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L’età giovane

dendo le mosse dal pluripremiato romanzo Der Goldene Handschuh di Heinz Strunk - narra, senza edulcorare nulla, la vera storia del serial killer tedesco Fritz Honka, autore di almeno quattro omicidi ai danni di attempate prostitute adescate nel quartiere a luci rosse di Amburgo, tra il 1970 e il 1975.

Akın però, non è interessato a descrivere le “origini” di tale disumanità né tantomeno fornire un accurato profilo psicologico del protagonista (come spesso accade in tanto cinema coevo sui serial killer). Quello che mostra, è invece il ritratto di un uomo ripugnante dai raptus violenti (verbali e fisici), ossessionato dal sesso e deturpato dall’alcol che - attraverso la strabiliante interpretazione di un irriconoscibile Jonas Dassier (Opera senza nome) - diviene lo specchio del degrado umano e di una società derelitta pronta a esplodere (lontano) dalla sua aberrante quotidianità.

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Nonostante l’ausilio di una sceneggiatura ripetitiva e priva di una vera struttura narrativa, il film colpisce - oltre che per la brutale messa in scena della violenza (quasi splatter) - per il magistrale lavoro scenografico, tra cui spicca la dettagliata e fedele ricostruzione del minuscolo appartamento dove viveva Honka (tappezzata da riviste porno, bottiglie di liquori, bambole, montagne di mozziconi), e per l’ottima fotografia (dai toni acidi e accesi) di Rainer Klausmann che restituiscono un alone di massima degenza visiva e morale alla vicenda.

Sicuramente, in termini di paragone, sorge spontaneo riscontrare una certa affinità con La casa di Jack di Lars Von Trier, in cui l’approccio iper-realistico privo di compromessi - fulcro narrativo per entrambi i film - è fortemente legato alla declinazione cinica e crudele del serial killer. Ma se nel primo, la cerebralità e l’apparato concettuale (l’omicidio non a caso è rappresentato come una possibile forma d’arte), prevalgono sul materiale narrato, fino a trasfigurarlo ne Il mostro di St. Pauli domina invece un estetismo del “brutto” tendente al grottesco, ma allo stesso tempo estremamente naturalistico dell’orrido raccontato. Basti pensare alle scene di omicidio (tutte claustrofobiche) o ai corpi grassi e informi delle vittime per farci un’idea del livello raggiunto.

Il regista inoltre, ha il pregio di saper tratteggiare - con la spietata lucidità dell’entomologo e la veridicità del cronista - il volto più oscuro della Germania post-nazista (in piena crisi sociale e sull’orlo della disoccupazione), mediante la caratterizzazione di una sequela di personaggi che gravitano attorno al “Der Goldene Handschuh”: ritrovo prediletto di ubriaconi e reietti della peggior specie che cercano disperatamente un modo per evadere dalle loro miserevoli vite.

Eppure, all’interno di questo quadro desolante c’è anche spazio per un’ideale di bellezza femminile (dipinto attraverso le forme conturbanti della bella Greta Sophie Schmidt) che - oltre a intersecarsi come sottotrama fantasiosa all’interno della storyline - diviene metafora del sogno magico e impossibile di Honka verso un mondo a lui estraneo. Ma è solo un illusione. Non sembra esserci alcun desiderio di rivalsa o riabilitazione nell’amara visione di Akın. Tutto marcisce e la morte rimane forse l’unica via di salvezza.

alEssio d’anGElo

UUna città imprecisata del Belgio, oggi.

Ahmed è un arabo tredicenne che vive con la madre e i fratelli; mentre però la sua famiglia, pur mantenendo la propria identità religiosa, si è integrata nella vita dell’occidente, lui è completamente plagiato dall’imam Youssouf della locale moschea.

Questi è riuscito a fare del ragazzo un integralista fanatico a tutti gli effetti che segue in maniera ossessiva i dettami del corano, gli orari della preghiera, che fa continue abluzioni per purificarsi dei contatti con gli impuri come donne e animali, che venera la figura del cugino ucciso durante un attentato in Medio Oriente e considerato un martire.

Tutti quelli che sono intorno al ragazzo cercano di calmare la sua intransigenza, moderare la sua intolleranza ma senza successo. Neanche la sua insegnante di arabo può nulla contro la determinazione di Ahmed che, anzi, convinto che lei, con la sua vita all’occidentale, sia da considerarsi ormai un’infedele, cerca di ucciderla. Fortunatamente il tentativo maldestro, compiuto con un coltello da cucina preso in casa, va a vuoto e l’insegnante riesce a fuggire.

di Olivier Masset-Depasse

Origine: Belgio, Francia, 2019 Produzione: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne per Centre du Cinéma et de L’Audiovisuel de la Fédération WallonieBruxelles Regia: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne Soggetto e Sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne Interpreti: Idir Ben Addi (Ahmed), Claire Bodson (Mamma di Ahmed) Olivier Bonnaud (Educatore), Myriem Akheddiou (Inès), Othmane Moumen (Imam Youssouf), Victoria Bluck (Louise), Laurent Caron (Mathieu), Amine Hamidou (Rachid), Marc Zinga (Giudice), Eva Zingaro-Meyer (Psicologa) Durata: 90’ Distribuzione: Bim Uscita: 31 ottobre 2019

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