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SAN MARTINO DI TOURS E ALTRI SANTI
NON COSÌ VOI. PAPA FRANCESCO
2. Sala Ducale degli appartamenti pontifi ci, Città del Vaticano. Lo stucco con putti che sostengono una cortina è stato realizzato su progetto del Bernini per il restauro barocco dei locali.
Questa ampia storia della carità presenta la permanente aspirazione di tanti cristiani ad essere fedeli al mandato di Gesù di considerarci tutti fratelli, di amarci gli uni gli altri, di non permettere che alcun fi glio di Dio nostro Padre sia emarginato, maltrattato, dimenticato. Siamo tuttavia coscienti della nostra debolezza e della nostra connaturata inconsistenza. In realtà, la nostra storia risulta talvolta una limpida dimostrazione di incoerenza collettiva. Parliamo in una maniera, nei documenti solenni e dal pulpito quotidiano, ma nella vita frequentemente agiamo in modo contraddittorio. Insieme a tanti esempi di amore, impegno e generosità, di attuazioni sublimi e di vite di silenzioso impegno per gli altri, scopriamo una routine di egoismo, di oppressione e di mancanza di considerazione. Una volta di più, siamo vasi d’argilla che contengono lo Spirito. I Salmi riconoscono questa situazione quando affermano che «il Signore [ha pietà] di quanti lo temono. Perché egli sa di che siamo plasmati; ricorda che noi siamo polvere» (Salmi 103 [102],13-14). Colpisce, soprattutto, il fatto che le nostre organizzazioni e forme di autorità e di governo mantengano certe modalità proprie dei poteri sociali e politici tradizionali, suntuose e distanti dal popolo. Il fatto stesso che il papa sia un capo di Stato con tutti i suoi parafernali risulta oggi, per la nostra sensibilità, distorsivo e poco esemplare. I cardinali sono considerati come i principi della Chiesa e vescovi e parroci hanno talvolta assunto forme mondane di vita e di comando. La consuetudine per secoli reiterata ci conduce a convivere con un papa e con vescovi che dimorano in palazzi impressionanti, portati da automobili spettacolari, in sedie gestatorie, accompagnati da un seguito di moltitudini di monsignori, camerieri e guardie. La loro vita personale può essere semplice e austera, ma l’immagine che trasmettono è quella di vivere e disimpegnarsi in un ambiente diffi cilmente compatibile con lo spirito evangelico. Altrettanto accade con le congregazioni religiose. I loro membri hanno spesso vissuto secondo austerità e rigore, ma l’immagine che spesso hanno offerto abbazie e conventi è quella di grandiosità e potenza. Ciò spiega il fatto che nei rivolgimenti popolari, a partire dalla Rivoluzione francese, i religiosi siano stati maltrattati in quanto appartenenti ai ceti ricchi e di potere. Per altro verso, ci imbattiamo nelle ingenti ricchezze culturali e artistiche in possesso della Chiesa. È vero che lo sviluppo lungo i secoli, nell’esercizio della sua opera pastorale, è andato accumulando e trasmettendo una cultura importante, opere d’arte straordinarie, concezioni e manifestazioni del potere proprie di altre epoche, create e fedelmente preservate in ambiti ecclesiastici. In ciascuna di esse possiamo rinvenire l’infl usso che lo spirito religioso ha esercitato in tutti gli aspetti della vita, ma allo stesso tempo risulta facile verifi care l’effetto contaminante della superbia umana e della brama di potere in ambiti e spazi religiosi dai quali dovremmo aspettarci che siano capaci di superare la tentazione del potere per seguire il Maestro, in sua compagnia, in semplicità e povertà. In un momento di sconcerto e di generalizzata mancanza di speranza in molti ambienti cristiani, appare con sorpresa Francesco, il papa venuto da terre lontane, esotico per un cristianesimo che permane assai europeo e occidentale. Il nuovo papa ha assunto il nome di Francesco, incompatibile con il fasto, la superbia degli occhi, la distanza dai fratelli, il potere e la gloria umani. Nessun papa aveva avuto l’audacia di adottare questo nome, coscienti dell’impegno che ciò avrebbe signifi cato. Non potevano chiamarsi come il «poverello» di Assisi dimorando in un palazzo, muovendosi in splendide automobili, con una corte di funzionari, camerlenghi, gentiluomini in smoking e vescovi sottomessi. In realtà è molto diffi cile accettare che qualcuno si chiami vicario di Cristo, il quale morì in croce a