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NEL TRAMONTO DELL’IMPERO
EVANGELIZZARE È AMARE 11. Modellino architettonico in terracotta dipinta della dinastia degli Han dell’Est, II secolo d.C. William Rockhill Nelson Gallery of Art, The Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City. Può essere considerato un modello di architettura tradizionale cinese. La Cina ripeterà per secoli i suoi stilemi. 12. La chiesa dell’Assunta (Namban Dera o Tempio straniero meridionale) a Kyoto raffi gurata su un ventaglio. Museo Municipale d’Arte, Kobe. È qui possibile parlare di acculturazione architettonica, poiché questa chiesa si rifà agli altri edifi ci religiosi giapponesi. I personaggi nella corte sono Gesuiti. L’acculturazione dell’Oriente, iniziata da san Francesco Saverio e da Matteo Ricci, trova piena espressione anche nella modalità costruttiva di una chiesa in Cina da parte dei Gesuiti.
I vescovi ricevettero da Carlo V il titolo di «difensori degli indios» e lo furono, certamente, tante volte, come i religiosi e molti altri cristiani preoccupati per il benessere delle loro anime, anche se forse non altrettanto per il benessere dei loro corpi. La storia di queste evangelizzazioni offre numerose bellissime pagine di creatività generosa, di guida nella vita quotidiana, di istituzioni che a poco a poco resero più facile una vita sempre dura, educando e facendo progredire popoli che avevano vissuto durante tutta la loro esistenza storica in condizioni subumane. Non c’è dubbio, però, che tanti americani e africani non trovarono spesso nei loro oppressori l’amore che ci si aspetterebbe da chi sosteneva di credere e seguire la dottrina di Cristo. L’amore di Dio non brillò in molte occasioni, perché il peccato abbondava nella nuova cristianità tanto quanto nell’antica e l’ingiustizia, tante volte denunciata nei vecchi paesi europei, si ripeté con più durezza nei continenti scoperti di recente. Francesco Saverio si imbarcò per l’India su consiglio di Ignazio di Loyola, all’età di 35 anni. Memore delle testimonianze di Montesinos e di Las Casas, il giovane gesuita predicò il Vangelo e battezzò, ma si sforzò di rispettare le credenze e le strutture sociali del luogo. Manterrà lo stesso comportamento in Giappone, un paese di cultura raffi nata. Non affrettò le tappe della conversione, si vestì alla maniera giapponese, chiese alle autorità il permesso di predicare la fede cristiana. Fu probabilmente il pioniere di una forma di predicazione più rispettosa degli uomini e delle culture, che due secoli più tardi sarà applicata da De Nobili in India e da Ricci in Cina.
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Capitolo 14 LE TENTAZIONI CONTRO LA CARITÀ
Alla fi ne dei tempi, quando il Signore giudicherà il corso incerto della nostra vita, per che cosa saremo giudicati? A che cosa darà importanza Gesù? E a che cosa avremo dato importanza noi? Benché possa sembrare che mi stia allontanando dal campo ristretto della storia, mi mantengo in realtà nei limiti di una rifl essione seria, basata sulla lunga vicenda delle comunità cristiane nel corso dei secoli, una moltitudine i cui appartenenti saranno esaminati e riconosciuti a seconda della loro capacità di amare. Si tratta di una rifl essione che deve tener conto della situazione, della cultura e della sensibilità degli uomini in ciascun momento concreto, allo stesso modo in cui, nel considerare la storia di Israele, giudichiamo le sue azioni in accordo con la lenta evoluzione e purifi cazione dei suoi modi di vita e della sua sensibilità religiosa, sempre accompagnato e diretto dai profeti e dai decreti di Dio. Nel corso della storia si sono andate fi ssando alcune priorità, alcune opzioni, che hanno strutturato l’organizzazione ecclesiastica e la vita delle comunità, e non c’è dubbio che in questo processo laborioso e discontinuo l’ortodossia nella