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COLLABORAZIONE TRA LE CHIESE
10. Elemosina di san Martino. Facciata del duomo di San Martino, Lucca; copia dell’originale degli inizi del XIII secolo, ora in controfacciata. 1. Particolare del mosaico con veduta della città all’epoca di Teodorico con palazzi di imponente bellezza. Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna, V-VI secolo. Alle ricchezze offertegli da Teodorico, Cesario porse un diniego e si dedicò agli indigenti.
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Capitolo 17 SAN MARTINO DI TOURS E ALTRI SANTI
Il cristianesimo nasce nell’Impero romano e si espande entro i suoi confi ni. Numerosi popoli che i romani consideravano barbari ne violarono le frontiere e si insediarono, pacifi camente o in modo violento, in molte delle sue regioni, fi no a distruggere l’unità e l’organizzazione della sua parte europea. Si aprì così una delle pagine più appassionanti della storia umana, la nascita dell’Europa, cioè di nuove nazioni con personalità, lingue e culture proprie, frutto dell’aggregazione e integrazione del popolo romano e dei popoli invasori. Il cristianesimo e la cultura romana assimilata dai cristiani costituirono un elemento decisivo. È suggestivo affrontare questo tema alla luce della concezione della carità cristiana. La Vita di san Martino, scritta nel 397 da Sulpicio Severo prima ancora che il santo vescovo (335-400) morisse, illustra la personalità di un soldato che abbandona la carriera militare dopo venticinque anni di servizio per trasformarsi in soldato di Cristo, ritirandosi a vivere la propria religiosità in solitudine. Eletto vescovo di Tours, concilierà l’incarico con le sue esigenze spirituali. «Martino, povero e modesto, sale arricchito al cielo», scrive il suo primo biografo alla fi ne dell’opera. Nella Vita che gli dedica, Sulpicio esalta Martino come eguale ai martiri per la sua rinuncia al mondo, l’umiltà, la pazienza e la carità. Martino ottiene un martyrium sine cruore (senza effusione di sangue), essendo dotato da Dio di una virtù miracolosa. Di lui conosciamo un episodio che si è trasformato in testimonianza nella storia del cristianesimo. Divise il suo mantello militare con un mendicante che aveva incontrato ad Amiens intirizzito dal freddo. Poco dopo ebbe una visione di Cristo coperto con quella parte che aveva donato. Questo sorprendente miracolo è stato rappresentato nel corso dei secoli in chiese, cattedrali e cappelle del mondo cristiano, per ricordare ai fedeli un miracolo portentoso, frutto di un’azione generosa, e una dottrina non sempre compresa, ma consustanziale al Vangelo: l’identifi cazione di Cristo con l’essere umano, soprattutto con quello pieno di limiti, precario, che mai giungerà a essere autosuffi ciente.
2. Gregorio Magno, assistito da un angelo e dialogante con il diacono Pietro. Miniatura da un manoscritto dei Moralia in Iob di Gregorio Magno (1022-1030 ca.). Montecassino, Archivio dell’Abbazia, cod. Casin. 73, pp. IV-V.
3. Il libro dei Dialoghi, attribuito a Gregorio Magno, ci restituisce la vita di san Benedetto. Il Codex Benedictus (Vat. lat. 1202) ne è una famosa versione illustrata. In questo foglio vediamo sei scene, da sinistra a destra e dall’alto in basso: 1. Papa Gregorio narra la storia di Benedetto a Pietro; 2. Il giovane Benedetto a scuola a Roma; 3. La nutrice di Benedetto piange sul vaglio spezzato; 4. Benedetto prega affi nché il vaglio rotto sia riparato; 5. Benedetto, fuggendo dalla fama che il suo miracolo gli aveva procurato, incontra il monaco Romano; 6. Romano fornisce a Benedetto del pane calandolo nella grotta e suonando la campana-segnale, ma il diavolo rompe la campana.
