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EpifanioEpifanio
from N.25 OTTOBRE 2019
by Scomodo
La città inamministrabile III -------------------------------------------------------------------- Mobilità a Roma, cosa si muove in città?
Oggi: dalla promessa di Raggi all’attualità del fallimento di Roma Metropolitane Nel Giugno del 2016 l’inizio dell’estate arrivava con la promessa della nuova giunta dell’attuale sindaca Raggi, che aveva posto la mobilità al primo degli undici punti programmatici con cui era giunta vittoriosa in Campidoglio con lo slogan: “Roma a 5 stelle è Roma in movimento. I disservizi sono arrivati al capolinea”. A distanza di tre anni, le ultime notizie dai corridoi del Campidoglio parlano di una possibile liquidazione di Roma Metropolitane, la municipalizzata che si occupa di pianificare e realizzare le linee della metropolitana romana.
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E’ evidente che qualcosa non abbia funzionato, ma è necessario prima fare un passo indietro e provare a fare chiarezza sugli intrichi della mobilità romana, per capire se alcune delle promesse si stiano trasformando nel cambiamento annunciato e vi sia un po’ di speranza nell’aria di Roma. Se la mobilità doveva essere l’inizio della riscossa dopo Mafia Capitale, è proprio da lì che, dopo il suo insediamento, la giunta Raggi ha dovuto affrontare la difficoltà maggiore del primo anno: la procedura fallimentare di ATAC nel 2017. L’azienda finanziata al 100% dal comune si è trovata senza più i soldi per pagare i fornitori del suo servizio. L’opzione scelta dal socio unico, il Comune di Roma, è stata quella di salvare il carrozzone.
Affiancare creditori e debitori ad un giudice in una procedura di concordato preventivo che vige tutt’oggi e che sta traghettando l’azienda fuori dallo scenario del fallimento con un piano concordato di rientro del debito. La rivoluzione sostenibile dei Cinque stelle, apparentemente facile in campagna elettorale, non aveva fatto i conti con la grande necessità non di una rivoluzione, ma di ordinarietà. Quando si parla di trasporti a Roma, infatti, si ha davanti un bollettino di guerra, con quasi un morto al giorno nel traffico e due autobus al mese (nel 2018) che hanno con regolarità preso fuoco. La credibilità dell’ATAC così è peggiorata - pareva impossibile - con uno scandalo dietro l’altro. Basti ricordare le avventure speleologiche dei passeggeri che si sono spesso ritrovati a dover scendere nei tunnel della metro o le scale mobili che hanno inghiottito i tifosi russi a piazza della Repubblica. I nodi sono venuti al pettine.
Un problema storicamente strutturale: tra sviluppo senza regole e inconsistenza politica. Considerando la grandezza del suo territorio, Roma, con i suoi 1280 km², si piazza al secondo posto per estensione tra le città Europee. La città si estende su una superficie di ben tredici volte quella dei venti arrondissement di Parigi e sette volte l’intera area del comune di Milano. E’ alla luce di questo dato che bisogna osservare il problema della mobilità a Roma: alla grande estensione corrisponde una città relativamente poco densa e con poche linee metropolitane. La grandezza di Roma rende il deficit infrastrutturale più grave della fallimentare governance delle aziende partecipate della mobilità. Parte del problema della congestione cittadina non è infatti nei numeri di Roma ma nella carenza infrastrutturale.