compimento di una vita di puro abbandono e di speranza nel Padre, e allo stesso tempo viva contornato da tanta teatralità. Di fatto, questa contraddizione si manifesta non soltanto nel papa, bensì nella vita della maggioranza dei cristiani, capaci di defi nirsi discepoli di Cristo mentre vivono impunemente a fi anco di fratelli nudi, affamati e miseramente esclusi. Ad ogni modo, non v’è dubbio che a Roma si dispiega con maggiore spettacolarità il grave iato tra le formulazioni teoriche e l’ostinata realtà. Poco dopo la sua elezione, il nuovo papa, ricevendo i giornalisti che erano accorsi da tutto il mondo per assistere al conclave, disse loro: «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». Sicuramente molti papi hanno parlato della povertà in diversi sensi, ma sono convinto che nessuno ha lanciato con tanta de-
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terminazione e tanto apertamente questo desiderio e questo convincimento, in realtà così condizionante per il tradizionale modello di Chiesa. La predicazione deve raggiungere la «‘periferia esistenziale’ [ ]; siate pastori con ‘l’odore delle pecore’», vale a dire: occorre vivere e stare con i poveri prima che teorizzare su di essi, occorre sentirsi e operare come pastori prima di volgersi a loro. In questo stesso senso, pochi giorni dopo, affermava: «La Chiesa deve fuggire dal ‘narcisismo ideologico’». Di fatto, questa semplicità, umiltà e accessibilità rispondono alla sua convinzione che ogni potere è servizio e che i poveri costituiscono il nucleo della sua ragion d’essere, nonché della vita cristiana. Egli si rivolge tutti i giorni all’umanità spronandola a tenere in conto la dignità e le necessità dei più indigenti, i deboli, i meno importanti. Ai credenti ricorda che la priorità nel messaggio di Gesù sono i poveri. In ogni omelia le sue parole semplici esprimono un messaggio poderoso: non si può parlare di povertà in astratto, senza avere esperienza personale della povertà. Ai diplomatici accreditati presso il Vaticano ha chiesto che i loro governi controllino l’economia e proteggano i deboli da uno sfruttamento che non considera le persone. «Il denaro deve servire, non governare». Ciò che colpisce delle sue parole sui poveri è il fatto che egli non parla a memoria, che lo sentiamo compromesso personalmente con il tema. Ha avuto e ha la libertà necessaria a porre in questione categorie convenzionali presenti nella politica e nella Chiesa. Ha sfi dato tentazioni marxiste di alcuni elementi della teologia della liberazione e non cessa di sfi dare il capitalismo selvaggio. Deplora un relativismo che svuota la fede di signifi cato e rifi uta il fondamentalismo di quanti non vogliono cambiamenti e si ostinano su un orologio del passato. La sua vicinanza agli esseri umani non diluisce la serietà delle loro esigenze. In Argentina attaccò la corruzione dilagante con determinazione e senza riguardi. La corruzione, affermava, distrugge e rende schiavo l’essere umano, fa perdere il pudore che custodisce la verità, distrugge la speranza e l’amicizia e conosce soltanto la complicità. «Anche nelle comunità cristiane ci sono gli arrampicatori», ha detto il papa, «che coscientemente o incoscientemente fanno fi nta di entrare dalla porta, ma sono ladri e briganti. Perché? Perché rubano la gloria a Gesù, vogliono la propria gloria […]. Una religione un po’ da negozio, no? Io dò la gloria a te e tu la dai a me. Ma questi non sono entrati dalla porta vera. La porta è Gesù e chi non entra da questa porta si sbaglia». Nel suo discorso ai giovani diplomatici pontifi ci, ha esigito che vigilino per essere «liberi da ambizioni o mire personali, che tanto male possono procurare alla Chiesa. [ ] Per favore: niente carrierismo». Sarà irriducibile verso la pederastia, non permetterà una banca vaticana che non sia trasparente, né un clero anestetizzato dai suoi merletti o dai suoi giochi di mano. Una delle ragioni proposte per la nomina di papa Francesco a personaggio dell’anno sta nel fatto che con lui è cambiata la percezione che buona parte del mondo aveva della Chiesa e del papato, e senza dubbio, dopo la sua elezione, questa nuova percezione che il mondo comincia ad avere della Chiesa costituisce un tema suggestivo e importante sia sotto il profi lo religioso-pastorale sia sotto quello culturale.
