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EVANGELIZZARE È AMARE

Nel XXI secolo gli Ospedalieri mantengono il carisma del loro fondatore negli ospedali e nelle cliniche in cui si occupano principalmente delle persone senza tetto, come espressione della dimensione della gratuità; dei malati in fase terminale, accolti e assistiti nei centri di cure palliative; dei malati di AIDS; dei tossicodipendenti; degli immigrati, degli anziani e delle persone in condizioni di infermità e di disabilità croniche. Continuano dunque a vivere il Vangelo della misericordia là dove esiste povertà, malattia e sofferenza32 . Alcuni anni più tardi troviamo Camillo de Lellis, che patì per buona parte della vita il dolore e la preoccupazione causati da una piaga maligna e incurabile a un piede, e fu testimone della disastrosa situazione della maggioranza degli ospedali romani, che si trovavano con pochi mezzi e in mano a persone senza la vocazione o la voglia di sopportare le miserie dei malati che avevano in cura. Tentò di convincere i responsabili che «a chi soffre e prova dolore non si può chiedere pazienza, bensì offrirgliela», ma non ebbe molto successo. Risultava molto diffi cile chiedere professionalità a chi non era preparato, mentre pretendere la carità è impossibile se essa non proviene dall’amore per Dio, se non è ispirata dal Signore. A un certo punto della sua vita, il 2 febbraio 1575, pentito delle malefatte giovanili, convertitosi a Dio, Padre di tutte le creature, scopre nel profondo del proprio animo l’identifi cazione di Cristo con i malati. «I poveri malati sono la pupilla e il cuore di Dio, e ciò che facciamo a questi miseri lo facciamo a Dio stesso», scrisse ai suoi religiosi; agì di conseguenza per tutta la vita. Resosi conto che spesso i comportamenti degli addetti, non derivando da vero amore ma solo dalla paga e dalla noia, non corrispondevano agli obblighi più elementari, ritenne indispensabile riunire uomini pietosi, capaci di commuoversi alla vista di un fratello ferito, ben decisi a dedicarsi ai più poveri dei poveri, quelli che non potevano contare nemmeno sul proprio corpo. Troviamo di nuovo in san Camillo la manifestazione tangibile del fatto che la carità non consiste di parole e teorie ma di fatti, di azioni, di dedizione personale – la formula «carità come azione» compare decine di volte nelle prime Regole – in modo che la vita si riduce alla carità, costantemente in cammino, dedizione generosa a quanti piangono per la loro miseria, che non conserva nulla per sé. Questa consegna e il servizio ai malati devono compiersi «con l’affetto che prova una madre amorosa quando il suo unico fi glio è malato». Bella espressione, usata per la prima volta dagli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, che mette in relazione l’amore generoso, privo di contropartite e costante di una madre con l’amore di Dio. Viene usata anche da san Vincenzo de’ Paoli quando si rivolge alle Figlie della Carità: «La vostra premura principale deve essere quella di servire i poveri malati con molta dolcezza e cordialità, compatendo i loro mali, ascoltando i loro lamenti come fa una buona madre; perché essi vi considerano come nutrici e come persone inviate da Dio per assisterli». Il protagonista unico è il malato, la priorità assoluta spetta a lui: «Ciò che più deve interessare ai religiosi sono i problemi dei malati, recarsi là dove si trova il dolore, la peste, la miseria». A Napoli cinque religiosi, chiamati dalle autorità militari, furono inviati su alcune navi spagnole in cui si trovavano soldati in quarantena, malati di tifo petecchiale o «castrense». I religiosi ubbidirono «sapendo con certezza di andare incontro a morte sicura per amore di Dio, e rendendo grazie alla santa obbedienza per averli giudicati degni di ciò». Nel 1590 la peste devastò la città di Roma e troncò la vita di 30.000 esseri umani. Coloro che assistevano gli infermi si moltiplicarono e stettero presenti negli ospedali, nelle case private e nelle strade, con carità, umiltà, mansuetudine e compassione. Venticinque giovani religiosi diedero la vita in questa occasione. Leggendo le cronache di questo e di altri trionfi , ricordiamo le parole di Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Giovanni 15,13). Per trent’anni san Camillo passò buona parte del suo tempo all’ospedale di Santo Spirito in Sassia, un complesso medievale ricostruito da Sisto IV in splendido stile rinascimentale. Ancora oggi vi si può ammirare l’immensa galleria di 120 metri di lunghezza per 20 di larghezza e 30 d’altezza, lungo la quale si allineavano i letti dei malati, talvolta dotati di baldacchino. Al centro, sotto una cupola ottagonale, un altare e un bellissimo tabernacolo del Palladio. In un linguaggio estetico straordinario si traduceva la pagina evangelica, con Cristo circondato da trecento infermi, Cristo al centro della sofferenza umana. Probabilmente il luogo non era il più adatto in cui collocare l’altare e distribuire i sacramenti, ma non c’è dubbio che

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4. Pierre Subleyras, Camillo de Lellis salva dallo straripamento del Tevere gli ammalati dell’ospedale di Santo Spirito. Olio su tela, XVIII secolo. Museo di Roma.

5-6. La torre centrale ottagonale e l’imponente corsia Sistina del braccio sud dell’ospedale di Santo Spirito in Saxia, Roma. Pagina seguente: 7. Chiostro interno dell’ospedale della «Ca’ Granda», Milano, progettato da Filarete, dove i Camilliani fondarono una casa dopo quelle di Roma e Napoli.

questa disposizione costituisse un simbolo splendido della pratica della carità: da Cristo presente nell’eucaristia a Cristo presente nei malati, malati che Camillo, come più tardi Vincenzo de’ Paoli con i poveri, trattò sempre come se fossero i suoi signori e padroni. Troviamo questi religiosi anche nelle infermerie delle carceri, in cui aiutavano i prigionieri nei loro bisogni e li consolavano. In realtà, i cristiani hanno prestato servizio nelle prigioni fi n dai primi tempi, soprattutto perché vi si trovavano fratelli accusati di appartenere a una setta eversiva dell’ordine sociale, ma anche, più tardi, per la consapevolezza che la vicinanza ai delinquenti di ogni genere costituiva un’opera gradita al Padre celeste. Non li visitavano e aiutavano perché ne ignorassero la malizia e i peccati commessi, ma al contrario proprio perché li conoscevano, perché Cristo era venuto a giustifi care i peccatori, e i suoi discepoli quindi potevano ben tentare di convertire cuori che molto spesso si erano sviati non del tutto per colpa propria. Il motto di san Camillo era «Più carità in mano», e il suo primo biografo scriveva che, come Dio veniva lodato dai monaci con il canto e con la voce, così era lodato con le mani da chi assisteva gli infermi, realizzando opere vive di pietà per il prossimo. Per i religiosi Camilliani, cioè, i mattutini e le ore canoniche erano rappresentati dall’assistenza e dalla vigilanza prestate negli ospedali e presso gli agonizzanti. Erano senza dubbio dei contemplativi, perché vedevano e amavano Cristo costantemente nei malati, e a questi dedicavano tutte le loro cure, tutto il loro tempo. Dio veniva inoltre lodato allo stesso modo dai molti volontari laici che aiutavano questi religiosi e le religiose Ospedaliere, fondate da san Benedetto Menni, tanto nel lavoro pastorale quanto nel servizio agli infermi nei molti ospedali che gestivano. Negli ultimi anni del suo generalato si verifi cò una controversia profonda tra il fondatore e buona parte dei suoi confratelli, riguardo al problema se fosse o meno conveniente che i religiosi assumessero in prima persona l’incarico e la conduzione degli ospedali. Ma, al di là delle ragioni delle due posizioni, appare in questa discussione una realtà continuamente presente nella storia della Chiesa e che abbiamo già incontrato nella vita di san Francesco. Incentrare tutto sui malati non danneggia, complica e limita la vita dell’ordine? Non risulterebbe più ragionevole dare la priorità alla vita dei religiosi piuttosto che alle esigenze degli infermi? Non si dovrebbe subordinare l’opera in favore dei malati poveri all’organizzazione, alla preghiera, alla formazione dei religiosi? San Bonaventura lo vide chiaramente con i Francescani, e i padri generalizi che succedettero al fondatore lo videro con i Camilliani; ma certamente né Francesco, né Giovanni di Dio, né Camillo avevano guidato le proprie vite secondo le regole del buon senso. esistente nella vita spirituale dei credenti fra la devozione eucaristica e la carità attiva33 .