Il trasporto pubblico rimane pertanto un’alternativa poco valida a risolvere il problema (solo il 26% si sposta con mezzi pubblici contro l’oltre 50% di altre città europee). Ma come siamo arrivati a questo punto? Navigando tra i Piani Regolatori e le relative varianti si scopre che Roma ha dovuto da sempre affrontare una difficile scelta tra salvaguardia del patrimonio storico, che occupava ed occupa il centro e il sottosuolo, e le ambizioni di espansione e ammodernamento del tessuto urbano. Il risultato non è stato sempre coerente. Se nei primi piani regolatori di fine Ottocento del neonato Regno d’Italia si erano ricavati elementi di modernità sia per attraversare i rioni del centro storico che per dotare la città di ministeri e centri direzionali per la classe dirigente, si pensi a Corso Vittorio Emanuele, al lungotevere, via Nazionale o Via Venti Settembre, si è poi spesso passati ad una rinuncia di grandi interventi di questo tipo. Durante tutto il Novecento la città si è espansa sulle consolari e tra tenute nobiliari alla ricerca di nuova terra per far alloggiare la grande popolazione in aumento, ed esclusi quartieri come Prati, lo sviluppo del tessuto urbano è stato impulsivo, di tipo emergenziale e speculativo. Rispetto alla speculazione edilizia romana, fatto certamente riconosciuto e discusso, non si parla spesso di come questo abbia avuto delle gravi ricadute sulla capacità dei romani di spostarsi. Negli anni Roma ha sviluppato dei lunghi tentacoli sulle vie consolari che hanno fatto perdere densità al tessuto urbano, con borgate che sono arrivate anche a 10 kilometri dal centro. E senza densità e sviluppo economico, servizi come appunto la mobilità sono difficilmente realizzabili. Ad aggravare la mancanza di una pianificazione univoca, c’è stato anche un costante cambio di indirizzo nello sviluppo della politica della mobilità. Si è passati dalla mobilità a cavallo e rotaia, gli Omnibus e le tramvie tra fine Ottocento e gli anni ‘20, con Roma che contava una delle più estese reti tranviarie d’Europa, alla scelta di optare per trasporto su gomma. E se negli anni ‘30 si passa al trasporto su gomma pesante, le sempre più lontane borgate venivano servite con bus per non abbandonare luoghi altrimenti irraggiungibili. Infine, si arriva al trasporto privato su gomma negli anni ‘60. Con mancanza di lungimiranza la metro non è stata al passo e non ha guidato lo sviluppo di Roma per difficoltà ingegneristiche e cambi d’indirizzo di tipo politico. La metro B venne concepita da Mussolini, mentre la linea A realizzata sullo spirito delle Olimpiadi del 1960. Questa introduzione al problema di attualità non vuole essere un modo di deresponsabilizzare la classe politica, che al contrario ha e continua ad avere le colpe principali. La discontinuità della visione politica, con cambi di governance continui nelle aziende della mobilità, sono arrivate ai giorni nostri. Dai tentativi delle giunte di Sinistra tra fine anni ‘90 e primi anni 2000 di liberalizzare il trasporto e costruire metropolitane e ferrovie, con la cosiddetta “cura del ferro”, si è tornati ad avvisi differenti negli anni Alemanno. ATAC dal 2009 ha visto aumentare il suo debito a dismisura con una diminuzione degli investimenti totali che hanno coinciso con scandali di assunzioni, parentopoli, corruzione della classe dirigente, tangenti per l’acquisto di partite di filobus e interruzione dell’estensione della metro. Il piano futuro per Roma del PUMS e la scomparsa del progetto più voluto dai romani Che le promesse fatte in campagna elettorale dal Movimento Cinque Stelle non avessero fatto i conti con la gravità della situazione economica della gestione ordinaria di ATAC sembra evidente; sintomatici sono i 9 mesi che ci sono voluti per riaprire la stazione metro di Repubblica. Dopo tre anni di operato, vale la pena non disperdere l’analisi e incentrarsi su cosa l’amministrazione ha fatto bene e cosa meno bene per la mobilità urbana. Di sicura portata innovatrice la creazione del PUMS, un documento unico che potrà servire nei prossimi due decenni a coordinare lo sviluppo delle differenti forme di trasporto pubblico e privato “con criteri di sicurezza, sostenibilità, accessibilità ed economicità”. Si tratta di un piano stilato in tre anni di lavoro che coordina “in coerenza con gli altri strumenti di programmazione lo sviluppo delle infrastrutture di mobilità”. Le idee dei cittadini sono state raccolte sul portale pumsroma.it per poi essere accorpate, analizzate e classificate. Partendo dalle proposte popolari i tecnici hanno disegnato una mappa di come i trasporti si dovranno evolvere nei prossimi anni. In questo documento si possono individuare tutti i progetti che l’amministrazione promette di fare o che auspicabilmente verranno realizzati dalla prossima giunta. Il piano prevede dei corridoi della mobilità per autobus, estensione e creazione di linee metro e tram, ciclabili sulle maggiori consolari e le tanto discusse ovovie. In questo documento si sintetizza sia l’ambizione dei Cinque stelle per il cambiamento sostenibile che la loro inconsistenza politica: dall’essere contro le linee metro, “Roma Metropolitane, l’ente che gestisce e che doveva pianificare la Roma del futuro con le nuove metro, è al capolinea.”