Alla metà del VI secolo, Cesario di Arles (470-543), che aveva costruito accanto alla sua casa un grande edifi cio per accogliere gli infermi, incontrò a Ravenna, capitale del regno di Teodorico, migliaia di prigionieri originari della sua terra. Li riscattò dopo aver venduto quanto possedeva, compresi i doni che lo stesso Teodorico gli aveva offerto. Un contemporaneo dice di lui: «Uomo tra i barbari, uomo di pace in mezzo alle guerre, padre degli orfani, padre degli indigenti». Sia Martino sia Cesario sono romani, ma hanno rapporti con i barbari e si sforzano di conseguire un modus vivendi, una collaborazione e una convivenza pacifi ca fra i diversi popoli, che trasformerà il loro antagonismo in integrazione, dando origine alla nuova Europa. A poco a poco, questi uomini straordinari, asceti, monaci e vescovi, cominciano a essere considerati santi anche se non hanno subìto il martirio, perché li si considera devoti imitatori di Cristo nella loro fedeltà fi no alla morte. Se ne ricorda soprattutto l’ascetismo, la vita appartata, le preghiere, ma in molti casi si dà risalto alla loro carità, alla capacità di comprensione e di integrazione. La devozione per questi santi si estese in Europa ed essi furono ammirati e imitati dalle diverse popolazioni, dando luogo a nuove usanze e tradizioni che informeranno la vita dei nuovi popoli. Per san Gregorio Magno (590-604), uno dei grandi papi della storia, è naturale che la carità costituisca la fonte di una migliore comprensione delle Scritture, perché essa insegna prima di tutto l’amore verso Dio e verso il prossimo. Signifi ca andare contro la vera natura delle Scritture pretendere di comprenderle e di esporle solo per soddisfare il nostro desiderio di conoscenza: è il rimprovero principale che Gregorio muove agli eretici. Egli ritiene che, sebbene i discorsi degli eretici si riferiscano alla Bibbia, essi siano estranei alla sua fi nalità più profonda. La Parola di Dio ci invita all’amore reciproco e non all’orgoglio dell’intelligenza e alla divisione fra credenti. Leggere le Scritture costituisce la porta d’accesso al progresso spirituale. Quando si tratta della Parola di Dio, la
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comprensione è nulla, se l’intelligenza non conduce all’azione. Questo bipolarismo si traduce in innumerevoli antitesi che manifestano la coerenza armoniosa tra parola e azione, pensiero e azione, fede e azione, preghiera e azione. «Si vede bene solo con il cuore», afferma Saint-Exupéry nel nostro tempo, e san Tommaso, secoli prima, ha spiegato che per conoscere pienamente si deve amare. Spesso la nostra teologia e la nostra predicazione si sono concentrate sulla fede e sull’ortodossia, senza richiamarsi costantemente all’amore su cui si incentra e con cui si spiega ogni rapporto tra Dio e gli uomini. Nonostante questo, il popolo cristiano ha intuito, come san Paolo, che la cosa più importante è l’amore. In Italia, fra i tanti personaggi che ne hanno arricchito la storia, ricordiamo la fi gura di san Colombano (543-615), fondatore e ispiratore del monastero di Bobbio, centro di immenso valore culturale, ma anche di grande incidenza sociale, grazie agli stretti rapporti con i contadini, cui i monaci offrivano aiuto materiale e occasioni e riti per vivere e morire da uomini e da cristiani, mentre davano forma alla loro coscienza morale e sociale. Una potente rete di monasteri e di chiese diocesane va occupando la penisola, insegnando al popolo a vivere con dignità, a pregare e a lavorare, mentre nei sinodi i vescovi danno regole alla vita della gente, stabiliscono le norme sociali, riconoscono le autorità politiche e rafforzano l’infl usso del Papato nelle diverse regioni. Questi monasteri coltivavano la trasmissione del sapere antico e dello stile di vita romano, ma allo stesso tempo crearono, protessero e insegnarono al popolo un modo di vita, frutto di tempi duri e calamitosi, dando luogo a quello che diverrà più tardi il popolo europeo, a cui insegneranno con i riti e il catechismo la dottrina e