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Claudio Minutillo Turtur di Il male più grande

Metastasi

La mancanza di una narrazione popolare e radicata del fenomeno mafioso, probabilmente, ha radici culturali fin troppo profonde per analizzarle compiutamente. Tuttavia, è possibile con un po’ d’olio di gomito descrivere il fenomeno con dei casi di studio tutt’altro che semplici, ma facilmente comprensibili una volta sviscerati. L’obiettivo del focus, dunque, è quello di analizzare il fenomeno mafioso attraverso la descrizione di quella che è stata definita (definizione ripresa più volte negli articoli che compongono quest’approfondimento) “metastasi” con non poco acume. Termine medico che descrive la diffusione di un tumore, la metastasi è metafora quasi perfetta della diffusione di una specifica associazione mafiosa, ovvero la ‘ndrangheta, al centro delle analisi che leggerete. Chi ha scritto questo focus consiglia di guardare alla scelta di descrivere la diffusione delle ‘ndrine attraverso l’espediente della narrazione di poche regioni con attenzione: è descritta non solo la diffusione della ‘ndrangheta, radicata ben oltre le regioni scelte, ma una serie di modi operandi ricorrenti nella scelta delle attività e nella capacità di riproporre metodi di infiltrazione e di radicamento. Una scelta differente, quella procedere per attività criminali avrebbe probabilmente dei parametri di ricerca incentrati sulla gravità dei singoli crimini e sulle economie legali spesso viste come “più infiltrabili”. Le statistiche sui comuni sciolti per ‘ndrangheta ovviamente porterebbero a percentuali fuorvianti, e una mappa probabilmente non aiuterebbe in alcun modo la descrizione dell’espansione preoccupante delle ‘ndrine. Partire dunque dalla Calabria per risalire la penisola, dunque, non è la traiettoria di un viaggio, ma la descrizione di una metastasi. La quale, risulterà evidente, è ad uno stato avanzatissimo.

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Il male più grande Come la 'ndrangheta regna indisturbata in Calabria.

È appena iniziato il 2020, ed è quindi il momento del bilancio del 2019 per la Calabria. I dati sono tutt’altro che confortanti: otto comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Per capire perché la ‘ndrangheta di fatto monopolizzi un’intera regione dobbiamo innanzitutto ripercorrere brevemente la sua storia e spiegare la sua organizzazione. La ‘ndrangheta calabrese si basa su “ndrine”, ossia famiglie mafiose storiche che si arricchiscono di nuovi componenti di generazione in generazione. Le ndrine sono raggruppate in “locali” o “società”, i quali presentano organi di vertice chiamati “mandamenti” , “crimine” o “provincia”. Il ruolo di questi ultimi è fondamentale in quanto hanno il compito di coordinare l’azione unitaria dell’organizzazione, dirimerne le controversie e garantire il rispetto delle regole.

Proprio per questa sua articolazione così elementare, la ‘ndrangheta è stata presa sottogamba negli anni, considerandola per molto tempo subalterna e meno pericolosa rispetto a Cosa Nostra. Ad oggi è chiaro che questo fu un tragico errore che permise, dopo il duro colpo inflitto a Cosa Nostra con il maxiprocesso del ‘92-’93, alla ‘ndrangheta di avere strada spianata per diventare la più potente organizzazione criminale al mondo. Proprio questa sua struttura semplice ha permesso alle ‘ndrine di espandersi all'estero, riproducendo il loro modello vincente in territori insospettabili l, come l'Australia. Ciò che distingue la ‘ndrangheta rispetto alle altre storiche associazioni criminali è la sua storica capacità di variare e di adattarsi in modo camaleontico a una società in continua trasformazione.

Le ‘ndrine infatti sono passate dall’originaria infiltrazione nel settore agropastorale del primo Novecento al “business” dei sequestri di persona tra gli anni 70-90, per approdare al traffico di stupefacenti dal 1991. Un cambiamento dovuto al fatto che i sequestri di persona si erano rivelati non più proficui in seguito alla legge numero 82 dello stesso anno che stabilì il congelamento dei beni delle famiglie colpite da rapimenti.

