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L’hotel degli amori smarriti

Non c’è che dire, le doti comiche del trio di attori protagonisti è il punto di forza del film: e se un Giallini avvocato che si sente minacciato nel suo status borghese da una figlia lesbica che si innamora di una ragazza nera fa egregiamente la sua parte, non sono da meno un Salemme poliziotto impacciato alle prese con droga e musica trap e un inedito Battiston nel ruolo di un padre (e marito) troppo sanguigno (il suo ménage con la moglie Claudia Pandolfi tra l’altro è quello meno scontato dei tre e regala le scene più riuscite del film).

ElEna Bartoni

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di Christophe Honoré L’HOTEL DEGLI AMORI SMARRITI

Origine: Francia, Belgio, Lussemburgo, 2019 Produzione: Philippe Martin, David Thion Per Les Films Pelléas; Coprodotto Scope Pictures, Bidibul Productions Regia: Christophe Honoré Soggetto e Sceneggiatura: Christophe Honoré Interpreti: Chiara Mastroianni (Maria), Vincent Lacoste (Richard a 25 anni), Camille Cottin (Irène Haffner), Benjamin Biolay (Richard), Stéphane roger (la Coscienza), Carole Bouquet (Partecipazione straordinaria) Durata: 86’ Distribuzione: Officine Ubu Uscita: 20 febbraio 2020

MMaria e Richard sono sposati da vent’anni. Una sera, guardando un messaggio sul cellulare, Richard scopre che la moglie lo tradisce con un ragazzo molto più giovane, un suo allievo di nome Asdrubal. Dopo un breve confronto, Maria decide di lasciare il loro appartamento e di trasferirsi nella camera 212 dell’hotel di fronte. Da qui la donna può osservare discretamente il marito.

Maria inizia a ricevere visite di diversi personaggi del suo passato. Il primo che si presenta nella stanza è Richard all’età di venticinque anni, un uomo molto diverso, pieno dell’entusiasmo della sua giovane età. Maria gli chiede perché ha smesso di suonare il piano, un suono che la faceva sussultare, lui le chiede perché con gli anni è diventata così avida e organizzata, ora è triste, cinica, egoista, tutta la sua vita ruota attorno a un benessere temporaneo. Maria fa l’amore con il giovane Richard.

Il giorno dopo nella stanza 212 sopraggiunge Irene Haffner, la maestra di pianoforte e primo amore di Richard: per la donna fu un dolore accettare la separazione. Lei lo lasciò quando lui conobbe Maria. Irene si chiede se l’uomo avrebbe potuto essere più felice con lei che gli avrebbe dato i figli che voleva. Per Irene si apre una speranza. La donna attraversa la strada e va da Richard. Intanto nella stanza 212 arriva la madre che le fa la lista di tutti gli amanti che lei aveva avuto dopo il matrimonio.

Nell’appartamento Irene si mette a suonare il piano per Richard. Poi appare un bambino, incarnazione di quel figlio che lei avrebbe voluto dargli.

Nella stanza di Maria appare una figura maschile che dice di essere la sua Volontà e di essere lì per dare una spinta alle sue emozioni. Sotto l’hotel appare Asdrubal che chiama Maria dicendole di voler salire anche se lei non vuole; la Volontà interviene dicendo al ragazzo il numero della stanza. Dopo aver visto apparire nella camera il gran numero di amanti che Maria ha avuto negli anni (ai quali sta per aggiungersi Asdrubal), il giovane Richard dice alla donna che il numero 212 è l’articolo del codice civile che enuncia che il dovere di una coppia è darsi rispetto, fedeltà, soccorso e assistenza.

Nell’appartamento di fronte Richard dice a Irene che non l’ha mai amata e confessa di amare ancora Maria. Irene si allontana con il bambino e sul pianerottolo incontra Maria. Richard si reca nella stanza 212 e incontra se stesso da giovane credendo che sia Asdrubal. Il giovane dice di essere l’amante che va a letto con Maria. Ma Richard non riconosce sé stesso da giovane.

Maria va in una casa al mare dove incontra Irene anziana.

Irene e Maria si recano nel bar sotto casa, i due Richard le raggiungono. Una musica parte dal piano di Irene e poi si diffonde nel locale. L’appartamento di fronte è in fiamme, tutti e quattro i personaggi ballano e poi si scambiano le coppie. Scende la notte.

Il mattino dopo Marie e Richard si incontrano nella strada sotto casa. Lei racconta di aver dormito nell’hotel lì di fronte, lui osserva che le ha dormito accanto. Richard dice che sta per andare a fare colazione al bar e la invita ad andare con lui, ma Maria dice che deve andare via. Poi Richard le chiede se quella sera tornerà a casa, Maria dice di si.

CChambre 212, il titolo originale del film dice tutto. Il numero non è casuale e si riferisce all’articolo del codice civile che recita che i coniugi si devono rispetto, fedeltà, soccorso, assistenza.

