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Alessandro Luna di Turismo e terremoto

Turismo e terremoto La 'ndrangheta emiliano romagnola dagli anni '80 ad oggi

Pur di fronte ad un compostissimo rapporto della magistratura, oltre le rigide cifre e i termini tecnici, quando si parla di Mafia inevitabilmente ci si immaginano dialoghi, scene e personaggi che, nella nostra mente, si avvicinano a quelle figure strepitosamente affascinanti che abbiamo conosciuto nei grandi film di Coppola, Scorsese e de Palma. E se si volesse tenere a mente il più famoso del genere, “il Padrino”, la storia della ‘Ndrangheta in Emilia Romagna troverebbe molte analogie con il capolavoro di Coppola. Tutto nasce da una migrazione: quella di Don Vito nel Padrino, da Corleone a New York, e quella di Antonio Dragone da Cutro a Montecavolo, frazione di Quattro Casella in provincia di Reggio Emilia. Entrambi arrivano in un luogo nuovo in cui cercano di riproporre le logiche e gli schemi criminali che hanno imparato nelle città di nascita, creando associazioni di stampo mafioso nuove e radicate nel territorio in cui sono confinati. Entrambi perdono prima un figlio e poi la loro stessa vita, lasciando spazio alla prole e ai clan rivali. Ma se quella di Vito Corleone è una storia inventata da Mario Puzo, quella di Antonio Dragone trova i suoi riscontri nelle carte processuali, nelle gazzette regionali di quegli anni e nella memoria di chi ha vissuto nel reggiano alla fine del secolo scorso.

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La migrazione La ‘ndrangheta arriva in Emilia tramite un provvedimento che lo costringe, per via del suo ruolo nella ‘ndrina di Cutro, ad un soggiorno obbligato in una frazione della regione padana. Abbandona così il suo lavoro “copertura” di bidello in una scuola elementare e comincia ad esportare e riproporre a Montecavolo un apparato ‘ndranghetista che presto diventa una ‘ndrina a parte che si diffonde in maniera epidemica in tutta l’Emilia Romagna. Ma per conquistare territori nuovi bisogna venire a patti con la regione che si vuole colonizzare, così Dragone crea una ‘ndrina mai del tutto radicata nel territorio, ma che la magistratura definirà come “in trasferta”, con il centro di Comando a Cutro ed un regime di controllo molto meno asfissiante e capillare di quello calabrese.

Presto la provincia di Reggio Emilia passa dall’essere un semplice luogo di riciclo del denaro guadagnato in “patria” al costituire un’occasione d’oro per via del fittissimo reticolato economico padano di commerci, aziende ed imprese che fanno gola ai tanti emigrati, parenti e “colleghi” che Dragone fa arrivare a Reggio dalla Calabria negli anni. L’Emilia diventa un luogo d’affari resi possibili dagli appoggi che si riescono a strappare alle varie amministrazioni locali e ad oggi la ‘Ndrangheta è l’associazione di stampo mafioso più presente nella regione padana, dove convive con Mafia e Camorra secondo una sorta di Pax Mafiosa che, apparte alcuni casi fra cui quello, di cui si parlerà più avanti, dell’omicidio Guerra a Cervia, riduce al minimo le intimidazioni e le violenze che fino a poco tempo fa non colpivano mai i locali ed erano riservate a compaesani imprenditori e rivali. La ‘ndrangheta emiliana parte dalle iniziative di alcuni muratori di provincia calabresi che, cercando di forzare appalti pubblici, gettano le basi per una “classe” di imprenditori edili ‘ndranghetisti, tanto che in alcune intercettazioni del 2012 Giuseppe Pagliani, il capogruppo del PDL nella provincia di Reggio Emilia, dopo un colloquio con uno dei boss calabresi della zona che gli prometteva voti, spiega alla fidanzata Sonia che “questi sono la memoria dell’edilizia degli ultimi trent’anni! A Reggio han costruito tutto”. E per questi spietati “muratori di provincia”, l’occasione più ghiotta è stata, per quanto faccia un po’ impressione dirlo, il terremoto del 2012. La provvidenziale fioritura di appalti per la ricostruzione delle aree colpite e gli ingenti fondi pubblici stanziati hanno costituito, insieme all’economia del turismo emiliano romagnola, uno dei campi più fortunati per la ‘Ndrangheta da sfruttare.