L’origine La ndrangheta è purtroppo un cancro inestirpabile in Calabria: la metastasi è così diffusa che di fatto ne controlla ogni settore economico. Com'è stato possibile? La risposta sta nel fatto che la ‘ndrangheta è per molti il miglior datore di lavoro. Basta pensare al fatto che nella regione la disoccupazione tocca il 20% (il doppio rispetto alla media italiana), e che i giovani calabresi sono purtroppo destinati ad un futuro misero qualora non emigrino. In questo scenario disperato allora subentra la mafia, che riesce a convertire il disagio e la miseria a suo favore rendendo complice del suo progetto criminale l’intera società civile, creando un clima di terrore e allo stesso tempo un grande consenso tra il popolo che le sarà sempre riconoscente per non essere stato condannato a una vita di stenti. Tuttavia, anche se tutta la regione lavorasse per la ‘ndrangheta, questa non sarebbe in grado di disporre di un patrimonio multimiliardario come quello attuale. Per raggiungere tali cifre infatti non si serve di persone casuali, ma di soggetti che garantiscono contatti diretti con “i poteri forti” tramite uno spregevole do ut des. Centrali sono infatti le figure di avvocati, notai e medici. Questi ultimi, tra le altre cose, sono in grado di garantire perizie false ai mafiosi, così da tentare di farli sottoporre a regimi carcerari più leggeri e talvolta di fargli evitare direttamente la reclusione. Per capire l’influenza e il potere spaventoso che le cosche calabresi possiedono i dati sono più eloquenti di fiumi d’inchiostro. Relativamente al 2013 ad esempio, la situazione è la seguente: riciclaggio di denaro per 118 miliardi di euro (più del 10% del PIL italiano), 6,7 miliardi di ricavi in seguito ad aggiudicazione di appalti pubblici e 4,1 per lo smaltimento di rifiuti tossici. A fronte di questi immensi guadagni la ‘ndrangheta, ormai da molti anni, investe prevalentemente nel mercato immobiliare e in asset mobiliari,

in quanto investimenti considerati altamente sicuri. Stando al rapporto del 2013 dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, sono stati sequestrati 11238 immobili e 1708 aziende. Rispetto al 2018 si contano invece rispettivamente: 729 soggetti segnalati alle autorità giudiziarie per estorsione, 70 per usura, 234 per riciclaggio e 182 per associazione finalizzata a traffico di stupefacenti.

Nuove passioni Questi potrebbero in un certo senso definirsi come i “classici” reati di stampo ndranghetista che si presentano con regolarità anche in tutte le altre regioni in cui si è infiltrata; più inaspettato invece è il fatto che negli ultimi anni si registri una grande presenza della ‘ndrangheta in tre campi in particolare: la sanità, l’appropriazione illegittima dei fondi europei per la PAC (politica agricola comune) e il gioco d’azzardo online. Riguardo il primo, occorre fin da subito premettere che si intende tanto sanità privata quanto pubblica. Proprio rispetto a quest’ultima ci sono stati dei casi di cronaca che hanno reso evidente la situazione insostenibile che vive la Calabria, come quello dell’ASL di Locri che nel 2007 è stata sciolta per mafia. Dalle indagini risultava infatti che era diventata un vero e proprio centro nevralgico per le ‘ndrine, che l’avrebbero trasformata in un giro d’affari di circa 180 milioni di euro e 1700 dipendenti. Casi simili si sono verificati nel 2018 e 2019 tanto a Reggio Calabria quanto a Catanzaro, le cui ASP (aziende sanitarie provinciali) sono state sciolte per infiltrazione mafiosa a distanza di sei mesi l’una dall’altra. A Reggio la situazione era la seguente: 200 milioni di debiti e circa 600 mila pazienti costretti a richiedere assistenza al di fuori della Calabria; rendendo chiaro che non si esagera quando negli ultimi anni si dice che il principale ospedale della Calabria è ormai il Gemelli di Roma. Spostandoci sul tema dell’appropriazione indebita dei fondi europei per l’agricoltura, sappiamo che tra il 2014 e il 2020 sono stati versati solamente all’Italia 37,5 miliardi per la PAC e decine di miliardi per la sola Calabria.

