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Rebecca Cipolla

Parallasse -------------------------------------------------------------------- la rassegna stampa di Scomodo

Lo spostamento apparente di un oggetto causato da un cambiamento di posizione dell’osservatore è un effetto ottico noto come parallasse. Si tratta di un concetto potente, utile a descrivere il relativismo generato dalla molteplicità di interpretazioni dei fatti, soprattutto nell’industria dell’informazione. Spiegare questa molteplicità è l’obiettivo di questa rassegna stampa mensile.

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Il 2020 si è aperto con una frenesia mediatica su una imminente “terza guerra mondiale”. Gli eventi delle prime settimane di gennaio sono stati rilanciati da tutte le maggiori testate nazionali e internazionali, spesso in maniera esasperata. Sui social network, come spesso accade, si arriva alla parodia della frenesia mediatica attraverso il meme della #WW3. Si parla ovviamente dello scontro tra Iran e USA, che ha una storia lunga ma è ripreso, dopo un’apparente tregua, con la presidenza Trump. I primi di gennaio hanno visto l’uccisione del capo dei Quds force iraniani Soleimani e la conseguente aggressione iraniana sulla basi statunitensi in Iraq.

L’ostilità USA-Iran va ormai avanti da molto tempo e una data fondamentale è il 1979, anno in cui cinquantadue dipendenti dell’ambasciata americana vennero presi in ostaggio a Teheran. È da questo episodio che si possono iniziare a raccontare i fatti del nuovo capitolo del conflitto. Il 31 dicembre 2019 dei manifestanti iracheni prendono d’assalto l’ambasciata americana a Baghdad; dietro all’organizzazione di questo attacco possiamo trovare la figura del generale Soleimani, che da tempo si riteneva responsabile degli attacchi contro gli USA nel Medio Oriente. Quest’affronto all’orgoglio americano non sta bene a chi risiede alla Casa Bianca e la sua risposta arriva il 3 gennaio quando Donald Trump, con un drone, uccide Soleimani fuori dall’aeroporto di Baghdad. All’indomani della morte di Soleimani la stampa ha recepito la notizia dando inizio alle narrazioni, le analisi e le congetture sul futuro. La forma delle notizie tuttavia appare esasperata se raffrontata a solo due settimane dopo, quando si è ritornati alla normalità. In Italia, dove forse il carattere esasperato dell’impatto mediatico è ancora più accentuato, c’è stato un ritorno delle agende del giorno sulla situazione politica italiana. La ragione di questo comportamento è da ricercare nella costruzione di un percorso giornalistico/narrativo più accattivante possibile, che si realizza solo se le peggiori previsioni diventano realtà. In questo modo la realtà dei fatti si scosta significativamente dalla realtà giornalistica, che appartiene ad un diverso universo narrativo. Allo stesso modo la notizia non è solo uno strumento narrativo e formale, ma un vettore di contenuti che, se da una parte descrive il mondo, dall’altra è in grado di trasformarlo. La conferma più grande arriva dalle “fake news” e dalla loro influenza sulla società. Gli eventi delle prime settimane di gennaio non si esimono da questo fenomeno. Raffrontando gli emittenti statunitensi e iraniani, più o meno faziosi che siano, emerge una vera e propria battaglia di propaganda incrociata.

La notizia come arma da guerra Nell’epoca dell’informazione lampo la notizia è uno strumento che assume carattere fondamentale per il controllo e per la proiezione di potere oltre i propri confini nazionali. L’esempio più lampante è quello di Russia Today, che utilizza il grande reach per diffondere una lettura pro-Russia delle notizie. Allo stesso modo tra Iran e Stati Uniti, soprattutto in queste settimane intense, è in corso una guerra di soft power, dove gli USA sono sicuramente avvantaggiati, ma l’Iran non è da meno nello sforzo. La notizia diventa un’arma utilizzata per vincere la battaglia dell’opinione pubblica, sia nazionale che internazionale. Questo sicuramente emerge con i maggiori emittenti interni iraniani, che sono totalmente controllati dallo Stato, ma anche con i network che si rivolgono ad un pubblico internazionale. Di quest’ultima categoria in Iran abbiamo PressTV e Fars News Agency. Gli Stati Uniti invece hanno un panorama interno molto più eterogeneo. Non bisogna guardare lontano tuttavia per notare il grande impegno che il governo investe nel condizionare l’opinione pubblica iraniana. L’obiettivo è superare la barriera informativa persiana e proporre una lettura pro-occidente delle notizie, finanziando i progetti che vanno in quella direzione. I due principali sono Iran International English e Radio Farda che è una sezione di Radio Free Europe/ RadioLiberty (l’emittente usato contro l’URSS e oggi contro la Russia) dedicata a diffondere informazioni pro-occidente in Iran. I momenti più intensi di questa fuoco incrociato di propagande si trovano successivamente all’attacco iraniano sulle basi USA.