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Capitolo 25 L’ISTRUZIONE DEI POVERI

Chi devono istruire coloro che hanno offerto la propria vita a Dio? Immersi nelle preoccupazioni sollevate dalle grandi miserie umane che si trovano in ogni società, gli spiriti generosi hanno creato ospedali, asili, economati, case di accoglienza, riformatori e altre opere di carità allo scopo di alleviarle, ma le istituzioni dedicate all’insegnamento hanno scarseggiato fi no al XIX secolo, probabilmente perché le si riteneva meno urgenti in una situazione in cui era necessario provvedere prima ai bisogni principali. Nel XVI secolo, un terzo dei bambini si sottraeva a qualsiasi istruzione religiosa e il resto riceveva un’educazione estremamente rudimentale. Persino il catechismo veniva appreso molto irregolarmente, nonostante le prescrizioni ecclesiastiche. In effetti, l’atto di fede spesso non era accompagnato dall’inquietudine religiosa personale o dal desiderio di una formazione migliore. Nonostante questo, in tutte le epoche e in tutte le diocesi troviamo persone che sentivano la preoccupazione di ottenere o impartire una formazione dottrinale più solida. Esistevano scuole di catechismo molto frequentate nelle parrocchie, nonché alcune scuole pubbliche municipali, in cui si insegnava a leggere e a scrivere, la grammatica e il catechismo, ma in cui erano gli studenti a dover pagare il maestro, col risultato che i più poveri, non potendo soddisfare questo requisito, restavano condannati all’ozio e all’ignoranza. San Giuseppe Calasanzio (1557?-1648), sacerdote aragonese dal carattere forte e dalla spiritualità profonda, acutamente consapevole dell’analfabetismo e dei vizi propri di coloro che crescevano per la strada, decise di dedicarsi a questi ultimi: «Dopo aver visitato i malati e i poveri di Roma comprese con molta tristezza che la maggioranza dei bambini poveri cadeva in preda ai vizi, essendo impossibile ai loro padri di mantenerli a scuola»34 . Calasanzio decise di istituire una scuola in cui sa-

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Pagina precedente: 1. Chiesa e istituto San Giuseppe Calasanzio a Peralta de la Sal, Spagna, luogo di nascita del santo.

2. Collegio Calasanzio, Bogotà, Colombia.

rebbero stati accolti tutti i bambini poveri che lo avessero chiesto; una scuola totalmente gratuita e riservata ai poveri. Nacque così la scuola primaria e media popolare e gratuita (1597). Per rispondere alla vocazione di insegnare ai bambini poveri, e mossi dalla carità e dall’amore di Dio, sorse la congregazione delle Scuole Pie. «Il Prefetto deve ricevere con grande carità i poveri, anche se andassero scalzi o cenciosi o senza mantello, dato che è per loro che in primo luogo è stato fondato il nostro istituto»35 . Nel memoriale che nel 1626 Calasanzio indirizza ai cardinali del Santo Uffi zio, spiega il carattere della sua opera: «Lo scopo dell’Istituto delle Scuole Pie è di insegnare ai bambini e in particolare a quelli poveri, molti dei quali per l’indigenza o la negligenza dei padri non vanno a scuola né apprendono mestiere o arte alcuna, ma divengono dissoluti e oziosi e per questo così facilmente si danno al gioco […]. Per tagliare alla radice un male tanto pernicioso per la società, i Padri delle Scuole Pie si offrono al compito faticoso di insegnare loro per carità». L’essere gratuita e riservata ai poveri costituisce la sua gloria, riconosciuta dalle autorità delle diverse città in cui i Padri vanno fondando scuole sempre gratuite, bene organizzate nelle loro classi, nei programmi, negli orari e nell’educazione morale, religiosa e sociale che impartiscono. Questa educazione offerta specialmente ai più poveri costituiva un mezzo effi cace di elaborare e applicare soluzioni a non pochi dei problemi sociali esistenti agli inizi dell’epoca moderna. La preoccupazione di educare i bambini si estende nel corso del XVII secolo e va aumentando a misura che passa il tempo. Da ogni parte, parroci e chierici esigevano l’opportunità di un’educazione umana e cristiana per i loro parrocchiani più poveri, ma nella

3 3-4. Due immagini in contrasto. Da un lato lo spazio urbano (4) trasformato in «scena teatrale», la scena barocca, dall’altro la condivisione di estrema povertà di chi vive fuori dalle città (3), ma anche di chi vive nei quartieri poveri o nei sobborghi delle città stesse. 3. Contadini francesi nel Seicento (disegno di A. Baldanzi). 4. Andrea Pozzo, Perspectiva Pictorum et Architectorum, vol. I, Roma 1693, fi g. 71.

realtà mancavano maestri suffi cientemente preparati per adempiere questo compito. Gesuiti, Barnabiti, Oratoriani, Orsoline e tante altre congregazioni andavano organizzando corsi e fondando scuole. A Lione si apre la prima delle Piccole Scuole, per i bambini poveri, un’organizzazione rigorosa di insegnamento primario. Nicolas Barré (1621-1686) fonda a Rouen le Sorelle del Bambino Gesù, per l’insegnamento gratuito ai bambini poveri. Molti altri avviano esperienze analoghe in diverse città. Nel 1651 nasce Jean-Baptiste de La Salle e nel 1684, assieme a una dozzina di maestri, si impegna con giuramento a consacrarsi all’insegnamento dei bambini del popolo e a vivere come religioso laico nella povertà e nella devozione. Prima di lui, un maestro doveva occuparsi di ciascun allievo, uno alla volta; da allora in poi, l’insegnamento verrà impartito all’insieme degli alunni della classe: ogni discepolo segue la lezione sul libro e viene interrogato quando giunge il suo turno. È l’essenza dell’insegnamento primario moderno. I Fratelli delle Scuole Cristiane non assumeranno altro ministero, saranno unicamente maestri cristiani, dediti alla formazione dei bambini. Naturalmente, questo insegnamento si indirizza ai fi gli di persone di origini umili e prive di pretese, che però grazie all’educazione ricevuta fi niranno per far parte della classe dirigente. È senza dubbio una rivoluzione importante, nel senso che intende rompere il monopolio dell’insegnamento detenuto dall’aristocrazia e dalle grandi famiglie borghesi. Si tratta anche di consolidare il futuro della Chiesa, ottenendo generazioni di laici ben formati religiosamente e allo stesso tempo istruiti e al corrente della cultura moderna. Laici che poco a poco iniziano a collaborare attivamente in associazioni e attività ecclesiastiche.

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L’ISTRUZIONE DEI POVERI 5. Il santuario della Consolata a Torino è sempre stato un luogo di riferimento per la città. Era caro alla confraternita di San Vincenzo e prossimo alla Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo. I ragazzi di don Bosco erano particolarmente legati al santuario; in esso avevano pregato assiduamente durante una grave malattia dello stesso don Bosco.

