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Christian Saracino Christian Saracino di di Il Comune come modo di abitareIl Comune come modo di abitare

La gestione condivisa dei beni comuni può allora essere il terreno di prova per recuperare un rapporto Stato-cittadinanza ad oggi incrinato, può portare a ricostruire i due pilastri di cui parlava la costituzione francese di “lealtà” e “vigilanza”. La nostra generazione è cresciuta in un clima di generale sfiducia nei confronti dello Stato, un pensiero economico-politico prevalente che ha generato un’immagine di cittadino disilluso e spettatore e ha fondato il suo dominio sulla presunta incapacità delle collettività di cooperare ed autorganizzarsi, avvalorata tanto dalla gestione del bene comune statalizzata quanto da quella liberalizzata. In questo scenario è proprio la nostra generazione a reclamare a gran voce un cambiamento di sistema per contrapporre al cittadino disilluso e spettatore un’immagine di cittadino partecipe.

di Chiara Falcolini

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Il Comune come modo di abitare

Asserragliate da piattaforme di sharing economy e dal turismo di massa, le città possono ritrovare la propria dimensione di collettività ed una nuova “democrazia del Comune” tramite la riappropriazione e la gestione diretta dei beni comuni.

La crisi economica del 2008, propagatasi sul mercato immobiliare e sulle condizioni finanziarie degli enti locali, ha prodotto ripercussioni sulla gestione delle aree urbane, che nel corso degli anni sono state soggette ad abbandono e deterioramento. Dalla guida pubblica, il ruolo assunto dalle istituzioni è diventato strettamente economico, finalizzato all’attrazione dei mercati, tralasciando quella che è la vera ricchezza delle città: le persone che la attraversano. Saranno proprio queste a dar vita ad un processo di riappropriazione degli spazi urbani a favore di forme di coordinazione alternative allo Stato e al mercato, per una restituzione, di questi spazi alla fruizione collettiva e al soddisfacimento degli interessi generali. Questo processo di partecipazione dal basso comincerà da un’innovativa funzione amministrativa, adottata per la prima volta dal comune di Bologna, città simbolo di un fenomeno nazionale, una realtà cittadina ormai da qualche tempo fatta di case malmesse, costi esorbitanti e ricerche senza fine. Nell’arco di una decina d’anni, tra l’accordo promosso dal Comune dell’Aereoporto Marconi con la compagnia di voli Low cost Ryanair, la nascita di AirBnb e il numero sempre crescente della popolazione studentesca e non, è venuto delineandosi uno scenario sempre più complesso della città, in cui decifrare la concatenazione degli eventi non risulta immediatamente visibile.

Stando ai dati del 2018, Bologna sfiora le 50 rotte aeree Ryanair al giorno ed un afflusso turistico che ammonta a 3/4 milioni di individui ogni anno, rendendola di fatto una meta turistica per eccellenza; il fenomeno non può che tradursi in motivo di vanto per i cittadini fino a quando i diritti di quest’ultimi, non vengono più considerati la priorità per il benessere della città, sostituiti dal diritto al consumo per coloro che non costituiscono una spesa, sotto forma di servizi pubblici e welfare ma rappresentano per la città esclusivamente una forma di guadagno.

Nell’arco di 10 anni, la crescita della popolazione residente di 15 mila persone - di cui 3600 studenti - non essendo stata accompagnata da un adeguato piano abitativo, ha portato ad un costante innalzamento dei prezzi degli alloggi, rendendo la possibilità di vivere questa città un lusso per pochi; centinaia sono gli studenti e le studentesse costrette ad abbandonare la città per impossibilità economiche o per mancanza di alloggi adeguati, nonostante 10/14 mila risultino essere gli edifici sfitti o invenduti secondo il censimento ISTAT, le misure adottate dal Comune: il Piano Mille Case, gli esperimenti di sharing economy e cohousing sembrano non aver compreso l’entità della questione: tutt’alpiù aggirandola. Se da un lato le possibilità economiche degli studenti si misurano con affitti esorbitanti, proprietari selettivi (per utilizzare un eufemismo) e appartamenti limitati, dall’altro il turismo sembra essere incentivato - stando ai dati di Inside AirBnb - dai 4300 alloggi offerti da Airbnb, di cui il 65% interi appartamenti, senza contare il restante gestito da altre piattaforme.