3. Papa Francesco saluta la folla in Piazza San Pietro.
4. San Francesco nell’affresco della Maestà di Cimabue. Assisi, Chiesa Inferiore.
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Alcuni anni fa la rivista «Time» defi nì la Chiesa cattolica come la più grande impresa multinazionale esistente, per la sua organizzazione, struttura e ramifi cazione. Non si trattava di una descrizione balzana, ma non teneva conto della ragion d’essere e della specifi cità propria della Chiesa. Di fatto, anche Scientology o i mormoni contano su una solida organizzazione. Al contrario, negli ultimi anni, il moltiplicarsi di notizie negative propagate dai mezzi di comunicazione ha messo in evidenza alcuni dei gravi problemi insorti nelle Chiese di alcuni paesi: omosessualità, Marcial Maciel e i suoi Legionari, quella che viene chiamata la banca vaticana, il furto di documenti nell’appartamento del papa, messaggi spesso di sapore restrittivo e distanti dalla realtà esistenziale di tanti cittadini che soffrono l’angustia quotidiana. Tutto ciò ha costituito un grave colpo alla credibilità di una istituzione la cui qualità principale è, appunto, la credibilità. Per parte nostra, dobbiamo tenere in conto il disagio patito da molti cattolici di fronte all’atteggiamento sconsiderato, alla chiusura dottrinale e alla immotivata superbia intellettuale di alcuni tra i membri più rappresentativi del clero, disagio crescente negli ultimi anni, quando il pluralismo di idee e la secolarizzazione della società avrebbero esigito ben altro atteggiamento, più umile, più recettivo, di maggiore dialogo. Molti cattolici si sono di fatto posti ai margini della Chiesa, scegliendo un comodo e contraddittorio cristianesimo à la carte. L’arrivo di papa Francesco pare aver rotto il sortilegio nefasto, provocando sconcerto e malessere in non pochi e una simpatia e diffusa speranza in innumerevoli persone di ogni tipo e condizione. La rivista «Time», nel mettere quest’anno in copertina la fotografi a del papa, si riferisce a ciò quando parla di una nuova percezione della Chiesa e sono sicuro che questo sia il motivo della scelta di papa Francesco come uomo dell’anno da parte di tanti periodici. Cercando di spiegarmi in che cosa consista questa nuova percezione, vorrei mettere a confronto l’esperienza di due papi che hanno cercato negli ultimi tempi di rompere inerzie, comodità ed egoismi e di dare maggiore importanza al Vangelo che a tradizioni storiche troppo umane che sono prevalse nella nostra storia. Mi riferisco a Giovanni XXIII e a Francesco. Appena Giovanni XXIII (1958-1963) ebbe iniziato il suo pontifi cato, il popolo cristiano rimase affascinato dall’atteggiamento del nuovo papa e si produsse una decompressione ecclesiale di tale portata che sembrò che tutto il passato, a cominciare dal pontifi cato dello ieratico e tagliente Pio XII, in apparenza così mirabile, risultasse anacronistico e decadente. Parlò della necessità di superare costumi e tradizioni antiquati e si sforzò di ripulire la polvere depositata dai secoli nella Chiesa; sminuì la propria importanza, si fece vicino a tutti gli esseri umani, abbandonando la maschera altezzosa che molti mortali hanno indossato quando hanno voluto diventare idoli umani. È sorprendente verifi care come, solo con la naturalezza e l’umanità del suo comportamento, questo papa ruppe la situazione esistente e divenne il papa amato e vicino per cattolici e fedeli di diverse credenze, proponendo un modo di agire, di creare una comunità fraterna e di sentirsene membri. Talvolta ho pensato che la chiave di questo cambiamento fu il convincimento di papa Giovanni che ogni uomo e tutto l’uomo è degno di rispetto e di amore, anche se permane nell’errore, anche se appartiene ad altri gruppi religiosi o a nessuno. Cosicché, senza tante storie o elucubrazioni, fu