L’offensiva, più che militarmente significativa, doveva essere un colpo simbolico agli Stati Uniti. Nei primi momenti dall’attacco, come spesso accade, sui social network venivano diffuse immagini non relative all’attacco e numeri di morti non verificati, fino a 20. Dagli USA arrivavano invece notizie circa nessuna vittima. Il giorno dopo tuttavia la televisione iraniana ha riportato un numero di morti pari a 80, mentre la totalità delle altre fonti confermava nessuna vittima.

Solo il 17 gennaio arriva la notizia che undici militari statunitensi sono stati feriti, a differenza di quanto precedentemente rivelato dal Pentagono e Donald Trump, durante l’aggressione iraniana. Se uno dovesse informarsi usando questi canali otterrebbe informazioni sempre del tutto opposte e mai coerenti con la realtà. Una questione invece meno legata agli assetti di potere nella regione ma assai più importante per la grande influenza sull’opinione pubblica, è l’abbattimento dell’aereo di linea ucraino la notte dell’attacco iraniano. L’opzione più votata nei momenti successivi al fatto fu quella dell’incidente dovuto all’errore umano, con emittenti iraniane che rilanciavano la notizia di come il Boeing 737, secondo alcuni dipendenti, fosse stato “progettato da pagliacci, a loro volta supervisionati da scimmie”. Solo in seguito alll’evidenza schiacciante le autorità iraniane, e quindi i media, hanno rivelato le effettive responsabilità. Scatenando quindi la risposta di una parte della popolazione che ha dato inizio ad un nuovo ciclo di proteste in Iran. La copertura mediatica che hanno ricevuto è stata asimmetrica. Mentre la televisione nazionale iraniana e i vari outlet iraniani non riportavano nulla (o quasi), i canali di informazione pro-USA in Iran rilanciavano le notizie, costruendo forse un’immagine simile alle proteste di novembre, che tuttavia sono state assai più grandi. Allo stesso modo in questi mesi le proteste in Iraq non trovano voci autorevoli in grado di descriverle. Si tratta sia di giovani sunniti, insofferenti rispetto al nuovo potere sciita, ma anche di giovani sciiti, che riconoscono la totale assenza dello stato. A differenza di come si cerca di dipingere l’Iraq, la realtà è che il paese ad oggi è ancora fortemente diviso.

L’approccio della stampa nazionale La maggior parte dei nostri giornali decide di dedicarvi la prima pagina, tra i più importanti si possono trovare La Stampa, Il Corriere della Sera e La Repubblica. Questi due primi colossi della giornalistica italiana citati riportano la notizia, rispettivamente, con i seguenti titoli “Trump a un passo dalla guerra con l’Iran” e “Raid Usa, l’Iran: ora vendetta”.