Per loro, come per gli Scolopi di san Giuseppe Calasanzio o i Maristi (1863), per Rosa Venerini (16561728) o Lucia Filippini (1672-1732), l’insegnamento costituisce un vero ministero che consacra il confratello o la suora al servizio della Chiesa e dei giovani e possiede una sua propria ascesi. Nel corso dei secoli XIX e XX innumerevoli congregazioni femminili e maschili creeranno scuole e collegi in cui si insegneranno forme di vita cristiana assieme alle scienze e alle lettere dell’epoca. Probabilmente, il fondatore e pedagogo più famoso di questo periodo è stato don Bosco. La sua opera era diretta al recupero dei bambini poveri e abbandonati della città, o che giungevano a Torino dai paesi vicini, giovani abituati a vivere precariamente ed esposti a tutti i rischi della strada; don Bosco assicurava la loro crescita personale grazie a un’educazione migliore, anche dal punto di vista civico. Occorre ricordare come egli temesse che, con l’emarginazione dei valori religiosi da parte dei governi liberali, il tessuto sociale esistente iniziasse a sfi lacciarsi, in gran parte per l’azione disgregatrice della scuola pubblica. Da quel momento, per il sacerdote piemontese, il problema educativo cominciò a unirsi sempre di più a quello della rigenerazione della società e della civilizzazione dei popoli. La Chiesa ha mantenuto degnamente la propria presenza nella società contemporanea grazie anche alla formazione di generazioni di giovani privi di mezzi che più tardi hanno collaborato al cammino della società. Scriveva don Bosco ai suoi discepoli: «Volete che vi suggerisca un lavoro relativamente facile, molto vantaggioso e prodigo dei più grandi risultati? Bene dunque, lavorate alla buona educazione della gioventù, specialmente della più povera e negletta, che è la più numerosa, e otterrete ragionevolmente di dar gloria a Dio, procurare il bene della religio-

5 6. Progetto di ristrutturazione del quartiere operaio di Mulhouse, Francia, 1852. Con la rivoluzione industriale le preoccupazioni delle amministrazioni e degli imprenditori riguardano le fabbriche e l’organizzazione del lavoro operaio; l’educazione delle classi povere rischierebbe di essere dimenticata, se non fosse per l’intervento di tante confraternite religiose e di laici ad esse collegati.

ne, salvare molte anime e cooperare effi cacemente alla riforma e al benessere della società civile; perché la ragione, la storia e l’esperienza dimostrano che la società religiosa e civile sarà buona o cattiva a seconda che sia buona o cattiva la gioventù che adesso ci circonda»36 . In realtà, tutti i giovani hanno bisogno di questa formazione integrale. Gli Stati intendono spesso monopolizzare l’educazione, ma i credenti hanno chiaro che la presenza dei valori religiosi e del messaggio evangelico risulta imprescindibile, al di là del catechismo, per conseguire una formazione integrale dei loro fi gli. L’anticristianesimo degli autori illuministi e l’anticlericalismo praticato dai regimi politici liberali diede la conferma ai cittadini cristiani dell’urgenza di contare su centri propri di istruzione. A partire dai Marianisti (P. Chaminade), le Religiose del Sacro Cuore (Maddalena Sofi a Barat), i Padri Maristi (JeanClaude Colin), i Chierici di San Viatore (Louis-Marie Querbes), le Suore di Sant’Anna (María Rafols), la Compagnia di Santa Teresa di Gesù (sant’Enrique de Ossó), l’Istituzione Teresiana (Pedro Poveda) e altre innumerevoli congregazioni, gruppi e istituti laici hanno avuto come ragion d’essere quella di educare i giovani, con qualità scientifi ca e spirito religioso. Sono state fondate inoltre importanti università, che hanno sofferto le diffi coltà interposte dalla politica laicista dei governi, ma che si sono mantenute grazie al prestigio acquistato per la qualità del loro insegnamento. Ricordiamo l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, gli Istituti Cattolici di Lione, Lille e Parigi, le Università di Comillas (Madrid) e Deusto (Bilbao). Negli Stati Uniti la Chiesa cattolica ha mantenuto una presenza signifi cativa, grazie soprattutto ai suoi collegi parrocchiali e alle sue numerose università37 .

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Capitolo 26 INSEGNARE A CHI NON SA

Povero è chi non conosce Dio o lo conosce male, chi non vive secondo l’insegnamento di Gesù, chi non è nato di nuovo e rimane aggrappato ai modi dell’uomo vecchio. Povero è chi continua a essere sottomesso a un mondo di violenza, di odio, di egoismo, di ingiustizia, senza conoscere la buona novella della paternità divina e della fraternità umana. Durante i secoli, i cristiani delle città hanno goduto di maggiori possibilità di ottenere una formazione religiosa rigorosa, buoni sacerdoti e religiosi preparati, mentre nella società rurale la miseria e l’ignoranza erano immense. Tutti erano consapevoli di questa situazione, benché non tutti avessero la medesima sensibilità e la medesima convinzione che risultasse urgente predicare in questo mondo marginale, istruire spiritualmente il popolo, appoggiare attivamente le parrocchie rurali, rispondendo alla fame nascosta della Parola di Dio di gran parte dei cristiani, che credevano «senza indagare», istintivamente, ma senza poter essere capaci di «dare ragione della propria fede», per usare un’espressione paolina. San Vincenzo de’ Paoli organizzò un gruppo di religiosi («i sacerdoti della Missione») con l’obiettivo di percorrere i villaggi, generalmente privi di assistenza religiosa, in cui dovevano fermarsi almeno per quindici giorni, predicando, insegnando e confessando, sempre in modo gratuito. Il popolo cristiano conobbe così una novità che lo impressionò: sacerdoti che vivevano poveramente, ma che predicavano con passione la Parola evangelica a persone ignoranti, però capaci di ascoltare con interesse e disposte a cambiare. Secondo la bolla di approvazione del nuovo istituto, fi rmata da Urbano VIII (1633), i missionari avevano come ragion d’essere quella di dedicarsi alla salvezza dei poveri contadini che abitavano nei villaggi, nelle case e nei quartieri più umili. Dovevano insegnare i comandamenti di Dio agli ignoranti, istruirli nei rudimenti della fede, somministrare l’eu-

2 caristia e parlare familiarmente al popolo, secondo la sua capacità. Questi missionari dovevano agire come se quelli che li ascoltavano fossero pagani con un ardente desiderio di conoscere il Signore, spinti dal comando di Cristo: «andate ed evangelizzate». I sermoni che più impressionavano la gente riguardavano la gravità del peccato, l’esistenza dell’inferno e le conseguenze nefaste della mancanza di pentimento, nonché la necessità di convertirsi, di trasformare la propria vita e di ottenere la speranza e la pace grazie alla purifi cazione dello spirito generata dalla devozione alla Vergine, dall’eucaristia e dalla prospettiva di raggiungere il paradiso. Al fondo di questa predicazione troviamo i temi fondamentali delle missioni: la misericordia di Dio e la salvezza, la confessione e la riconciliazione, la gravità dell’incredulità, il Giudizio fi nale, la necessità di restituire ciò che abbiamo sottratto e il rifi uto dello spirito di vendetta. Un altro aspetto fondamentale delle missioni era l’insegnamento del catechismo: i missionari erano convinti che un’anima che non conosce Cristo né la sua dottrina non potesse sapere quanto Dio è stato generoso con essa, né potesse credere, sperare o amare come ci chiede il Vangelo. Questo metodo di predicare in maniera diretta, semplice, familiare, lontana dalle complicazioni teologiche o dal linguaggio letterario più complesso, è stata praticata di frequente nella storia del cristianesimo. Grignion de Montfort in alcune province francesi, Cappuccini e Gesuiti in regioni con presenza protestante e, in generale, le diverse congregazioni missionarie, furono coscienti dell’urgenza di predicare in maniera semplice e accessibile a persone illetterate, per mezzo del catechismo spiegato in riunioni familiari, in maniera dialogata e personale. I Francescani utilizzavano catechismi dipinti per insegnare agli indigeni analfabeti, e i predicatori popolari europei tennero da conto le pale d’altare e le vetrate, la musica e il teatro, l’immaginazione e la passione creativa allo scopo di impressionare e di mostrare l’amore e la giustizia del Dio uno e trino. I missionari si preoccupavano ugualmente della mancanza di pane, sempre scarso in ampie zone dei paesi, della fame di persone prigioniere della miseria e prive di speranza. Per questo motivo, Vincenzo de’ Paoli fece in modo che ogni missione terminasse con la creazione di una confraternita di carità, che completasse e confermasse i frutti spirituali delle missioni. Nel XIX secolo, Frédéric Ozanam creò le «Conferenze di san Vincenzo de’ Paoli», presenti in molti paesi, composte da laici che visitavano i poveri, restavano loro vicini, insegnavano loro i rudimenti della religione, provvedevano ai loro bisogni e parlavano loro dell’amore di Dio. Qualche anno più tardi, Alfonso de’ Liguori fonderà un’altra congregazione di religiosi, i Redentoristi, con la stessa fi nalità: evangelizzare le popolazioni abbandonate della campagna napoletana, che ignoravano

3 1. San Vincenzo prende un pasto con i poveri, occasione di sostegno e insegnamento. Immagine popolare.