dottrina, le norme liturgiche e le leggi ecclesiastiche siano state assolutamente essenziali. Benché non ci sia dubbio che la carità, come formula e come pratica, sia stata costantemente proposta e difesa nella predicazione e nella dottrina come elemento costitutivo del cristianesimo, dobbiamo chiederci se nella realtà sia risultata tanto fondamentale e tanto praticata. Di fatto, le deviazioni nella dottrina e nella liturgia sono state represse severamente e tempestivamente, ma non risulta che nel campo della carità l’urgenza e la necessità siano state altrettanto forti; a mala pena ci sono stati richiami, castighi, scomuniche per azioni contro la carità. Si è predicato molto sulla carità, ma non pare che l’esigenza di metterla in pratica sia risultata sempre altrettanto importante nella vita istituzionale. Ricordiamo alcuni aspetti e occasioni in cui la sostanza della carità appare essere stata maltrattata, emarginata o elusa, senza che l’autorità o la comunità credente abbiano reagito tempestivamente (sono consapevole che ognuno di noi potrebbe ricordare molti altri casi). Una religione come il cristianesimo, che sperimentò nelle sue viscere la crudeltà dell’intolleranza delle autorità dell’Impero romano, non sarebbe dovuta cadere nella medesima intolleranza, questa volta contro il paganesimo, dopo essersi trasformata in religione maggioritaria e protetta; ancor meno si sarebbe dovuta rivolgere con intolleranza e violenza contro sensibilità e interpretazioni diverse nate nel suo stesso seno. L’Inquisizione, pur concedendo tutte le spiegazioni che è possibile darne, risulta in contraddizione con una religione che difende la libertà della fede e i rapporti basati sulla fraternità e sull’amore reciproco dei suoi membri. Benché nella memoria storica sia rimasta soltanto l’Inquisizione spagnola, la verità è che l’atteggiamento e la macchina inquisitoriali si mantennero attivi in tutte le Chiese cristiane, mentre nella Chiesa cattolica la sua organizzazione rimase in funzione per quattro secoli. È vero che questa stessa intolleranza si ripeté in altre religioni e in altri ambiti della società civile e che, ancora oggi, è presente in molti luoghi, a cominciare dai partiti considerati democratici; ma noi cristiani dobbiamo domandarci se la nostra religione non ci obblighi a un altro atteggiamento. Non si tratta, ovviamente, di non possedere una identità defi nita, ma della comprensione e considerazione di altre storie e di altri equilibri, che furono riconosciuti da Dio stesso quando si incarnò in un popolo concreto senza che per questo il valore della salvezza cessasse di essere universale.
1. Pieter Paul Rubens (1577-1640), Trionfo della Chiesa. Museo Nacional del Prado, Madrid. Una donna, che regge in mano l’eucaristia e sotto la quale è presente la tiara, è condotta su di un carro i cui cavalli sono guidati dalle Virtù e il cui peso schiaccia l’Eresia. Un angelo a cavallo reca le chiavi di san Pietro sotto un parasole, conopeo nel vocabolario liturgico e insegna delle basiliche, ad indicare senza ambiguità che si tratta proprio dell’esaltazione della Chiesa romana.
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LE TENTAZIONI CONTRO LA CARITÀ 2-3. Due immagini in forte contrasto. Nella prima (2) Vicente Carducho rappresenta l’espulsione dalla Spagna dei moriscos. Con il compimento della Reconquista, nel 1492, i musulmani del Sud della Spagna furono obbligati a conversioni forzate che provocarono continue forme di reazione. Infi ne un secolo dopo si decise la loro totale espulsione. Atteggiamento simile fu tenuto con gli ebrei. Si tratta della diffi coltà di convivenza con altre culture e religioni. La seconda immagine (3) mostra la festa di Sant’Antonio a Guarayos, Bolivia. Tradizioni locali degli indios sono valorizzate dalla Chiesa cattolica, in piena linea con le indicazioni del concilio Vaticano II.