Tutela violenta La parabola dei Dragone, nel frattempo, si spegne progressivamente e subisce due colpi fortissimi: l’arresto di Antonio e l’uccisione del figlio, a cui seguirà la propria, entrambe ad opera, si sospetta fortemente, della famiglia rivale in Emilia che diventerà poi la più influente della regione, quella di Grandi Aracri, che terranno le fila della malavita padana fino all’arresto di vari esponenti del clan in seguito all’inchiesta Edilpiovra, che li condannerà definitivamente. Ad oggi, secondo i rapporti della magistratura, in Emilia Romagna si individuano 3 modus operandi della ‘ndrangheta, divisi territorialmente in Emilia, Romagna e provincia di Bologna. Mentre in Emilia si presenta più compatta e strutturata, spingendosi ad episodi anche pesanti, come quello dell’attentato del 2006 alla sede dell’agenzia delle entrate di Sassuolo, in Romagna e provincia di Bologna convivono mafie italiane e straniere che fanno convergere i loro affari per lo più su turismo e gioco d’azzardo per quel che riguarda la regione della riviera, spaccio di droga e operazioni di falsari nel capoluogo. La Romagna è una piazza strategica per il riciclaggio di denaro per via della vicinanza geografica con la Repubblica di San Marino, di cui spesso gli ‘ndranghetisti sfruttano il segreto bancario e la non tracciabilità dei conti. Per quanto riguarda il gioco d’azzardo, in provincia di Ravenna si è consumato uno degli episodi più gravi degli ultimi anni, ossia il già citato omicidio di Gabriele Guerra, un piccolo criminale romagnolo che, uscito dal carcere, aveva cercato di aprire una bisca clandestina a Cervia che facesse concorrenza alla ‘ndrangheta. Negli ultimi giorni della sua vita lo si era sentito affermare che era ben consapevole di cosa volesse dire far loro uno sgarbo ma che, da romagnolo, si rifiutava di lasciare la piazza ai calabresi. “Io sono romagnolo ed è giusto che in Romagna mangino anche i romagnoli”. Un pizzico di incoscienza ed orgoglio regionale di cui ebbe pochi secondi per pentirsi, prima di essere raggiunto, nella sera del 14 luglio del 2003,

da 15 proiettili nella sua macchina parcheggiata in una via di Cervia che lo fecero ritrovare con la testa appoggiata al volante, i fanali accesi e lo stereo ancora acceso a tutto volume. Da allora fu chiaro che, di gioco d’azzardo, in Romagna, si sarebbero occupati i calabresi, compatti contro eventuali sgarbi di rivali locali e stranieri. In Emilia, al contrario, la ‘ndrangheta non è stata esente di faide interne, come abbiamo raccontato nella resa dei conti fra Grandi Aracri e Dragone. Le province di Ferrara, Modena e Parma hanno una moderata storia di infiltrazioni ‘ndranghetiste ma che si concentrano per lo più nei piccoli paesi, anche se la presenza registrata è molto forte a Modena e, secondo la magistratura, in forte espansione a Parma. Ma non si registrano omicidi ed attentati, salvo quelli incendiari contro imprese o aziende. In queste tre regioni il sangue è l’ultima ratio, il gesto estremo cui non sono mai costretti ad affidarsi perché la loro “fama li precede”, dal momento che sono l’associazione di stampo mafioso più presente in Emilia e basta far capire all’imprenditore con cui si vogliono far affari poco leciti con chi è che ha a che fare per evitare di dover ricorrere a metodi più violentemente convincenti.