la morale cristiane. I santi si presentano nella storia europea come gli esponenti più importanti di questa sintesi: amano, si preoccupano per gli altri, creano istituzioni che si dedicano a favorire il progresso materiale e spirituale degli esseri umani, vivono per la fede e l’amore per Cristo. Dopo la loro morte, nei santuari loro dedicati, si moltiplicano le guarigioni e i prodigi di ogni genere. Si recava lì ogni tipo di malati e anche gli oppressi e i perseguitati vi trovavano protezione e rifugio. L’importanza del culto dei santi è stata straordinaria, tanto per i più colti quanto per i contadini. Di fatto, si sa che alcuni culti pagani tradizionali, molto radicati fra la popolazione, scomparvero quando furono deliberatamente sostituiti con il culto di santi locali. Si impose il mondo della potenza divina e del mistero, capace di dominare i mali e le angosce che opprimevano la popolazione. L’Inquisizione, al contrario, ossessionata dall’ortodossia, dimenticò frequentemente le condizioni di coloro che giudicava, le loro debolezze, il loro bisogno di sperare e di aggrapparsi a ciò che poteva aiutarli nella lotta impari contro le potenze del male e dell’egoismo umano. Per l’uomo moderno, risulta talvolta diffi cile comprendere questo mondo di immaginazione popolare, ma non c’è dubbio che si tratti di un’espressione dello spirito genuinamente umana e cristiana, generata da quelle paure e angosce sempre presenti nel corso della storia. La Chiesa ha riconosciuto sempre il valore della pietà popolare. C’è nel popolo un senso quasi innato del sacro e della trascendenza. Esso manifesta una sete autentica di Dio e un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante, la misericordia20 . Tutta la storia della salvezza costituisce il grande movimento delle vite delle migliaia di persone di cui si parla nell’Apocalisse; la storia della Chiesa è il corso vitale di tanti protagonisti conosciuti o sconosciuti a noi ma non a Dio, un movimento di persone che sono state capaci di integrare il fi nito con l’infi nito, il divino con l’umano, l’eterno e la storia, la morte e la resurrezione. Se Dio ha scelto la dimensione personale, se ha privilegiato le biografi e, cioè le esperienze umane, per la sua rivelazione, risulta evidente l’importanza decisiva di queste testimonianze nell’esperienza cristiana. La Bibbia non è un libro di teorie, di fi losofi a o di teologia, ma è invece il libro di uomini e donne, di profeti, peccatori, discepoli e testimoni, che vivono e parlano di Cristo. Soltanto Dio conosce la maggior parte di questi testimoni, ma è anche – anzi soprattutto – grazie a loro che è giunta a noi la Parola di Dio e che noi siamo cristiani21 .
Capitolo 18 LE OPERE DI MISERICORDIA
Assieme ai comandamenti solenni e universali, sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, troviamo nella tradizione cristiana un insieme di raccomandazioni, metodi e modi pratici di comportamento, che la pastorale quotidiana è andata insegnando ai credenti allo scopo di facilitarne o indirizzarne i costumi abituali nei rapporti con gli altri esseri umani, in accordo con la vita e gli insegnamenti di Gesù. A partire dal XIII secolo, quasi tutti gli statuti sinodali obbligano a insegnare ai fedeli le sette opere di misericordia assieme ai sette sacramenti e al mistero della Trinità e dell’Incarnazione. Queste opere avrebbero potuto esprimersi in un numero indeterminato di comportamenti, ma la tradizione le ha ridotte, ancora una volta, al numero di sette: sette opere di misericordia spirituali e sette corporali. Non si tratta affatto di un accostamento sentimentale ai bisogni dell’essere umano bensì, nell’insieme, di un modo di comprendere la natura umana, le sue necessità e i suoi limiti; soprattutto, esse promuovono l’impegno personale a conseguire una società più umana, giusta, felice e solidale. Fra queste opere di misericordia, occupano il primo posto quelle di ordine spirituale, con le quali si offre un bene spirituale e si soccorre l’anima del prossimo con un atto spirituale. Sono