metro C e D su tutte, l’amministrazione ha clamorosamente cambiato idea in corso d’opera accorgendosi della grande volontà popolare dei romani per un sistema metropolitano all’altezza. In tre anni però sono state aperte solo due stazioni metro e non si hanno notizie sugli iter per le estensioni e per le nuove linee. Caso diverso per le linee tranviarie e le ciclabili, in corso di progettazione le prime e di realizzazione le seconde.
Il caso di Metrovia e del referendum L’amministrazione ha dato prova, proprio sul primo punto del proprio programma, di tutti i limiti della democrazia diretta, innanzitutto snobbando e non facendo informazione sul referendum che lasciava la parola ai cittadini sul futuro di ATAC nell’autunno del 2017. Proprio il più grande strumento di democrazia diretta, previsto dalla costituzione, è stato ignorato e non supportato come di dovere, contribuendo al fallimento della consultazione. La procedura di concordato preventivo tanto difesa dalla giunta Raggi è stata una scelta unilaterale senza consultazione né della base né dei cittadini che continuano a pagare il debito di ATAC. In secondo luogo, fatto degno di clamore e passato largamente inosservato dalla stampa, non sono stati considerati i vincitori del PUMS nel disegnare il futuro piano della mobilità. Metrovia, il progetto più votato dai cittadini romani durante la fase consultiva del Piano della Mobilità Sostenibile, è stato il più apprezzato tra le 301 proposte ricevute dall’amministrazione. Perché tanto interesse dai romani? E come ha fatto il progetto che avrebbe dovuto essere il cardine del nuovo piano a sparire? Il team di ingegneri di Metrovia, guidato da Paolo Arsena, ha disegnato un rivoluzionario schema dei trasporti romani in cui si utilizzano le numerose ferrovie trasformandole in delle metropolitane: aumentando il passaggio dei treni e creando nuove stazioni, Roma potrebbe cambiare volto arrivando ad avere ben 10 linee metro e 229 km di rete in più dei 60 km attuali. La portata rivoluzionaria del progetto sta nella relativamente veloce soluzione - i progettisti parlano di 10 anni di lavori - e nei costi ridotti (il progetto ha un costo stimato di 5 miliardi secondo gli autori del progetto, ossia meno della sola Metro C). Il successo riscontrato da Metrovia sui social e nella fase consultiva aveva suscitato grandi entusiasmi. La sua scomparsa è stata un vero giallo che si risolve leggendo le carte del PUMS: i tecnici di Roma mobilità, che non hanno mai consultato i vincitori, nel considerare i vari progetti hanno tirato delle stime arbitrarie e diverse da quelle proposte dagli ideatori. La classifica di fattibilità, che includeva non solo la votazione popolare ma anche altri parametri tra cui ovviamente i costi, ha quindi visto Metrovia perdere posizioni, con grande stupore da parte degli autori del progetto e degli 11mila sostenitori del gruppo Facebook. Gli autori di Metrovia lamentano sul loro profilo Facebook di come il loro progetto sia stato inserito nel PUMS con costi assolutamente non veritieri, che hanno penalizzato l’inserimento di Metrovia nel piano. Quando si era insediata, la giunta della sindaca Raggi si era proposta di portare inclusione e partecipazione nella politica romana, e il PUMS è stato sicuramente un grande strumento di politica partecipativa. Tuttavia, alla volontà popolare sono state preferite scelte tecniche che non hanno saputo ascoltare la grande sete dei romani per il trasporto pesante.