Sulla base di un rapporto del Senato risulta inoltre che tra il 2014 e il 2016 su 2,4 miliardi di fondi stanziati ci sono state frodi per 1,5 (più del 60%). Non sorprende quindi che nei confronti dell’Italia venga regolarmente aperta una procedura di infrazione da parte dell’UE per indebita erogazione di fondi (solo in Calabria ammontano a 31 milioni). Da ultima nel 2018, un’indagine del comando Carabinieri per la tutela agroalimentare coordinata dalla DDA di Reggio Calabria ha portato ad otto arresti e potrebbe rivelarsi fondamentale per svelare il metodo con cui la ‘ndrangheta opera per ottenere illegalmente i finanziamenti. La tesi dell’accusa è che i fondi suddetti siano stati utilizzati nel periodo 2010-2018 tra le altre cose per pagare le spese legali ai membri delle ndrine. Il metodo era relativamente semplice: il CONASCO - un consorzio agricolo che aiuta i piccoli imprenditori ad ottenere finanziamenti e sussidi - trasmetteva in via telematica le loro domande per ottenere i fondi per la PAC all’ARCEA, l’agenzia della Regione Calabria per le erogazioni in agricoltura. Nonostante la comunicazio- ne del consorzio accertasse la presenza dei presupposti necessari per beneficiare dei fondi, in realtà le pratiche rimanevano nei suoi uffici prive di certificati e firme necessari. La conseguenza era che l’ARCEA erogava finanziamenti a imprese defunte e talvolta inesistenti falsamente dichiarate operanti e legittime dal CONASCO. In questo modo molti condannati per delitti di criminalità organizzata risultavano piccoli imprenditori agricoli pienamente legittimati a ricevere finanziamenti.

Tutto un gioco Stando alle parole dell’ex Procuratore Generale antimafia Cafiero de Raho, invece, quella del gioco online è diventata “la nuova frontiera della lotta alla mafia”. Negli anni si sono succedute circa 20 inchieste sul tema; l’ultima in termini di tempo risale al 2018 e porta alla luce uno scenario che vede i più importanti clan reggini, baresi e catanesi spartirsi le piattaforme di gioco e gestire un patrimonio di circa 4,5 miliardi di euro che - come da copione -

veniva reinvestito in immobili e società fantasma all’estero grazie a prestanome. Talmente vasto era diventato il giro d’affari che per portare a termine l’inchiesta ci si è dovuti coordinare con moltissime autorità giudiziarie europee ed extraeuropee, a conferma se ce ne fosse bisogno della potenza ed influenza delle ‘ndrine. Nonostante in Italia esista un organo deputato al controllo sul gioco d’azzardo (l’Aams), a questo ovviamente sfuggono le attività illegali - usura, estorsioni e riciclaggio- che si celano dietro le slot e il poker online. Se già dal 1992, in quanto ritenute entrate facili da ottenere a fronte di gravi esigenze di bilancio, si avviò una progressiva deregolamentazione del settore, è stato il 2006 - con la legge Bersani/Visco - l’anno che ha spinto la ‘ndrangheta ad investirvi in modo massiccio. Con la possibilità contenuta nella legge per gli operatori stranieri di entrare nel mercato italiano, alle ‘ndrine si presentava un’occasione unica: riciclare i proventi del narcotraffico in un modo relativamente semplice e sicuro. Hanno colto la palla al balzo. Una figura centrale in questo campo era quella di Gioacchino Campolo che, condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione, aveva finito per rivestire una posizione di autorità tale da essere chiamato il “re dei videopoker”, visto che controllava la gestione e il noleggio degli apparecchi da gioco di tutta Reggio Calabria. Il quadro che emerge da questa breve rassegna dell’attività della ‘ndrangheta nella sua regione d’origine è sconfortante. I clan sembrano andare ad una velocità due volte superiore rispetto allo Stato - un esempio lampante è il fatto che la ‘ndrangheta paghi i propri fornitori spesso in bitcoin per eludere i controlli fiscali- ed i cittadini sono sempre più succubi del sistema criminale di cui sono prigionieri. Non esistono soluzioni facili, ma è quanto mai necessario instillare nei calabresi un senso di legalità sincero e reale. Se l’intervento repressivo statale non deve mancare, è una rivoluzione anzitutto culturale che urge in Calabria. Le nuove generazioni, la nostra generazione, non merita un sistema marcio come quello che impera ancora oggi. Ma se si crede che il problema riguardi solo la Calabria, ci si sbaglia di grosso.

Scomodo Gennaio 2020 di Claudio Minutillo Turtur

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