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Alice e il sindaco

belle, come speranze e successi, e momenti brutti, dovuti a delusioni e fallimenti. Sono uomini e donne che non si sono mai presi responsabilità e che non si lasciano nulla alle spalle: irrisolti, sognatori, ma incapaci di fare meglio dei propri predecessori. Alcuni come Riccardo, nato tra gli ideali libertari di una famiglia di hippies, sono stati semplicemente inchiodati alla mediocrità dalle proprie ambizioni: artisti senza talento, convinti che prima o poi qualcuno si accorgerà di loro. Altri, come Giulio, avvocato affermato cresciuto nella povertà e con la promessa di una vita migliore di quella dei propri genitori, vivono nella perenne ricerca del riscatto sociale: ce la faranno, ma rimarranno vittima di un implacabile desiderio di riconoscimento. E poi ci sono quelli come Gemma e Paolo, anime sole, poesia pura, l’immagine dell’amore che strugge, si rincorre, si perde e alla fine riappacifica.

Al racconto di amicizia e di amore si intreccia inevitabilmente quella che è stata la storia d’Italia e di conseguenza degli italiani negli ultimi decenni. Si passa dal superficiale decennio delle contestazioni fino alla dura e contemporanea epoca della crisi economica; si parla persino dell’avanzare di una politica del cambiamento che porterà alla nascita del Movimento 5 stelle. Le vicende dei quattro protagonisti diventano così un modo per ricordare da dove veniamo, per dire chi siamo oggi e per intuire chi saranno i nostri figli; quello che rivela è che apparteniamo tutti a un cerchio della vita nel quale le dinamiche non fanno altro che ripetersi generazione dopo generazione.

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Tanti sono i rimandi e le citazioni, ma la più importante fonte di ispirazione è di certo il capolavoro di Ettore Scola C’eravamo tanto amati, chiaramente citato in una scena al ristorante con i tre protagonisti che si ritrovano dopo diverso tempo e ricordano i giorni andati.

Muccino fa leva drammaturgica su questo scarto epocale, raccontandoci tre identità maschili depotenziate e destrutturate, alle prese con l’eredità dei padri. Viene raccontato molto bene quanto sia facile sbagliare nella vita, senza valutare le conseguenze di errori cui sarà arduo porre riparo, ma è ancora possibile rammendare la propria vita e trovare una consolazione finale, una rappacificazione con se stessi. Gemma invece forse rappresenta il tasto più dolente, non per via dell’interpretazione, ma per lo scarso lavoro di scrittura del suo personaggio, forse il più complesso, del quale si fatica a volte a capire le motivazioni. Lei per prima manca di un equilibrio, sempre in difetto, pensa di non meritare niente e si accontenta di quello che le viene dato. Sua è una delle immagini più belle del film, quella in cui la donna, nelle sue varie epoche, sale di corsa le scale, simbolicamente verso la vita.

Per tutti i protagonisti arriverà una redenzione dopo anni trascorsi a sbagliare e nella notte di un capodanno guarderanno al futuro con la consapevolezza che qualunque direzione essi possano prendere l’importante è tenere con sé le cose che fanno stare bene. Eppure lo sguardo incerto di Gemma, su cui la macchina da presa si sofferma, ci fa presagire che forse la felicità è già dimenticata nella giovinezza e che forse gli anni più belli sono già stati vissuti.

Nel cast a fianco dei due attori feticcio di Gabriele Muccino, Claudio Santamaria e Pierfrancesco Favino, troviamo Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti. Poi Francesco Acquaroli, Nicoletta Romanoff e per la prima volta sullo schermo la cantante Emma Marrone. I ragazzi che interpretano i protagonisti da giovani sono invece Francesco Centorame, Andrea Pittorino, Matteo Del Buono e Alma Noce. Le loro performance riescono ad individuare una propria cifra stilistica, ma a volte la recitazione appare troppo teatrale e forzata. Nel film appaiono anche due figli di Muccino.

Il titolo del film è tratto dall’ultimo brano di Claudio Baglioni; il cantautore infatti avrebbe scritto la canzone ispirandosi al film, che inizialmente avrebbe dovuto avere un altro titolo. La colonna sonora è invece affidata al maestro Nicola Piovani.

VEronica BartEri

di Nicolas Pariser

Origine: Francia, 2019 Produzione: Bizibi Regia: Nicolas Pariser Soggetto e Sceneggiatura: Nicolas Pariser Interpreti: Fabrice Luchini (Paul Theraneau), Anaïs Demoustier (Alice Heimann), Nora Hamzawi (Mélinda), Antoine Reinartz (Daniel), Léonie Simaga (Isabelle Leinsdorf) Durata: 103’ Distribuzione: Bim Distribuzione Uscita: 6 febbraio 2020

LLa giovane Alice Heimann viene assunta dal Comune di Lione con una curiosa mansione: occuparsi delle idee per il sindaco. Dopo aver preso possesso del suo piccolo ufficio, la ragazza viene ricevuta dal primo cittadino, Paul Théraneau. Il sindaco le chiede se lei sia una filosofa, la ragazza dice di aver dato lezioni di filosofia a Oxford. Alice dice di aver sempre avuto delle idee e di aver lavorato per la pubblicità. Paul confessa di aver avuto tanta esperienza in politica ma di essersi svegliato una mattina e di non aver avuto più

idee. Ammette di non avere più efficienza, ha l’impressione che il suo motore giri a vuoto. Le chiede di aiutarlo a pensare. Dopo averlo seguito per la prima volta in un discorso pubblico, Alice dice che le sono piaciute le sue parole, Paul risponde di aver molto apprezzato le note che gli aveva fornito sulla modestia.