2. San Vincenzo porta in salvo un orfanello. Mosaico moderno. Casa provinciale delle Figlie della Carità, Cagliari.

3. Frédéric Ozanam partecipa attivamente al giornale «L’Ère nouvelle», di ispirazione sociale e cristiana. Il giornale ad un tempo trasmetteva insegnamenti cristiani e lottava per la difesa della giustizia sociale e dei diritti umani.

la dottrina evangelica e spesso anche le regole morali più elementari. Le missioni popolari si trasformarono in uno dei metodi pastorali di maggior successo degli ultimi secoli, benché non si possa ignorare che, concentrando in pochi giorni un esame appassionato dei peccati e delle debolezze umane, della presenza di Cristo e della sua azione salvifi ca, gli effetti potevano ridursi a fi ammate emotive presto dissipate; è comunque sempre vero che, per chi si è sentito toccare il cuore dalla Parola e dalla vita di Gesù, questo incontro si è trasformato con frequenza in un’occasione decisiva di riforma e rinnovamento personali. Alla fi ne del XIX secolo, i Figli del Cuore di Maria (Clarettiani) manterranno questa stessa preoccupazione e dedicheranno buona parte della loro attività alle missioni popolari. Le missioni, che duravano tre o quattro settimane, erano dirette alla conversione dei peccatori e si concludevano con una comunione generale. Nel loro programma si univa la predicazione delle verità eterne nei sermoni alla spiegazione dei comandamenti nelle prediche morali, in cui si fustigavano i cattivi costumi, i balli, le commedie, le mode, il gioco, le cattive letture e le taverne. Si occupavano anche di tracciare un programma di perfezione, in cui proponevano regole per vivere bene e per salvarsi, che il buon cristiano avrebbe dovuto osservare ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno, per tutto il tempo. Lo stile dei missionari ottocenteschi era certamente teatrale. Si volevano scuotere le coscienze con un’ondata di affetti e sentimenti, evocati con la descrizione di calamità recenti e la minaccia di sventure future. I frutti potevano essere ammirevoli, ma spesso risultavano di corta durata. Nonostante questo, in non poche occasioni i credenti si resero conto che essere cattolici consisteva nel prendere coscienza e nell’assumersi il rischio di obblighi e comportamenti che spesso portavano ad andare controcorrente, ad abbandonare la routine del passato e ad agire responsabilmente, in accordo con quanto credevano. Era la via per ottenere un laicato più preparato e responsabile. In ogni secolo, «la fede del carbonaio», cioè del cristiano che crede con semplicità in Gesù Cristo e accetta quello che gli insegna la Chiesa, ma è completamente incapace di spiegare le ragioni per cui crede, né spesso che cosa sia esattamente ciò in cui crede,

4. Edgar Degas, Mercato del cotone a New Orleans. Olio su tela, 1873. Musée des Beaux-Arts, Pau, Francia. Sono ormai i grandi commerci coloniali o schiavistici a regolare il mondo, determinando un cambio culturale che devia l’attenzione rispetto alle istanze religiose. 5. Acquasantiera con il Sacro Cuore. Chiesa dell’Egiziaca, Pizzofalcone, Napoli.

è stata maggioritaria. Questa situazione non è certamente ideale e costituisce un pericolo nei momenti in cui gli attacchi al cristianesimo si infi ttiscono e si estendono grazie a mezzi di comunicazione sociale che giungono ovunque, sconcertando e confondendo tanti credenti che non avevano mai sentito la necessità di farsi domande sulle ragioni della propria fede. In questi casi, le missioni popolari si trasformavano in un sussidio importante, esponendo con chiarezza le esigenze della religione in cui si credeva. La situazione di progressiva emarginazione dei credenti negli Stati più secolarizzati favorì un’adesione più meditata e consapevole da parte dei cristiani, una religione più interiorizzata, meno abitudinaria, più purifi cata da interessi estranei. Le manifestazioni di religiosità andarono diventando più personali e calorose, più incentrate sulla fi gura di Cristo, grazie anche alla devozione al Sacro Cuore, con una liturgia dedicata maggiormente ai misteri fondamentali e con una partecipazione all’eucaristia molto più consapevole. La comunione frequente ed estesa ai bambini fece aumentare di pari passo l’assiduità nella confessione e una coscienza più chiara della necessità di manifestare con decisione e convinzione le esigenze del Vangelo nella vita quotidiana. Allo stesso tempo, si moltiplicarono le catechesi nelle parrocchie e nei quartieri suburbani; giovani universitari organizzavano scuole domenicali nei quartieri marginali e le Conferenze di Vincenzo de’ Paoli e altre associazioni inducevano i cristiani più solidali a visitare e aiutare le famiglie e le persone più bisognose38 . In questi anni di grandi migrazioni verso i paesi europei, nelle parrocchie e nelle organizzazioni apostoliche moltitudini di cristiani insegnano agli immigrati la lingua del paese e altre materie che potranno essere loro d’aiuto per trovare un lavoro o per far carriera in quello che già hanno. Non è soltanto un’opera di carità, ma anche un modo di creare legami tra persone appartenenti a mondi diversi, di integrare nella comunità quanti si sentono sradicati, e di ottenere la stima e la conoscenza reciproche, un modo cioè di creare e fortifi care la comunità dei credenti.

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Capitolo 27 LA PRESENZA DELL’AMORE CRISTIANO NELLE CARCERI

I cristiani conobbero molto presto le prigioni dello Stato e i lavori forzati nelle miniere, vittime di accuse di ateismo o di nutrire sentimenti anti-imperiali, e organizzarono fi n dai primi tempi visite e aiuti per quelli che espiavano questi castighi. Durante il Medioevo e l’epoca moderna non tutti avevano gli stessi diritti e doveri, e le pene irrogate risultavano diseguali, non tanto in funzione dei crimini commessi, bensì del rango dei criminali. Per contro, il diritto romano considerava le carceri non come luoghi di pena permanente ma di detenzione temporanea in attesa di giudizio, benché, dato lo svolgimento di alcuni iter giudiziari, questa detenzione potesse talvolta prolungarsi indefi nitamente. I tribunali, da parte loro, non condannavano al carcere ma alla pena di morte, al servizio sulle galere, a pene corporali o all’esilio. La presunzione di innocenza non esisteva e il segreto processuale accentuava l’insicurezza degli accusati. Troviamo con frequenza casi di abuso dei supplizi da parte dei tribunali allo scopo di estorcere confessioni, non sempre veritiere, e maltrattamenti da parte dei carcerieri, sempre pronti a esigere mazzette per rimpinguare i propri guadagni. Raimondo Lullo (1232-1316) riuscì a far istituire in molte città la fi gura dell’avvocato difensore dei poveri, condotti spesso ingiustamente nei tribunali: è il segno di un mutamento di mentalità nel trattamento dei più sfortunati. Data questa situazione tragica, fi n dai primi secoli della storia ecclesiastica troviamo diversi tentativi di organizzazioni cristiane dirette ad alleviare la situazione dei carcerati – diversa a seconda dei luoghi e delle circostanze – con l’obiettivo costante di trattarli come fi gli amati del Padre e membri della comunità dei credenti. Nel XVII secolo, in Francia, la Compagnia del Santo Sacramento lottava attivamente contro gli abusi nelle prigioni; Vincenzo de’ Paoli, consapevole di quanto accadeva in esse, spronò le Figlie della Carità e i suoi missionari a essere presenti sia nelle carceri sia fra i rematori delle galere, affi nché chiunque si convincesse che non si esprimevano solo con le parole e con la lingua, ma anche con le opere e con la verità (1 Giovanni 3,18). Possiamo affermare con Bernanos che la sventura maggiore è quella di accettare l’ingiustizia, non di subirla. Accettare l’ingiustizia degrada l’anima, distrugge la morale personale, ci rende insensibili al male, perverte i rapporti. La sensibilità religiosa e la conoscenza delle esigenze evangeliche ci dispongono a un riconoscimento più esplicito della dignità e dei diritti umani. Questa è stata la via verso una maggiore considerazione della pastorale dei carcerati. In realtà, la questione della pena, della giustizia e dei detenuti (che spesso vegetavano in condizioni disumane) e il desiderio di trasformare i carcerati da oggetti in soggetti, cercando di far sì che le prigioni fossero un luogo in cui vivere umanamente, andavano al di là della speranza di ricomporre la situazione disordinata causata dal crimine. Chi si è dedicato a questa peculiare missione evangelizzatrice si è preoccupato non solo di ristabilire la giustizia, ma anche di recuperare il soggetto umano che aveva agito male. Solo la Chiesa può dar luogo a un ripensamento fondamentale, globale e defi nitivo, tornando al punto di partenza originale, ricordando la paternità universale, reale, effi cace di Dio e la fratellanza universale dei suoi fi gli, essendo cosciente del peccato originale presente in tutti gli uomini, ma anche del fatto che siamo stati salvati in Cristo. Ciò presuppone che si compia nella stessa Chiesa una conversione essenziale, abbandonando non le parole ma le pratiche di insegnamento, di organizzazione e di governo che