Scrivendo così, sono in primo piano gli Stati Uniti d’America e la decisione avventata di Trump di uccidere una delle figure più rilevanti in medio oriente, dove da tempo la tensione è altissima. Il Giornale scrive: “Ucciso il boia iraniano e il governo tentenna” mettendo in mezzo anche la politica italiana, facendo una critica a Conte e Di Maio definendoli “conigli” poiché scelgono di non prendere una posizione a riguardo. Ma è davvero possibile prendere una posizione in una situazione complessa come questa? L’ex ministro degli interni, Matteo Salvini, tale quesito non se lo pone. Decide di comportarsi come quando a scuola annuivamo con vivo consenso al più simpatico della classe per cercare di diventare il suo migliore amico. Sul suo profilo Facebook pubblica un post, «Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell’Italia e dell’Ue, devono ringraziare Trump e la democrazia americana per aver eliminato uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell’Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà»; motivando poi il suo schieramento dalla parte del presidente americano poiché quest’ultimo “difende i valori cristiani”. Il Manifesto riporta questa dichiarazione con un titolo breve e riassuntivo: “Salvini fa l’ultrà di Trump”. Il leader del partito Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni dichiara, forse per la sua storica vicinanza al regime di Assad e alla Russia, come riportato da il Sole 24 Ore: “la complessa questione mediorientale in cui si innesta la rivalità tra Iran e Arabia Saudita, non merita tifoserie da stadio ma necessita di grande attenzione” e continua “la più ferma condanna al gravissimo assalto all’ambasciata statunitense in Iraq e una forte preoccupazione per le conseguenze della reazione americana che ne è seguita”. A seguire la linea del pensiero di Salvini, è Libero che decide di elogiare Trump con il seguente titolo “Evviva Trump ha ucciso il boia iraniano” così minimizzando non solo una notizia ma, in termini figurati, un incendio che sta divampando. La stessa testata decide di cantare fuori dal coro, e sulla prima pagina del 6 gennaio troviamo: “Abbiamo i talebani a casa, scoppia il tifo per l’islam”. Scrivendo poi che: “Il governo, i giornali e tiggì piangono l’eliminazione del boia iraniano antisemita e per evitare le ritorsioni di Teheran si prostrano verso La Mecca, mostrando il sedere a Usa e Occidente.” È evidente come Libero non trova difficoltà a schierarsi, come non trovi difficoltà a sminuire chi saggiamente decide di usare la cautela, per cercare di non peggiorare una situazione che non elimina l’ipotesi di una seria escalation. La Repubblica fa parte di chi, come direbbe Libero, “mostra il sedere a USA e Occidente”, e il titolo che esce sulla loro prima pagina è “Ora il mondo ha paura”. E questa paura di cui parla il quotidiano si rafforza quando il 5 gennaio l’Iran si ritira dall’accordo sul nucleare stipulato durante il mandato di Barack Obama e quando l’8 gennaio dei missili bombardano due basi americane. Un altro avvenimento che aggrava la situazione, è la notizia di un aereo ucraino abbattuto da un missile poco dopo il decollo dall’aeroporto di Teheran Imam Khomeini, che ha portato alla morte di 180 persone. L’Iran poi ammette di essere il responsabile di quel missile, lanciato per un “errore umano”. Lo spazio che occupa questa tragedia nelle prime pagine dei quotidiani, riportata solo dopo l’ammissione dell’Iran, è misero e solo alcuni giornali come Il Manifesto le dedicano la prima pagina. Ma in tutti i titoli vengono riportate le proteste e le piazze piene che questo evento ha scaturito. Il mal contento e lo sdegno crescono e danno vita a sempre più manifestazioni, rivolte e mobilitazioni. La tensione è allo stremo non solo nei due paesi in conflitto, ma anche nel resto del globo. L’opinione pubblica si divide, c’è chi acclama Trump, chi afferma che è un pazzo e chi decide di non schierarsi. I nostri telegiornali riportano però solo immagini di cortei in Iran contro gli Stati Uniti d’America, in cui bruciano la bandiera a stelle e strisce e dichiarano morte alla nazione nemica. Ma sulle piattaforme social saltano fuori video e immagini di iraniani che non proclamano vendetta e di americani che condannano le azioni del presidente Trump. Sono in prima linea insieme al loro dissenso verso il conflitto che rende sempre più gravoso l’inizio del nuovo decennio.

di Marco Collepiccolo e Rebecca Cipolla

di Ilaria Michela Coizet Foto di Emma Terlizzese

SCOMODO RACCONTA I LUOGHI ABBANDONATI DI ROMA

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Superficie totale dell’area: 20.000 mq Anno di abbandono: metà anni '80 Anno di bonifica dell'area: 2007 Proprietà: ignota

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