vari imperi, con la loro onnipresenza militare e amministrativa, risultarono tanto globali, invasivi e totalizzanti, che non si riuscì a eludere il pericolo di confondere la presenza politica con la presenza religiosa, con conseguenze negative per l’apprezzamento dell’attività religiosa. Gli estremi che la cupidigia, l’avarizia, i pregiudizi e la violenza possono raggiungere, per quanto universali siano, risultano diffi cilmente compatibili con le esigenze evangeliche. Gli esempi dei primi anni della colonizzazione del Congo e dell’estrazione del caucciù nell’Amazzonia peruviana e brasiliana apparvero terribili già nel XX secolo. Quasi tutti i protagonisti erano cristiani e, benché la maggioranza degli storici salvi, in generale, l’azione dei missionari, non possiamo fare a meno di chiederci come poté sembrare compatibile la tragedia di tanti popoli con l’annuncio di un Dio misericordioso. Ancora una volta, convivono nella comunità cristiana il peccato con la grazia, la generosità e la preoccupazione per i diritti delle popolazioni autoctone con l’egoismo e la crudeltà più atroci. Ciononostante, al di là delle indubitabili debolezze e delle complicità con l’ingiustizia e l’oppressione, non è diffi cile riconoscere la genuina volontà evangelizzatrice, fatta di puro desiderio di aiutare, di guidare, di guarire e salvare popolazioni che si trovavano, prima e dopo la conquista, in situazioni di abbandono, miseria e angustia. Bartolomé de Las Casas, Turibio de Mogrovejo, Pietro Claver, José de Anchieta, Martino de Porres («fray Escoba»),

8. Bartolomé de Las Casas aveva una encomienda nella città di Sancti Spíritus, a Cuba. Resosi conto della brutalità del colonialismo, la abbandonò in favore della sua missione per gli indios. Nella foto si vedono la cattedrale e il ponte sul fi ume Yayabo. 9. Particolare del frontespizio illustrato della Brevísima relación de la destrucción de las Indias, redatta da Bartolomé de Las Casas, Siviglia 1552. Questa requisitoria contro i massacri e le spoliazioni che ebbero luogo in occasione della colonizzazione spagnola in America Latina faceva parte, per il domenicano, del suo ruolo di «protettore degli indiani».

António Vieira, Giovanni de Brébeuf, Junípero Serra, Daniele Comboni, Albert Schweitzer sono solo alcuni dei nomi nelle generazioni di missionari che hanno guidato i diversi popoli – che si trovavano senza saperlo in un momento chiave della loro storia – creando scuole e ospedali, difendendone la cultura e i diritti per cinque secoli, con l’unica speranza di aiutare tanti bisognosi, e mossi solo dal desiderio di seguire il mandato del loro Maestro. Non tutti furono ugualmente generosi e liberi da pregiudizi o interessi; non tutti, certamente, furono capaci di scorgere in ciascun volto umano il rifl esso della bellezza divina; ma non c’è dubbio che grazie a loro la storia di questi popoli, in più di un momento, risultò più umana e più libera. In effetti, i missionari difesero con valore l’uguaglianza degli esseri umani, la loro capacità di riconoscere il mistero di Dio e di Cristo, la loro compartecipazione al peccato originale e alla redenzione di Cristo, gli uguali diritti di tutti. Non credettero all’utopia illuministica del «buon selvaggio», ma nemmeno accettarono che gli indigeni fossero sudditi con meno mezzi e diritti degli altri. L’invasione e la colonizzazione di tanti popoli ad opera dei cristiani ha costituito, probabilmente, il motivo più doloroso di contraddizione ma anche più appassionante della storia cristiana. Questi cristiani hanno mostrato nelle loro azioni e nei loro rapporti con gli abitanti delle terre conquistate il legame esistente fra il peccato e la grazia, tra la fedeltà e l’incoerenza, tra la fraternità e l’egoismo. La presenza cristiana introdusse allo stesso tempo un maggiore rispetto per la persona umana, più alti livelli di educazione e di convivenza, una concezione della morale più pura, una nozione di religione più sublime e benefi ca e, insieme, un’oppressione, una manipolazione e un egoismo voraci, non più grandi di quelli che avevano sopportato in passato, ma più ingiusti e inaccettabili. Non dimentichiamo la protesta di Hélder Câmara: «Quanti erano quelli che non trattavano i neri come animali senz’anima, che si potevano ingannare, sfruttare, frustare, persino uccidere, senza il minimo rimorso?».

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9 10. Missione di San Luis Rey, California, fondata nel 1798, dopo la morte di Junípero Serra. Il francescano Junípero Serra è stato il principale fondatore delle famose «missioni» in California, luoghi per accogliere i nativi. L’opera missionaria californiana iniziò nel 1774 con un gruppo di confratelli; i nomi delle città della California corrispondono ai nomi delle missioni.

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