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La partita

difficili da conciliare, rappresentate rispettivamente da una Napoli assolata e bucolica e da una città fredda e invernale, in cui la protagonista, priva di un’identità solida, vaga come spettro di se stessa, in una villa i cui corridoi, inquadrati creando delle mise en abyme di porte e stanze, si rivelano labirinti mentali e a-temporali, in cui presente e passato confluiscono come nel tipico cristallo di tempo deleuziano. L’adolescenza di Alice diventa un microfilm in cui è protagonista di un sadismo tipico di un certo cinema classico e della cultura patriarcale che lo ha permeato, espressione delle paure conseguenti alla differenza anatomica e all’angoscia di castrazione, che spingono il soggetto maschile a mantenere lo status quo contenendo il piacere e il desiderio della donna, relegandola alla sua passività e salvaguardando la centralità del fallo. Il film della Comencini però va oltre, indagando le conseguenze di questo voyeurismo sadico, interrogandosi sugli effetti a lungo termine e rendendo il presente quella postilla che, spesso, il cinema ha evitato a vantaggio di un happy ending, spesso ambiguamente illusorio.

Un progetto così personale però si rivela essere una variazione sul tema dell’ultimo film della Mezzogiorno, lo splendido Napoli velata di Özpetek: siamo nuovamente a Napoli, sebbene più anonima; di nuovo una Mezzogiorno che interpreta un personaggio tormentato, preda di timori verso il maschile a causa di un trauma passato; ancora un intreccio tra Eros e Thanatos e il desiderio per un personaggio maschile amorevole e al contempo minaccioso e possessivo; la figura del velo (il telo tolto da oggetti del passato di Alice) che censura la verità; una mescolanza tra realtà e immaginazione. L’erotismo e l’enigmatico di Özpetek sono sostituiti da un lirismo che si carica di didascalismo e di un simbolismo non solo scontato (le tre matrioske, il velo, le grotte, il tunnel, il nome che rimanda a Carroll...) ma anche eccessivamente spiegato. Alla ricerca di nuovi approcci narrativi, il film si ripiega su strategie già viste, adottando uno sguardo quasi didattico, che trasforma il film in una lezione elementare sul femminile e sulla sua declinazione sociale e culturale.

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lEonardo maGnantE

di Francesco Carnesecchi

Origine: Italia, 2018 Produzione: Andrette Lo Conte per Freak Factory; Cooproduzione Wrong Way Pictures Regia: Francesco Carnesecchi Soggetto e Sceneggiatura: Francesco Carnesecchi Interpreti: Francesco Pannofino (Claudio Bulla), Alberto Di Stasio (ltalo, presidente dello Sporting Roma), Giorgio Colangeli (Umberto), Gabriele Fiore (Antonio), Lidia Vitale (Roberta, moglie di Bulla), Stefano Ambrogi (Cristian), Alessandro Parrello (Greg), Gabriel Montesi (Alfredo), Simone Paralovo (Arbitro), Riccardo Russo (Frank), Andrea Pannofino (Matto), Daniele Mariani (Leo) Durata: 94’ Distribuzione: Zenit Distribution Uscita: 27 febbraio 2020

SSul nero, la seguente scritta: “Lo Sporting Roma è stata una squadra di calcio della provincia di Roma per molti anni. In tutta la sua storia non ha vinto mai un cazzo”. Una carrellata mostra una serie di palloni vecchi e sgonfi abbandonati tra i rifiuti di un angolo della città. Poi, il titolo del film.

Sequenze di gioco in un polveroso campo di provincia. Le due squadre si affrontano senza risparmiare colpi proibiti. In bianco, lo Sporting Roma tenta di rimontare il pesante parziale: la squadra di casa, capitanata da Antonio, numero dieci, e allenata da Claudio, storico mister, è sotto di due gol nella finale del campionato categoria Allievi. Nel pubblico, i genitori dei calciatori, tra cui il papà e la sorella di Antonio, il presidente dello Sporting, Italo, già ubriaco per la disperazione, e suo figlio Leo, il cui volto tradisce un’inspiegabile soddisfazione.

Il padre di Antonio litiga al telefono con la moglie perché non ha portato i figli alla comunione della nipote. Tenta così di raggiungere telefonicamente la figlia maggiore, ma la giovane non risponde: sta facendo l’amore nella macchina del fidanzato.

La partita continua. Antonio ha un’occasione, ma tira alle stelle. Poco dopo perde palla a centrocampo. Gli avversari ripartono, l’attaccante punta il portiere e lo trafigge proprio sotto le gambe. Zero a tre. Claudio è imbufalito, Italo avvilito. Duplice fischio, fine primo tempo.

Le squadre entrano negli spogliatoi ricoperte di polvere e sudore. Claudio scuote i suoi: rimprovera il portiere, incalza Antonio. Chiede un sacrificio, pretende l’impresa. Rimontare il risultato per vincere quel trofeo che non ha mai conquistato e che manca nella bacheca dello Sporting da decenni. La squadra sembra reagire alle parole del mister e torna in campo con maggiore convinzione. Claudio viene avvicinato da Italo che, qua-

si piangendo, gli confida di aver scommesso tutto quello che ha sulla vittoria dello Sporting.