spezzato l’inganno ottocentesco che impediva di accettare la libertà di coscienza sulla base del principio che solo la verità ha diritti e non l’errore, defi nendo errore ciò che non era insegnato dalla Chiesa. La fi gura, i modi e la ritualità del nuovo papa Francesco ci hanno colto di sorpresa; offrono un’altra idea della Chiesa non tanto per i princìpi che affermano, ma per le priorità e il modo di stare nel mondo e di tradurre il Vangelo. Per comprendere questa sorpresa rifl ettiamo sulla contraddizione vivente che accompagna la nostra vita. Da una parte siamo coscienti che il mondo cristiano vive in una schizofrenia, che non appare mortale poiché conviviamo con essa da molti secoli. Il suo Dio fatto uomo muore sulla croce e non ha dove posare il capo; pone il samaritano e il padre del fi gliol prodigo quali modelli di condotta; avvisa che risulta praticamente impossibile che il ricco entri nel suo regno; ci dice che siederanno alla sua destra coloro che emarginiamo, escludiamo e immiseriamo senza scrupolo con il nostro agire; ci impegna a perdonare settanta volte sette; a tenere come regola di vita le beatitudini; ci chiede di chiamare Padre soltanto Dio e che ci consideriamo tutti fratelli; ci consiglia di non cercare i primi posti, perché solo gli ultimi saranno i primi.
5. Copertina del “Time” del 1962, in cui Papa Giovanni XXIII era stato raffi gurato come “uomo dell’anno”. 6. Copertina del “Time” del 2013. È Papa Francesco ad avere il titolo di “uomo dell’anno”.
Noi predichiamo con decisione e autorità questi mandati e molti altri ugualmente importanti, ma la nostra organizzazione e il nostro modo di relazionarci, nella Chiesa come nella società, vanno per proprio conto in parallelo. Il Vaticano in quanto complesso artistico può considerarsi opera gloriosa della cultura umana, ma come punto di riferimento del Cristo che non aveva dove posare il capo è un insopportabile imbarazzo; la curia romana e la forma di governo della Chiesa possono essere presentati come un esempio nella storia del potere e del diritto dell’Occidente, ma dubito fortemente che si attengano al mandato di Cristo «Non così voi» (cfr. Lc 22,26): non agite come agisce il mondo. Il modo di governo dei vescovi, con le loro mitre egizie in testa, dipende dallo spessore di ogni testa e, soprattutto, dal loro spirito, ma è fuor di dubbio che la storia dimostra che fi n troppo spesso la mitra coronava un satrapo, più che un rappresentante di colui che venne non per essere servito ma per servire. So che questa schizofrenia è parte di ogni storia umana, basta guardare il mondo della politica, tuttavia da noi credenti si può esigere maggiore coerenza. In realtà, sorprende e incoraggia il fatto che papa Francesco, audace e coraggioso tanto nelle sue esigenze quanto nel suo modo di vita, ci invita a ricorrere alle fonti della identità e della essenzialità dell’essere umano. Egli indica che la Chiesa deve uscire da se stessa e andare alle periferie, fuggendo il pericolo di un narcisismo teologico che la allontana dal mondo rinserrando Gesù Cristo dentro le sue mura. Al contrario, i cambiamenti e le riforme devono fondarsi su una Chiesa evangelizzatrice che esca all’esterno e non su una Chiesa mondana che vive in sé e per sé. Ha detto che si tratta di liberarsi di tanti carichi e privilegi materiali e politici per arrivare a una forma di vita apostolica basata sul Vangelo, una forma di vita che, spesso, si compie nel martirio, incentrando la propria esistenza e la propria parola nell’amore e nella misericordia di Dio. In questo profi lo di Chiesa che pare piacere dentro e fuori di essa, papa Francesco incoraggia ad amare la povertà e i poveri e gli esclusi del mondo, a rifi utare la psicologia di principi o di patroni, a non essere ambiziosi o cercare posti in graduatoria, a