1 1. Simon Vouet (1590-1649) o sua cerchia, San Vincenzo de’ Paoli (15811660). Maison des Lazaristes, Parigi. Consigliere della regina Anna d’Austria, cui apparteneva questo ritratto, il santo, fondatore nel 1625 dei Preti della Missione, chiamati Lazzaristi, e nel 1633, con Luisa di Marillac, delle Figlie della Carità, è rappresentato qui al termine della sua esistenza. L’atteggiamento semplice, gli occhi vivi e benevolenti e il naso prominente gli conferiscono un’aria simpatica.

2. Disposizione degli schiavi in una nave negriera. Disegno da un’incisione del XVIII secolo. Musée des Arts Africains et d’Océanie, Parigi. La nave era attrezzata per ricevere il maggior carico possibile. Stipare in questo modo serviva a impedire fi sicamente la possibilità di rivolte.

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3. Carcere di Torino, “Le Nuove”: due Figlie della Carità con alcuni bambini del Nido, fi gli di detenute.

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role ma le pratiche di insegnamento, di organizzazione e di governo che per troppo tempo ne hanno segnato la storia. Inquisizioni, scomuniche e altre condanne canoniche o morali, caste e classi presenti nelle comunità, cristiani di primo e terzo livello costituiscono distinzioni antievangeliche. La nostra Chiesa, se si riconverte al suo interno, ha la forza che le viene dallo Spirito e la dottrina adeguata per condannare con autorità l’ingiustizia presente in tanti ambiti della società. Ciò che afferma la preghiera sulle offerte della messa a proposito di Vincenzo de’ Paoli, «O Dio, che hai dato al tuo sacerdote san Vincenzo de’ Paoli la grazia di conformare la sua vita al mistero che celebrava», può ripetersi per quanti riescono a essere nella loro vita coerenti con quel che celebrano. Ma guardiamo ai tanti cristiani che nel corso dei secoli sono stati coscienti dell’ingiustizia che affl iggeva quelli che, pur essendo innocenti, si trovavano in carcere; quelli, impreparati e senza protezione, da cui si pretendeva ciò che non erano preparati a dare né capaci di dare; quelli che, pur colpevoli, erano stati sobillati o manipolati da chi deteneva il potere politico o economico. Questi cristiani hanno dedicato parte delle proprie vite a umanizzare le carceri, aiutando i detenuti nelle condizioni in cui si trovavano, insegnando di che diritti godessero, mentre allo stesso tempo spiegavano loro la gravità delle violenze commesse. Tutti i cristiani sono consapevoli di essere peccatori davanti a Dio, e iniziano la celebrazione dell’eucaristia con un atto di confessione delle proprie colpe. Il comportamento di questi cristiani non è stato insomma né ingenuo né antisistema per partito preso, né ha partecipato dell’ottimismo ideologico illuministico, ma è rimasto consapevole del fatto che l’organizzazione sociale esistente non fosse la migliore possibile e che la giustizia risultasse certamente migliorabile. Da qui la loro speranza in un mondo migliore, più giusto e solidale. Per la Chiesa si tratta di uno degli sforzi più diffi cili e disinteressati, ma i cristiani devono essere coscienti che le sofferenze dei detenuti, la difesa della dignità della persona umana e la salvaguardia dei diritti che la tutelano non possono essere estranee a chi si impegna a seguire Gesù Cristo. L’offerta religiosa nelle carceri è delicata ma insostituibile. Deve essere accompagnata dalla testimonianza personale e dall’impegno a favore dei detenuti e delle loro famiglie. L’interesse primario è per la persona e soltanto dopo per la sua fede. Solo chi accoglie, ascolta e si identifi ca con la situazione dei carcerati ha la credibilità per invitarli a trascendere la loro situazione e a viverla secondo la fede.

Capitolo 28 I SEGNI DEI TEMPI

La comunità dei cristiani partecipa delle debolezze e della grandezza proprie di tutti gli esseri creati. Non conta al suo interno molti geni, né molti santi, né molti leader; abbondano mediocrità e incostanza, egoismo e violenza. I personaggi dell’Antico Testamento e della storia cristiana mostrano con frequenza le debolezze umane e una gran disinvoltura nell’abbandonare Dio malgrado i benefi ci ricevuti. Questo comportamento, apparentemente, risulta più frequente di quello del compagno ubbidiente e fedele. Guerre, oppressioni, ricchezze mal guadagnate, sfruttamento dei più deboli, l’arroganza del potere fuori e dentro la Chiesa… ma queste cose sono solo ombre, freni… niente di tutto ciò è riuscito a distruggere la carità sopra la terra. In effetti, nei cuori umani, in questi vasi di creta, non cessa di crescere e portare frutto il rispetto e l’amore per Dio e per i fratelli. Non credo di sbagliarmi se dico che nella nostra storia mutevole l’amore predomina sull’infedeltà e sull’egoismo. In ogni tempo, là dove abbonda il peccato sovrabbondano grazia, generosità e solidarietà. Il requisito per conoscere il signifi cato dei «segni dei tempi» è la convinzione che la storia della salvezza e la storia del mondo siano intrecciate. Ha scritto Yves Congar: «Una delle carenze più gravi della formazione del clero durante il XIX secolo e ancora all’inizio del XX è l’ignoranza della storia, la mancanza di senso storico. A questa carenza si aggiunge la scarsa cultura biblica e una presentazione concettuale-giuridica della Chiesa. Per lo stesso motivo, manca il senso dell’escatologia. La sensibilità storica specifi camente cristiana attribuisce un signifi cato e uno scopo non soltanto all’esistenza individuale, ma anche all’unione di umanità e mondo». La Parola di Dio non è una parola astratta ma incarnata, il dialogo di Dio non è un soliloquio ma una conversazione con gli uomini concreti. Restare attenti ai segni dei tempi signifi ca seguire le orme della viva presenza di Dio nella storia umana ed essere capaci di distinguerle in mezzo alla routine predominante. Signifi ca individuare i dieci giusti in mezzo alla massa inerte, perché sono questi ad attrarre le benedizioni e la benevolenza di Dio. Apparentemente, la storia della Chiesa, così come la storia umana, non entusiasma né risulta ammirevole o promettente, e tuttavia, appena ci immedesimiamo nell’amore e nella bontà presenti in tanti luoghi e in tante persone umili e semplici, che restano inosservate, ci risulta spontaneo proclamare il Cantico delle creature di Francesco ed entusiasmarci per i tanti segni che ci indicano che l’amore di Dio è stato versato nei nostri cuori. La Rivoluzione francese sembrò, con il suo odio e la persecuzione sfrenata, aver posto fi ne al cattolicesimo in Francia. Dopo più di mille anni di vita religiosa ricca e creativa, parve che i demoni meridiani si fossero impadroniti della cultura e della società francesi, distruggendo la sua tradizionale organizzazione sociale e accanendosi su una religione che si identifi cava con la storia e la cultura del paese. Ma non tutto fu confusione e distruzione. Furono molti i cristiani che mantennero la fedeltà nelle catacombe, nascosti e silenziosi, ma anche fedeli e attivi; alcuni dettero la vita in pace e armonia; altri si opposero con coraggio, sia nella regione della Vandea che in molte altre. Fra di loro ricordiamo le Carmelitane che furono ghigliottinate a Parigi. In momenti di sbandamento e di abbandono, la Chiesa mostrò il meglio di sé, l’incrollabile fedeltà al proprio Signore di buona parte dei suoi fi gli. I decenni seguenti furono confusi, dolorosi e pieni di contraddizioni. La persecuzione sconsiderata dei governi liberali portò i cattolici a non apprezzare i valori nuovi della libertà e della democrazia, e a non