Controllo totale Reggio Emilia è un caso a parte: centro ed enclave della ‘Ndrangheta regionale, si muove per lo più per conto di quattro famiglie: i Cutro, i Nicoscia, i Dragone e gli Arena. Negli anni si è registrato uno spopolamento progressivo della provincia di Crotone, riscontrato da una crescita di popolazione in provincia di Reggio Emilia. Il quadro che la magistratura fa è definito “critico”, ed ha portato all’esclusione di numerosissime imprese edili dagli appalti per la ricostruzione dopo il terremoto, oltre a molti sequestri dal 2013 in poi e altrettanti ritiri di porti d’armi. Le tante inchieste e i relativi arresti hanno portato a 3 condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso ad esponenti della famiglia Grandi Aracri e, nonostante i ripetuti atti intimidatori, sono state riscontrati rapporti consolidati con esponenti politici che hanno raggiunto il culmine in due episodi significativi. Il primo è stato il viaggio-tour di alcuni candidati sindaco a Reggio Emilia proprio nella città calabrese di Cutro, con lo scopo di attirare le simpatie della comunità immigrata al nord.

Il secondo una cena del 2012 a cui parteciparono pubblicamente alcune famiglie calabresi della zona e due esponenti del PDL per discutere e condannare “l’eccessivo attivismo” del prefetto di Reggio Emilia contro i sospetti ‘ndranghetisti. A denunciare con particolare impegno la crescente presenza in Emilia di un sistema di ‘ndrine radicato nel territorio è stato un giornalista dell’Espresso, Giovanni Tizian, che vive sotto scorta da 8 anni per via delle minacce subite da un boss delle ‘ndrangheta emiliana. Ci ha gentilmente spiegato come si comportano queste cosche nella sua regione: “Dagli anni ‘80 in Emilia-Romagna la ‘ndrangheta si è mossa senza individuare un settore preciso, ma controllando tutto tramite imprenditori locali, tanto che sono andati a processo anche nomi molto grandi. Sul territorio offre una pluralità di servizi: un pacchetto di voti, il trasporto delle merci di molte aziende, i lavori di smaltimento delle macerie del terremoto, la vendita di macchinette per il gioco d’azzardo e ciò che riguarda il settore alberghiero. Sono riusciti ad instaurare un rapporto con l’economia del territorio di reciproca utilità, intuendo una forte necessità degli imprenditori di evadere il fisco, tanto che la maggior parte dei reati sono legati a questa natura. Tramite un sistema di false fatturazioni si è permesso ai locali di abbattere l’Iva, segnalando una finta produzione da vendere ad un altro imprenditore, e alla ‘Ndrangheta di riciclare il denaro guadagnato altrove. Un altro gioco “innovativo” che hanno portato in Emilia riguarda i trasporti regionali: è stato scoperto un cartello dei trasporti di merci che si accordava su un prezzo molto basso, dovuto alle connivenze con la politica che permettevano di eludere i costosi controlli, per concorrere slealmente con i trasporti legali”.

Appoggi Un sistema che non può vivere senza appoggi politici nelle varie amministrazioni locali. “Il primo comune sciolto per mafia è stato quello di Brescello, governato dal PD, che è stato soprannominato Cutrello proprio per i noti rapporti con la ‘Ndrangheta calabrese”, continua Tizian. “In cambio di vari favori era stato garantito al Partito un pacchetto di voti degli immigrati calabresi e per lo stesso motivo è stato arrestato il presidente del consiglio comunale di Piacenza.

Per quanto riguarda i tour a Cutro per raccogliere voti, si sono manifestati per molti esponenti politici, fra cui anche l’ex-ministro delle Infrastrutture del PD Graziano Delrio, che è stato sindaco di Reggio Emilia dal 2004 al 2013. In ogni caso, i contatti con la politica emiliana hanno avuto in passato un rapporto forse più stretto con il PDL, tramite contatti con alcune prefetture e cene con affiliati della ‘Ndrangheta. Per quanto riguarda le regionali di fine Gennaio, ancora non si sa come si stanno muovendo i pacchetti di voti calabresi, questa conversazione si è tenuta il 20Gennaio, circa una settimana prima delle amministrative, ma credo che, quando saranno pubblici gli esiti, si potranno fare analisi per capire dove sono andati”.

11 di Alessandro Luna

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