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Di fatto, questa intolleranza ha portato con frequenza al fondamentalismo e all’integralismo, alla divisione interna in sette e a un settarismo che impoverisce. Una religione fondamentalmente universale si è vista spesso ridotta a visioni soggettive e a condanne inappellabili di altre sensibilità, di altre interpretazioni e di altre esperienze religiose. Troppo spesso, cristiani di diversa condizione hanno identifi cato la propria psicologia e il proprio giudizio con la verità assoluta, disprezzando e perseguitando quelli che non vedevano o non sentivano come loro. La lotta fratricida tra cristiani è risultata manifestamente antievangelica. Per secoli si è data maggiore importanza al modello culturale o al modello di Chiesa che a Cristo, autentica origine e fondamento della nostra fede. D’altra parte, non si è tenuto conto dell’avvertimento di Cristo che chi non è contro di noi è con noi. Per troppo tempo gli ortodossi preferirono rimanere sotto il giogo turco piuttosto che sopportare i cattolici; i protestanti ritennero i cattolici peggiori degli atei e i cattolici ritennero che le Chiese protestanti si riducessero a pura malvagità e falsità, pensando che avessero snaturato e corrotto la dottrina cristiana. Non c’è dubbio che questo spirito tribale e localistico fosse presente anche fra le nazioni, i clan, i popoli differenti per lingua o costumi, ma siamo convinti che il Vangelo chiami all’unità e alla comunità al di là di queste differenze. Ancora una volta, il comando di Gesù: «Non così voi» ci obbliga a un’altra maniera di giudicare e di agire. Cionono-
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stante, è chiaro che, in molte occasioni, i modi spontanei di azione del genere umano sono risultati più determinanti dei consigli evangelici. I tesori della Chiesa, l’oro e le pietre preziose, i paramenti liturgici sontuosi di chiese e cattedrali pongono un grave interrogativo sulla loro necessità e sullo sperpero che implicano in situazioni in cui troppa gente possiede appena i mezzi suffi cienti a sopravvivere. L’argomento che per Dio nulla è eccessivo risulta fallace. Cristo scelse di non avere dove posare il capo ed è inaccettabile che i suoi fedeli rimangano inerti di fronte alla miseria dei propri fratelli mentre i vasi del tempio sono d’oro e di pietre preziose Il clericalismo, per come si è imposto ben presto nella Chiesa ed è rimasto fi no ai nostri giorni, diffi cilmente si concilia con una società di eguali, fi gli tutti del medesimo Dio, con gli stessi diritti, in cui si afferma che chi dirige deve essere al servizio della collettività. Il clero si trasformò troppo presto in soggetto di privilegi e la comunità si divise, come il resto del mondo, in diverse classi e categorie. Il Vaticano II, nel documento Lumen Gentium, parve cambiare questo orientamento, sottolineando l’importanza fondamentale del popolo di Dio nella concezione e nella descrizione di ciò che è la Chiesa, in contrasto con una tradizione che partiva dalla gerarchia come elemento fondativo della comunità dei credenti. Andando in questa direzione la Chiesa si incentra sul cristiano in quanto battezzato e, di conseguenza, sull’elemento sostanziale comune a
tutti i fedeli, anteriore a ogni diversità di funzione e vocazione. In questo modo risulta più facile affermare che il potere si identifi ca nella Chiesa con il servizio, con il rimanere a disposizione di tutti. Tuttavia, benché la dottrina sia diventata più chiara, la pratica mantiene ancora modi di governo e di leadership diffi cilmente compatibili con gli insegnamenti di Gesù. Non c’è dubbio, vale a dire, che continuiamo a trovare, all’interno della comunità dei credenti, nella sua organizzazione e nel modo di agire, troppe forme, usi e costumi di potere che risultano affatto mondani e molto poco evangelici. Già l’apostolo Giacomo richiamava l’attenzione nella sua lettera sulla tendenza esistente in quei primi anni di cedere i posti migliori nell’assemblea liturgica a quelli che possedevano mezzi e prestigio maggiori, trascurando così i fratelli più umili. La riscoperta dell’importanza della diakonía nelle discussioni e nei documenti conciliari, non solo per la vita personale dei cristiani, ma anche per l’atteggiamento e l’organizzazione della comunità, comporta molte conseguenze. In ciò che si riferisce alla struttura interna della Chiesa e ai suoi rapporti con le società umane l’idea di diaconia esige una riconsiderazione degli atteggiamenti e del signifi cato delle istituzioni ecclesiastiche, esaminando criticamente, in primo luogo, i modelli mondani a cui tali istituzioni si sono adeguate. Molti secoli di assimilazione delle realtà terrene portarono Bellarmino a equiparare la Chiesa al regno di Francia, con le deprecabili conseguenze che conosciamo, mentre l’introduzione nei documenti del Vaticano II del concetto di comunione nella concezione di ciò che è la Chiesa, assieme al concetto di servizio e di diaconia, dovrebbe portare a cambiare il modo di concepire le strutture, la connotazione eccessivamente giuridica dei rapporti, la concezione della morale. «Potere e amore» era il