I SEGNI DEI TEMPI 1. Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789). Olio su tela, fi ne del XVIII secolo. Musée Carnavalet, Parigi. Sebbene l’immagine con l’occhio divino in alto si ponga fuori dalla tradizione cristiana, è diffi cile non ravvisare proprio in tale tradizione le istanze che vi sono espresse. Ne consegue notare la diffi coltà da parte delle istituzioni ecclesiali nel loro così lento riconoscimento.

1 2. Massachusetts State House, opera di Charles Bulfi nch, Boston, 1795-1798. Simbolo della democrazia, per lungo tempo fu la più grande costruzione pubblica americana. La cupola fu dorata nel 1874. Dovremo attendere molto tempo perché un papa (il cardinale Bergoglio) dichiari che non c’è democrazia senza giustizia.

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3 3. Eugène Delacroix, La Libertà che guida il popolo. Olio su tela, 1830. Musée du Louvre, Parigi. È considerato il primo quadro politico della storia moderna: la Libertà conduce il popolo nella rivolta contro l’oppressore e l’ingiustizia. Di fatto sarà la borghesia ricca a instaurare, con Luigi Filippo d’Orléans, il suo potere in Francia dopo l’insurrezione parigina del 1830.

rendersi conto delle conseguenze sociali del nuovo sistema democratico; a non rendersi conto che nulla e nessuno avrebbe potuto far sì che la situazione di un tempo tornasse a imporsi, mentre il disprezzo anticlericale della borghesia illuministica favoriva l’alleanza con un’aristocrazia che era rimasta scollegata dalla nuova cultura. La maggior parte delle autorità ecclesiastiche, intrappolata nel desiderio di non perdere potere e infl uenza, e fuorviata dalla convinzione che i cambiamenti che si trovava davanti fossero frutto del peccato e della malvagità, non comprese l’inevitabilità del cambiamento sociale e culturale, né i suoi molti aspetti positivi. Il cardinale Consalvi, Rosmini, Lamennais, Ozanam e Balmes furono sì coscienti della necessità di accettare il lato positivo e le radici cristiane dei mutamenti, ma non furono ascoltati. Sarà poi il Vaticano II che si mostrerà capace di delineare in modo creativo alcune linee guida di integrazione dei valori cristiani con la cultura moderna. Per altro verso la Chiesa, disprezzata dalla borghesia industriale, fu abbandonata anche dagli operai, segregati nei sobborghi e nelle zone più degradate delle città. Il dramma della Chiesa nel XIX secolo è stato nel contrasto fra la religione e le classi medie e operaie. Esistono diverse cause e fattori che ci sfuggono, ma non possiamo dimenticare la diffi coltà della gerarchia e di buona parte del clero a comprendere la natura di una società avida di democrazia e libertà, diffi coltà che, in qualche modo, dura ancora ai nostri giorni, soprattutto nei paesi latini, che, ricordiamo, forniscono gran parte della classe dirigente ecclesiastica39 . La sensibilità cattolica e la generosità delle nuove congregazioni religiose diedero impulso alla preoccupazione per i nuovi poveri e per le piaghe dolorose prodotte dall’economia industriale: anziani abbandonati, malati privi di sicurezza e di cure, bambini analfabeti che lavoravano fi n dalle prime ore del mattino, prostituzione. Non vennero meno, certo, né la generosità personale né la carità organizzata, ma mancò probabilmente la chiaroveggenza necessaria per opporsi all’ingiustizia istituzionalizzata e per difendere condizioni di lavoro e di vita più consone alla dignità degli esseri umani. La politica coloniale di alcuni paesi europei, pianifi cata nella Conferenza di Berlino (1885), rispondeva alle necessità di crescita economica di questi paesi e al ritardo di alcuni popoli, che diffi cilmente potevano tener testa ai paesi più avanzati. I cristiani trovarono un’occasione per evangelizzare nazioni molto chiuse e furono capaci di organizzare una presenza pluridisciplinare sorprendente: catechismo, ospedali, scuole e università. Oggi capiamo che la storia, i legami del passato e il sentimento patriottico impedirono spesso loro di rendersi conto che i tempi erano cambiati e che non era giusto impadronirsi di quelle terre senza tener conto dei diritti degli abitanti a mantenere la propria personalità e i propri valori. La presenza delle istituzioni cristiane fu molto positiva in diversi sensi, non solo per aver fatto conoscere Cristo, ma anche per aver educato e fatto maturare popoli con condizioni di vita endemicamente ingiuste e senza capacità di sviluppo. Malgrado ciò, il peccato originale del colonialismo consistette nella prepotenza europea e nella rapina praticata da alcuni governanti che non rispettavano i diritti dei nativi, anche se non mancarono certamente voci che molto tempestivamente avevano chiesto un altro tipo di condotta. Nel corso del XX secolo si è verifi cato uno sviluppo spettacolare nella presenza dei laici nella vita della Chiesa e nella promozione della donna all’interno della società. Tuttavia, una Chiesa eccessivamente clericale e spesso incapace di comprendere in profondità i segni dei tempi ha posto ostacoli a entrambi questi sviluppi, provocando scontento e irritazione fra i membri laici della Chiesa, che ovviamente ne costituiscono la stragrande maggioranza. Una società fraterna come quella ecclesiale può diffi cilmente ammettere in pieno XXI secolo differenze tanto profonde. In effetti, l’incapacità di comprendere che cosa sia giusto e l’urgenza dei segni che ci si presentano ci impedisce spesso di rispondere adeguatamente alle tante sfi de che dobbiamo affrontare quotidianamente. Pensiamo a che cosa signifi cò nel XVI secolo l’iniziativa di Vincenzo de’ Paoli, che chiamò le donne a formare una comunità religiosa che non fosse di clausura né si limitasse a un’opera di pietà o di educazione dei giovani. Il santo stesso era cosciente della sua audacia: «Sono ottocento anni che le donne non ricoprono cariche pubbliche nella Chiesa; per secoli erano esistite le cosiddette diaconesse, ma al tempo di Carlo Magno il sesso

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4. Caricatura di Bismarck nell’atto di mettere in pratica il Kulturkampf. Staatsbibliothek, Berlino. Il cancelliere, calpestando la libertà di opinione, tira la corda per abbattere la Chiesa romana. Satana lo osserva, dubbioso, e gli domanda quanto tempo occorrerà per demolirla. «Tre o quattro anni», risponde Bismarck. «Beh», replica il diavolo, «io ci provo da diciotto secoli e ancora non ci sono riuscito!».

