Turismo e terremoto
La 'ndrangheta emiliano romagnola dagli anni '80 ad oggi Pur di fronte ad un compostissimo rapporto della magistratura, oltre le rigide cifre e i termini tecnici, quando si parla di Mafia inevitabilmente ci si immaginano dialoghi, scene e personaggi che, nella nostra mente, si avvicinano a quelle figure strepitosamente affascinanti che abbiamo conosciuto nei grandi film di Coppola, Scorsese e de Palma. E se si volesse tenere a mente il più famoso del genere, “il Padrino”, la storia della ‘Ndrangheta in Emilia Romagna troverebbe molte analogie con il capolavoro di Coppola. Tutto nasce da una migrazione: quella di Don Vito nel Padrino, da Corleone a New York, e quella di Antonio Dragone da Cutro a Montecavolo, frazione di Quattro Casella in provincia di Reggio Emilia. Entrambi arrivano in un luogo nuovo in cui cercano di riproporre le logiche e gli schemi criminali che hanno imparato nelle città di nascita, creando associazioni di stampo mafioso nuove e radicate nel territorio in cui sono confinati. Entrambi perdono prima un figlio e poi la loro stessa vita, lasciando spazio alla prole e ai clan rivali. Ma se quella di Vito Corleone è una storia inventata da Mario Puzo, quella di Antonio Dragone trova i suoi riscontri nelle carte processuali, nelle gazzette regionali di quegli anni e nella memoria di chi ha vissuto nel reggiano alla fine del secolo scorso. La migrazione La ‘ndrangheta arriva in Emilia tramite un provvedimento che lo costringe, per via del suo ruolo nella ‘ndrina di Cutro, ad un soggiorno obbligato in una frazione della regione padana. Abbandona così il suo lavoro “copertura” di bidello in una scuola elementare e comincia ad esportare e riproporre a Montecavolo un apparato ‘ndranghetista che presto diventa una ‘ndrina a parte che si diffonde in maniera epidemica in tutta l’Emilia Romagna. Ma per conquistare territori nuovi bisogna venire a patti con la regione che si vuole colonizzare, così Dragone crea una ‘ndrina mai del tutto radicata nel territorio, ma che la magistratura definirà come “in trasferta”, con il centro di Comando a Cutro ed un regime di controllo molto meno asfissiante e capillare di quello calabrese. Scomodo
Gennaio 2020
Presto la provincia di Reggio Emilia passa dall’essere un semplice luogo di riciclo del denaro guadagnato in “patria” al costituire un’occasione d’oro per via del fittissimo reticolato economico padano di commerci, aziende ed imprese che fanno gola ai tanti emigrati, parenti e “colleghi” che Dragone fa arrivare a Reggio dalla Calabria negli anni. L’Emilia diventa un luogo d’affari resi possibili dagli appoggi che si riescono a strappare alle varie amministrazioni locali e ad oggi la ‘Ndrangheta è l’associazione di stampo mafioso più presente nella regione padana, dove convive con Mafia e Camorra secondo una sorta di Pax Mafiosa che, apparte alcuni casi fra cui quello, di cui si parlerà più avanti, dell’omicidio Guerra a Cervia, riduce al minimo le intimidazioni e le violenze che fino a poco tempo fa non colpivano mai i locali ed erano riservate a compaesani imprenditori e rivali. La ‘ndrangheta emiliana parte dalle iniziative di alcuni muratori di provincia calabresi che, cercando di forzare appalti pubblici, gettano le basi per una “classe” di imprenditori edili ‘ndranghetisti, tanto che in alcune intercettazioni del 2012 Giuseppe Pagliani, il capogruppo del PDL nella provincia di Reggio Emilia, dopo un colloquio con uno dei boss calabresi della zona che gli prometteva voti, spiega alla fidanzata Sonia che “questi sono la memoria dell’edilizia degli ultimi trent’anni! A Reggio han costruito tutto”. E per questi spietati “muratori di provincia”, l’occasione più ghiotta è stata, per quanto faccia un po’ impressione dirlo, il terremoto del 2012. La provvidenziale fioritura di appalti per la ricostruzione delle aree colpite e gli ingenti fondi pubblici stanziati hanno costituito, insieme all’economia del turismo emiliano romagnola, uno dei campi più fortunati per la ‘Ndrangheta da sfruttare. 9