L’allenatore è incredulo e, dopo averlo aggredito, gli annuncia che darà le dimissioni indipendentemente dal risultato finale. Poco dopo squilla il telefono: è la moglie, incinta e ormai prossima al parto, che lo invita a prendere in considerazione un’offerta come insegnante di educazione fisica in un istituto di preti. Claudio rifiuta.

Ha inizio il secondo tempo. L’improvviso stacco porta al passato. Il padre di Antonio consegna del denaro al magazziniere della squadra, affiancato da Leo. Scopriamo così che il figlio di Italo e il padre di Antonio hanno scommesso sulla sconfitta dello Sporting. Poco dopo, in casa, Antonio viene così affrontato dal padre e costretto a giocare contro la propria squadra per aiutare la famiglia. Il padre è disoccupato e la situazione economica è prossima al disastro. Antonio si ribella, ma non può che obbedire. Leo informa il padre che ha firmato un contratto per rivestire il campo con moderna erba sintetica.

Italo sbotta quando scopre che i lavori costeranno cinquantamila euro e decide di scommettere tutto ciò che ha sulla vittoria dello Sporting. Quello che non sa, è che i criminali a cui si è affidato sono i medesimi con cui è in combutta il figlio.

Torniamo al presente. I minuti scorrono e Antonio continua a non convincere. Dopo l’ennesimo tiro fuori misura, guarda con disprezzo il padre. Qualcosa è scattato. Riceve il pallone, salta tre avversari e segna. Uno a tre. La partita è riaperta.

La sorella maggiore di Antonio scambia effusioni con il fidanzato e sogna un futuro lontano dalla città. Claudio effettua un cambio. Antonio si libera, riceve e tira proprio sotto l’incrocio, ma resta a terra. Due a tre. Antonio urla per il dolore. Durante il tiro, l’avversario lo ha colpito duramente alla gamba. Viene portato fuori dal campo in barella. Il medico teme la frattura e lo invita a uscire. Antonio resiste e, dopo essere stato fasciato, torna sul rettangolo di gioco. Italo, intanto, giunge a casa per fare le valigie e preparare la fuga, ma viene bloccato dai malviventi.

Antonio, frattanto, lancia a un compagno di squadra che viene atterrato in area: è rigore. Antonio poggia il pallone sul dischetto. Osserva il padre a lungo, prepara la rincorsa, e decide di tirare alle stelle. È finita. Lo Sporting ha perso ancora.

È sera. Antonio e la sua famiglia si recano alla comunione della cugina. Claudio cena con la moglie e decide di accettare l’offerta di lavoro presso l’istituto dei preti. Italo viene ricevuto da un boss locale che lo costringe a firmare la cessione della società e del campo in cambio della vita.

Le luci si accendono e mostrano che l’uomo si trova proprio sul campo dello Sporting. Il boss dà l’ordine di ucciderlo. Italo viene seppellito al centro del rettangolo. Lo stacco porta ai due fidanzati in macchina. Scopriamo che non si trattava della sorella maggiore di Antonio, ma di Antonio stesso, ormai cresciuto, in compagnia della fidanzata, a pochi metri dal campo dello Sporting. L’immagine aerea mostra il campo, ora ricoperto da un verde manto sintetico. Nessuno sa che, proprio lì, è sepolto Italo. Leo, ora magazziniere della nuova società, pulisce il campo.

FFrancesco Carnesecchi, classe ’85, giunge al primo lungometraggio dopo una serie di lavori pubblicitari lasciando New York, dove ha studiato e fondato la Wrong Way Pictures, e tornando a Roma, origine delle suggestioni che hanno influenzato la creazione dell’universo de La Partita, cortometraggio del 2016, ora ampliato, aggiornato, potenziato, in una versione finale di 94 minuti, uscita nelle sale italiane nel febbraio 2020.

Se il soggetto non promette nulla di particolarmente originale - è l’ennesima storia che denuncia storture del mondo del calcio provinciale, e quindi calcioscommesse, genitori urlanti che invocano interventi assassini sugli avversari, allenatori all’ultima chance, presidenti squattrinati e alcolizzati . e la sceneggiatura si perde nella necessità di costruire una fitta trama di incastri attorno ai tanti, troppi personaggi mostrati, è certamente nel modo in cui Carnesecchi decide di inquadrare, raccontare il calcio giocato che La Partita dribbla, per usare proprio un termine calcistico, la miriade di pellicole che già avevano tentato di raccontare un mondo particolarmente difficile da rappresentare attraverso la macchina da presa.

Nonostante la bravura degli interpreti - si ritrovano Francesco Pannofino e Alberto Di Stasio dopo gli anni di Boris, ma anche i bravi Gabriele Fiore, Simone Liberati e Giorgio Colangeli in un piccolo ruolo - a fare la differenza sono le sequenze di campo, solitamente mal gestite o addirittura evitate nelle pellicole “sul calcio”, qui girate e montate come scene di un vero e proprio action.

Carnesecchi utilizza tutte le carte che ha nel mazzo, traendo dal videoclip e dal mondo degli spot, inseguendo i giocatori con steadycam vuoi volante vuoi al raso,

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