5. Winslow Homer, Bell Time. Incisione, 1868. L’opera rappresenta l’uscita dei lavoratori da una fabbrica del Massachusetts. La condizione operaia ha cambiato i modi e i tempi del vivere. Il movimento operaio organizza la difesa dei lavoratori; le congregazioni cristiane sovvengono al disagio sociale, alla povertà, alla mancanza di istruzione e alle necessità dei più bisognosi. femminile fu privato degli incarichi, e non ne ha mai più ricevuti. Ma adesso la Provvidenza si volge verso di loro. Non vi sembra una cosa singolare?». In realtà, malgrado il suo prestigio il santo non riuscì nel suo intento, e ancora oggi continuiamo a discutere su una soluzione che fi nirà per imporsi nostro malgrado. In realtà, si può rispondere in molti modi ai segni dei tempi e non sempre le risposte corrispondono adeguatamente alle reali necessità. I cristiani credono che il Vangelo offra le regole fondamentali per scegliere bene e, benché a molti possa sembrare un giudizio semplicistico, non c’è dubbio che l’amore fraterno continui a essere un punto di partenza decisivo. Risulta sempre inaccettabile tentare di risolvere i problemi a spese del dolore, della dignità, della libertà e dei diritti degli altri, e in ogni caso i più piccoli e indifesi devono essere i primi a venire presi in conto, in ogni occasione e in ogni momento. In una parola, la storia dei due ultimi secoli ci insegna che risulta inconcepibile conoscere e comprendere i segni dei tempi senza tenere conto della giustizia, della solidarietà e dell’amore di Dio.

Capitolo 29 CONGREGAZIONI RELIGIOSE DEL XIX SECOLO: RISPOSTE ALLA POVERTÀ UMANA

Nei secoli XIX e XX, dopo lo sconvolgimento sociale e politico creato dalla Rivoluzione francese e dalla progressiva affermazione dei sistemi politici liberali nei diversi paesi occidentali, dopo un cambiamento sociale spettacolare a causa dell’industrializzazione e dei mutamenti mentali e sociali che andavano imponendosi in Europa e in America, vediamo il fenomeno della moltiplicazione di nuove congregazioni religiose, pronte a rispondere alle nuove sfi de poste dalla rivoluzione industriale, dalla rivoluzione sociale e dalla rivoluzione tecnico-scientifi ca. La sorprendente espansione industriale arricchì molti, ma creò anche innumerevoli forme di povertà e di emarginazione, come la mortalità infantile, l’organizzazione igienica insuffi ciente dei nuovi quartieri periferici, lo sfruttamento di donne e bambini costretti a lunghissime giornate di lavoro scarsamente retribuito, la prostituzione delle giovani prive di mezzi. Due ondate di epidemie di colera (1836 e 1854) e alcuni focolai persistenti di vaiolo colsero impreparate le autorità politiche, provocarono un enorme numero di morti e costituirono autentiche sfi de per i religiosi ospedalieri che troviamo frequentemente in prima fi la. Queste nuove istituzioni religiose, che si moltiplicano in paesi e città, concepiscono la vita religiosa come un servizio diretto ai bisogni degli esseri umani, per mezzo della loro presenza e azione caritativa nella società. Vogliono stare non solo al servizio degli altri ma anche in comunione con essi. Si dedicano specialmente ai bambini e agli anziani, i due gruppi sociali tradizionalmente più esposti e deboli, ai malati, in modo particolare ai malati di mente, e a coloro che sono abbandonati al loro destino, in un ambiente poco propizio alla solidarietà. Molte di queste congregazioni erano nate per praticare l’insegnamento, mentre altre ebbero come scopo di stabilirsi nelle missioni africane. È degna di nota la prevalenza delle istituzioni femminili, espressione di una diligente presenza della donna nella società40. Non c’è campo che rimanga chiuso all’attiva presenza caritativa della donna: scuole in cui si offre a bambine e giovani l’educazione ai rudimenti dell’alfabeto e ai lavori domestici, casescuola artigianali che rendono capaci le donne di svolgere un mestiere, giardini di infanzia, dispensari, rifugi, asili e nidi per i fi gli degli operai, assistenza domiciliare ai malati più trascurati e ospedali creati nei comuni, nelle province e negli Stati. Le religiose esprimono la propria vocazione in mezzo al tessuto più intimo e sensibile della società. Tanto in Francia come in Italia si fondano più di 400 congregazioni religiose, 150 in Spagna. È impressionante constatare l’esistenza di più di mille nuove congregazioni femminili sorte in Europa, che occupano spazi di assistenza nella maggior parte dei paesi e delle città dell’Europa occidentale. Man mano che il XIX secolo passava, aumentarono le congregazioni religiose dedicate all’insegnamento, e rimasero stabili o diminuirono quelle relative alla sanità, di modo che in Francia, nel 1861, gli ospedali, i rifugi e altre opere di carattere sanitario o sociale occupavano soltanto il 15% delle religiose attive, mentre l’insegnamento primario o professionale ne teneva impegnate il 67% (con l’eccezione della Spagna, dove il servizio negli ospedali rimase abbastanza più elevato). Questa ripartizione diseguale si doveva, fondamentalmente, all’interesse della Chiesa a contrastare gli infl ussi illuministici e anticlericali del pensiero dominante nella cultura dell’epoca, che imbevevano e condizionavano la mente di chi avrebbe governato la società nei decenni successivi. Questo interesse portò in alcuni casi a privilegiare il servizio a favore delle classi dominanti. Da un punto di vista strategico sembrano ragionevoli i motivi di questa

1. Con la rivoluzione industriale cambia il paesaggio urbano; gli stabilimenti dominano parti delle città. Qui è rappresentata una fabbrica tedesca di carbon coke alla metà del XIX secolo (tempera di G. Bacchin).

2. Jeff Katz, Carestia delle patate. Incisione, 1846 ca. Nelle campagne, oltre che a causa delle epidemie, la povertà radicale si sviluppa per altri fattori. In meno di dieci anni, la carestia che si abbatté tra il 1845 e il 1849 in Irlanda determinò un milione e mezzo di morti e altrettanti furono gli irlandesi costretti ad abbandonare il loro paese.

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3. Don Orione saluta durante un momento di festa. Luigi Orione nasce nel 1872 ad Alessandria, in Piemonte. Fonda varie congregazioni, oggi sparse nel mondo, dedicate ai più piccoli, agli orfani, ai diversamente abili. La famiglia orionina è riunita nella Piccola Opera della Divina Provvidenza, il nome che don Orione diede alla sua congregazione. Luigi Orione è stato canonizzato nel 2004.

scelta, anche se non pare che lo spirito evangelico andasse sempre in questa stessa direzione. Questa azione creativa e generosa costituì una risposta alle situazioni e alle strutture ingiuste? Fu in effetti una risposta effi cace ai mali causati per la mancanza di leggi sociali da un capitalismo avido di benefi ci, ma non cercò di cambiare le strutture. Non credo che si potesse pretendere dal clero e dalle religiose di quei tempi un contributo al cambiamento dell’organizzazione politica e sociale, anche se risulta sconcertante la passività di tanti laici sinceramente cristiani e dotati di responsabilità importanti nella politica e nell’organizzazione sociale. Alcuni decenni più tardi, tanto nei seminari quanto nel clero diocesano, seminaristi e sacerdoti cominciarono a parlare della necessità urgente di immergersi nelle masse. L’ideale a cui si aspirava era quello di integrarsi nell’umanità sofferente, con il rischio di perdersi in un mondo per il quale non sempre erano preparati. Vivevano con la speranza di incarnarsi in loro, di essere come loro. Molti sacerdoti abbandonavano la casa parrocchiale per vivere nei quartieri più sfavoriti, per condividere la vita dei loro fratelli. Volevano vivere il sacerdozio nel cuore stesso della Chiesa dei poveri. Ma tra le due situazioni erano passate le guerre mondiali e l’ideologia marxista. Di frequente, molti di questi operai mandavano i fi gli alle scuole religiose, ma non mettevano piede nelle chiese, perché pensavano che i cristiani che le frequentavano fossero troppo lontani dalla loro condizione e dai loro bisogni. Ammiravano i cristiani che li aiutavano, ma rifi utavano l’istituzione, che consideravano troppo identifi cata con quanto e quanti aborrivano. La carità è stata spesso considerata come la semplice necessità di fare elemosine, ma non dobbiamo dimenticare che a partire dal XIX secolo essa doveva essere accompagnata dall’esigenza di dare a ciascuno il suo, e lo spirito evangelico ricorda che «il suo» è in funzione delle necessità e dei bisogni degli individui. Ad ogni modo, dobbiamo ricordare i molti laici che con i propri studi, le proprie proposte di legge, l’esperienza nelle proprie fabbriche, proposero leggi più giuste sul lavoro e sulla sicurezza sociale41 . C’è voluto il concilio Vaticano II per un’autentica conversione dei cuori, non nel senso di una maggiore generosità, ma in quello di una maggiore comprensione della necessità di convivere con i più poveri e di porsi fra loro, e di intendere il voto di povertà come la capacità di condividere la loro vita e quella dei bisognosi. Hélder Câmara e Pedro Casaldáliga, vescovi in Brasile, così come molti altri sacerdoti, religiosi, vescovi e laici, si sono trasformati in portavoce dei diritti dei meno abbienti nei diversi paesi42 . In ogni caso, là dove la Chiesa crolla, la condizione dei poveri, degli anziani e dei malati migliora o crolla anch’essa? Se la Chiesa non tramanda l’amore di Dio, chi lo farà? Chi trasmetterà l’amore del Figlio di Dio incarnato? Ci saranno e ci sono molti cristiani infedeli al mandato divino, ma sempre è rimasta operante in molti altri l’urgenza di Cristo di andare a battezzare coloro che sembravano non essere stati invitati a mensa a causa della loro vita miserabile, di visitare i bambini analfabeti, le famiglie che vivono miseramente nelle baracche, le madri che non possono allattare i fi gli; di fare compagnia agli anziani emarginati e alle tante persone sole di tutte le età che trovano nella comunità cristiana consolazione e speranza.