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La grande delusione degli autori di Metrovia e dei suoi sostenitori, che vedevano nel Movimento 5 Stelle una speranza per la rivoluzione che proponevano, corrisponde alla delusione di una fetta del 70% di romani che ha eletto la Raggi tre anni fa, e che ha assistito al recente tombamento delle talpe della Metro C e il fallimento di Roma Metropolitane.
Rivoluzione? Non abbastanza Ai post esultanti della ormai ex assessora dei trasporti Linda Meleo corrispondono grandi ombre sul futuro. Una città che ha chiesto a gran voce una risposta pesante e chiara, la metropolitana, ha visto l’attuale giunta raccogliere in modo incerto e contraddittorio la sfida. Rispetto alla determinazione con cui la giunta sta inaugurando piste ciclabili, come quelle sulla Nomentana e sulla Tuscolana, o delle corsie preferenziali rinnovate come il corridoio Laurentino, opera di portata marginale di cui l’assessore Meleo ha parlato per mesi, ci si aspettava sicuramente di più. In tutto questo Roma Metropolitane, l’ente che gestisce e che doveva pianificare la Roma del futuro con le nuove metro, è al capolinea. La società entra in una fase di liquidazione controllata di cui non è ancora chiaro il percorso che può imboccare il risanamento o il fallimento. Di sicuro il comune e la mobilità a Roma entrano in una fase di incertezza che contrasta con le belle linee della mappa del PUMS. Tutti quei progetti legati a Roma Metropolitane, due su tutti la continuazione della Metro C e la pianificazione della linea D, verranno gestiti dall’insicurezza e nell’inconsistenza politica di Roma, unici elementi di continuità. Una coalizione che vada oltre i partiti che condivida un progetto comune non è ancora nata purtroppo. Quando si parla di infrastrutture e di mobilità bisogna immaginarsi progetti che vanno ben oltre la durata del ciclo politico di 5 anni. E’ evidente che ci vogliono varie amministrazioni per finire uno stesso progetto. Prendere scelte politiche come quella di non affrontare un quesito di referendum o evitare di includere un progetto come Metrovia va contro l’armonia trasversale che bisogna costruire nei temi di mobilità. La continuità di governance che si era trovata tra Rutelli e Veltroni nell’implementare la cura del ferro, e a cui dobbiamo la metro B, l’attuale tratta della metro C e parte dell’anello ferroviario, va ricucita. Lo strappo che si è avuto con gli anni di Alemanno e di Mafia Capitale sta ancora lasciando i segni con gli sforzi dell’amministrazione volti a sanare i danni e i debiti dovuti ad altri. L’attuale amministrazione deve e può fare di più per ascoltare la voce già espressa dai cittadini durante il PUMS e dai vari comitati che univocamente denunciano come le attuali politiche per rinnovare il trasporto su gomma non facciano abbastanza. Su questo si deve e si può essere d’accordo: Roma deve avere fretta e capire la necessità di trovare una consistenza e compattezza politica che forse solo una figura super partes – ad esempio un commissario speciale, come viene definito nel recente decreto sblocca cantieri - può garantire, per dare vita ad un percorso condiviso cha faccia recuperare il gap infrastrutturale ormai intrinsecamente legato alla struttura di Roma.
di Carlo Epifanio
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