vegliare su tanti fratelli che non conoscono un volto amico, a prendersi cura della speranza come bene prezioso. Ci domanda soprattutto – e lo fa a tutti – di esercitare un tipo di autorità che affonda le radici nella capacità di servire. Il bello è che non ci chiede alcunché di nuovo. Tutto questo è presente certamente nel Vangelo, e inoltre in tanti interventi pieni di coraggio e di gioia dei padri conciliari al Vaticano II. Vi è l’impressione che papa Francesco, come già il concilio Vaticano II, intenda invertire le priorità spesso dominanti nella Chiesa, abbandonando il riferimento incessante alle istituzioni ecclesiastiche, alla loro autorità ed effi cienza, quale centro e misura della fede e della Chiesa e convertendo la comunità cristiana in uno spazio di comunione e accoglienza. Ripensare e cambiare le priorità implica inoltre riconoscere il valore della coscienza, della fede e dei segni dei tempi come supremi criteri ecclesiali. Questo piace alla gente comune del mondo e spiega perché Francesco sia considerato uno di noi, come si espresse un tassista romano pochi giorni dopo la sua elezione. Perché Gesù scandalizzava i suoi contemporanei? Mangiava con i peccatori, compiva miracoli in giorno di sabato, parlava con enorme confi denza di Dio, non mescolava sacro e profano. Nell’abbandonare il trono, nel ridurre le distanze, nel sedersi allo stesso banco dei fedeli, nel continuare ad abitare nella foresteria, nel rifi utare automobili lussuose, nel mescolarsi con i suoi fratelli, Francesco non solo non sminuisce il suo prestigio o la sua autorità, ma pone le cose al loro posto e ci ricorda con semplicità il modo di agire di Gesù. Cristo era lo stesso nella creazione
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dell’universo come nella incarnazione o coronato di spine, e tuttavia spesso noi tratteniamo solo quel che meglio si confà ai nostri gusti. Non si tratta, evidentemente, di cambiare Dio o le dottrine che la tradizione ci ha consegnato, ma di purifi care i modi di comprendere, concepire e sperimentare la trascendenza e la presenza di Dio nelle nostre anime. Forse è in questo che si trova la diffi coltà maggiore: nascere di nuovo, vale a dire la conversione. Diamo spesso maggiore importanza al come che al che cosa, al rubinetto che all’acqua, alla routine che alla vita. Papa Francesco ha indicato che occorre confi dare solo in Gesù e non in superstizioni, né nel proprio io, nella nostra autosuffi cienza. Egli si è riferito a questo Gesù quando ha indicato la necessità di nascere di nuovo interiormente, di discernere i segni dei tempi e di valorizzare le persone e le circostanze in modo diverso da come fa il mondo. «Non così voi» costituisce il principio cristiano per antonomasia. Per i giudei la croce era follia, ma per i cristiani è divenuta il simbolo della salvezza. Il mondo ha tradizionalmente adorato l’oro e il denaro, la Mammona iniquitatis, ma per Cristo il ricco rischia di non passare per la cruna dell’ago. Siamo sicuramente brave persone, ma spesso il Signore ci chiede di camminare e agire in altra maniera. Anche il nostro modo di stare al mondo e di maneggiare il potere esige un rinnovamento radicale. Soltanto il servizio giustifi ca il potere, solo servendo gli altri, in primis i bisognosi, saremo capaci di seguire il Maestro. Talora i credenti hanno intuito che Francesco, semplifi cando il suo modo di vivere, di agire e di parlare in quanto pontefi ce, ha optato per la radicalità evangelica che tanto ci inquieta, e che poco ha a che vedere con la teatralità, l’onore e la gloria cui siamo avvezzi.
7. Un gigante oleodotto attraversa una baraccopoli alla periferia di una città del Terzo Mondo. La crescente disuguaglianza nella disponibilità delle risorse tra ricchi e poveri è il dato più impressionante della storia recente.