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Capitolo 30 CATHOLIC WORKER

Il movimento del Catholic Worker venne fondato nel 1933 dall’agricoltore e intellettuale cattolico Peter Maurin e da Dorothy Day, una giornalista e scrittice di sinistra convertita al cattolicesimo. Il primo maggio di quell’anno, Dorothy e alcuni giovani che la sostenevano si recarono a Union Square, a New York, e si misero a vendere al prezzo di un centesimo il primo numero del settimanale «The Catholic Worker», esposizione fedele dell’ideologia del movimento, che giunse a essere venduto in tutto il paese e che ancora oggi si vende allo stesso prezzo. Annunciava una rivoluzione umana e sociale che nasceva dalla qualità intemporale dello spirito umano e non dai confl itti di un mondo in evoluzione. Dorothy Day, radicale americana, con la sua conversione al cattolicesimo trasformò il proprio rifi uto dell’ingiustizia in una missione costante di aiuto ai diseredati. Assieme a Peter Maurin fondò una serie impressionante di case di accoglienza in numerose città del Canada e degli Stati Uniti, un’accoglienza che si incentrava sull’aiutare e sull’indirizzare a un ritorno a una vita più umana chi si trovava ai margini della vita civile. Queste case erano situate in quartieri poveri e accoglievano neri e bianchi, pescatori,

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2 1. Testata del settimanale «The Catholic Worker», disegnata da Ade Bethune.

2. L’artista Ade Bethune, Dorothy Day, Dorothy Weston, il fi losofo francese Jacques Maritain e Peter Maurin, 1934 (Archivi della Marquette University, Milwaukee, Wisconsin).

3. Peter Maurin di fronte al quartier generale del Catholic Worker in Mott Street a New York (Archivi della Marquette University).

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scaricatori di porto e marinai, famiglie con bambini, disoccupati, malati e inabili al lavoro. Non si trattava solo di dar da mangiare e da vestire, ma anche di offrire un tetto, un ambiente caldo e familiare e una gioiosa testimonianza di vita cristiana. «Nel momento in cui uno ama si produce una correlazione fra lo spirito e la materia. Qualsiasi sacrifi cio, qualsiasi sofferenza risulta facile grazie all’amore». Questa era la pietra angolare del movimento Catholic Worker, che aiutava a liberarsi dalla tirannia dei sensi per avviarsi a vivere sotto lo spirito e con lo spirito. Avevano scelto la via nonviolenta, mostrando in ogni occasione la loro concezione personalistica della vita, denunciando gli aspetti disumanizzanti dei due fenomeni propri dell’era borghese: il nazionalismo e il capitalismo, rifi utando il dilagare delle caratteristiche disumanizzanti dello Stato secondo il modello descritto in 1984 da Orwell. In una occasione, commentò così parlando ad alcuni studenti universitari: «Quando avevo la vostra età e frequentavo l’Università dell’Illinois, le donne non avevano il diritto di voto e i poveri potevano contare soltanto sulla carità dei ricchi. Mi ricordo che una volta chiesi a mia madre il perché di questa situazione; perché per alcune persone le cose non potevano andare meglio, perché alcuni possedevano tanto e altri tanto poco o nulla. Mi rispondeva sempre che non esiste spiegazione per le ingiustizie: le cose stanno così, semplicemente. Credo di aver speso la mia vita tentando di far funzionare meglio le cose, di cambiarle almeno un poco, e questo è ciò che le persone come me dovrebbero provare a fare: siamo stati fortunati nella vita, perché non aiutare gli altri affi nché vivano un poco meglio?». I membri del movimento sognavano essenzialmente una Chiesa che non fosse un rifugio dalla malvagità degli uomini, né una istituzione di potere che cercasse di mantenere i propri privilegi, ma invece un luogo di incontro vivo fra Dio e gli uomini, di immersione nel mondo, simile a quello realizzato da Gesù venti secoli fa. Scriveva Dorothy in un articolo pubblicato nel 1936: «Siamo sinceri, la posizione che sosteniamo non ha a che fare con il tema dei salari, delle ore e delle condizioni di lavoro, ma con la verità fondamentale che gli uomini non dovrebbero essere trattati come una proprietà, ma come esseri umani, come ‘templi dello Spirito Santo’». «Ogni strada che porta al Paradiso è il Paradiso», aveva scritto santa Caterina da Siena, e Dorothy Day citava con frequenza questa frase, cercando di ispirarsi al suo senso profondo. Vivendo per la carità, separandoci dalla violenza, cerchiamo di imporre una fi nalità al mondo. I membri del movimento mantennero contro il vento e contro la marea montante un atteggiamento pacifi sta che fece loro perdere molti lettori: «Continuiamo a essere pacifi sti: il nostro manifesto è il Sermone della Montagna, il che signifi ca che cercheremo di essere seminatori di pace. Parlando a nome di molti dei nostri obiettori di coscienza, non parteciperemo allo scontro armato né alla fabbricazione di munizioni, né all’acquisto di buoni di Stato per portare a termine la guerra, né solleciteremo nessun altro a fare nessuna di queste cose» (gennaio 1942). Dorothy Day fu arrestata molte volte per le manifestazioni di piazza, cui partecipava ogni volta che le riteneva giuste; mantenne un’intensa vita intellettuale e spirituale, scrisse libri e articoli difendendo e diffondendo le proprie idee, fu coerente con ciò in cui credeva. Trovò la risposta alle sue grandi domande nella vita di un predicatore errante che era morto in croce, assieme a due ladroni, duemila anni prima. Trovò ispirazione nei poveri del XX secolo, simili a quelli che Gesù aveva amato. Scelse di passare la vita con loro, aiutandoli e apprendendo da essi. In alcune occasioni parlò dei suoi grandi amori: l’amore per la letteratura e la scrittura, l’amore per Gesù e la sua Chiesa, l’amore per i profeti che leggeva di continuo nella sua Bibbia sbrindellata, l’amore per la gente comune, con lo stomaco vuoto e la vita disorientata che lei cercava di riempire e di indirizzare. Non sarebbe possibile comprendere questo movimento, creativo, generoso, immensamente accogliente verso chiunque cercasse aiuto, calore umano

4. Dorothy Day (Archivi della Marquette University).

5. Dorothy Day e lo staff iniziale del «Catholic Worker», William Callahan e Margaret Polk, 1936 ca. (Archivi della Marquette University). 6. Lo staff del «Catholic Worker» sui gradini della casa di Charles Street a New York (Archivi della Marquette University).

7. Dorothy Day e lo staff iniziale del «Catholic Worker» (cortesia Henry Beck).

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