Una coppia sposata è al centro di questo film che Christophe Honoré ha presentato al Festival di Cannes 2019 nella sezione Un Certain Regard.

Due coniugi, un appartamento, una stanza nell’hotel di fronte e una sola notte. Su questo scenario si innesta un racconto che gioca con lo spazio e con il tempo ricomponendo la storia di un amore.

Il passato e il presente, lo scorrere inesorabile del tempo, visi e corpi che cambiano, ma non solo. Una strada che separa due finestre e in mezzo le tante strade di un amore, le infinite possibilità di una vita.

Il regista Christophe Honoré ha detto di aver tratto ispirazione per L’hotel degli amori smarriti (un titolo italiano per una volta evocativo anche se meno incisivo dell’originale) da un altro film che non ha mai girato, Les Fleurs. Honoré aveva in mente una storia ambientata durante l’occupazione e fino agli anni Cinquanta. Riassumendo alcuni elementi della vicenda il regista ha osservato: “c’era un pittore immaginario, un pianoforte, la regione della Picardia, l’Opéra Garnier e due personaggi femminili che custodivano un segreto inaccessibile”. Il regista aveva poi rinunciato a quel soggetto dopo l’uscita di Plaire, aimer et courir vite del 2018 presentato in concorso al Festival di Cannes.

Ma nella mente del poliedrico Honoré (che oltre a dirigere film è anche scrittore di romanzi, testi teatrali, nonché regista di drammi e opere liriche) qualcosa di quel vecchio soggetto restava vivo.

Una domanda ricorreva nella sua mente: quanti cineasti si sono interessati al tema della conversazione coniugale?” Honoré stesso ha ammesso che la scrittura de L’hotel degli amori smarriti è stata accompagnata dalla visione di diversi film di Sacha Guitry, Ingmar Bergman, Woody Allen, registi dai quali ha preso ispirazione e che vengono ringraziati nei titoli di coda.

Ed ecco la finzione, il racconto coniugale che prende le mosse dalla stanza di un appartamento per trasferirsi nella camera di un hotel proprio di fronte: da questo punto avviene una moltiplicazione di personaggi e di luoghi.

Maria, la protagonista, scopre di avere un dono che le permette di vedere che attorno a lei ci sono molte più persone di quelle che credeva: suo marito Richard è anche il Richard suo giovane fidanzato, il suo amante Asdrubal è anche tutti i suoi amanti in una sola persona, la sua rivale Irene è anche Irene come modello della sua vita futura. Per questo Maria attraversa la strada: per sperare in una nuova prospettiva, di vedersi dall’esterno, di vedere il suo matrimonio dall’alto, ma diventa quasi prigioniera di segnali più o meno insidiosi che deve interpretare.

Il film è la messa in scena dei pensieri della protagonista, un’opera introspettiva, un bilancio nel mezzo della storia ventennale di una coppia condita di canzoni leggere e suadenti.

Il punto di forza principale della pellicola è nel corto circuito spazio-temporale che si innesca quando Irene, insegnante di piano e vecchia fiamma del giovane Richard, attraversa la strada (in senso inverso a quello che ha fatto Maria) e va dal maturo Richard rimasto solo nell’appartamento coniugale. Quattro personaggi cardine e una doppia coppia: da un lato Irene (ancora giovane come vent’anni prima) e il Richard di oggi, e dall’altro nella stanza 212 Maria di oggi con il Richard giovane. Ed ecco le riflessioni parallele (condite dall’apparizione di una personificazione della Volontà di Maria nei panni di un signore somigliante a Charles Aznavour) che avvengono nelle due stanze, fino al finale nel bar di sotto.

Intelligente e complessa riflessione sul tempo che passa, sulla passione che si spegne, sui segni che il tempo lascia sul corpo e nell’anima, L’hotel degli amori smarriti è un originale balletto intorno al tema dell’amore e del sesso.

L’opera appare come una complessa seduta di autoanalisi tenuta insieme dalla sapiente mano del regista (l’intreccio di piani temporali era materiale rischioso). Honoré padroneggia bene la materia e tiene le redini della narrazione fino alla fine, intersecando realtà e fantasia e raccontando la volatilità del desiderio, l’accendersi della passione e l’importanza della memoria: “perché non è dal presente ma dal passato che facciamo risalire le rassicurazioni di un amore”.

Perché il senso di un individuo, l’identità di se stesso, è racchiuso dalla sua memoria.

Ed è bello perdersi nell’atmosfera creata da brani musicali avvolgenti come “Désormais” di Charles Aznavour, “Full Moon and Empty Arms” di Caterina Valente, “Nous dormirons ensemble” di Jean Ferrat fino alla coinvolgente “Could it be magic” di Barry Manilow: una chicca che impreziosisce la vibrante e commovente danza d’amore finale.

ElEna Bartoni

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