La ragazza viene invitata a partecipare a una conferenza sui 2500 anni di Lione, poi il sindaco le dà appuntamento per la sera tardi in ufficio. Paul le dice di avere l’impressione di sentirsi impotente di fronte a certe situazioni, poi le propone di entrare a far parte del comitato di riflessione Lione 2500. Il giorno dopo Alice si deve destreggiare tra diversi incarichi e le viene anche affidato il delicato compito di presenziare a una riunione di emergenza per un centro per rifugiati. Quella sera Alice rivede un suo ex fidanzato, Daniel, e parla con lui su cosa significhi essere di sinistra, parlano di progressisti e della destra ultra-capitalista.

Intanto Isabelle, la responsabile della comunicazione dello staff del sindaco, dice ai colleghi che Alice è stata nominata a capo di Lione 2500. La donna dice che Paul cita spesso le parole della ragazza. Ad Alice viene dato un nuovo ufficio più spazioso. Nella squadra di lavoro del sindaco la ragazza inizia a essere oggetto di chiacchiere. Alice invita Xavier, un uomo che ha conosciuto da pochi giorni a una rappresentazione di Wagner. A teatro Alice incontra il sindaco che le presenta Patrick Brac. Dopo lo spettacolo la ragazza si confronta con Patrick su diversi temi di stringente attualità.

Il giorno dopo Isabelle dice ad Alice che è diventata troppo importante per il sindaco: questa influenza deve cessare perché le note che lei scrive gli annebbiano la mente. Dal momento che Théraneau è candidato segretario del partito, diventerà un uomo molto importante, lei non potrà continuare ad avere questa influenza su di lui. Paul le dice che si presenterà alle elezioni presidenziali. Intanto Alice inizia una relazione con Xavier che parla con la ragazza del vuoto intellettuale dei politici. Poco dopo Alice si sfoga con Danielle, sente che la politica l’ha resa stupida, confessa di sentire che, arrivata a trent’anni, non ha nulla.

Quella notte Paul telefona ad Alice per confidarsi con lei. L’uomo dice di essere saturo di quel mondo e che non si presenterà più alle elezioni, ha deciso che finirà il suo mandato con sobrietà. Il giorno dopo, Alice regala a Paul il libro di Rousseu Il viaggiatore solitario. Poi il sindaco si chiude in una stanza a scrivere il suo ultimo discorso destinato al congresso dei socialisti insieme ad Alice. Il giorno del congresso il suo discorso viene annullato. Paul non sarà mai presidente.

Tre anni dopo. Alice va a trovare Paul nella sua nuova casa. Entrambi hanno cambiato vita. La ragazza gli regala il libro di Herman Melville Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street.

AAlla visione di questo Alice e il sindaco non può non venire alla mente il piccolo film di Rohmer L’albero, il sindaco e la mediateca. Modello ricordato e omaggiato nel titolo dallo stesso regista, Nicolas Pariser, che ha ammesso che nelle intenzioni iniziali la pellicola doveva raccogliere una serie di “dialoghi filosofici” tra la protagonista Alice e il sindaco di Lione. Ma poi il tutto è diventato un racconto costruito intorno a delle grandi sequenze dialogate ‘alla Rohmer’. Il debito al maestro della Nouvelle Vague è evidente, anche perchè Pariser ha ammesso che i soli corsi pratici di cinema che ha seguito alla Sorbonne sono stati quelli su Rohmer, il geniale autore dei Racconti morali ma non solo. Anche Sacha Guitry, e la serie West Wing di Aaron Sorkin (con tutti quei personaggi che parlano di politica mentre camminano), sono state altre fonti d’ispirazione ammesse dal regista.

Il film di Parisier appare sì come una commedia filosofica che paga il debito al citato film di Rohmer (dove un giovane Fabrice Luchini interpretava un insegnante che si opponeva a un sindaco) ma è anche e soprattutto un film politico. Dopo aver diretto nel 2015 un thriller politico piuttosto paranoico, Le Grand Jeu, Pariser per questo suo secondo lungometraggio scende ancora in politica. Ma da una prospettiva diversa. Al centro della narrazione c’è il confronto tra due persone che rappresentano modi opposti di vivere il rapporto tra pensiero e azione. Il sindaco progressista Théraneau e la giovane Alice, osservatrice esterna catapultata nella politica direttamente dal mondo della cultura. È la dicotomia di cui ha parlato il regista tra vecchio e nuovo mondo, tra la letteratura, i libri, la teoria politica e i tecnocrati, i comunicatori, la neo lingua. In due parole, pensiero e azione.

La domanda è la stessa che il regista si poneva nel suo primo film: perché quelli che agiscono non pensano e quelli che pensano non agiscono? E così abbiamo il sindaco da una parte e Alice dall’altra. È l’utopia dei grandi film americani richiamata da Parisier di una democrazia in cui si possa pen-

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