L’aspetto che conferisce una chiave di lettura della situazione attuale, è il processo di professionalizzazione da parte della multinazionale, in atto su una classe sociale medio-bassa che si avvicinerebbe agli affitti brevi di appartamenti con l’idea di arrotondare per arrivare a fine mese, camuffando con la filosofia dell’azienda “partecipativa” quella che è diventata a tutti gli effetti un’attività imprenditoriale ormai diffusa, a dimostrarlo è un semplice dato: il 49% degli host gestisce più di un annuncio. Cosa impedisce il Comune di regolamentare le piattaforme turistiche? Perché non tassare le attività imprenditoriali dei multiproprietari? La scelta politica che vi sta dietro è riassumibile dalla nota “Teoria delle finestre rotte” riportata da Wolf Bukowski in La buona educazione degli oppressi «In poche righe, poche ma decisive, quella che diventerà la teoria egemonica sulla sicurezza urbana afferma che la percezione conta più dei fatti, e che il modello di ordine pubblico da preferire è quello che soddisfa la percezione anche quando questa è contraddetta dai fatti. La motivazione politica è evidente: per blandire la classe media, che decide l’esito delle elezioni, non è conveniente impiegare risorse per perseguire crimini complessi, ma è efficace utilizzarle per colpire il disordine, cioè illeciti piccolissimi o persino inventati ad hoc, migliorando così la percezione, e la propensione elettorale, dei residenti» A partire dal 1992 dall’abbandono dell’equo canone, per ogni casacca politica la deregolamentazione si è rivelata essere la giusta strada per coniugare ai facili voti, un freno al flusso di studenti fuorisede che intraprendono gli studi a Bologna. Destabilizzare per stabilizzare, lasciar permeare il caos nello stato di cose, perchè sia più desiderabile l’ordine piuttosto che il cambiamento. Questo è il modus operandi di una politica che ha perso ogni interesse sulla questione abitativa rendendola una vera e propria emergenza. Di fronte questo silente assenso da parte delle istituzioni, si riaccende l’azione collettiva dal basso: migliaia sono state le firme raccolte da parte di studenti, famiglie, insegnanti e sindacati riuniti sotto l’etichetta di “Pensare Urbano” per richiedere un cambio di rotta e fermare l’avanzata del mercato speculativo attraverso l’istruttoria pubblicata nelle giornate del 20 e 21 settembre scorso.

Con una discussione pubblica e una tendata al di fuori del Palazzo del Comune, la comunità cittadina ha messo alle strette l’amministrazione costringendola a prendere parte alla redazione del nuovo Piano Urbanistico Generale attraverso una serie di manovre: revisione dei contratti a canone concordato e una mappatura degli alloggi vuoti e in disuso. Nel comunicato successivo all’istruttoria pubblica Pensare Urbano ha dichiarato «L’obiettivo é stato quello di porre l’amministrazione ad un bivio, senza alcuna possibilità di procrastinare o di sottrarsi dalle responsabilità politiche. Le due strade che abbiamo delineato portano a due città diverse: da un lato una città privata della sua natura e solo per pochi, dall’altro una città giusta e accogliente, per tutti. Abbiamo proposto una regolamentazione ferrea delle piattaforme turistiche, tramite l’introduzione di un codice unico identificativo e del criterio “un host, una casa”, così da ridurre al minimo la sottrazione di immobili dal mercato degli affitti.» Il diritto ai beni comuni - e quindi alla città - deve tornare con forza sul piano della riflessione giuridica; una direzione già intrapresa, ad esempio, dal comune di Napoli dove una discussione partecipata sulla destinazione d’uso degli immobili ha portato, grazie alla volontà della giunta De Magistris, alla concretizzazione di atti amministrativi a partire dal “riconoscimento dei beni comuni in quanto funzionali all’esercizio di diritti fondamentali della persona nel suo contesto ecologico” fino alla creazione di un Tavolo dei Beni Comuni in senso all’amministrazione della città di Napoli. I regolamenti comunali volti ad attuare un processo di rigenerazione dei beni comuni urbani, che “sfidano” la legalità formale, supportati dall’iniziativa da parte dei singoli cittadini, risultano ora quanto mai necessarie per aprire nuove possibili alternative di sviluppo e per ritornare a vivere in città democratiche. di Christian Saracino

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