titolo di un documento che Maritain inviò a Paolo VI su richiesta del papa. Tutto cambierebbe a questo mondo se il potere fosse concepito come amore e servizio, così come consigliava Gesù. Voglio segnalare, inoltre, come una delle tentazioni contro la carità sia la forza dell’inerzia esistente all’interno della Chiesa. Siamo tutti coscienti della diffi coltà di rompere con costumi centenari che formano uno stile di vita che consideriamo poco in accordo con il Vangelo, ma come si può conservare la libertà interiore, una povertà spirituale e materiale, nella direzione di una organizzazione che conta più di mille milioni di membri? Risulta del resto diffi cile accettare che si possa vivere coerentemente il mistero della povertà sotto le apparenze del prestigio e del lusso. In realtà, la tentazione più grave contro la carità è la mediocrità. Per tiepidezza, per non essere né freddi né caldi, per timore di perdere ciò che sembra dare sicurezza e fi ducia, si sente la necessità di non esporsi, di non cadere nel ridicolo, di non farsi conoscere per come si è realmente. È la tentazione di nascondersi dietro il diritto, dietro le norme, dietro la tradizione, per liberarci dalla necessità di essere generosi, creativi e radicali nell’espressione della fede. Con questo atteggiamento, siamo incapaci di affrontare radicalmente gravi problemi che ci assillano: il crollo delle vocazioni, la funzione della donna, l’incapacità di attirare i giovani, il particolarismo delle comunità, la gerontocrazia delle autorità. Di fatto, il mediocre, poco umile, si ritrova incapace di ascoltare. Si nasconde dietro alcune tradizioni del passato perché non si sente in grado di rispondere con grandezza ai segni dei tempi di oggi. Per contemplare la storia con serenità, bisogna saper apprezzare i casi innumerevoli in cui i cristiani hanno dimostrato di essere seguaci fedeli del Maestro, hanno superato la tentazione del potere e dell’egoismo e hanno agito come buoni samaritani, buoni cittadini, fratelli affettuosi dei loro fratelli umani, come fi gli del Padre che distribuisce i suoi doni senza favoritismi. Per la stessa ragione, dobbiamo riconoscere le pagine oscure della nostra storia. Noi crediamo che Gesù si trovi nell’eucaristia perché ce lo ha detto, ma non sempre accettiamo nella pratica che Gesù si trovi anche in ogni povero, benché ce lo abbia detto con molta chiarezza. Inconsapevolmente, accettiamo delle parole di Gesù quelle che ci costano meno, anche se avrebbe più senso chiedergli: «Signore, che cosa vuoi che faccia?». Renzo, il protagonista dei Promessi sposi, mentre fugge dai suoi persecutori, incontra due donne, un uomo e un bambino, «tutti del colore della morte», che tendono la mano in silenzio. Renzo dona loro quel poco che gli resta. Dice Manzoni che in quel momento sentì una grande confi denza nell’avvenire (cap. XVII). La generosità è sempre progetto di futuro.
Capitolo 15 IL MONACHESIMO
Essere nel mondo senza essere del mondo. Paradosso inaudito del monachesimo, di quei cristiani che abbandonano ciò che è del mondo per meglio seguire Gesù, per mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo, per applicare nelle loro vite la raccomandazione del Signore a Nicodemo: «Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il regno di Dio». Nascere di nuovo, cambiare i criteri e i valori che ci risultano più naturali, che proteggono il nostro egoismo e, spesso, le nostre ingiustizie, e rivestirci dell’uomo nuovo, cioè del progetto che Dio ha per noi. Non si tratta, certo, di disprezzare il mondo creato da Dio, ma di dimostrargli l’amore che Dio ha per noi. Si ritirarono nel deserto, in solitudine e nel digiuno. Ruppero con il sistema di mercato, non utilizzavano né li interessava il denaro, non avevano alcunché di proprio, vivevano in assoluta austerità. Non tutti possiamo vivere in questa maniera, ma questi monaci del deserto ci hanno domostrato che è possibile un altro modo di vivere, senza considerare le cose
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1-3. Veduta aerea dei resti di una parte del deserto delle Celle, a sud di Alessandria d’Egitto (1). Dalle rovine si calcolano 1.600 eremi, ognuno con più celle. Gli anacoreti iniziarono ad arrivare intorno alla metà del IV secolo e vivevano in celle molto disadorne, che successivamente vennero meglio disegnate (2-3). I monaci potevano ospitare discepoli in celle prossime. Siamo a cavallo tra la vita eremetica e quella comunitaria: si partecipava infatti a comuni riti eucaristici.
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6 4-5. Nel V secolo troviamo un’architettura meno povera e più evoluta. Gli eremi divengono complessi sempre difesi da un alto muro contro il vento del deserto.
6. Pianta dell’eremo di Qusur al Izayla 48. In nero: prima fase (VI secolo). In grigio: seconda fase (VII secolo). 1-2. Ingresso e vestibolo 3-4. Locali di ricevimento 5. Locale di servizio 6. Cucina 7. Sala di preghiera per l’anziano 8. Stanza da letto dell’anziano 9. Ripostiglio 10. Locale di lavoro per l’anziano 11. Locale per il discepolo 12. Ripostiglio 13. Magazzino 14. Latrine 15. Pozzo 16-18. Appartamenti per gli anacoreti 19. Cucina