superiori a quelle corporali, così come lo spirito è superiore alla materia. Ciononostante, a volte, risulta più urgente o preferibile l’opera di misericordia corporale: per esempio, prima di dare dei buoni consigli all’affamato, dagli da mangiare. Consigliare i dubbiosi. Gesù raccomanda di insegnare a coloro che aspirano alla perfezione. Il cristiano, con pazienza e tenerezza, deve consigliare sulla via da seguire chi agisce contro i fratelli e la comunità, e anche chi cerca di seguire più da vicino Gesù. La vita di Cristo, in effetti, fu una costante correzione del cammino sviato di chi lo ascoltava o gli chiedeva un parere. Ricordiamo la fi gura del giovane che chiede a Gesù che cosa debba fare per essere perfetto. Il Signore gli dà un consiglio che diventerà uno dei fondamenti classici della spiritualità cristiana. La direzione spirituale ha costituito un metodo molto antico e molto seguito nel cammino di perfezione delle comunità cristiane. Ignazio di Loyola, Teresa di Lisieux e Hans Urs von Balthasar sono esempi di maestri dello spirito che continuano a indicare il cammino per giungere a Dio. Insegnare agli ignoranti. Il cristianesimo è una religione che si ascolta e si apprende, si insegna e si assimila, in modo regolato, interiorizzandola in maniera tale che si trasforma in un modo di vita e di azione. Fin dalle origini, Ireneo, Origene e altri nomi famosi del cristianesimo primitivo hanno fondato scuole di dottrina o teologia cristiana, che non erano soltanto fonti di conoscenza ma anche di azione e di comportamento. La loro fi nalità consisteva nell’insegnare quella verità che è Cristo e nel mostrare la buona via del Vangelo. Secoli più tardi, le scuole delle cattedrali o dei monasteri estesero le materie e i saperi che insegnavano. Alcuino, Bruno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura e tanti altri sono nomi conosciuti di maestri del sapere e dell’insegnamento. L’istruzione per i poveri come mezzo di promozione sociale nasce con l’Umanesimo e, soprattutto, con la spiritualità barocca, segnata da una sensibilità generalizzata per i diseredati. Sono numerose le congregazioni religiose che nascono con la preoccupazione di impartire questi insegnamenti ai più poveri, a cominciare da quella fondata da san Giuseppe Calasanzio. Dopo la Rivoluzione francese e, soprattutto, in piena rivoluzione industriale, uomini e donne sentono l’angustia della condizione dei bambini cresciuti in situazioni inumane, ai quali desiderano offrire un’educazione e
1. Lezione di dottrina in un villaggio andino in Perù. L’insegnamento cristiano deve valorizzare le tradizioni culturali locali e coglierle come ricchezza e non come ostacolo all’annuncio del Vangelo.
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modi di comportamento che li aiutino a uscire presto da quegli ambienti chiusi e rigidamente stratifi cati in cui vivono, e dei quali solo il denaro o l’educazione possono aiutare a infrangere le barriere. Ammonire i peccatori. Gesù offre una serie di richiami e di correzioni che devono essere impartiti a chi sbaglia o pecca o infrange le leggi. Ogni credente deve aiutare l’errante o chi agisce illecitamente, perché, in un certo senso, tutti siamo responsabili di tutti. Nei casi estremi, tutta la comunità agisce come un corpo solo, prima con la parola, il consiglio e il convincimento, e da ultimo, se il peccatore non dà segni di pentimento, con il castigo defi nitivo, la scomunica. Alfonso de’ Liguori (1696-1787), Giovanni Maria Vianney (1786-1859), Pier Giorgio Frassati (1901-1925) e tanti sacerdoti e laici dotati di prestigio spirituale, sia nel confessionale sia nella direzione spirituale e nelle conversazioni su problemi presonali, diressero e purifi carono le coscienze di tanti credenti che si rivolgevano e si rivolgono a loro. Consolare gli affl itti. Non possiamo dimenticare la delusione e la tristezza che opprimono tante persone che ci stanno attorno, a volte per mancanza di senso del trascendente. La rivelazione della buona novella evangelica è essenzialmente gioiosa, allegra, piena di speranza. Ci viene annunciato Cristo, che è il principio e la fi ne di ogni attività umana. Cristo spiega la nostra origine e la nostra meta. È l’Alfa e l’Omega dell’umanità. In realtà, un cristiano non dovrebbe essere triste, perché è dominato da una felicità profonda. Scrive Pascal: «Solo la religione cristiana rende l’uomo amabile e felice allo stesso tempo». È per questo che ogni tristezza risulta inspiegabile nel cristiano e deve essere sanata, capovolta. «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Filippesi 4,4-5). Ogni credente deve dar ragione della sua allegria e trasmetterla al fratello. Perdonare le offese. L’occhio per occhio connota una delle reazioni umane più saldamente radicate nel nostro essere. Di fronte alla reazione spontanea di rispondere colpo su colpo a ogni violenza, a ogni insulto, a ogni assalto, Gesù espone uno dei princìpi più ardui dell’antropologia umana, perdonare settanta volte sette, offrire l’altra guancia, rispondere al male col bene. Il perdono è un attributo di Dio e un modo di giudicare in accordo con il Padre Nostro. Sopportare pazientemente le persone moleste. Il Corpo mistico implica un fl usso e rifl usso costante fra i suoi membri. Ognuno di noi possiede le sue peculiarità e ha ricevuto talenti diversi. In nessun momento dobbiamo inorgoglirci delle nostre qualità, perché ci sono state date, e non per nostro merito. Conviene, dunque, che accettiamo con pazienza e amore fraterno le piccolezze e i limiti degli altri. In realtà, nessuno è tanto perfetto da non averne di suoi. Pregare Dio per i vivi e per i morti. Il Padre Nostro è una preghiera corale, comunitaria. Chiediamo qualcosa per noi e rendiamo grazie per i doni ricevuti. Il culto dei defunti è indirizzato a Dio e riguarda i nostri morti concreti, con nome e cognome, che sono anche morti della comunità orante. L’eucaristia è sempre una preghiera del popolo cristiano, a favore del popolo stesso, una preghiera al Padre attraverso l’intercessione del Figlio. La preghiera per i morti è uno dei riti più antichi dell’umanità, ma nel cristianesimo ha come punto di riferimento la morte e la resurrezione di Cristo, immagine e preannuncio della nostra. In ogni eucaristia chiediamo in nome dei vivi e dei morti e rendiamo grazie a Dio per essere il Vivente, il Dio dei vivi, nel cui seno ci riuniremo tutti. Le opere di misericordia corporali ripetono, in pratica, le esortazioni di Gesù nella straordinaria pagina del capitolo 25 del Vangelo di Matteo relativa al Giudizio fi nale, nella quale Gesù si identifi ca con il malato, l’affamato, l’ignudo e lo straniero. Le opere corporali rifl ettono la convinzione che un cristiano non possa vivere mantenendo il proprio spirito e le proprie preoccupazioni lontani dalle pene e dalle diffi coltà degli altri uomini (Salmi 72 [73]), perché chi abbandona gli uomini abbandona Dio. La diffusione iconografi ca di questo tema si limita ad alcuni cicli dovuti alle scuole del Nord, generalmente destinati agli ospedali o alle sedi delle confraternite caritative. La tela dipinta da Caravaggio per il Pio Monte della Misericordia, a Napoli, è unico nella sua concezione e nella sua realizzazione, giacché illustra in una sola immagine le sette opere di misericordia con l’aiuto di esempi presi dalla vita quotidiana, dalla Bibbia e dalle agiografi e. Dar da mangiare agli affamati. «Le folle interrogavano Giovanni Battista: ‘Che cosa dobbiamo fare?’. Rispondeva: ‘Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto’» (Luca 3,10-11). Nel corso della storia del cristianesimo, le parrocchie, i monasteri e le case di religiosi hanno offerto cibo a quanti ne avevano bisogno. In molte chiese si distribuiva pane agli affamati che avevano frequentato la lezione di catechismo e avevano dato prova di buona condotta. Dar da bere agli assetati. Il deserto costituisce un luogo biblico esemplare della condizione umana. Quando si ritrova senza acqua, il popolo di Israele si lamenta con Mosè perché sta per morire di sete e di